Pidcock non ha sbagliato nulla. E’ stata “solo” questione di motore

08.03.2025
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SIENA – Quando chiediamo a Tom Pidcock se si aspettasse questa sfida con Tadej Pogacar, lui replica con un secco: «E con chi altro?». Ma forse la domanda andava girata. Forse sarebbe stato meglio chiedergli se si aspettasse di tenere così a lungo le ruote del campione del mondo. Era chiaro che lo sloveno ci sarebbe stato.

In ogni caso, quello che abbiamo potuto vedere a Siena nel dopo gara è un Pidcock realista. Di certo non contento per il secondo posto, perché uno come lui è nato per vincere o per correre con l’idea di vincere. Ma neanche così dispiaciuto.

«Sono contento di essere stato l’unico che è riuscito a seguire Tadej, ma nel finale è stato troppo forte per me». Alla fine, quello che doveva fare lo ha fatto. È andato via con il numero uno e solo un suo affondo potente ai 18 chilometri dall’arrivo lo ha messo fuori gioco. Questione di motore. C’è poco da fare.

Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom
Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom

Vado o non vado?

«La corsa è andata come mi aspettavo – spiega Pidcock – siamo andati abbastanza veloci per tutta la gara, quindi sono contento che tutto sia andato bene».

E poi si arriva al momento clou: la caduta che avrebbe potuto cambiare tutto. È vero che dopo lo ha atteso, ma è anche vero (e dalle immagini TV si è visto benissimo) che dopo la scivolata di Pogacar e il dritto di Swift, lui si volta e decide di proseguire. Il che è legittimo, non lo biasimiamo, sia chiaro. La gara è gara. Specie contro un atleta pressoché imbattibile come Pogacar, si sfrutta ogni possibilità.

«Per un po’ – dice Pidcock – ho pensato di andare. Ho guardato dietro e né Tadej né Swift c’erano. Però poi ho pensato anche che c’erano ancora 50 chilometri da fare e che ero da solo, con solo mezzo minuto di vantaggio. A quel punto sono tornato sui miei passi e ho aspettato. Ed è stata la cosa giusta. Quando è rientrato, ho visto le sue ferite e si capiva l’impatto che aveva subito».

Qualcuno gli chiede se questo Pogacar sia un superuomo e, se lo aprissero, cosa si aspetterebbe di trovare. Lui glissa e dice: «Mi aspetto di trovare qualcosa di normale, un corpo, delle ossa…».

L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni
L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni

Pidcock coraggioso

Una cosa è certa: oggi Pidcock ha dimostrato grande coraggio. Attributi che gli avevano chiesto di mostrare il giorno prima. Alla fine, in questi due giorni senesi, l’inglese ci è parso molto concreto, passateci il termine. Pochi fronzoli, pochi sorrisi, ma neanche musi lunghi. Si è presentato in mixed zone e ha risposto a non si sa quante interviste, forse anche più di Pogacar. In fin dei conti, la notizia, l’outsider che avrebbe tenuto in piedi la tensione della competizione, era lui. E lo stesso atteggiamento lo aveva dopo il traguardo.

Ancora Tom: «Non si trattava di avere gli attributi, si trattava semplicemente di seguire il piano. E il piano non era attaccare a Monte Sante Marie, ma solo seguire Tadej quando avrebbe attaccato. Sapevo che sarebbe partito di lì a poco. Si vedeva che stava aspettando il momento giusto, e così ho pensato di andare io». Insomma, la dinamite era pronta, lui ha solo acceso la miccia.

Pidcock, come la netta maggioranza degli atleti in gara, ha utilizzato gomme da 30 millimetri (i tubeless Vittoria), ruote a profilo medio-alto e, contrariamente a molti altri, non aveva un manubrio strettissimo, specie se rapportato alla propria altezza e quindi alla larghezza delle sue spalle. E questo, sullo sterrato, è un bel vantaggio: allarga la base d’appoggio.

«Siamo a posto, Tom sta bene, ci farà divertire», ci aveva detto Gabriele Missaglia prima di salire in ammiraglia e schierarsi per l’allineamento.

Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens
Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens

I pensieri della sera

Cosa passa nella mente di un atleta che deve sfidare il più forte corridore, forse, di tutti i tempi? Come va a dormire? È un onore o un onere? Paura o adrenalina?

«Pensavo che alla fine questo duello sarebbe stato una gioia. Questo è ciò che speravo. Sapevo di essere in buona forma, penso che sia la migliore condizione che abbia mai avuto ed è stato bello essere in lotta così a lungo con lui. Ho fatto una delle mie migliori performance. Mi sentivo molto bene oggi. Quando hai ancora 70 chilometri da fare e attacchi, è perché stai bene. Sapevo che sarebbe stata una lunga gara, ma ero “comodo” con quel passo che abbiamo tenuto in due. Sono sincero, spesso quando siamo rimasti da soli davanti ero in Z2».

Riassumendo, il coraggio c’è stato, la parte tattica anche, le gambe? Assolutamente sì, lui stesso ha parlato di miglior condizione di sempre. E quindi? come detto all’inizio questione di motore: stop. Quindi c’è da allargare le braccia, incassare e continuare a lavorare. Cosa che tutto sommato ha detto anche Tom: «Ho fatto dei passi avanti quest’anno e posso dire di stare andando nella direzione giusta. La nuova squadra, il nuovo allenatore, il nuovo nutrizionista, tutte queste novità sono arrivate solo a dicembre, sono passati solo tre mesi». Vale la pena continuare a sperare insomma…

Strade Bianche, ancora Pogacar. Ma stavolta col brivido…

08.03.2025
6 min
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SIENA – «Credo che se lo chiedete a qualsiasi corridore – dice Pogacar con un sorriso che sa di esperienza – vi dirà che almeno una volta ha avuto una caduta come la mia. Per me non è stata la prima, forse la terza. Ma a prescindere da questo, sarebbe stato un peccato se avessi buttato via tutto il lavoro della squadra…».

Il campione del mondo ha qualche cerotto. Quelli sui polpacci si vedono, gli altri si intuiscono sotto il giubbino iridato. Con 40,705 chilometri all’ora, è stata la Strade Bianche più veloce di sempre, più di quella del 2023 vinta da Pidcock. Questa era più lunga e il vincitore è anche finito in un prato, rischiando di rompersi l’osso del collo. E’ un giorno che Pogacar ricorderà a lungo: forse non quello della vittoria più bella, ma di certo di quella più sofferta.

Sin dal mattino si scherzava su quale sarebbe stato il punto del suo attacco: se su Monte Sante Marie oppure nel settore precedente di Serravalle. E quando Pidcock ha rotto gli indugi sul primo, Tadej si è affrettato ad andargli dietro. Non è parso sorpreso, forse davvero non aveva in animo di vincere con un’impresa delle sue. Però ha raccolto la sfida e si è allontanato con il britannico che al Q36.5 Pro Cycling Team ha ritrovato la spavalderia dei bei tempi.

Un momento di panico

La caduta ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena di tutti. Pogacar deve essersi accorto di essere arrivato lungo in quella curva, ha pinzato l’anteriore e la ruota si è girata, facendolo andare giù a peso morto. Il colpo è arrivato anche al casco, gli occhiali si sono girati e Tadej è scivolato a grande velocità verso la banchina. Ha schivato un segnale stradale e si è fermato nel prato. Per molto meno altri non sono più qui tra noi, per molto meno lui stesso alla Liegi del 2023 si ruppe uno scafoide. Invece si è rialzato, ha fatto un rapidissimo check ed è ripartito.

«Sto bene, grazie – dice con un sorriso – grazie per averlo chiesto. Quando sono caduto nella mia mente c’è stato un momento di panico. Però mi sono rialzato, ho visto che potevo riprendere la bici, ho visto che il mio orologio era a posto e anche il computerino. Ho avuto un sacco di pensieri, ma la prima cosa è stata ripartire. Ho provato a tornare davanti perché per questa gara avevamo lavorato tanto».

Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura
Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura

Ha chiesto scusa

Pidcock davanti non si è fermato, non ci ha pensato neanche. Ha provato a tenere duro, poi forse aggiornato dall’ammiraglia, ha capito che l’altro stava andando a velocità doppia e che i chilometri fino al traguardo fossero ancora troppi. Perciò, voltandosi e vedendolo arrivare, ha pensato bene di tirare il fiato e recuperare preparandosi per lo scontro finale.

«Quando sono tornato su Pidcock – racconta Pogacar e un po’ ci colpisce – gli ho chiesto scusa. E’ stato un mio stupido errore e poteva finire molto male per tutti davanti, per lui e anche per Swift. Tom mi ha guardato ha detto che stava bene e mi ha chiesto se stessi bene anche io e così abbiamo continuato. So di essere stato fortunato, magari questo d’ora in poi diventerà il mio soprannome: “Lucky guy!”.

«Non so quanto mi abbia aspettato, di certo l’ho visto voltarsi sulla cima della salita quando gli sono arrivato vicino. Forse ha pensato che fosse ancora troppo lunga per andare da solo e avrà pensato che sarebbe stato meglio andare via insieme. Non ne abbiamo parlato, ma so che lui ha rispetto per me e io ne ho per lui. Oggi è stata davvero una classica e anche in questi frangenti così estremi, abbiamo mostrato una grande correttezza».

La pressione di Pidcock

Quella che non gli manca mai è l’ironia. Dopo l’arrivo si è fermato. Ha abbracciato gli uomini della sua squadra con quell’entusiasmo ogni volta così schietto da strapparci il sorriso. Poi ha aspettato Pidcock e alla fine anche Wellens, al culmine di una giornata da incorniciare. Ha risposto alle domande delle televisioni. Si è fatto medicare prima di salire sul podio. Poi si è prestato all’ultimo incontro con i media, prima di tornare al bus e di lì in albergo. Eppure quella caduta resta nelle domande e anche Tadej ci torna sopra.

«Probabilmente aver avuto Pidcock alle spalle – dice – potrebbe avermi spinto a commettere quell’errore. Non è facile andare in discesa sapendo che hai dietro un campione del mondo di mountain bike, campione olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross (ride, ndr). Mi ha messo sotto pressione, perché ho dovuto dimostrargli di essere bravo anche io e credo di averlo fatto. Ma non andrò mai con lui in mountain bike. Avevo pensato di attaccare al primo passaggio su Colle Pinzuto, ma la caduta mi ha impedito di farlo.

«Ho sperato che l’inseguimento non mi costasse troppe forze. Fortunatamente non mi sono rotto nulla, alla fine niente di serio. Sapevo che avrei dovuto provare in quel settore, perché le Tolfe sarebbe stato più adatto a Tom, dato che è più corto. Per cui ho fatto uno scatto ed è stato sufficiente».

Due italiani nei primi 20

La sua esultanza in cima allo strappo finale di Santa Caterina è stata quella del goleador. La gente lo ha abbracciato e sospinto, riconoscendo in quelle ferite e quelle lacerazioni un valore aggiunto che finora non aveva mai visto.

Nessuna vittoria è facile, quella che viene avendo in bocca il gusto del proprio sangue vale indubbiamente di più. La terza Strade Bianche di Tadej Pogacar va in archivio con Formolo e Vendrame nei primi venti. La sua prossima tappa sarà la Milano-Sanremo. E chissà che già da stasera nello squadrone non si torni a parlare della Roubaix.

Il passato voleva riprendersi il presente. Ma Vollering ha detto no

08.03.2025
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SIENA – Ma non dovevamo non vederci più? Così recitava una canzone di Lucio Battisti, ed è probabilmente quello che ha pensato Demi Vollering quando ha visto la sua ex compagna Anna van der Breggen ancora alla sua ruota. Come una volta. Come ai vecchi tempi. La Strade Bianche Women va alla grandissima atleta della FDJ-Suez.

Sulle strade senesi tutti si aspettavano la lotta fra Anna Van der Breggen (altro rientro eccellente), la nostra Elisa Longo Borghini, Demi Vollering e, secondo alcuni, anche Mavi Garcia. E in effetti, non ci si è andati lontano.

Tutto succede nell’ultima fase di gara: quando si affronta Colle Pinzuto, Van der Breggen forza, ma Vollering segue senza problemi e anzi, allo scollinamento rilancia. Proprio lì, quando inizia il falsopiano e servono tante gambe e tanti watt, l’unica a resistere all’ex compagna e connazionale è proprio Van der Breggen. Mancano esattamente 14 chilometri alla fine e da lì in poi sarà una fuga a due.

La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop
La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop

La classe della campionessa

Sembra un tuffo nel passato. Le due olandesi hanno un altro passo, un’altra pedalata. E in questa fuga quasi non si parlano. Anche all’arrivo solo Van der Breggen si sposterà per un timido saluto nei confronti di Vollering.

«Se mi aspettavo di vincere? No, ma ci ho sperato». Così inizia Anna Van der Breggen nel post gara. L’atleta della SD Worx, quando parla, ti guarda fisso e non molla un secondo. Ha una determinazione agghiacciante.

«Ho anche sofferto molto durante la gara, è stata dura sin dall’inizio e non sapevo quanto avrei potuto reggere. Però sono molto felice, perché era da così tanto tempo che non mi giocavo un finale in questo modo e quindi sono piuttosto sorpresa, anche se poi eravamo partite per vincere».


«L’attacco? Non avevo in programma di attaccare alle Tolfe, volevo solo stare davanti, quindi ho cercato di affrontare la discesa e l’inizio dello strappo finale il più velocemente possibile. Ho pensato che in quel modo avrei avuto un po’ di spazio per il resto del settore. Ma a quel punto della gara sarebbe cambiato davvero poco. Si doveva andare a tutta! Questa corsa comunque mi dà fiducia per il resto della stagione».

Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women
Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women

Botta e risposta

«Demi – riprende Van der Breggen – voleva che passassi a tirare, ma mi serviva tempo. Sono vecchia e mi serve tempo per recuperare! Non abbiamo avuto lunghe conversazioni, stavamo soffrendo un po’. C’era il dolore alle gambe e anche le emozioni della gara, il pubblico, il finale che si avvicinava. Tra l’altro è stato bello sentire tutto questo di nuovo, soprattutto in questa gara».

«Io – risponde Vollering – sono contenta per aver vinto in generale, non per aver vinto davanti ad Anna. Questa è una vittoria importante per me e per la squadra, non un trionfo contro qualcuno».

Nel finale, come detto, si sono salutate in modo timido e fugace. Non che siano nemiche, ma di certo non si abbracciano. Ognuna fa la sua corsa e sul piatto c’era un passato di spessore. Pensateci un attimo: fino a pochi mesi fa erano entrambe nella stessa squadra e una era l’allenatrice dell’altra. Si dice che in allenamento si siano scontrate spesso.

«Oggi il duello con Anna mi ha riportato a quando ero giovane. Ricordo quei tempi, quando non ero alla sua altezza, non riuscivo a tenerla. Averla battuta mi ha fatto capire quanto sia cresciuta. Mi ha fatto capire che sono diventata forte».

Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo
Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo

Vittoria di squadra

E’ vero che Vollering ha vinto, ma va detto anche che aveva la squadra migliore. A un certo punto c’erano tredici atlete davanti e tre erano della FDJ-Suez. Oltre a Demi, c’erano anche Juliette Labous ed Evita Muzic, fondamentale a Colle Pinzuto. E non solo: Muzic è caduta (all’arrivo sanguinava dal ginocchio), è risalita, è andata in fuga e, una volta scattate “quelle due”, faceva il tifo per radio.

«Oggi – spiega Vollering – ho avuto un problema meccanico che ci ha un po’ cambiato i piani, ma Juliette Labous è stata fortissima a riportarmi dentro. Ha fatto delle trenate incredibili. Mi piace molto lo spirito di questa squadra, come ci stiamo muovendo, l’atmosfera. Questa è stata una vittoria del gruppo. Abbiamo tanti obiettivi e la Strade Bianche era uno di questi.

«Ma quando parti con la consapevolezza di poter vincere, tutto lo staff e tutte le compagne sono più motivate, più determinate e quando lavorano riescono a dare di più. Si alza il livello della prestazione.
Per me è un nuovo capitolo, per questo credo che a volte il mio grazie nei confronti delle ragazze non basti. Ma so che loro lo sanno. Voglio che tutte si sentano partecipi».

Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava
Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava

Addio 2024

E qui Demi Vollering parla anche, non senza un filo di emozione, della sua situazione mentale. Sostanzialmente dice di essere rifiorita, di aver trovato una nuova famiglia e racconta del suo 2024 travagliato.

«Non sapevo se lasciare la SD Worx o no. Se facevo bene o meno. Lo scorso anno non ero libera di testa, avevo sempre qualche problema. Rispetto all’anno scorso mi sento diversa. Mi sono sbloccata. In gara volevo fare certe cose e non mi venivano. C’erano problemi in squadra e questo aveva creato incertezze sul mio futuro. Però voglio dire una cosa – e sembra quasi volersi togliere un sassolino – posso dire di essere una persona leale».

Ai 50 dall’arrivo, Longo Borghini tradita dallo stomaco

08.03.2025
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SIENA – Escludendo, conoscendola, che si sarebbe ritirata, quando Elisa Longo Borghini si ferma dopo il traguardo, si capisce subito che non stia affatto bene. Ha gli occhi smarriti di chi non capisce cosa sia accaduto e ammette di avere ancora qualcosa. Intorno c’è la baraonda di Piazza del Campo, anche sedici minuti dopo l’arrivo delle prime. I volti sono impolverati, qualcuna riesce a sorridere, ma appena Elisa inizia a parlare, basta guardare gli schizzi sul telaio per immaginare l’inferno che per lei è stata la corsa.

«Sinceramente non lo so – dice – io stavo bene, ma da un momento all’altro ho iniziato a vomitare e non ho più smesso. Poi non ho più avuto energie per continuare. Mi sono completamente spenta, è successo un po’ come a Parigi. Non ho capito che cosa possa essere successo, so solo che non sono riuscita più a mangiare né a bere e tutt’ora non mi sento per niente bene».

Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata
Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata

Il gesto di Silvia Persico

Mancava una quarantina di chilometri all’arrivo, quando Longo Borghini si è sfilata, ritrovandosi in una posizione non adatta a chi voglia ancora vincere. Poco dopo, al suo fianco è arrivata Silvia Persico. Hanno parlottato. Poi la bergamasca le ha poggiato la mano sul collo. Le ha detto ancora qualcosa, l’ha abbracciata ed è risalita provando a giocarsi le carte che aveva ancora a disposizione.

«Oggi Elisa non stava bene – dice Persico dopo essersi dissetata, con il volto incrostato di polvere – ho cercato di tenerla con il morale più alto possibile, però purtroppo non era in una giornata buona. Me ne sono accorta dopo le Tolfe. Quando mi ha dato via libera, io ero già stanca. Ero già rientrata due volte, avevo cambiato bici nel primo settore. Sono rientrata nel secondo, mentre nel quarto mi sono dovuta fermare per una foratura. Per cui ho cercato di dare il massimo, ma è stata una gara sempre a rincorrere. Mi dispiace un po’ per la squadra, magari le aspettative erano altre. Però purtroppo, quando non è giornata, non è giornata. La corsa è stata dura, non c’era neanche un momento per recuperare. Ma ora l’importante è che Elisa stia bene. E’ una grande campionessa, peccato perché stava benissimo».

Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina
Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina

L’abbraccio della madre

Si sussurrava, durante l’attesa che Longo Borghini possa aver pagato il fatto di essere scesa dall’altura da pochi giorni. Tuttavia è stato sufficiente guardarla in faccia e parlarle per capire che quel fattore probabilmente non c’entra nulla.

«Io ho l’influenza – dice mentre si avvia al pullman – devo avere qualcosa, sto male. Ho avuto dei seri problemi di stomaco e per fortuna a 20 chilometri dall’arrivo, quando ero da sola, ho trovato alcune compagne che mi hanno dato il supporto per arrivare in cima a Santa Caterina».

Prima di partire, nel pieno della griglia di partenza, Elisa ha avuto parole d’oro per Sara Piffer e un pensiero per la sua famiglia. Era di ottimo umore, in forma e sorridente. Ora invece si allontana a fatica, dovendo arrampicarsi sulla pendenza di Piazza del Campo per raggiungere il pullman alla Fortezza Medicea. Riconosce il padre alla transenna, gli fa un gesto e gli dice che si vedranno dopo. Invece la madre si sporge. “Il generale”, come la chiama sua figlia, le dice qualcosa nell’orecchio e lei vorrebbe tenerla lontana perché sa di essere sporca. Guidina la stringe, le dice qualcosa e poi la lascia andare. Elisa esce dalla zona transenna, il pubblico si apre, la acclama, applaude e la vede sparire. Si sperava in qualcosa di meglio, speriamo sia stato un episodio isolato e che il Trofeo Binda e la Milano-Sanremo avranno al via la miglior Longo Borghini. Ne abbiamo tutti bisogno.

Salvoldi già all’opera, con qualche bella notizia

08.03.2025
4 min
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Tra le tante novità legate alle nomine dal parte della Fci dei nuovi quadri tecnici nazionali ce n’è una… a metà. Nel senso che Dino Salvoldi resta al suo posto come titolare degli juniores, ma allarga il suo ambito a tutto il settore della pista maschile. Una scelta ragionata, perché consente di continuare a seguire ragazzi che ha cresciuto in questi due anni passati, portando numerosi risultati soprattutto su pista, ma chiamandolo anche a confrontarsi con nuove realtà.

Il tecnico milanese ha ottenuto in carriera qualcosa come 270 medaglie con i suoi atleti
Il tecnico milanese ha ottenuto in carriera qualcosa come 270 medaglie con i suoi atleti

Si comincia subito

Salvoldi ha preso di petto il suo nuovo ruolo e le sue giornate sono davvero lunghissime e dense, anche perché l’esordio è dietro l’angolo, la prova di Nations Cup su pista prevista per la prossima settimana. Intanto però il tecnico continua a seguire i ragazzi anche perché c’è una nuova nidiata di juniores da visionare sempre tenendo presente che per quella categoria il suo impegno è totale, comprendendo anche la strada.

La chiacchierata parte da un assunto: il tecnico attraverso la pista si riaffaccia nell’agone olimpico lasciato quand’era alla guida del settore femminile assoluto: «Per me è una soddisfazione che ha il sapore della novità, perché cambio completamente settore. Lavorare con gli elite rappresenta uno stimolo enorme comprendendo anche le difficoltà del ruolo assunto da Marco Villa, che ha portato la pista italiana ai vertici mondiali».

Stella e Sierra, la coppia madison U23: lavorare su loro è uno degli obiettivi di questo biennio
Stella e Sierra, la coppia madison U23: lavorare su loro è uno degli obiettivi di questo biennio
Sarà il tuo un approccio soft, considerando che questi due primi anni non sono in programma le qualificazioni olimpiche?

Non direi, penso invece che non ci sia tempo da perdere considerando che siamo in mezzo a un cambio generazionale. Ci sarà molto da lavorare con quei ragazzi appena passati di categoria per fare in modo che fra un paio d’anni siano maturi anche per competere proprio con l’obiettivo olimpico. Qualificarsi non sarà per nulla facile, la concorrenza è sempre più ampia e forte, attendiamo di sapere quali saranno i criteri considerando naturalmente il quartetto come specialità primaria anche per le sue ripercussioni sulle altre. Ma c’è anche altro da considerare…

Ossia?

In questi due anni si andrà avanti nell’evoluzione tecnica ma anche dei materiali, quindi non dobbiamo farci trovare impreparati. Saranno due anni che ritengo molto importanti per costruire tutto il cammino olimpico.

Salvoldi continuerà a seguire gli juniores su strada e programma alcune trasferte all’estero (foto Rubino)
Salvoldi continuerà a seguire gli juniores su strada e programma alcune trasferte all’estero (foto Rubino)
Assumi la guida del settore in un momento di passaggio importante, con Ganna, Milan, Consonni che si sono sfilati lasciando però una porta aperta per Los Angeles 2028. Come ti approccerai alla questione?

In realtà l’ho già fatto – sottolinea Salvoldi – ho parlato con loro e ritengo la loro scelta di concentrarsi sulla strada molto giusta, dopo aver dovuto dedicarsi a tempo quasi pieno alla pista per il breve quadriennio precedente. Ho avuto da loro ampie assicurazioni sul futuro, anzi non è detto che qualcuno di loro non possa anche tornare alla pista già ai mondiali di ottobre, considerando che la stagione su strada sarà conclusa.

Tu, seguendo tutte le categorie, potrai anche continuare a lavorare con quei ragazzi che avevano ottenuto il record mondiale nel quartetto juniores…

Sì, sono stati con me due anni, abbiamo stretto un rapporto personale, ma loro sanno come me che ora cambia tutto. L’impegno fra gli under 23 è complesso, sono in team che giustamente devono impiegarli e farli maturare su strada. Dovremo valutare in corso d’opera come muoverci, rientriamo in quel discorso fatto prima sulla maturazione di questi talenti in modo da averne qualcuno pronto per il 2027. In questo senso è fondamentale il dialogo con i team.

Milan dopo il titolo mondiale d’inseguimento. Che potrebbe difendere a ottobre
Milan dopo il titolo mondiale d’inseguimento. Che potrebbe difendere a ottobre
Villa aveva rapporti stretti con tutti i responsabili delle squadre WorldTour e Professional, farai lo stesso?

Ho già iniziato a farlo, ho avuto già contatti che mi hanno dato molta fiducia. Ho trovato una pressoché totale disponibilità a strutturare il lavoro dei vari ragazzi tenendo conto delle diverse esigenze. Devo dire che le risposte che ho ricevuto sono andate anche al di là delle mie aspettative. Ora è importante che i ragazzi stessi si immergano nella nuova realtà nella maniera giusta.

Con gli juniores continuerai sulla scia del lavoro svolto nel precedente quadriennio, facendoli lavorare in entrambe le discipline?

Sicuramente, coinvolgendone un ampio gruppo, portandoli quando possibile a gareggiare all’estero per far fare loro esperienza. Avere tanto lavoro davanti non mi spaventa perché penso che sia una buona cosa poter operare su questi ragazzi attraverso più anni di attività in una fascia molto delicata. Inoltre è in questo modo agevolata la ricerca del talento, del quale il ciclismo italiano ha molto bisogno.

Team Nordest, tanta organizzazione e juniores pronti a stupire

08.03.2025
7 min
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Metti un giovanissimo diesse nel collaudato motore di una formazione juniores e si è ancora più pronti per il proprio viaggio. Il Team Nordest Villadose Angelo Gomme è una realtà storica della categoria che in questa stagione vuole proseguire il cammino per tornare ad essere un riferimento a livello nazionale anche grazie a nuovi inserimenti.

Nel comparto dei tecnici quest’anno in provincia di Rovigo è arrivato Mattia Garzara, classe 2002 con un recente passato da U23 nel CTF ed una freschissima esperienza da diesse degli allievi nell’U.C. Mirano, peraltro sua ex squadra da atleta. Abbiamo chiesto a lui, proprio l’ultimo arrivato a cui non mancano loquacità, chiarezza e preparazione, di aprirci le porte del Team Nordest e farcelo conoscere meglio.

Il Team Nordest Villadose Angelo Gomme ha impostato un calendario per gare a tappe e diverse internazionali (foto ufficio stampa)
Mattia, cosa ci fa un ragazzo della tua età già in ammiraglia?

E’ presto detto. Ho smesso di correre nel 2022 perché avevo perso la voglia di fare fatica (dice sorridendo, ndr) e perché ero rimasto indietro con gli studi. Infatti ho recuperato e a luglio mi laureo in consulenza del lavoro, che è un ramo di giurisprudenza dell’Università di Padova. Non volevo però lasciare il ciclismo perché volevo dare ancora qualcosa in un altro modo. Già nel 2020 avevo dato il terzo livello da diesse e mi è tornato utile nelle ultime due annate. Al di là del mio caso, credo che servano diesse giovani per attuare un ricambio generazionale nel ciclismo.

Come sei arrivato al Team Nordest?

E’ stato tutto un po’ per caso. Il primo contatto c’era stato ad agosto e inizialmente avevo detto di no, più che altro per un mio periodo difficile a livello personale e lavorativo. Poi ad ottobre si sono fatti avanti nuovamente ed ho accettato, anche perché gli juniores li ritengo una categoria più vicina e adatta a me per una questione di età e rapporti diretti con i corridori. Dico la verità, sapendo che potrebbe essere un mio limite da sistemare, ma faccio fatica a relazionarmi con i genitori troppo invadenti. Negli allievi capita ancora di avere a che fare con questo tipo di ingerenze.

Com’è stato l’inserimento nella nuova squadra?

E’ stato facile, mi sono sentito subito a mio agio. Siamo in tre diesse ed ognuno di noi si occupa di mansioni diverse, anche se poi le tattiche di gara le studiamo assieme qualche giorno prima di correre. Qui il direttore storico del Villadose è Carlo Chiarion. Lo conoscevo già quando correvo e me ne aveva parlato molto bene Matteo Berti, che era il mio diesse quando correvo negli juniores della Work Service. Carlo è stato uno dei motivi per cui ho accettato di venire qua. Lui si occupa delle iscrizioni alle gare e delle trasferte.

L’altro diesse chi è?

C’è poi Lucio Tasinato, altra persona di esperienza. Lui cura i mezzi e il parco bici, restando in contatto col meccanico Gianmarco Mazzucato. Invece io cerco di gestire i rapporti con i ragazzi. Sono l’output della parte tecnica. Facciamo a rotazione alle gare, pur tenendo ruoli fissi. Sia Lucio che Carlo sono persone che hanno piacere a stare con i giovani, così come il resto dello staff. Sono contento di lavorare con loro.

Avete altre figure?

Certamente. Il nostro team manager è Fabrizio Zambello, che è un dirigente della ditta Nordest (che segue un pool di aziende agricole del Veneto, ndr). Lui cura aspetti societari e si affida a noi diesse per la parte tecnico-tattica. Come preparatore atletico abbiamo Stefano Nardelli e come nutrizionista abbiamo Nicola Maria Moschetti (della Bahrain-Victorius, ndr). Poi naturalmente ci sono tante altre persone nell’organigramma. La nostra squadra è molto ben organizzata.

Invece che tipo di atleti avete?

Siamo partiti in dieci, ma siamo rimasti in otto. Ci manca il velocista perché Christian Quaglio (che l’anno scorso aveva vinto l’unica gara del Team Nordest, ndr) ha deciso di lasciare la strada per dedicarsi completamente alla pista nella velocità e giocarsi le sue possibilità in nazionale. Il nostro organico conta su ragazzi che sono tutti adatti a percorsi mossi e piuttosto duri.

Christian Quaglio a Marmirolo regala al Team Nordest l’unica vittoria del 2024. Quest’anno si dedicherà alla pista (foto italiaciclismo.net)
Christian Quaglio a Marmirolo regala al Team Nordest l’unica vittoria del 2024. Quest’anno si dedicherà alla pista (foto italiaciclismo.net)
Quindi avete anche battezzato un certo tipo di calendario?

Sì esatto. Intanto lo abbiamo impostato per fare un’unica attività nel weekend, salvo i casi in cui andremo alle internazionali dove corrono in cinque e gli altri tre li mandiamo in altre corse. Faremo le gare a tappe di Abruzzo, Friuli e Valdera. La scelta è stata quella di puntare su un calendario di qualità con gare importanti anche per fare tanta esperienza ai nostri ragazzi. Anche perché il livello degli juniores si è alzato in modo esponenziale e in pratica sta diventando la categoria anticamera dei pro’ attraverso i loro devo team. Ci tengo ad aggiungere una cosa.

Prego…

In questi mesi ci siamo sentiti con Florio Santin, un signore belga appassionato di ciclismo originario di Caneva, che ci ha messo in contatto con gli organizzatori di alcune gare internazionali del Nord. Avevamo fatto richiesta di partecipare alla Philippe Gilbert juniors di ottobre, ma siamo arrivati un po’ in ritardo e sarà molto difficile essere al via. Però vorremmo organizzarci per andare in Belgio già dall’anno prossimo. A proposito di esperienza, i nostri ragazzi ne farebbero tantissima e vedrebbero un modo di correre totalmente diverso da quello che vediamo in Italia.

Il Team Nordest dispone di 8 juniores, tutti con caratteristiche per gare mosse e dure (foto ufficio stampa)
Il Team Nordest dispone di 8 juniores, tutti con caratteristiche per gare mosse e dure (foto ufficio stampa)
C’è un nome da seguire che Mattia Garzara ci suggerisce?

Diciamo che il nostro corridore di punta potrebbe essere Daniele Forlin. E’ un passista-scalatore che tiene bene sulle salite medio-corte, ha caratteristiche dell’uomo da côte. L’anno scorso si è fatto vedere in alcune dove ha messo fuori il naso. Noi speriamo che quest’anno lui possa essere la rivelazione.

Com’è il rapporto tra un diesse di 23 anni e i suoi atleti?

Direi molto buono e l’impressione è di aver instaurato una bella connessione con loro. Ascoltano tanto e forse sto vedendo sempre di più che nelle categorie giovanili tendono ad ascoltare chi è più vicino alla loro età. Tuttavia ci vuole tantissimo equilibrio tra l’essere diesse e un amico. Bisogna essere attuali e stare sul pezzo con loro perché cambiano molto da un anno all’altro. Personalmente non do troppa confidenza ai ragazzi, però cerco di assecondarli in alcune cose quando ce lo possiamo permettere. Ho sempre pensato che col dialogo si ottenga tanto di più rispetto ad un modo autoritario.

Carlo Chiarion è il diesse storico del Team Nordest. Oltre a Garzara, c’è anche Lucio Tasinato in ammiraglia (foto ufficio stampa)
Carlo Chiarion è il diesse storico del Team Nordest. Oltre a Garzara, c’è anche Lucio Tasinato in ammiraglia (foto ufficio stampa)
Per il 2025 il Team Nordest Villadose Angelo Gomme ha fissato degli obiettivi?

La volontà è quella di crescere, magari anche in vista del futuro. Quest’anno non abbiamo grandi individualità, ma sappiamo che correndo di squadra possiamo fare bene e toglierci qualche soddisfazione. Non abbiamo grosse aspettative. Vogliamo farci notare e movimentare sempre le corse. Dato il nostro calendario e il nostro organico, abbiamo tutte le possibilità per farlo.

Bennati a casa meritava una vera spiegazione?

08.03.2025
7 min
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SIENA – «A cose normali – dice Bennati – finito il rapporto avrebbero potuto convocarmi. Hanno uffici a Roma e Milano, il presidente ha il suo ufficio, dove ho firmato il contratto. Mi convocavano e avrebbero potuto spiegarmi qualsiasi tipo di ragione. Non sono arrivati i risultati? E’ una motivazione reale, che sarebbe da contestualizzare, ma è innegabile. Potevano dirmi che si aspettavano di meglio, per cui volevano voltare pagina. Invece alla fine sono stato io a chiamare Amadio. Eravamo a metà febbraio e gli ho chiesto che cosa avrei dovuto fare. E Roberto mi ha risposto che avevano appena finito la riunione in cui il presidente aveva deciso di non confermarmi».

La presentazione delle squadre della Strade Bianche è nel pieno, con Bennati sediamo sugli scalini nella Fortezza Medicea, mentre gli chiedono interviste e di fare qualche foto. Nelle scorse settimane tanti hanno parlato del commissario tecnico non confermato. Colleghi hanno scritto articoli molto duri e noi non avevamo ancora sentito la versione del toscano.

Il Consiglio federale di febbraio ha ratificato le nomine dei nuovi commissari tecnici. Quando la mancata conferma è stata ufficiale, Bennati ha scritto un post su Instagram. Ha ribadito il suo amore per l’azzurro. E ha lamentato le modalità della chiusura dei rapporti a causa delle quali ha rinunciato a importanti incarichi professionali. Richiesto nel merito pochi giorni fa, il team manager Amadio ha riconosciuto la serietà e l’impegno di Bennati e spiegato che la fine della collaborazione sia stata dovuta alla rottura dei rapporti fra il cittì e il presidente federale, cui spetta la prerogativa di nominare i tecnici.

La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
Partiamo dalla fine: hai davvero rinunciato a un importante incarico professionale?

Avevo già ricevuto il contratto dalla Groupama-FDJ. Prima tramite Philippe Mauduit, poi Madiot e alla fine ho parlato con il direttore generale Thierry Cornec. Perso Demare, vogliono ricostruire un gruppo vincente attorno a un velocista forte e avrebbero affidato a me il progetto. Si trattava di individuarne uno libero e poi di costruirgli attorno un treno e un metodo di lavoro. Spero si possa riprendere il discorso che sul momento ho lasciato cadere perché aspettavo il Consiglio federale. Non avrei trovato corretto accettare un’altra offerta e per giunta all’estero.

La decisione è stata davvero presa per un problema di relazione fra Bennati e il presidente federale?

Probabilmente da un certo momento in poi qualcosa si è incrinato. Non ho accettato di accompagnarlo durante la campagna elettorale, ma quale altro tecnico lo ha fatto? Io credo che questa decisione sia stata presa molto prima di febbraio. Ovviamente nell’ultimo anno i problemi ci sono stati, spesso legati a incomprensioni. Ho fatto buon viso alla scelta di far correre Viviani su strada a Parigi. Alla fine è venuta la medaglia, hanno avuto ragione, ma confesso che a un certo punto ho anche pensato di dimettermi. Con il mio carattere non ho sempre detto di sì e qualche volta ho anche detto di no a situazioni in cui non mi trovavo. Non so se questo abbia portato alla decisione.

Che esperienza è stata per te questo viaggio di tre anni?

Alla nazionale non si può dire di no. Quando mi è stato proposto, io non conoscevo il presidente e lui non conosceva me. C’è stato un avvicinamento, poi due o tre incontri e alla fine ho preso la decisione, consapevole che il periodo sarebbe stato complicato. Va detto che quando ho accettato, Colbrelli aveva da poco vinto la Roubaix, era campione europeo e stava entrando in una dimensione internazionale importante. Sarebbe stato competitivo già dal primo mondiale in Australia, poi a Glasgow e anche alle Olimpiadi di Parigi. Sicuramente avremmo potuto chiudere il cerchio, però ovviamente è andata peggio a lui e mi dispiace tanto. A quel punto ho puntato sui corridori che avevamo e con cui ho lavorato bene. Trentin e Bettiol che, ad esempio, secondo il mio punto di vista era più in forma in Australia che a Glasgow. Sono stati tre anni difficili che sicuramente mi hanno dato la possibilità di crescere. Mi sono fatto le ossa, mi sono fatto tanta esperienza che non avevo per questo ruolo.

Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Anche Villa ha detto che nessuno nasce commissario tecnico.

Penso che anche il grande Franco (Ballerini, ndr) non avesse l’esperienza della nazionale. Dalla sua parte sicuramente aveva un parco atleti molto più consistente. Non voglio dire che fosse più facile, però sicuramente aiuta. 

Com’è stato il tuo rapporto con i corridori da non più corridore?

All’inizio è stato strano. Ero sceso da bici da poco tempo e avere questo rapporto così distaccato l’ho trovato particolare. Per fortuna non ci ho messo tanto a trovare le misure giuste.

Ti è parso che i corridori abbiano fatto sempre quello che gli hai chiesto?

Partiamo dal primo mondiale. Quello in Australia è stato molto positivo e lo ricordo con più piacere. I ragazzi hanno interpretato la corsa nella maniera giusta, c’era un bello spirito. Abbiamo sfiorato il podio con Rota e alla fine abbiamo salvato il risultato grazie a Trentin. Quel giorno Evenepoel era nettamente più forte, però il nostro approccio è stato un ottimo biglietto da visita, un modello per il futuro. E il copione, a mio modo di vedere, si è ripetuto anche a Glasgow. Anche lì la squadra ha lavorato bene, l’approccio è stato dei migliori. Bettiol si è giocato le sue carte con quella lunghissima fuga, anche se a un certo punto lo hanno messo nel mirino e poi gli hanno dato il colpo di grazia.

Nel mezzo ci sono stati gli europei di Monaco e Col du Vam.

A Monaco non avevamo ancora il Milan di adesso. Jonathan era agli inizi e il capitano doveva essere Nizzolo. Poi Giacomo è caduto e a quel punto è subentrato Viviani. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro, poi Elia ha scelto di impostare la volata da davanti poiché avevamo la squadra per quel tipo di lavoro. A Col du Vam invece si puntava a fare bene con Ganna. Dal punto di vista dell’esperienza in questi appuntamenti Pippo non aveva ancora l’immensa sicurezza che ha in pista e nelle crono. Anche lì la squadra ha lavorato bene, ma nel finale per un’indecisione nel posizionamento, siamo scivolati troppo indietro, c’è stata la caduta e si è compromessa la gara.

Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
L’europeo del 2024 si poteva vincere?

E’ stato la delusione più grande, dopo tre anni di bocconi amari. Era la prima volta che la nostra nazionale si presentava ai nastri di partenza con l’uomo da battere, vale a dire Milan. L’amarezza è stata grande. Alla fine io non ho fatto nessuna conferenza stampa, non ho fatto dichiarazioni ufficiali, nonostante quanto mi è stato rinfacciato. Finita la corsa, abbiamo fatto la riunione sul pullman, io ho usato parole dure e questa cosa è trapelata. Non avendo le radioline e vedendo un certo atteggiamento nel finale, non ho potuto correggere il loro errore ed ero frustrato. E’ normale che dopo la corsa ci sia un chiarimento e il mio sfogo è stato confermato dalla loro reazione.

Che cosa hanno detto?

Si sono resi conto che, benché avessero fatto un lavoro straordinario, il finale non era stato gestito come si doveva. Di quella situazione avevamo parlato per una settimana, però probabilmente si sentivano talmente sicuri, che alla fine hanno sbagliato. Lo dico da corridore: le volte che ti senti più sicuro sono spesso quelle che ti va peggio. E questo poi me lo ha confermato Jonathan (Milan, ndr), quando ha ammesso che si poteva fare diversamente. Ma questo non è scaricare responsabilità sui corridori, anche perché io la responsabilità me la sono sempre presa. Come a Zurigo, che responsabilità vuoi dare ragazzi?

Che responsabilità vuoi dargli?

Non gli ho detto io di andare in corsa con quello spirito, sarei stato uno stupido. Nei tre anni abbiamo vissuto una parabola discendente, che secondo me non ci stava. Quello di Zurigo non era e non è assolutamente il nostro valore. Come ho detto anche in altre occasioni, il percorso non era adattissimo a Giulio (Ciccone, ndr), però secondo me era doveroso che vi partecipasse, anche e soprattutto in prospettiva del prossimo. Giulio ha 30 anni e non aveva mai corso un mondiale. Lo stesso valeva per Tiberi perché in prospettiva del mondiale in Rwanda, anche Antonio è un corridore da tenere in considerazione.

La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
Perché dici che la decisione era stata presa prima?

Perché si capiva, poi magari mi sbaglio. Dopo il Giro d’Onore è stato fatto un incontro con i tecnici che avevano già firmato il contratto. Io non lo avevo fatto, perché mi hanno detto che non sarebbe stato corretto farmi firmare e lasciare eventualmente il mio contratto al presidente che avesse vinto le elezioni. Sono rimasto in silenzio per quasi tre mesi, perché avevano detto a me e in diverse interviste che Bennati faceva ancora parte del loro programma. Perché allora non farmi partecipare anche me a quella riunione? Forse perché ero già fuori?

Dopo la lettera, il VPT si fa conoscere su strada col primo podio

07.03.2025
6 min
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Nell’epoca in cui tutti comunicano in modo digital-social, spesso a sproposito e talvolta usando solo le emoji, c’è ancora chi utilizza una lettera di carta spedita per posta o consegnata a mano per presentarsi. Una maniera desueta ed originale al tempo stesso quella utilizzata dal VPT WhySport, neonata formazione elite/U23, per farsi conoscere nella categoria.

L’acronimo VPT significa Veneto Project Team e il suo staff a dire il vero è composto da gente che nel ciclismo c’è già da diverso tempo con altri ruoli. Insomma la materia la conoscono bene, però è la loro nuova realtà che merita di essere approfondita, anche alla luce degli ultimi risultati. O forse è meglio dire del primo risultato ottenuto. Lo scorso weekend infatti a Castello Roganzuolo, nel trevigiano, Manuel Loss ha regalato un bel secondo posto al VPT al termine di una fuga ristretta. Abbiamo quindi colto l’occasione per farci raccontare tutto da Paolo Santello, patron del team.

Tutto nuovo e partenza da zero per la società. Il VPT è nato per far correre quegli atleti che erano rimasti senza squadra (foto facebook)
Tutto nuovo e partenza da zero per la società. Il VPT è nato per far correre quegli atleti che erano rimasti senza squadra (foto facebook)
Paolo per lei è un ritorno al passato, giusto?

Sì esatto, anche se con sostanziali differenze. Sono un preparatore atletico e nel 2014 con il mio studio SP Training curavo i programmi dell’Area Zero, un team continental. In quella squadra c’erano tre attuali pro’: Carboni, Pasqualon e Petilli. Sono contento e onorato di aver lavorato con loro, così come mi è capitato con Marcato e Busatto, l’ultimo in ordine temporale.

Come nasce l’idea di aprire una nuova squadra?

Nel mio studio abbiamo sempre seguito tanti ciclisti. Dall’appassionato che vuole perdere qualche chilo all’amatore, fino all’agonista puro come possono essere pro’, elite e U23. D’altronde lo slogan del nostro centro è “il sarto del ciclista”, perché abbiamo sempre fatto tabelle su misura come un abito. Ci capitava a fine stagione che tanti dei nostri atleti non trovassero squadra. Fino all’anno scorso alcuni di loro riuscivamo a consigliarli ad altre squadre, altri di loro invece erano costretti a smettere.

Lettera di presentazione ed una bottiglia di vino. Il VPT le ha regalate ad ogni formazione avversaria alla San Geo
Lettera di presentazione ed una bottiglia di vino. Il VPT le ha regalate ad ogni formazione avversaria alla San Geo
Quindi avete deciso di mettervi in proprio?

Proprio così. I miei figli Andrea e Matteo, che mi aiutano da sempre in studio, erano dispiaciuti che qualcuno non potesse continuare a correre. Mi hanno così proposto di creare una squadra che desse un’occasione a questi ragazzi che non voleva nessuno per tanti motivi. Ci siamo messi al lavoro ad ottobre con i ragazzi e col nostro staff, ma abbiamo potuto costituire la società solo a gennaio. Infatti per ora stiamo un po’ rincorrendo gli inviti per le corse di marzo perché non abbiamo tutti i weekend impegnati. Non tutti ci conoscono ancora, ma lo avevamo messo in preventivo.

Ed ecco la lettera di presentazione, che ha avuto ottimi riscontri dai vostri colleghi. Com’è venuta questa bella e singolare iniziativa?

Tante volte in passato si sono scoperte alcune squadre nuove solo dopo qualche corsa. Nessuno le conosce e magari iniziano le malelingue. Noi invece una settimana prima della San Geo, non appena abbiamo avuto la conferma di partecipare, abbiamo pensato di preparare questa lettera accompagnata da una bottiglia di vino delle nostre terre. Il nostro team manager Gianluca Mengardo, che è stato un mio atleta nell’Area Zero, le ha consegnate a mano ad ogni diesse di tutte le altre formazioni in gara alla San Geo. E devo dire che hanno apprezzato il nostro gesto. D’altra parte entriamo in punta di piedi in questa categoria.

Com’è composto il VPT?

La nostra sede è a Cazzago, frazione di Pianiga in provincia di Venezia, a pochi chilometri da Padova. Abbiamo dieci ragazzi. Un elite e nove U23, di cui tre ragazzi che arrivano dagli juniores. Oltre a me, i miei figli e Mengardo, abbiamo tre diesse. Sono Damiano Albertin, Aldo Borgato (padre di Giada, la commentatrice di Rai Sport, ndr) e Andrea Caco. Anche loro li abbiamo rispolverati perché lo facevano tempo fa e li abbiamo coinvolti tutti e tre perché in base ai loro impegni lavorativi e personali si alterneranno alle corse.

Invece dal punto di vista tecnico come siete messi?

Nel nostro ritiro fatto sui Colli Euganei abbiamo avuto un’idea delle caratteristiche dei nostri ragazzi. Credo però che si capiscano meglio gara dopo gara. Posso dire che si sono impegnati tanto da subito. Diciamo che sia loro come noi, con i mezzi e tutto il materiale, siamo partiti da zero.

Intanto però il 2 marzo è arrivato un secondo posto che dà morale. Che giornata avete vissuto?

Sono onesto nel riconoscere che non c’era un grande lotto di partecipanti, però le gare vanno corse e onorate perché nessuno ti regala nulla. Il secondo posto di Loss è stato inaspettato e lui è stato davvero bravissimo. Era dentro ad una fuga di otto e pensate che io ero già contento se avesse fatto ottavo. Risultato a parte, la grossa soddisfazione è per come abbiamo corso, entrando sempre nei vari tentativi di fuga, fino a quella decisiva.

Paolo Santello si è prefissato degli obiettivi con il Veneto Project Team?

Per il momento prendiamo quello che viene senza creare aspettative. Ad esempio abbiamo finito una gara dura e di livello come la San Geo con 3 ragazzi su sei. Quella è stata come una vittoria. E se facessimo un quinto posto al mese, stapperei sempre lo spumante. Vorremmo che il connubio della mia esperienza unita alla giovinezza dei miei collaboratori e della loro voglia di fare creasse dei frutti quest’anno e per i prossimi anni.

Primi passi di Villa alla guida dei pro’: il salto più lungo

07.03.2025
7 min
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Marco Villa è il nuovo commissario tecnico dei professionisti. Dopo tre Olimpiadi alla guida della nazionale della pista, iI colpo di scena dell’ultimo Consiglio federale ha colto tutti alla sprovvista e in parte anche lui. Glielo avevano già detto, però prendere atto che fosse tutto vero è stato un bello scossone. Al punto che per qualche istante si è pensato che non ne fosse convinto lui per primo.

«Quando me l’hanno proposto la prima volta – ammette Villa – è stata una cosa un po’ surreale. Non sapevo se fosse il modo per tastare il terreno, ma ho capito presto che non era uno scherzo. La strada l’ha aperta Amadio, però dopo sono riuscito a parlare col presidente. La prima cosa che gli ho detto è che non volevo fosse passato il messaggio che a Villa non fosse piaciuto quello che gli era stato proposto. Anzi, gli ho detto che per me era un onore, soprattutto per la storicità di chi mi ha preceduto. Con tutto il rispetto per Bettini, Cassani e Bennati, pensare a Martini e Ballerini mi fa venire i brividi. Non me lo sarei mai aspettato…».

La prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a Laigueglia
La prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a Laigueglia
Un grande onore, ma significa lasciare la pista che è stata la tua casa negli ultimi (quasi) vent’anni.

Non potevo non esternare che mi chiedevano di lasciare un settore che ho molto a cuore. E così ho chiesto se potevo fare ancora un po’ da collegamento, visto che abbiamo sempre professato la multidisciplinarietà. In fondo Bettini, Cassani e anche Bennati, con il discorso di Parigi e aver permesso a Viviani di correre su strada, sono sempre stati partecipi con me in pista.

E così rimarrai accanto a Bragato nella pista delle ragazze.

Mi piace l’idea di esserci ancora. Le donne mi sono state affidate tre anni fa. Abbiamo vinto subito un mondiale, abbiamo cercato di lavorare nonostante le difficoltà. L’incidente di Guazzini, l’incidente di Balsamo nel 2023 e l’altro nel 2024 a ridosso delle Olimpiadi, ci hanno rovinato il percorso di avvicinamento a Parigi. Però ne siamo usciti con una medaglia d’oro e con un quarto posto nel quartetto che fa sperare per Los Angeles. Abbiamo un gruppo che arriverà a Los Angeles in piena crescita, in piena maturità atletica e anche mentale. Credo che la medaglia d’oro di Guazzini e Consonni abbia dato qualcosa in più al gruppo. Così ho espresso il desiderio di terminare quel ciclo delle donne. Credo che con la collaborazione di Diego (Bragato, ndr), riusciremo a fare un bel percorso. E naturalmente ho un buon rapporto con Salvoldi, quindi se sta bene anche a lui, la collaborazione non mancherà.

Amadio si aspetta che Villa riesca a ricreare nel mondo della strada lo spirito di gruppo che ha creato in pista.

Forse il mio modo di lavorare parte anche da lì. Dobbiamo formare un gruppo che abbia a cuore la nazionale e che, naturalmente, col rispetto dei programmi delle squadre, abbia a cuore l’avvicinamento a un mondiale o un europeo. Probabilmente ci sarà da preparare a inizio stagione un calendario che soddisfi le esigenze delle squadre, ma che ci permetta di giocarci una maglia azzurra in un mondiale o un europeo. Credo che quest’anno possa essere un po’ più difficile, perché il mondiale del Rwanda e poi l’europeo hanno due percorsi molto duri.

Secondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pista
Secondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pista
Adesso comincia la fase della conoscenza? A parte quelli con cui lavoravi in pista, con gli altri non hai la stessa confidenza…

Partiamo dal fatto che ci sono subito un mondiale e un europeo in cui i miei ragazzi della pista potrebbero non trovare posto. Parto con un gruppo tutto da conoscere, però Mario Scirea mi aiuterà. Ho parlato anche con Marino Amadori, perché qualche giovane che adesso è di là e sta facendo bene, è passato da lui. Cercheremo di fare gruppo con lo stesso Salvoldi. Cercherò di conoscere i ragazzi, ma in primis parlerò con i team manager, con le squadre, con i direttori sportivi, con i preparatori per capire i programmi. Per quest’anno va così, forse è un po’ tardi perché ormai tutti hanno i loro programmi.

Per fortuna manca ancora parecchio.

I mondiali sono a settembre e la settimana dopo, la prima di ottobre, ci sono gli europei. Quindi spero che qualcuno abbia fatto le sue considerazioni. E’ logico che non si sappiano quali idee abbia il commissario tecnico, però trovare qualcuno che ha programmato la stagione pensando anche a questi obiettivi e a farsi vedere dalla nazionale, credo che sia già un buon punto di partenza. Invece l’anno prossimo partirò con qualche mese già di vantaggio e qualche conoscenza in più. E mi sembra che anche i mondiali di Montreal siano abbastanza impegnativi.

Come costruirai la tua nazionale?

Mi piacerebbe coinvolgere i giovani e in questo inizio stagione, alcuni si stanno facendo vedere. Ma non butto certo a mare i più esperti. Ho sempre avuto rispetto di tutti, vediamo di fare un bel gruppo in cui i più grandi possano trasmettere la loro esperienza. In questi anni ho collaborato con Paolo Bettini, con Cassani e con Daniele Bennati. Ho sempre trovato degli atleti con un forte attaccamento alla maglia azzurra. E anche se non sono arrivati i risultati desiderati, l’Italia ha sempre corso bene. Ha sempre corso di squadra e questo è l’insegnamento da trasmettere ai giovani. E poi non è che i risultati siano sempre mancati…

Il mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualità
Il mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualità
Qualcosa abbiamo vinto, certo.

Abbiamo vinto dei titoli europei e siamo andati a un passo dal vincere i mondiali con Trentin. Sono convinto che quel giorno ad Harrogate, fino a 150 metri dal traguardo tutti speravamo che vincesse Matteo. Insomma, non buttiamo via il nostro movimento e tutto quello che è stato fatto. Il ciclismo si è globalizzato, la torta viene divisa in tante più fette rispetto a prima.

Cambierà il tuo modo di seguire le corse, non avendo più l’obiettivo della pista?

Ho fatto 11 anni da professionista e anche due Giri d’Italia. Il secondo in particolare, nel 2001, l’ho passato gestendo il velocista, Ivan Quaranta, sia alle corse sia durante la stagione con gli allenamenti. Tante volte glielo dico: «Ho iniziato a fare il tecnico quando ho iniziato a correre con te, a doverti stare dietro e seguirti allenamento per allenamento». Quindi non è vero che parto da zero. Ho sentito dire che non ho esperienza, ma io credo che l’esperienza da cittì ce l’abbiano in pochi.

Che cosa intendi?

Pochi ce l’hanno prima di aver cominciato ad esserlo. C’è stato chi prima faceva il direttore, chi il corridore. Da qualche parte si deve pur cominciare e ricordo che sono partito da zero anche sulla pista. Ho smesso di correre e dopo un anno e mezzo mi hanno chiesto di fare il collaboratore e poi il tecnico, in un settore in cui non c’era niente. Bisognava rifondare tutto, però l’ho fatto. Ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste e gli atleti giusti. Spero di essere fortunato anche questa volta.

Villa e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei Giorni
Villa e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei Giorni
Da amico e suo tecnico delle vittorie più belle, sei contento che Elia Viviani abbia trovato da correre, oppure un pensierino ad averlo nello staff azzurro ti era venuto?

Elia lo sento spesso e un aiuto da lui ce l’ho sempre. Ci confrontiamo spesso, ma ci confrontavamo anche prima. Abbiamo sempre parlato la stessa lingua, su come interpretare il ciclismo e come interpretare l’attività che stavamo facendo insieme: lui da corridore, io da tecnico. Io cercavo i corridori forti della strada per portarli in pista e il sistema è stato messo a punto bene anche grazie ai feedback che Elia mi ha sempre dato. Però ero il suo primo tifoso a sperare che trovasse un contratto perché è la cosa che voleva.

Ieri eri con Ganna in pista, come l’hai trovato?

L’ho trovato uguale. Punta su strada però ieri è venuto in pista. Era stato così anche negli anni scorsi. Nel 2023, l’anno dei mondiali di Glasgow, ha fatto la sua prima gara in pista ad agosto, ma da dicembre e gennaio di quell’anno i suoi passaggi in pista li ha sempre fatti. Come li sta facendo ancora oggi, perché la pista è un suo punto di riferimento. Abbiamo un sistema di rifinitura, soprattutto per la crono, ma anche per certi sforzi su cui Pippo punta per fare anche nelle gare su strada. L’ho trovato con lo stesso entusiasmo di sempre e mi sembra che sia uscito contento da Montichiari. Ha cambiato leggermente posizione sulla bici da crono e ieri mattina alle 9 era già in pista a sistemare la posizione, essendo partito da casa. Quando c’è una crono, lui ha sempre entusiasmo e lunedì c’è quella della Tirreno-Adriatico. Poi ci sono le altre tappe, che gli permetteranno di trovare le sensazioni che gli serviranno nelle gare successive.

Come procederà d’ora in avanti la tua immersione fra i professionisti?

Sarò alla Strade Bianche, poi le prime due tappe della Tirreno-Adriatico e venerdì con Amadio abbiamo in programma qualche visita per hotel alla vigilia della Sanremo. Abbiamo cominciato. A Laigueglia ho fatto la prima uscita e, con l’aiuto di Scirea, dopo un po’ mi sono sentito quasi a casa.