Il coraggio di Santesteban, l’endometriosi e la salute delle donne

08.04.2025
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«Il 31 di ottobre, al controllo annuale ginecologico, videro una ciste di 5 cm nell’ovaio e iniziarono a sospettare di endometriosi. Non è una cosa buona, ma per me fu una liberazione». Ane Santesteban, punta di diamante spagnola per il Team Laboral Kutxa, rende così pubblico con un post sui social la fine di un calvario, che ha compromesso l’intera stagione passata.

Ane Santesteban ha comunicato la sua endometriosi su Instagram con un post il 23 febbraio

Di colpo un dolore inspiegabile

Troppo spesso, si valuta un atleta – uomo o donna non conta – solo sulla base dei risultati, con verdetti pesanti non appena le performance calano un po’. Ane Santesteban, dopo diversi piazzamenti in gare importanti nel corso degli ultimi anni, nel 2024 decide di approdare nel team basco con le vesti da leader, ma qualcosa non funziona e i risultati non arrivano.

«All’inizio avevo tanto male alla schiena e alla gamba, poi sentivo come un coltello in pancia. Non so quanti esami e visite mi hanno fatto fare – racconta Ane – ma non c’era niente! Dopo il Tour sono stata addirittura completamente ferma per un mese e mezzo perché soffrivo troppo. Mi hanno fatto fare anche gli esami per le intolleranze alimentari, ma era tutto a posto. Così molti mi dicevano: è tutto un problema di testa».

Dopo il Tour, Ane è stata ferma per un mese e mezzo a causa del dolore
Dopo il Tour, Ane è stata ferma per un mese e mezzo a causa del dolore
Come hai reagito a tutto questo?

E’ stato un anno fisicamente e psicologicamente molto duro. Io sapevo che non era un problema legato alla pressione per le gare però, dopo tutti quegli esami negativi, anche io ho iniziato a dubitare di me. Forse il dolore era veramente solo nella mia testa…

Poi cosa è successo?

Durante l’estate il dolore è iniziato a essere più nella parte bassa della pancia, vicino alle ovaie. A ottobre durante la visita ginecologica, hanno visto che c’era una cisti di 5 cm sull’ovaia destra. Così dopo che gli ho riportato tutti i dolori che mi tormentavano da inizio dell’anno, è stata sospettata l’endometriosi. A quel punto, nel giro di poco tempo, con degli esami specifici, la patologia è stata confermata e ho potuto iniziare la terapia.

Al 17° anno da professionista, Ane Santesteban firma alla partenza della sua prima Sanremo
Al 17° anno da professionista, Ane Santesteban firma alla partenza della sua prima Sanremo

Diagnosi complicata

L’endometriosi è una patologia spesso sottodiagnosticata che colpisce le donne. Pensate che mediamente una donna impiega otto anni prima che le sia diagnosticata correttamente. Il problema è causato da un’alterata localizzazione di parti di tessuto endometriale. Queste piccole isole di tessuto, che restano invisibili all’ecografia per anni, sanguinano periodicamente, causando dolori forti alla pancia, gonfiore addominale e spesso disbiosi intestinale. Insomma per molti anni, le donne che soffrono di endometriosi stanno male senza capirne il motivo.

Ane, ora cosa devi fare?

Devo prendere la pillola anticoncezionale e fare controlli periodici ogni 2-3 mesi. Da quando ho iniziato con la terapia, la mia qualità di vita è migliorata molto. La cisti di 5 cm è scomparsa e ne sono rimaste solo un paio più piccoline. Sto lavorando molto anche con l’alimentazione, curando la dieta e inserendo molti alimenti antiossidanti, per ridurre l’infiammazione legata alla presenza di questo tessuto delocalizzato all’esterno dell’utero. Inoltre mi sottopongo a trattamenti di osteopatia viscerale, che mi aiutano a ridurre le aderenze a livello addominale, che mi causano altrimenti dolore alla pancia.

Al Giro dello scorso anno, in azione sul Blockhaus: i problemi sono già cominciati
Al Giro dello scorso anno, in azione sul Blockhaus: i problemi sono già cominciati
Ti hanno spiegato quale può essere stata la causa?

A livello famigliare nessuna ne ha mai sofferto. Io in passato ho portato per molti anni la spirale, quindi quella già mi aiutava con questo problema senza saperlo. A dicembre 2023 ho però deciso di toglierla, perché non mi piaceva l’idea di prendere sempre ormoni e da lì ho cominciato ad avere problemi.

Come è stata la ripresa? Perché hai deciso di condividere la tua esperienza pubblicamente? Ti abbiamo visto già lottare di nuovo in testa al gruppo quest’anno… 

E’ stato molto il lavoro per recuperare gli allenamenti persi, ma ora è bello vedere che sono capace di tornare al mio livello. Già nelle prime gare sono riuscita a lottare di nuovo in testa al gruppo, così ora ho più fiducia e posso continuare a lavorare. Parlare di mestruazioni e salute femminile non è semplice. Inizialmente provavo vergogna, ma è giusto condividere queste esperienze, perché noi donne spesso sentiamo di dover dimostrare in un mondo maschile, come il ciclismo, di non aver mai dolore e di essere sempre forti abbastanza, ma la salute viene prima di tutto.

Già pronti per la Roubaix, ma stavolta Pedersen vuole vincere

08.04.2025
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OUDENAARDE (Belgio) – Il velocista lo sa che quando la corsa è dura la sua unica chance è quella di restare nascosto sino alla fine e tentare semmai la volata. Solo che il Giro delle Fiandre non è una corsa per velocisti. Perciò se ti chiami Mads Pedersen, hai appena vinto la Gand, non sei solo un velocista ma certo il più veloce nel gruppo di testa, devi adattare la tattica alle sfuriate di Pogacar, Van der Poel e di Van Aert che per un giorno è parso quasi parente del miglior se stesso.

Il primo dietro Tadej

E’ stato davanti e poi l’hanno staccato. E’ tornato davanti. Quindi è stato in fuga con Pogacar e Van der Poel: tre campioni del mondo in testa al Giro delle Fiandre, spot migliore per la corsa non poteva esserci (erano insieme anche in partenza, foto di apertura). Li ha visti attaccare e un paio di volte ci ha provato anche lui, poi ha capito che sarebbe stato un suicidio e si è messo a ragionare. Ha fatto l’elastico per un tempo eterno. E quando alla fine gli inseguitori si sono raggruppati alle spalle di Pogacar, il danese è entrato nuovamente in modalità velocista. E nella volata finale ha anticipato e colto il secondo posto: chi guarderà l’albo d’oro potrà dire che al Fiandre del 2025, il migliore dietro Pogacar è stato Mads Pedersen, danese di 29 anni in maglia Lidl-Trek.

«Abbiamo lottato tutto il giorno per cercare di vincere – ha detto nella zona mista – tutti hanno dato il massimo anche prima che Tadej chiudesse il discorso. Poco da dire, siamo stati battuti da un corridore più forte di noi e non abbiamo rimpianti. Dobbiamo accettare che è il migliore di sempre e ci sta battendo in modo leale e onesto. Chapeau a lui, sta facendo così tanto per il ciclismo e sta rendendo l’immagine di questo sport follemente grande. E’ una rottura di scatole correre contro questi fenomeni (ha riso, ndr), ma è anche bello ritrovarsi fra loro in una gara come il Fiandre».

Tre campioni del mondo in testa al Fiandre, ma Pedersen sapeva già di doversi guardare da “quei due”
Tre campioni del mondo in testa al Fiandre, ma Pedersen sapeva già di doversi guardare da “quei due”

L’aiuto di Stuyven

Ragionando da velocista, c’è da dire che la speranza di riprendere Pogacar da solo in quegli ultimi chilometri di pianura con il vento contrario non si è spenta subito, ma neppure ha avuto vita troppo lunga.

«Con 8 chilometri di vento contrario e quattro corridori a inseguirlo – ha ammesso – speravo che saremmo riusciti a riprenderlo. Non si sa mai come finiscono queste corse, non sono mai chiuse fino al traguardo. Ma non c’è stato molto da fare, se non aspettare la volata e avere con me Jasper (Stuyven, ndr) è stato la cosa migliore. Lui sa che preferisco gli sprint ad alta velocità, per cui a 500 metri dall’arrivo ha iniziato ad accelerare e mi ha dato la possibilità di partire ai meno 250. Devo dirgli grazie per avermi lanciato alla perfezione, devo dire grazie a tutta la squadra. E’ stata una gara davvero bella, abbiamo ottimizzato le nostre possibilità di vincerla. Sono orgoglioso della gara che ho fatto e di come sono riuscito a gestirmi sulle salite, ma semplicemente non c’era altro da fare».

Il sogno di Pedersen

Il Fiandre non è una corsa per velocisti, Pedersen è più di un velocista e la musica sta per cambiare. Gli occhi dei corridori iniziano a convergere verso la piazza di Compiegne da cui domenica mattina alle 11,10 partirà la Roubaix. E allora le taglie forti avranno meno salite con cui fare i conti e più che il rapporto potenza/peso conterà, come ci ha spiegato Angelo Furlan, la potenza pura.

«Il prossimo fine settimana mi si addice meglio – ha ammesso con lo sguardo fermo – senza così tante salite. Finora è stata una bella campagna del Nord e mi piacerebbe concluderla con una vittoria a Roubaix. Di tutte le gare Monumento, credo sia quella che mi si addice di più. Ma ci sono corridori molto forti e saranno sempre gli stessi a giocarsi la vittoria. Quindi non ci sono dubbi: ci sarà da lottare anche domenica».

Pirrone, l’avvio “diesel” e un giorno da sindacalista in gruppo

08.04.2025
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L’avvio di stagione “rallentato” di Elena Pirrone era stato preventivato e programmato a fine 2024.
Il suo è uno di quei motori che ha bisogno di un po’ di tempo, sia di durata sia… climatico, per entrare a pieni regimi, ma nonostante tutto la 26enne della Roland si era fatta un bel rodaggio bevendosi 130 chilometri in fuga (poi risultata decisiva) alla Omloop Nieuwsblad al quinto giorno di gara.

Anche a De Panne ha nuovamente provato un’azione simile per capire il suo stato di forma dopo aver faticato tra Strade Bianche, Montignoso e Trofeo Binda. Proprio a Siena la 26enne di Laives aveva corso da “sindacalista” del CPA Women, ruolo che l’associazione femminile presieduta da Alessandra Cappellotto assegna a turno in ogni corsa a diverse atlete. Il compito non è solo di rappresentante, ma anche quello di osservatrice in gara per ciò che concerne la sicurezza. Abbiamo chiesto a Pirrone quali riscontri ha riportato e più in generale cosa prevede la sua terza annata in Roland.

Pirrone alla Strade Bianche ha corso come rappresentante del CPA Women per sicurezza e protocollo condizioni meteo estreme
Pirrone alla Strade Bianche ha corso come rappresentante del CPA Women per sicurezza e protocollo condizioni meteo estreme
Andando in ordine cronologico, come hai iniziato il 2025?

Tenendo conto che avendo finito la scorsa stagione in Cina, e quindi avevo ripreso con calma la preparazione, sono partita abbastanza bene. Ho corso il UAE Tour per sfruttare il caldo e per aiutare le compagne. Sono uscita con una forma discreta, senza tuttavia pensare di andare alla Omloop Nieuwsblad e fare quello che ho fatto.

Non era preventivata quella lunga fuga?

A dire il vero, no. Ho tentato quella azione sicuramente perché mi sentivo bene, ma anche perché volevo tenermi fuori dal caos dei primi muri e perché solitamente è una gara molto sentita. Invece mi hanno seguite in poche, con me c’era la mia compagna Giuliani e alla fine ci siamo ritrovate in un gruppetto non troppo folto. Siamo andate molto forte, anche se dietro ci hanno lasciato molto spazio. Peccato per come si è evoluta la fuga.

Speravi di arrivare fino in fondo immaginiamo.

Assolutamente. Mi piange il cuore perché con tutte le fughe in cui mi butto, questa era davvero molto buona. Un’occasione rara, però poco per volta mi sono spenta, forse per il freddo. Sono arrivata stremata. Prima del traguardo, mentre restavamo sempre meno davanti e dopo che Claes e Nerlo (rispettivamente prima e seconda, ndr) avevano allungato, ho sperato di mantenere il terzo posto. Poco per volta sono stata ripresa dalle atlete che erano uscite da gruppo. Vollering e Pieterse volavano e io cercavo di difendere almeno la top 10. Verso la fine sono stata superata dal gruppo e ho chiuso molto lontana.

Hai pensato che potevi gestirti meglio?

Lì per lì ero molto delusa perché a pochi chilometri dall’arrivo avevo ancora un buon vantaggio ed è normale che rifletti su cosa potevi fare di più o meglio. A mente fredda invece ero piuttosto contenta per la prestazione, sapendo che sarebbe stato un buon lavoro per il futuro. Mi è spiaciuto per la fatica fatta dalle compagne e per non aver portato punti alla squadra, che è una cosa che ci richiedono dove e quando è possibile.

Dopo i 130 chilometri di fuga alla Omloop Nieuwsblad, Pirrone ci riprova a De Panne con un’avanscoperta più contenuta
Dopo i 130 chilometri di fuga alla Omloop Nieuwsblad, Pirrone ci riprova a De Panne con un’avanscoperta più contenuta
Nelle corse successive però cosa è successo?

Alla Strade Bianche sono andata bene a metà, finché non è intervenuta la sfortuna (sorride ironicamente, ndr). Sono rimasta coinvolta in una caduta e sono andata a blocco per rientrare nel gruppo principale. Poi mi si è rotto il cambio e a quel punto non sono più riuscita a tornare sotto. Anzi ad un certo punto, nonostante non avessimo un ritardo alto, ci hanno fermate quando la gara ha affrontato quel tratto in circuito. E’ stato demotivante perché meritavamo di arrivare al traguardo. Comunque il giorno dopo è stato pure peggio.

Per quale motivo?

Al Trofeo Oro in Euro è stata un’agonia totale perché mi sono presa un virus identico a quello che ha preso Longo Borghini. Mi ero già staccata e alla fine mi sono fermata. Sono ritornata in bici quasi subito e mi sono ripresa abbastanza bene, anche se a Cittiglio poi ho pagato un po’. Insomma, sono stati giorni un po’ difficili, ma resto serena per la primavera e l’estate.

Alla Strade Bianche eri stata designata dal CPA Women per la sicurezza e per il protocollo delle condizioni meteo estreme. Quali sono le indicazioni che vi vengono date?

Chiaramente è una grande responsabilità ed è giusto avere dei rappresentanti in ogni gara. Di base non c’è da fare molto finché non ci sono problemi seri in corsa, come ad esempio la sicurezza a rischio sul percorso. Però ormai la sicurezza in gara si è alzata molto da parte degli organizzatori proprio anche grazie alle segnalazioni del CPA. I punti pericolosi sono già preannunciati alle riunioni. In Belgio addirittura viene tutto segnato sul road-book della corsa e viene ulteriormente comunicato. In gara poi viene ricordato alla radio alle ammiraglie e poi a noi atlete. Per dire quanto siano fondamentali le radioline in gara.

Quando si è rappresentanti in gara si corre con un occhio diverso rispetto al solito?

Può capitare che alcune atlete vadano dalla rappresentante in corsa per indicare, ad esempio, le moto troppo vicine al gruppo. Oppure durante la ricognizione di un percorso si segnali un punto pericoloso. Ricordo che l’anno scorso all’Itzulia Women, che si corre un mese dopo quello maschile, Reusser aveva proposto di neutralizzare la discesa in cui erano caduti facendosi male Vingegaard, Roglic ed Evenepoel. Non fu possibile, ma in gruppo avevamo affrontato quella discesa con più cautela. Quando corri con una certa consapevolezza, diventa un po’ più semplice gestire certe situazioni in corsa.

Tornando alla squadra, come ti trovi?

Alla Roland sto bene. Siamo in quattro italiane (Giuliani, Ruffilli e Vettorello le altre, ndr). C’è un buon ambiente ed è un bel gruppo con cui lavorare. Non abbiamo troppe pressioni, ma come dicevo prima dobbiamo fare punti. La nostra caratteristica è che siamo in 11 in squadra, non tante in confronto alle altre formazioni. Infatti al primo ritiro che avevamo fatto ci siamo dette “vietato ammalarsi” perché altrimenti siamo contate. A parte le battute, questo significa correre tanto e fare quindi molta esperienza.

Vietato ammalarsi. Rispetto agli altri team, la formazione WorldTour svizzera è di sole 11 atlete (qui manca Dronova-Balabolina)
Vietato ammalarsi. Rispetto agli altri team, la formazione WorldTour svizzera è di sole 11 atlete (qui manca Dronova-Balabolina)
All’orizzonte Elena Pirrone ha fissato qualcosa in particolare?

Ho sempre in testa il tricolore a crono per migliorare il terzo posto del 2024 o almeno confermarlo. Ci sono tante corse che mi piacciono nelle quali vorrei andare bene o mettermi alla prova, come il Tour de Suisse anche se non è adatto a me. Vorrei tornare presto a vincere e non saprei dove, ma di sicuro voglio ritrovare belle prestazioni. Credo che sia tutto una questione di testa e di morale. Se cresce la fiducia, cresce l’autostima e si mette in moto un certo meccanismo. Non bisogna abbattersi davanti alle difficoltà.

De Lie fuori squadra, cosa succede alla Lotto?

08.04.2025
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Quel distacco a oltre 100 chilometri dalla Gand-Wevelgem è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Così Arnaud De Lie è stato di nuovo messo “fuori squadra”, o meglio, fuori gara dalla sua Lotto fino a nuovo ordine. La decisione è stata presa, apparentemente, con grande calma e lucidità dal team manager della formazione belga, Stéphane Heulot.

«E’ sicuramente una delusione – aveva detto Heulot dopo la Gand – ma neanche una sorpresa. De Lie è indietro con la preparazione e le sue condizioni sono tutt’altro che ottimali. Era prevedibile una situazione del genere, anche se lui e tutti noi speravamo in qualcosa di diverso. Ma non siamo nella situazione dell’anno scorso. Ora dobbiamo porci delle domande e ripartire».

Guy Van Den Langenbergh, giornalista di Het Nieuwsblad e Gazet van Antwerpen
Guy Van Den Langenbergh, giornalista di Het Nieuwsblad e Gazet van Antwerpen

Parola a Van Den Langenbergh

Già, ma quali sono queste domande? Qualcosa di più l’abbiamo chiesto a uno dei giornalisti belgi più esperti in materia di ciclismo, Guy Van Den Langenbergh. Grazie a lui abbiamo cercato di capire se i problemi sono “solo” legati all’atleta o anche al ragazzo, all’uomo.

«Cosa è successo a De Lie? La situazione è “semplice” – spiega il giornalista di Het Nieuwsblad – per il momento Arnaud non è in grado di produrre risultati e per questo è stato allontanato dalle corse. De Lie si allena, ma non si prende cura di sé fuori dalla bici. Vive al 90 per cento per il suo lavoro, e questo non è sufficiente. Soprattutto perché ingrassa facilmente. Ha lavorato con un allenatore esterno, Gaetan Bille. Ora ha dovuto interrompere la cooperazione».

Di questa sospensione con Bille aveva parlato anche Heulot, che sotto questo aspetto era stato molto diretto, senza troppi giri di parole: «La cattiva forma di Arnaud non ha più nulla a che fare con la malattia di Lyme (contratta proprio un anno fa, ndr), gli esami medici sono chiari. Ciò di cui ha bisogno è lavoro, disciplina e serietà. Bisogna fare bene il proprio lavoro».

Così, dopo il 126° posto a De Panne, la rinuncia al GP E3 di Harelbeke e il ritiro alla Gand, la Lotto ha deciso di interrompere la collaborazione con Bille in modo netto.

De Lie (classe 2002) per lui anche problemi di peso, secondo il manager Heulot (e non solo)
De Lie (classe 2002) per lui anche problemi di peso, secondo il manager Heulot (e non solo)

Il quadro

Lo scorso anno, vuoi per sfortune, vuoi per errori personali e soprattutto per la malattia di Lyme, De Lie non andava bene e fu messo fuori corsa. Quasi per tutelarlo. Adesso sembra più una punizione. Oltre a rappresentare una necessità reale, visto che non è in grado di tenere le ruote.

Quest’anno il “Toro di Lescheret” era anche partito bene, vincendo una corsa a inizio stagione. Poi due scivolate lo hanno rallentato, ma di certo non giustificano il suo scarso rendimento. La “macchina De Lie” si è inceppata e l’atleta è ripiombato nel suo personalissimo groviglio.

«Io – riprende Van Den Langenbergh – non credo che la vittoria d’inizio stagione a Bessèges lo abbia appagato. De Lie è un ragazzo ambizioso. Finora la stampa belga lo ha trattato con pietà. E’ ancora giovane, ma questa è la seconda “primavera” consecutiva che gli manca. Deve riabilitarsi.
«Riguardo alle voci di un possibile addio alla Lotto, non credo che accadrà: ha ancora un anno di contratto e la squadra vuole trattenerlo».

Ma il ragazzo ha classe e una grinta pazzesca: eccolo vincere nella 3ª tappa di Besseges di quest’anno
Ma il ragazzo ha classe e una grinta pazzesca: eccolo vincere nella 3ª tappa di Besseges di quest’anno

Quale futuro?

La Lotto è senza dubbio una squadra che investe molto sui giovani. Si barcamena tra limiti di budget e risultati, ma ha un ottimo vivaio. Lo stesso De Lie, ma anche Van Eetvelt e Van Gils, che è stato preso dalla Red Bull-Bora proprio per farne un leader da classiche, ne sono l’esempio.
Perdere una pedina tanto importante e simbolica per le corse più rappresentative della stagione è un colpo pesante per il team belga. Pensate, la sua vittoria a Besseges resta ad ora l’unica per la Lotto in questo 2025…

Se magari non poteva competere a un Fiandre, corsa che comunque De Lie aveva detto essere nelle sue corde, di certo poteva fare bene a De Panne, Gand, Brabante… E invece niente di tutto ciò è stato o sarà possibile. «Ad ora non si sa quando rientrerà, ma di certo non sarà presente alla Roubaix», ha concluso Van Den Langenbergh.

Elisa Romele, una giovane nutrizionista al battesimo sul campo

07.04.2025
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RICCIONE – Il programma scouting della MBH Bank Ballan CSB Colpack è sempre di primissimo ordine e non si limita solo agli atleti. Funziona anche sulle figure che lavorano a stretto contatto o dietro le quinte. Ed è così che conosciamo Elisa Romele al seguito della squadra come nutrizionista alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali.

Dopo la linea del traguardo di ogni tappa, la sorella maggiore di Alessandro (pro’ della XDS Astana, che giusto ieri ha debuttato al Giro delle Fiandre) era già posizionata assieme ai massaggiatori del team continental italiano per dare le prime assistenze ai propri corridori.

«Oggi i ragazzi hanno preso pioggia tutto il giorno – ci spiega Elisa prima dell’arrivo mentre ha in mano le bottigliette di integratori – e per loro abbiamo preparato diversi passaggi per recuperare lo sforzo. Berranno subito una di queste, poi quando arriveranno al minivan per una bella doccia calda berranno un altro preparato liquido e poi mangeranno ciò che gli abbiamo già preparato. Se si riesce a sfruttare la finestra metabolica dei tre quarti d’ora dopo lo sforzo è meglio, ma bisognerà vedere se i ragazzi arriveranno molto infreddoliti o meno perché potrebbero metterci più tempo a scaldarsi e quindi mangiare».

Raccogliamo volentieri l’assist delle parole di Elisa e anche quello del diesse Gianluca Valoti che ci aveva anticipato la sua presenza, per conoscerla meglio.

Partiamo con una veloce introduzione di Elisa Romele.

Ho ventiquattro anni, due in più di mio fratello Alessandro. Mi sono laureata lo scorso novembre in dietistica alla facoltà di Medicina all’Università di Brescia. Essendo diabetica da giovanissima, ho sempre avuto interesse nell’alimentazione. Fin da piccola questo tema mi ha appassionata e l’ho unito al ciclismo. Ho corso fino ai G3, poi sempre a causa del diabete mi avevano consigliato di smettere. Adesso mi sto approcciando a questo mondo delle gare, cercando di capire com’è.

Hai preso una sorta di ispirazione ulteriore vedendo Alessandro correre?

Col passare degli anni, seguendo mio fratello alle corse, ho preso spunto per approfondire certi argomenti studiati all’università. Specialmente quando correva in Colpack, guardavo ciò che mangiava e l’ho usato come cavia per sperimentare ciò che ha avevo imparato (dice sorridendo, ndr). Gli avevo aumentato i carboidrati ad esempio.

E com’è andata?

Direi bene. Dopo due gare in cui aveva iniziato a seguire questo nuovo metodo di alimentazione, Alessandro ha vinto la sua prima gara (la Coppa Zappi ad aprile 2023, ndr). Non so se era stata una casualità, però da quando lui aveva iniziato a fare più attenzione alla sua alimentazione, aveva notato miglioramenti sia a livello muscolare che in termini di risultati.

Alessandro Romele vince la Coppa Zappi nel 2023. Dietro la sua prima vittoria con la Colpack, ci sono i consigli di Elisa (foto Rodella)
Alessandro Romele vince la Coppa Zappi nel 2023. Dietro la sua prima vittoria con la Colpack, ci sono i consigli di Elisa (foto Rodella)
Tu sei molto giovane, hai seguito dei quasi coetanei e solitamente la tua figura è ricoperta da persone un po’ più grandi. Com’è stato il rapporto con la squadra? Ti hanno ascoltato i ragazzi?

E’ vero, gli atleti si aspettano gente più esperta. E magari si può pensare che non rispettino il ruolo o la credibilità vista la mia età in questo caso. Sono alla mia primissima esperienza in questo ambito ed è una prova anche per me, ma io ho avuto la fortuna di trovare un gruppo di ragazzi molto disponibili. Mi hanno ascoltato ed anzi, ci siamo confrontati. Mi hanno aiutato a scoprire qualcosa di nuovo.

Cosa ad esempio?

Per l’integrazione in gara ho chiesto pareri ai corridori. Essendo al seguito della squadra, chiedo come sia meglio partire per una tappa, scoprendo una strategia pratica ancora più efficace rispetto alla teoria. Successivamente io poi cerco di perfezionare la teoria con la pratica, proponendola ai ragazzi.

Al mattino si guardano gli ultimi dettagli?

Più o meno. Nelle riunioni pre-gara parliamo di quanti carboidrati all’ora bisogna prendere. Per le tappe della Coppi e Bartali, che sono state quasi tutte mosse ed alcune col brutto tempo, in media siamo stati sui 120 grammi di carboidrati all’ora, ma è molto soggettivo. C’è chi ne mangia anche di più, però dipende da quanto questi ragazzi sono riusciti ad allenare l’intestino a riceverli. Quello è un altro aspetto fondamentale.

Elisa Romele durante la Coppi e Bartali ha preparato l’integrazione post gara anche in base al meteo
Elisa Romele durante la Coppi e Bartali ha preparato l’integrazione post gara anche in base al meteo
Immaginiamo che sia stato importante anche l’apporto del resto della squadra, che si è fidato di te.

Sono giovane ed è difficile trovare chi ti dia spazio. Gianluca (Valoti, ndr) è stato bravissimo, mi ha aiutato nell’inserimento e sa lavorare molto bene con i giovani. Ringrazio lui e tutta la squadra per avermi concesso questa grande opportunità sul campo in cui mi sono messa in gioco provando qualcosa di più.

Rivedremo Elisa Romele alle prossime corse?

Al momento avevamo stabilito solo la Coppi e Bartali, ma ne riparleremo nei prossimi giorni per capire se hanno avuto benefici o meno. E quindi per capire se anche loro hanno bisogno di una figura fissa per tutta la stagione. Attualmente sto finendo il master, poi la mia idea sarebbe quella di aprire uno studio e collaborare con qualcuno. Questo intanto è stato un ottimo inizio.

Altro che raccomandato… Erzen e una vittoria per chi pensa male

07.04.2025
5 min
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Per la seconda volta consecutiva, il VM Adria Mobil che è una delle principali classiche slovene è andata al padrone di casa Zak Erzen. Corridore del devo team Bahrain Victorious, Zak è figlio del general manager della squadra del WorldTour e come in ogni ambiente, questo genera sorrisini e retropensieri. Eppure basterebbe guardare al suo curriculum, su strada ma soprattutto su pista per capire che siamo di fronte a un corridore vero.

Zak a 19 anni non è uno che si nasconde e affronta di petto ogni situazione, come anche la convivenza con il padre in seno al team, d’altronde la sua influenza sul suo destino è stata subito molto forte.

La volata vittoriosa di Erzen alla I Feel Sloevia Adria Mobil, la gara della sua città Novo Mesto
La volata vittoriosa di Erzen alla I Feel Sloevia Adria Mobil, la gara della sua città Novo Mesto

«Penso che sia stata importante, forse è un po’ più difficile per me, ho la sensazione che devo dimostrare di più proprio per andare contro quelli che possono dire: “E’ nella squadra per via di suo padre” o qualcosa del genere. Io non voglio pensarci, preferisco pensare che posso sfruttare tutta la sua esperienza. Anche come diesse e allenatore, mi ha aiutato molto».

Hai visto le sue gare, sei un ciclista simile a lui o diverso?

Non ho visto molte delle sue gare, ma credo che siamo simili o così mi dicono coloro che hanno corso con lui. Sono veloce e forte negli sforzi brevi. Quindi direi che siamo abbastanza simili.

Milan Erzen, papà di Zak, general manager della Bahrain. Ha corso dal ’97 al 2002
Milan Erzen, papà di Zak, general manager della Bahrain. Ha corso dal ’97 al 2002
Il fatto di averlo come general manager del team ti ha mai fatto sentire un privilegiato?

Non proprio. Non guardo tanto gli altri né posso dire di essere stato mai additato per questo. Sono più io che mi metto pressione perché voglio mostrare di più esattamente per questo, così che non debbano dire che sono nella squadra perché raccomandato. E’ per questo che ho la sensazione di dovermi sempre dar da fare, ma altrimenti penso che non sia un grosso problema.

Come ti sei trovato nel devo team (con cui hai corso la classica di casa), quanto è cambiato rispetto al Cycling Team Friuli della passata stagione?

Il mio approccio in Italia è stato super bello. Con la squadra mi sono trovato subito molto bene e mi diverto ogni volta che vengo a correre qui perché anche le gare sono un po’ diverse da quelle ad esempio in Belgio. Nel team rispetto allo scorso anno e all’altra denominazione non credo che sia cambiato molto. Nuova maglia, nuovi colori, ma la gente è la stessa e anche il metodo di lavoro. Io poi, ora che faccio parte della squadra maggiore, vedo che c’è un forte segno di continuità, una bella componente italiana nel team.

Da junior Erzen ha vinto molto, emergendo anche nelle classiche belghe. Al Team Bahrain ha un biennale
Da junior Erzen ha vinto molto, emergendo anche nelle classiche belghe. Al Team Bahrain ha un biennale
Hai vinto l’Adria Mobil per la seconda volta, che cos’ha quella corsa di particolare per te?

Di sicuro, è che è una gara di casa, alla quale tengo molto. Ecco perché sono super felice di averla vinta. Ogni volta è un’emozione diversa, un impegno diverso. Penso che quest’anno sia stato più difficile dell’anno scorso. Fino all’ultimo non si sapeva in quanti ci saremmo giocati la vittoria, alla fine eravamo una dozzina e sono contento di aver potuto battere allo sprint anche gente molto veloce e vincente quest’anno come Cataldo.

Quanto hanno influito i successi di Pogacar e Roglic nella tua scelta di correre in bici e quanto influiscono sui giovani in Slovenia?

E’ difficile da dire. Sicuramente hanno avuto un influsso, ma rappresentano esempi talmente in là con i loro successi che hanno anche un effetto contrario. Perché vedi Pogacar e pensi che non c’è modo di batterlo. Io sono super contento di poter correre con entrambi e anche con tutti gli altri ragazzi del WorldTour che vengono dalla Slovenia. Hanno anche fatto una foto straordinaria per la Slovenia, per promuovere il ciclismo. Credo che in questo senso il loro esempio sia positivo, dobbiamo cercare di trarne il massimo perché vediamo che la nostra gente ci segue e si esalta per ogni vittoria. E’ stato così anche per me.

Da sinistra Mohoric, Polanc, Roglic e Pogacar al Giro di Slovenia 2022
Roglic e Pogacar al Giro di Slovenia 2022. La foto con i migliori sloveni è stata usata per molta pubblicità
Continuerai a correre su pista?

Sì, probabilmente lo farò. Forse non tanto quanto facevo negli juniores, ma penso che farò anche gli europei Under 23 e poi l’anno prossimo di nuovo gli europei elite.

Non pensi che il sogno olimpico di Los Angeles sia più raggiungibile attraverso la pista?

Non credo, penso anzi che, considerando il sistema di qualificazione passato e in attesa di conoscere quello che verrà attuato, sia più difficile. Diverso il discorso sulle chance da potermi giocare, credo che si fossi qualificato avrei più possibilità di vincere una medaglia nell’omnium che su strada. Ma penso che sia solo un sogno. Quindi vedremo come andranno le cose.

Agli ultimi europei su pista ha chiuso 17° nell’omnium: è questa la via migliore per andare alle Olimpiadi?
Agli ultimi europei su pista ha chiuso 17° nell’omnium: è questa la via migliore per andare alle Olimpiadi?
Che cosa ti aspetti quest’anno?

Non mi pongo particolari obiettivi. Voglio solo dimostrare di essere bravo e cercare di ottenere buoni risultati e poi mi aspetto di vincere qualcosa nel WorldTour. Ma potrò arrivarci solo imparando il più possibile e lavorando sodo e poi vedremo dove arriveremo. Se parliamo di sogni, un giorno mi piacerebbe indossare una maglia arcobaleno e con quella vincere un Fiandre o una Roubaix come ha fatto un mio connazionale… Ma fino ad allora la strada è ancora lunga.

EDITORIALE / Lo spettacolo (negato) del Fiandre

07.04.2025
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BRUGES (Belgio) – La ragazza alle reception dell’hotel di Kortrijk ci ha salutato con il rammarico di non essere sul percorso del Fiandre assieme al gruppo di famiglie e amici con cui lo segue da quando è piccola. Deve lavorare, ma sottolinea che domenica prossima sarà alla Roubaix. Li vedranno in tre punti e poi, quando la corsa sarà nel Carrefour de l’Arbre, si fermeranno in un caffè per assistere al finale. Pensiamo a lei mentre emergiamo dal parcheggio nel centro di Bruges, accanto al parcheggio delle squadre, compiaciuti per il privilegio di avere un posto riservato al centro della scena.

La piazza del mercato è uno stadio rumoroso e variopinto. Le guglie dei palazzi danno un tocco di fiaba gotica ai preliminari della grande battaglia. La strada che vi conduce dal parcheggio è una passerella assordante, in cui i corridori vengono chiamati per nome, applauditi, venerati. Per scortare alla firma i big è stato predisposto un servizio di steward sul monopattino elettrico che indicano loro la via. Alessandro Romele, debuttante al primo anno da pro’, racconta di aver avuto i brividi e immaginiamo sensazioni identiche quando nella prima fuga ha aperto la strada al passaggio del gruppo.

Piccole sbavature: per la conferenza stampa di Pogacar si è dovuto attendere il podio in comune con Kopecky: un tempo eterno…
Piccole sbavature: per la conferenza stampa di Pogacar si è dovuto attendere il podio in comune con Kopecky: un tempo eterno…

La cura del tifoso

Il ciclismo e il Belgio sono tutt’uno. Non c’è un dettaglio che non sia curato al meglio. Una piazza immensa: quest’anno Bruges, l’anno prossimo Anversa. Opportunità di merchandising e consumazioni lungo il percorso. Servizi di navetta. Agenzie che ti portano nei vari punti per vederli passare. Maxi schermi dovunque. La domenica del Fiandre è una festa a parte, ma non c’è corsa WorldTour che non abbia un seguito massiccio. Per la Ronde ci si ferma. Quando si sa che allo spettacolo penseranno Pogacar, Van der Poel, Pedersen, Ganna, Van Aert, la Kopecky, Wiebes, Van der Breggen, Longo Borghini, Niewiadoma e gli altri, c’è da capire che l’afflusso di pubblico si moltiplichi.

Peccato che sulle tavole degli italiani questo banchetto non sia arrivato, se non attraverso immagini televisive a pagamento (ottimo comunque il lavoro di Eurosport) e articoli scritti impastando comunicati da parte di bravi giornalisti tenuti in redazione, come se essere quassù non valesse il costo del biglietto. Si è detto, letto e commentato della RAI che non ha acquistato i diritti, va anche segnalata però l’assenza dei quotidiani. Per il Fiandre di Pogacar su Pedersen e Van der Poel, in Belgio c’erano 5 fotografi italiani e 3 giornalisti. Si potrebbe pensare: meglio, così fate più visite. Invece no: se il sistema si indebolisce, ci indeboliamo tutti, il ciclismo per primo.

Pavia ha accolto la Sanremo con grande calore, ma il suo palcoscenico naturale sarebbe Piazza Duomo a Milano
Pavia ha accolto la Sanremo con grande calore, ma il suo palcoscenico naturale sarebbe Piazza Duomo a Milano

Calcio, nient’altro che il calcio

Se lo sport è specchio della cultura di un Paese, allora in tutto questo si rintracciano le consuetudini di un’Italia dominata dagli interessi di pochi a scapito degli altri. Schiacciata in ambito sportivo dal calcio e dai suoi debiti oceanici per i quali si ricatta il Governo, perché se finisce il calcio, finisce la vita. Ne siete davvero sicuri? L’informazione è monotematica. Parla di due guerre e nasconde le altre cento. Parla dei dazi per distrarre dagli aumenti e i nuovi armamenti. E ti serve un buffet ricchissimo di partite, schiacciando il resto in fondo all’elenco e legittimando quelli che leggono il giornale dalla fine. Il pubblico, al pari dei figli, andrebbe invece educato.

Mandare un inviato al Fiandre non significa danneggiare il calcio, significa accrescere la cultura sportiva che paradossalmente renderebbe più ricco e competente anche il pubblico degli altri sport. Significa avere un piatto forte da offrire e non un semplice artificio di parole. Invece si insiste in direzione unica e il resto non conta. Se poi ci chiediamo il motivo per cui le aziende non investano altrove, magari la risposta ce la siamo appena data.

La prima pagine de L’Equipe di oggi è un tributo alla grandezza di Pogacar e del Fiandre
La prima pagine de L’Equipe di oggi è un tributo alla grandezza di Pogacar e del Fiandre

Le pari opportunità

Il Fiandre propone nello stesso giorno la gara degli uomini e quella delle donne, come la Sanremo. Partenze separate, entrambe trattate con pari enfasi e spiegamento di forze: i primi da Bruges, le seconda da Oudenaarde. Se una sbavatura vogliamo rintracciare, sta nell’averci costretto a iniziare il lavoro alle 19,30 per aspettare l’arrivo delle donne e far parlare solo dopo il vincitore degli uomini. Per il resto, ha prevalso un gigantismo che ha dato del ciclismo un’immagine quasi sacrale. Ben altra cosa rispetto alla miniaturizzazione di casa nostra, fatta di una piazza bella come una bomboniera, ma piccola e soffocata dall’hospitality dei vip. Un palco basso e invisibile dalle retrovie e quel senso di doversi togliere presto dai piedi, per non disturbare. La Milano-Sanremo dovrebbe tornare nel centro di Milano, con il Duomo sullo sfondo e la politica dovrebbe spingere perché accada. Il ciclismo ha una storia da rivendicare, ma si fa dura se i primi a voltarle le spalle sono coloro che dovrebbero raccontarla e magari anche venderla.

Mentre siamo presi da tanto elucubrare, ci assale il dubbio di aver indugiato troppo nel vittimismo. Magari in Belgio va così, ci diciamo, perché hanno Van Aert e Van der Poel è nato appena oltre il confine. Perché forse non hanno altri sport da magnificare. Deve essere per questo, ci diciamo. E mentre ce ne siamo ormai convinti, apriamo L’Equipe e restiamo a bocca spalancata. Prima pagina per Pogacar, da testa a piedi. Le cinque successive per il Fiandre, eppure i francesi non vincono un Fiandre dal 1992 (con Jacky Durand) e non hanno all’orizzonte qualcuno che prometta di farlo. Il grande spettacolo dello sport non ha bandiera e non richiede necessariamente un costo di ingresso. Nessuna tessera del tifoso per assistere alla Ronde, biglietti solo nelle aree vip. Per il resto, bastavano solo qualche birra e tanta voglia di assistere a uno spettacolo pazzesco.

Mohoric, quante difficoltà. «Ma ora sono in ripresa»

07.04.2025
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Anche se non è stato appariscente in corsa, ieri piano piano si è rivisto. Era nel gruppo di Ganna a giocarsi un buon piazzamento. Stiamo parlando di Matej Mohoric, il grande assente di questo spezzone di stagione. Nelle sette gare prima del Fiandre aveva collezionato tre ritiri, un forfait e due piazzamenti oltre il 100° posto: non certo un rendimento da Mohoric. A Oudenaarde invece qualcosa è cambiato.

Ma come mai? Cosa è successo al bravissimo e sempre aggressivo atleta della Bahrain-Victorious? A dircelo è stato proprio lo sloveno, pizzicato nei giorni del Fiandre, in piena campagna del Nord. Come sempre Mohoric è stato chiaro e ha parlato apertamente.

Matej Mohoric (classe 1994) in questa prima parte di stagione ha avuto qualche difficoltà di salute, ma non ha perso il sorriso (foto Bahrain-Victorious)
Matej Mohoric (classe 1994) in questa prima parte di stagione ha avuto qualche difficoltà di salute, ma non ha perso il sorriso (foto Bahrain-Victorious)
Dunque Matej, cosa succede?

Succede che ho preso un virus durante l’opening weekend di inizio marzo (Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne, ndr) e le cose da quel momento si sono complicate. Sembrava stessi meglio, ma poco prima della Strade Bianche ho avuto un altro problema… anche peggio del primo. Ora però mi sto riprendendo.

Che virus hai avuto?

Sono stati due per la precisione: il primo è stata una semplice infezione batterica all’orecchio, un malanno di stagione invernale direi. Virus che però mi ha costretto a prendere degli antibiotici. Il secondo invece è stato molto più forte, un virus gastrointestinale preso per qualcosa di poco pulito che devo aver ingerito. E’ stato davvero fastidioso e lungo.

Questa situazione ti ha portato a modificare qualcosa nel tuo calendario?

Alla fine le mie corse le ho fatte, anche perché già all’opening weekend non sembrava una cosa impossibile o così grande. Ma la seconda volta… Nei giorni della Strade Bianche ero ko. Un morto a letto! Tanto è vero che a Siena non sono partito. Speravo di stare meglio a Sanremo, invece come dicevo è stata più tosta del previsto.

Lo sloveno in azione sui muri e il pavé: è in ripresa e magari alla Roubaix sarà al livello che gli compete
Lo sloveno in azione sui muri e il pavé: è in ripresa e magari alla Roubaix sarà al livello che gli compete
Voi corridori oggi siete come macchine di Formula 1 e quando state male rischiate di portarvi dietro la cosa a lungo. Avete mai pensato con il tuo staff di fermarvi?

Fermarsi per queste corse non è facile però. Significava saltare i miei obiettivi stagionali. Il mio prossimo obiettivo è il Tour. Magari ho sbagliato, magari ho fatto bene… Ma queste sono le mie corse, vivo per queste gare. Non farle sarebbe stato un colpo importante per l’intera stagione. Comunque, come ripeto, ora sento di stare meglio.

Cosa significa, Matej, “sento di stare meglio”? Lo dicono i numeri del computerino o c’è altro?

No, no… Lo sento io, lo sento sul corpo: quando sono sotto sforzo, quando recupero, quando sono in bici. Noi siamo sempre al limite, quando sei magrissimo, quando sei sempre tirato, sei anche più vulnerabile. Ma al tempo stesso senti come reagisce il tuo corpo quando vai bene.

Ora qual è il tuo programma?

Farò la Roubaix e poi credo anche l’Amstel, ma vedremo…

Chi vedi bene per queste gare?

Pogacar e Van der Poel sono più forti, ma poi nel ciclismo ci sono tremila variabili… e questo è il bello, no? Non sai mai come potranno andare davvero le cose.

Saranno i favoriti anche per la Roubaix?

Sì, forse ci sarà qualcuno in più, ma restano i più forti del momento. Poi lì conta un po’ di più anche la fortuna.

La grande villa che funge quartier generale della squadra di Mohoric in Belgio (foto Bahrain-Victorious)
La grande villa che funge quartier generale della squadra di Mohoric in Belgio (foto Bahrain-Victorious)
Sappiamo della tua meticolosità, Matej: come avete lavorato in ottica materiali?

Questo inverno abbiamo fatto parecchio lavoro. Avevamo fatto anche un bel po’ di sopralluoghi in occasione del weekend di apertura. Con i materiali siamo a posto. Ora speriamo di raccogliere qualcosa di più. Noi in Bahrain Victorious ci crediamo, sappiamo che possiamo arrivare dove meritiamo di essere.

Si vociferava che le pietre di Fiandre e Roubaix fossero più sconnesse del solito. E’ vera per te questa cosa?

No, no… Le pietre sono sempre quelle, magari chi l’ha detto doveva sgonfiare le gomme!

Come passi le giornate in questa campagna del Nord?

Noi siamo fortunati. Rispetto agli altri team, da qualche anno prendiamo in affitto una grande casa in campagna e anziché stare ognuno chiuso in stanza, abbiamo una grande sala comune dove ci ritroviamo. Guardiamo i film, le altre corse, che commentiamo insieme, giochiamo a carte… Così è davvero bello!

Longo fuori, Fiandre a Kopecky: finale giocato alla grande

07.04.2025
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OUDENAARDE (Belgio) – Cominciamo col dire che Longo Borghini sta bene. Sarebbe potuta stare meglio, magari a quest’ora sarebbe da qualche parte a festeggiare il terzo Fiandre, invece ai brindisi si è dedicata Lotte Kopecky. Elisa ha passato la notte in osservazione all’ospedale di Gand. La caduta l’ha sorpresa al chilometro 35, assieme a Lorena Wiebes, Marthe Truyen, Letizia Borghesi e Christina Schweinberger. Lei si è rialzata, come fanno sempre i corridori. Silvia Persico ha provato a riportarla in gruppo, ma a un certo punto si sono fermate di nuovo e la campionessa italiana, grande favorita per il Fiandre, ha abbandonato la corsa. Ed è così nato il terzo successo di Lotte Kopecky.

«Questa è una vittoria che ricorderò a lungo – dice la campionessa del mondo – più ci avvicinavamo e più sognavo di vincerlo con questa maglia indosso. Ero nervosa per lo sprint? Avevo fiducia nel mio spunto. Sapevo che Liane Lippert è veloce, ma non sapevo quasi nulla di Pauline Ferrand-Prévot. Mi aspettavo un attacco da parte di Kasia Niewiadoma, ma non è mai arrivato. Quindi ho creduto nel mio sprint e ci ho dato dentro».

Prima del via. per Longo Borghini il solito rituale di autografi e selfie
Prima del via. per Longo Borghini il solito rituale di autografi e selfie

Vento contro, zero attacchi

La campionessa del mondo del Team SD Worx-Protime ha regolato allo sprint il gruppetto di quattro con cui è sopravvissuta alla serie dei muri, in una corsa dura che ha visto l’arrivo di sole 87 ragazze. Distanza di 168,9 chilometri con 1.324 metri di dislivello, corsi a 38,304 di media.

«In realtà non sono rimasta troppo sorpresa – ha detto dopo l’arrivo – che nessuna abbia provato ad andare da sola sul Paterberg. Il vento non era favorevole, per cui potevi pure attaccare, ma con tre corridori forti che inseguono insieme, non sarebbe stata la mossa più intelligente. Io mi sono sentita bene per tutta la salita, ma affrontare uno sprint del genere è sempre rischioso. Quando Anna Van der Breggen mi ha detto che ero quella con le gambe migliori, ho trovato grande sicurezza. Per cui, si è trattato solo di sopravvivere al Qwaremont e poi al Paterberg».

Con la Longo fuori dai giochi, Borghesi è stata la miglor azzurra: sesta
Con la Longo fuori dai giochi, Borghesi è stata la miglor azzurra: sesta

I dubbi dopo Waregem

Kopecky non era la favorita del Fiandre, perché il ruolo spettava a Elisa Longo Borghini. Scendendo dal pullman per andare alla firma, la piemontese ci aveva detto di essere molto concentrata e di aver ben recuperato lo sforzo di Waregem. Peccato che poi tanta condizione sia finita su quel lembo di asfalto in cui Elisa è rimasta per istanti lunghissimi in posizione fetale.

«Solo sul Berendries – ha detto Kopecky – ho notato che Longo Borghini non c’era. Dall’ammiraglia mi hanno confermato che prima è caduta e poi si è dovuta fermare, spero davvero che stia bene. Mi sembra logico, avendola vista vincere a quel modo, che avessi dei dubbi dopo la Dwars door Vlaanderen. Però ho imparato a non farmi condizionare da certe sensazioni. L’anno scorso il Fiandre non fu la mia gara migliore, ma una settimana dopo vinsi la Roubaix. Avrei potuto farmi prendere dal panico, invece ho semplicemente accettato che non fosse andata bene, magari perché non avevo recuperato bene dagli allenamenti dei giorni precedenti. Quindi era importante riposarmi per essere più fresca possibile alla partenza del Fiandre. E ha funzionato».

Sopravvivere al Qwaremont e al Paterberg per giocarsi il Fiandre: Kopecky c’è riuscita
Sopravvivere al Qwaremont e al Paterberg per giocarsi il Fiandre: Kopecky c’è riuscita

Il podio con Pogacar

Quel gesto col bicipite (foto di apertura) non è passato inosservato e Lotte ha spiegato che risale al team building fatto lo scorso inverno in Lapponia. Era il gesto per quando si spostavano con le motoslitte e dovevano segnalare la necessità di accelerare. Un’espressione scherzosa. Poi ha ammesso di aver molto gradito il podio tutto iridato assieme a Pogacar.

«E’ speciale condividere il podio con Tadej – ha ammesso – soprattutto perché siamo entrambi campioni del mondo. Mi rendo conto di quanto sia stato unico. Di solito non appendo le foto in casa, ma questa volta guarderò le immagini migliori, per vedere se tra loro c’è un bello scatto di questo podio. Tadej è una persona molto rispettosa e mi ha fatto i complimenti. Io invece volevo sapere come ha vinto il suo Fiandre, se allo sprint o da solo. Anche se avevo pochi dubbi che avesse vinto arrivando da solo».

Sarà perché siamo in Belgio, dove il ciclismo è più prossimo a una fede che a uno sport. Sta di fatto che quando Lotte Kopecky ha tagliato il traguardo, il boato del pubblico è stato probabilmente superiore a quello per la vittoria di Pogacar. Entrambi primi al Fiandre, entrambi campioni del mondo. Lei belga, lui no.