Il passaggio di Matteo Sobrero dalla Red Bull-Bora alla Lidl-Trekè uno dei più curiosi e, se vogliamo, anche affascinanti per noi italiani. Il piemontese è un ottimo cronoman, un uomo di fiducia e un elemento della nazionale: vederlo entrare nella squadra di Luca Guercilena non può che farci piacere. Dopotutto, nella Lidl-Trek gli italiani sono sempre ben tutelati.
Matteo ci racconta proprio questo passaggio. Un cambio di casacca avvenuto in modo relativamente fluido e veloce nella seconda parte dell’estate. Da Sobrero vogliamo capire cosa lo ha convinto a scegliere il team statunitense e cosa va a fare in questo squadrone.
Matteo Sobrero (classe 1997) è uno dei punti fermi della nazionaleMatteo Sobrero (classe 1997) è uno dei punti fermi della nazionale
Partiamo dal passato: Matteo, eri in scadenza di contratto? Volevi (o potevi) restare in Red Bull?
Diciamo che l’ipotesi di restare c’è stata. Ma poi la squadra ha preso Remco e sono nati altri progetti. Contemporaneamente c’è stato l’interesse della Lidl-Trek e la cosa mi ha colpito subito. Li ho sempre visti come un team unito: un bel gruppo, sia tra i corridori che nell’insieme del team, quando magari ci trovavamo insieme in hotel o sul bus. Mi sembrava ci fosse armonia.
Perché, in Red Bull-Bora non era così?
Io andavo d’accordissimo con gli altri ragazzi, soprattutto con Giulio (Pellizzari, ndr) e Primoz (Roglic, ndr)... Però ogni anno c’era un rimescolamento, arrivavano o partivano atleti, e in quel senso l’idea del gruppo veniva un po’ meno. Si faceva più fatica a percepirla.
Tra poco ripartono i ritiri sul serio. Hai già avuto modo di stare con la Lidl-Trek?
Sì, sono stato alcuni giorni in Germania, preso una sede Lidl. Lì abbiamo fatto le consuete visite mediche e altre pratiche logistiche.
Un uomo così, che sa perfomare in pianura e su certi tipi di salite, in squadra è un valore aggiuntoUn uomo così, che sa perfomare in pianura e su certi tipi di salite, in squadra è un valore aggiunto
E cosa ti è parso di questo ambiente?
Che è molto grande e dotato: non mi sembra manchi nulla. Investono parecchio e puntano in alto. Anche nella preparazione, nella nutrizione, sono molto all’avanguardia: quei pochi giorni mi hanno dato grandi rassicurazioni. Si vede chiaramente che c’è un progetto per il futuro.
Qual è, secondo te, questo progetto?
Ambiscono a essere i migliori, come la UAE Team Emirates. E come loro stessi avevano aspirato quando leder era la Visma-Lease a Bike. Vogliono correre per vincere. È una cosa scontata, forse, ma per me è molto importante.
Quindi, tecnicamente siete sulla stessa lunghezza d’onda. E l’armonia che intravedevi da fuori?
È chiaro che ci sono stato solo pochi giorni, ma quello che mi ha colpito è che sì, sono un team di altissimo livello, ma c’è anche un rapporto umano più forte. È qualcosa che secondo me mancava nell’ultimo anno a Red Bull-Bora. Ma succede: in molti team. Alla fine sono aziende e tu devi performare.
Quale sarà il tuo ruolo in questo nuovo team? Sarai parte del “gruppo Ciccone”, del “gruppo Ayuso”?
È presto per dirlo! Per ora non ne abbiamo parlato nel dettaglio, ma credo che sarò più o meno la figura che ero in Red Bull: un corridore di supporto nei Grandi Giri. Anche se “supporto” non significa necessariamente che sarò sempre al servizio di un uomo di classifica.
Grazie alle doti da cronoman, Sobrero può fare bene nelle corse a tappe brevi che prevedono una tappa contro il tempoGrazie alle doti da cronoman, Sobrero può fare bene nelle corse a tappe brevi che prevedono una tappa contro il tempo
Puoi spiegare meglio cosa intendi?
In Lidl-Trek ci sono molti campioni. Potrei aiutare un corridore per la classifica o magari Nys, Pedersen, Milan… Non come ultimo uomo, chiaramente. Oppure, logicamente, potrei essere utile anche a corridori come Ayuso, Ciccone… Insomma un profilo flessibile.
E ti piace questo ruolo?
Sì, mi fa piacere lavorare per i compagni, soprattutto se sono campioni che poi sanno finalizzare. Quindi farò da supporto, ma quando ci sarà la possibilità potrò giocarmi le mie occasioni. Un po’ come è successo quest’anno in Polonia: ho avuto il mio spazio e sono andato a podio. So che su certe corse posso esprimermi: gare a tappe di una settimana con una crono possono andare bene per me. Ma anche in alcune corse di un giorno posso dire la mia. Tra l’altro loro cercavano proprio un profilo come il mio.
E della nuova bici cosa ci dici? La Trek Madone non passa certo inosservata…
Dico che “parla inglese”! Scherzi a parte, è una bici top, come quella da cui vengo. Le Trek mi incuriosivano già da tempo e in gruppo le guardavo sempre. Magari quando andavo indietro all’ammiraglia, o in gruppo nei rari momenti più tranquilli, un occhio glielo buttavo. Poi tra noi atleti ci scambiamo opinioni tecniche e a me piace aggiornarmi.
Qualunque sia l’argomento, dopo un po’ che ne parli con Guercilena ti accorgi che il suo approccio è sempre molto razionale. Analisi, sintesi, conclusione. E laddove l’ultima non sia possibile, viene sostituita da un’ipotesi o una domanda. Così è anche sul tema della sicurezza, dopo che la sua squadra femminile è stata squalificata per i GPS del Romandia, dopo che l’UCI ha proposto una serie di misure più posticce che incisive e la limitazione dei rapporti, subito vietata dal garante belga.
Nel frattempo le medie si alzano e non si capisce se e come sia possibile limitare le velocità del gruppo. Non si capisce nemmeno se sia necessario intervenire sulle bici, sulle strade o cos’altro. Probabilmente perché nessuno ha ancora fatto un’analisi completa e seria.
«Io sono convinto – dice il team manager della Lidl-Trek – che il discorso sicurezza debba passare attraverso dei materiali sicuri. Il miglioramento della velocità è insito nella tecnologia della performance. Per cui se anche si decidesse di limitare un materiale, la ricerca e lo sviluppo andrebbero comunque a svilupparne un altro più veloce. Si decide di imporre cerchi da 35? L’ingegneria porterà i cerchi da 35 a essere aerodinamici e con un momento di inerzia pari a quelli da 90, per cui certe limitazioni non saranno mai soluzioni durature».
Luca Guercilena è il general manager della Lidl-Trek. Negli anni è stato anche preparatore e direttore sportivoLuca Guercilena è il general manager della Lidl-Trek. Negli anni è stato anche preparatore e direttore sportivo
Il problema è che le performance migliorano, mentre le strade peggiorano…
Il discorso è esattamente questo. Uno dei punti da affrontare è l’attenzione alle protezioni sulle strade. Aiuterebbe un sacco se ci fosse un sistema efficace, che chiaramente sarebbe anche costoso, per proteggere determinati punti in modo migliore. E poi viene l’aspetto dei materiali, che però va studiato e pensato in modo scientifico. Servono dei regolamenti che garantiscano maggiore sicurezza e il modo giusto di applicarli. Ma secondo me non è tutto vincolato alla velocità.
Cos’altro c’è?
Una questione di approccio culturale. Bisogna mettersi nell’ordine di idee che a un certo punto si può anche frenare. Secondo me uno degli snodi è che la correttezza tra atleti è venuta un po’ meno, perché l’età media del gruppo continua a scendere. Di conseguenza la spavalderia dei 18 anni contrasta con la maturità degli atleti più grandi, che hanno un altro raziocinio nell’individuare il momento in cui è meglio frenare piuttosto che ammazzarsi.
Vuoi dirci che è possibile dire a un corridore di correre un po’ meno forte?
Parlo dei miei. Da un po’ abbiamo iniziato a dirgli: «Ragazzi, il rischio deve essere controllato. Nel senso che tra avervi fuori per tre mesi e fare secondo, fate secondo!». L’investimento che faccio su Ayuso, Ciccone, Milan, Skjelmose o Pedersen non è banale. Certo, per l’amor di Dio, se devi rischiare per la volata che vale la vittoria, allora rischia. Però se devi cadere nella curva a 70 chilometri dall’arrivo e stai fuori un mese, allora no. Devono frenare, perché il valore dell’atleta è talmente elevato che la sommatoria la fai a fine stagione, non sulla singola gara. Se devi vincere il Fiandre è una cosa, però non dirò mai a un corridore di rischiare l’osso del collo ai meno 20 dall’arrivo perché dobbiamo posizionarci bene in volata al Tour du Poitou-Charentes. Siamo tutti consapevoli che le cadute fanno male e secondo me la discussione dovrebbe essere molto più scientifica e analizzata in dettaglio.
Correre rischi va bene solo se serve per arrivare a vincere, dice Guercilena, altrimenti è meglio tirare i freniCorrere rischi va bene solo se serve per arrivare a vincere, dice Guercilena, altrimenti è meglio tirare i freni
Hai parlato della baldanza dei corridori di 18 anni…
Per le leggi del mercato l’età media del gruppo sta diminuendo. Mi ci metto anch’io, non voglio fare il buono e dire che gli altri sono cattivi. Facciamo passare gente che da un inverno all’altro passa dai 90 chilometri delle gare juniores ai 290 della Sanremo. E’ inevitabile che i rischi aumentino. Anche solo dal punto di vista fisiologico, la lucidità che può avere un ragazzino di 18 anni dopo 290 chilometri rispetto a quella di un professionista navigato, che ha già fatto esperienze graduali per arrivare a quel punto, è completamente diversa e quindi il rischio aumenta.
Secondo te il gruppo WorldTour sarebbe disponibile a una frenata sui passaggi così precoci?
Penso di no, per cui a livello teorico è molto bello, ma a livello pratico forse si fa davvero prima a mettere mani sui materiali e sulle biciclette. Però è chiaro che andremmo a scegliere la soluzione più facile pensando che sia la migliore. Secondo me invece un’analisi ha senso se la faccio in modo scientifico. Se applico dei criteri che abbiano un senso. Allora di fronte alla prova provata dei numeri, nessuno può fare delle contestazioni. Il problema invece è che ci basiamo sulle opinioni e continuiamo a non uscirne.
Come si fa un’analisi credibile?
Serve un gruppo di lavoro che analizzi le leggi del lavoro, coinvolgendo l’associazione corridori, i procuratori e i gruppi sportivi. Serve anche fare delle analisi a lungo termine, coinvolgendo degli esperti. Bisogna che nelle commissioni ci sia gente del nostro ambiente, ma l’analisi oggettiva e la soluzione devono provenire da persone con la capacità professionale e l’esperienza adeguata a risolvere il problema.
Se i corridori vanno a contatto di gomito, dice Guercilena, la caduta ne tira giù tanti, come quando cade un aereoSe i corridori vanno a contatto di gomito, dice Guercilena, la caduta ne tira giù tanti, come quando cade un aereo
Si dovrebbe partire da un’analisi più seria?
Abbiamo un’analisi analitica di un aumento sconsiderato delle cadute rispetto agli anni 70? Stiamo parlando del danno della singola caduta o stiamo parlando realmente del volume di corridori caduti e dell’entità dei danni? Non esistono statistiche longitudinali. Non siamo in grado di dire se si cada di più o di meno nei primi 100 chilometri piuttosto che negli ultimi 20. Suppongo che nei primi 100 chilometri cadi per distrazione, mentre negli ultimi 5 per il rischio in volata. Ma anche questa è un’opinione e con le opinioni non si trovano le soluzioni. L’opinione deve essere il punto di partenza, poi bisogna fare un’analisi reale e scientifica e affidare agli esperti l’incarico di trovare le risposte.
Avete raccolto dati statistici?
Negli ultimi 2-3 anni con i dottori abbiamo iniziato a farlo. In realtà il numero di fratture non è aumentato e non è vero che si cada di più. E’ diverso invece il numero di corridori coinvolti nella stessa caduta. Come quando cade un aereo rispetto agli incidenti stradali. I corridori sono tutti più freschi, sono tutti più allenati, il gruppo è compattissimo e, se si cade, si cade tutti insieme.
Hai parlato di opinioni come punto di partenza. Tu cosa faresti?
Investiamo in tecnologia per trovare un airbag nel casco o nella maglia che, se ti schianti, ti salva la testa e la colonna vertebrale. Investirei tonnellate di soldi su sistemi di airbag uguali per tutti, che ti proteggano nella caduta evitando l’infortunio. Perché le cadute ci saranno sempre, fanno parte del nostro sport.
La sicurezza secondo Guercilena passa per la tutela del corridore e poi la messa in sicurezza più seria delle stradeLa sicurezza secondo Guercilena passa per la tutela del corridore e poi la messa in sicurezza più seria delle strade
Come gli incidenti facevano parte della Formula Uno…
Però loro prima hanno trovato la tuta ignifuga, poi il casco. Poi sono intervenuti sui guardrail e a quel punto, anche se hanno limitato i motori, le velocità sono salite nuovamente. Il ciclismo è diverso, non si corre in un circuito con le vie di fuga e le protezioni, però secondo me il concetto di partenza deve essere individuare cosa davvero ti metta in sicurezza e poi andare a cascata su tutto il resto. Al centro dell’attenzione devono esserci il corridore e poi la struttura della strada.
Oppure si fa come dice Pidcock e si impedisce di fare il pieno di carboidrati…
L’ha detto come battuta, ma a livello teorico ha ragione. Limito l’apporto energetico e alla fine vince quello che ha più capacità di gestirsi. Se invece tutti hanno la possibilità di mettere 120 grammi di carboidrati, alla fine tutto il gruppo è in forze, perché ormai la nutrizione va in quella direzione. Ma cosa facciamo, limitiamo tutti gli aspetti nutrizionali che provano ad influire sulla vita normale? Sarebbe un lavoro controproducente e soprattutto anacronistico, perché lo sviluppo va in quella direzione. E secondo me lo sviluppo, qualunque sia l’ambito, va salvaguardato.
La tappa di Matera si rivela una maratona dura e piena di salite. I velocisti affondano. Roglic ci prova. Ma alla fine vince Pedersen su un ottimo Zambanini
ROMA – La premiazione della Coppa Italia delle Regioni si trasforma di colpo in un meraviglioso spot per il ciclismo quando vengono invitati a parlare Claudio Chiappucci, Alessandro Ballan e Paolo Bettini. Da un lato c’è Roberto Pella, il presidente della Lega Ciclismo Professionistico. Dall’altro c’è Flavio Siniscalchi, in rappresentanza del ministro dello sport Abodi. E quando i tre campioni, ben ispirati da Lucia Blini, raccontano la loro passione per lo sport, la sala ammutolisce. Siamo a Palazzo Rospigliosi, dall’altro lato della strada ci sono le Scuderie del Quirinale e poco più avanti la stessa sede del Presidente della Repubblica. Roberto Pella sfrutta i suoi contatti e lo fa bene: non si era mai visto tanto ciclismo a Roma e Roma sembra ben contenta di accoglierlo.
Chiappucci racconta quello che fa per valorizzare i territori. Ballan racconta dell’impegno con i più piccoli e il ciclismo femminile nella Giorgione in cui iniziò a correre. Bettini racconta del ponte culturale creato con la Grecia e dell’iniziativa del Pedale Rosso contro la violenza sulle donne. Il ministro delle pari opportunità Roccella annuisce, Pella fa la sintesi e sottolinea il tutto.
«Questi grandi campioni – dice – non solo ci hanno fatto sognare, non solo ci hanno fatto vivere delle emozioni, ma continuano a far vivere alle altre persone queste esperienze. Sostegno al settore giovanile, valorizzazione dei territori, impegno in favore degli altri. Dobbiamo ringraziarvi perché siete di esempio. Non solo per aver dato tanto, ma perché continuate a dare tanto al mondo dello sport e alla gente comune. Le iniziative che portate avanti sono importanti anche oltre il ciclismo».
Il momento iniziale con Bettini, Ballan e Chiappucci ha colpito i presentiRoberto Pella e accanto a lui Paolo Bettini, che ha parlato delle sue iniziative solidaliNell’altra metà del palco, Ballan, Chiappucci e Siniscalchi del Ministero dello Sport
Undici regioni, 800 Comuni
La Coppa Italia delle Regioni taglia il secondo traguardo, dopo che l’edizione 2024 si articolò in appena quattro tappe: poche per darle una valenza tecnica, ma fu il seme dell’idea che Roberto Pella avrebbe lanciato per il 2025. Questa volta le prove sono state 31, con ben altro riscontro. Il presidente ha grandi slanci e non è sempre facile stargli dietro e mantenere tutte le parole. Non tutto è stato fatto come annunciato, qualche prova non si è svolta, ma già per il 2026 si annunciano corse nuove ed è lo stesso Pella a dare l’appuntamento per la presentazione: 28 gennaio, ore 15, alla Camera dei Deputati.
«Lo scorso 27 febbraio – dice Pella aprendo la mattinata – alla Camera dei Deputati nasceva la Coppa Italia delle Regioni 2025, un progetto realizzato grazie ai ministri dello sport Andrea Abodi, della famiglia Eugenia Maria Roccella, degli esteri Antonio Tajani, del turismo Santanché. Un progetto che come Lega del Ciclismo abbiamo voluto costruire insieme alla Conferenza delle Regioni. Grazie alla Coppa Italia delle Regioni abbiamo fatto conoscere in Italia e nel mondo le nostre corse leggendarie. Abbiamo valorizzato le imprese sportive delle nostre atlete e dei nostri atleti. Abbiamo attraversato ben 11 regioni e oltre 800 comuni. Infine abbiamo fatto innamorare e rinnamorare milioni e milioni di italiani. Nessuno di noi si sarebbe immaginato un successo così grande, il nostro meraviglioso film ha avuto inizio così».
Scaroni, Velasco e Ulissi sono stati premiati dal ministro SantanchéI primi quattro della Coppa Italia delle Regioni: Scaroni che ha vinto, poi Velasco secondo, terzo Ulissi e quarto PiganzoliScaroni, Velasco e Ulissi sono stati premiati dal ministro SantanchéI primi quattro della Coppa Italia delle Regioni: Scaroni che ha vinto, poi Velasco secondo, terzo Ulissi e quarto Piganzoli
Scaroni e podio XDS Astana
Ci sono Scaroni, Velasco e Ulissi: tre uomini della XDS Astana ai primi tre posti e forse non è un caso. La squadra aveva bisogno di fare punti ed essere davanti in tutte le corse ha portato a questa classifica. C’è il quarto, Davide Piganzoli, in procinto di conoscere i compagni della Visma-Lease a Bike, superato da Ulissi proprio alla Veneto Classic, che si consola con la classifica degli under 25. C’è Mattia Bais, che ha vinto la classifica dei GPM, e con lui Stefano Zanatta per raccogliere il premio della classifica a squadre del Team Polti-Visit Malta.
«Sicuramente è un motivo d’orgoglio essere qui – dice Scaroni – per il lavoro che abbiamo fatto nell’arco di tutta la stagione. Una classifica del genere si vince facendo le corse che la compongono e cercando di restare sempre davanti. Sicuramente dalle corse in Toscana in avanti, si può dire che sia diventata un obiettivo, ne parlavamo anche con i ragazzi che sono venuti qua oggi. E’ diventata un obiettivo e l’abbiamo conquistata con un buon margine. Mi viene da sorridere se penso che tre anni fa ero sul punto di smettere per la vicenda della Gazprom. E’ servita soprattutto tanta resilienza, non è stato facile. Però dopo tre anni di crescita è arrivata questa soddisfazione e speriamo che ne arrivino tante altre nelle prossime stagioni».
Monica Trinca Colonel, premiata dal ministro della famiglia e pari opportunità RoccellaMonica Trinca Colonel, premiata dal ministro della famiglia e pari opportunità Roccella
La parità di genere. E di premi…
Fra le donne dei piani alti della classifica, c’è solo Monica Trinca Colonel, che racconta la sua caparbietà nel voler sfondare nel ciclismo. La lombarda ha concluso al secondo posto dietro Elisa Longo Borghini, collegata in videoconferenza al pari di Eleonora Gasparrini, prima fra le giovani. Alle sue spalle Gaia Segato, presente con Walter Zini, premiato per il successo della BePink-Imatra nella classifica a squadre.
«Volevo ringraziare fortemente le istituzioni presenti – dice la Longo – perché la Coppa Italia delle Regioni è un’iniziativa unica nel suo genere. E’ importantissima per far crescere il ciclismo in generale, ma soprattutto il ciclismo femminile che ne ha molto bisogno. Vorrei ringraziare il presidente Pella che ha fortemente voluto questa parità, anche per quanto riguarda i premi tra le classifiche maschili e le femminili. E ringrazio anche la Conferenza delle Regioni che ha aiutato a far sì che questa nuova challenge prendesse forma».
Roberto Pella ha fatto gli onori di casa: la Lega Ciclismo con lui ha cambiato marciaRoberto Pella ha fatto gli onori di casa: la Lega Ciclismo con lui ha cambiato marcia
Una grande occasione
C’era tanto ciclismo e tanti ne hanno approfittato per passare un paio di giorni a Roma, che stamattina li ha accolti con un bel sole, mentre ieri li ha costretti a rintanarsi in qualche accogliente trattoria vista la pioggia. Il presidente Pella annuncia per il prossimo anno una serie di circuiti serali che vedranno impegnati gli ex professionisti e si prenota con Fabretti per avere la diretta RAI. Si respira l’enorme possibilità che per il ciclismo può venire da un tale presidente di Lega, ma annotiamo ancora una volta l’assenza di rappresentanti della FCI che della Lega è genitrice (era presente Maurizio Brilli, presidente del Comitato Regionale del Lazio). Se i due enti riuscissero a parlare, forse davvero si potrebbero fare cose grandissime.
Viaggio nella nutrizione con Elisa Longo Borghini nei giorni dell'altura. Borracce, barrette, gel, carboidrati. Come si mangia in allenamento e in gara?
Longo Borghini prima a Roubaix. Azione solitaria di 30 chilometri e buona notte alle altre. La rabbia sfogata. L'attacco istintivo. E una sorpresa prima del via
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Con l’attività provvisoriamente ferma, affrontiamo con Michael Morkov un argomento scottante. Sono giorni di grandi sommovimenti nel ciclismo danese, scosso dalla chiusura della nazionale di Mtb: stop ai fondi federali e soprattutto il licenziamento in tronco del cittì Mads Boedker. Era stata la stessa federazione danese a comunicarlo avvertendo tutti i nazionali (nomi di un certo peso del panorama offroad, tra cui anche gente a mezzo servizio con la strada come il pluricampione del mondo Albert Withen Philipsen) che avrebbero dovuto pagarsi di tasca propria (o meglio, con il sostegno dei club) attività e trasferte internazionali, anche per le prove titolate.
La notizia aveva scosso l’ambiente, tante le proteste non solo dal mondo delle ruote grasse e non solo da quello ciclistico. La Federazione poi è tornata sui suoi passi, trovando un accordo con l’azienda CeramicSpeed per nuovi fondi potendo così riassumere Boedker e garantire l’attività di base. Ma chiaramente il rumore è stato tanto, come anche le implicazioni su tutto il ciclismo danese, anche quello su strada. In fin dei conti parliamo di uno dei movimenti di punta dell’attuale momento, quello che con Vingegaard e Pedersen è praticamente una delle poche vere alternative al dominio di Pogacar.
Michael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschiliMichael Morkov è da quest’anno cittì della nazionale danese su strada, curando tutte le categorie maschili
Michael Morkov ha assunto quest’anno il ruolo di cittì della strada e non si tira indietro nell’affrontare un argomento certamente spinoso, partendo da un’analisi della stagione che aveva portato più di qualche sorriso: «Penso che sia stata fantastica. Probabilmente una delle migliori stagioni che abbiamo mai avuto tra i professionisti, con tante vittorie. Avere Jonas Vingegaard e Mads Pedersen al secondo e terzo posto nella classifica mondiale è davvero impressionante».
L’attività danese si basa quasi interamente sul Programma Elite: come funziona?
Noi tecnici siamo chiamati a gestire l’attività puntando quasi tutto sulle prove titolate. Questo perché abbiamo un calendario ridotto e un budget limitato, non abbiamo molte attività. Siamo quindi chiamati a farcelo bastare, ma va anche detto che il calendario generale non lascia molti spazi, i corridori sono sempre impegnati con i loro team.
Mads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietroMads Boedker con la nazionale di mtb. La federazione ha tagliato i fondi e rescisso il suo contratto, poi è tornata indietro
Nelle settimane scorse si era parlato di problemi economici per la nazionale danese di mountain bike. I problemi coinvolgevano anche quella su strada?
Certo, è tutto nella stessa federazione. Ho seguito con molta apprensione tutta la vicenda, conoscendo personalmente anche i protagonisti. Il problema è molto più grande, non riguarda solo la mountain bike. Già da anni i fondi sono stati tagliati per la pista, per la strada e per il bmx e sono davvero straordinari i risultati che riusciamo a conseguire, ad esempio con il quartetto dell’inseguimento. Quindi, ovviamente, tutto è molto limitato e non abbiamo molte risorse.
Come è strutturato il tuo lavoro durante la stagione? Ci sono ritiri di allenamento e la nazionale partecipa alle gare indossando la divisa della nazionale?
Io sono tecnico sia per gli elite che per gli under 23 – risponde Morkov – quindi concentriamo su questa categoria gli sforzi, anche economici. Questa stagione abbiamo fatto tre prove di Nations Cup con la nazionale e poi abbiamo partecipato a gare UCI danesi come il GP di Herning. Siamo stati presenti alla prima edizione della Copenhagen Sprint, che era una gara del WorldTour e poi al Giro di Danimarca. Il tutto oltre naturalmente alle prove titolate per entrambe le categorie. Uno sforzo di non poco conto, ma era fondamentale esserci, non possiamo limitarci a europei e mondiali
Al centro Vingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” PogacarVingegaard e Pedersen, i migliori del ranking UCI dietro “sua maestà” Pogacar
La Federazione Danese, come altre federazioni sportive, riceve sostegno statale come nel caso dell’Italia attraverso il Comitato Olimpico Nazionale?
Certo che sì e questa è in realtà la nostra principale fonte di sostentamento – spiega Morkov – che proviene dalla federazione e in prima istanza dal governo. Ma purtroppo, a differenza di altri Paesi, la Danimarca non sta supportando il mondo dello sport con grandi risorse. Non so come funzioni da voi, ma i fondi messi a disposizione sono praticamente gli stessi dagli ultimi 10 o 15 anni. Non c’è una compensazione direttamente proporzionale in base ai risultati conseguiti, nel ciclismo come in qualsiasi altro sport e questo pesa. Rispetto ai nostri avversari, penso che siamo molto indietro in termini di risorse.
Proviamo a chiudere con qualche nota di ottimismo: quest’anno Vingegaard ha corso gli europei, speri di averlo al mondiale il prossimo anno?
Assolutamente sì. Spero di riuscirci perché come cittì ho ovviamente un grande interesse nel far partecipare tutti i talenti ai mondiali, dove i più giovani possono accumulare esperienza importante e mettersi in mostra per il resto del ciclismo mondiale, ma dove anche i grandi campioni possono dare lustro alla maglia e lottare per le medaglie. E ancora più importante, ovviamente, è che i campionati siano sempre una forte motivazione per tutta la stagione. Quindi la priorità è avere tutti i migliori. E’ un peccato che quest’anno non abbiamo potuto partecipare con il nostro miglior team, cercherò di fare del mio meglio per rientrare nel budget così da poter portare anche qualche corridore di talento per i campionati del mondo.
Il quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pistaIl quartetto danese oro agli ultimi mondiali, nonostante profondi tagli al budget per la pista
Quali sono le tue speranze per il movimento ciclistico danese nel 2026?
Innanzitutto di continuare a sviluppare i giovani corridori. Abbiamo molti elementi interessanti tra gli under 23 e gli under 19. E penso che uno dei miei doveri più importanti per il mio ruolo sia quello di aiutare questi giovani corridori nei primi passi prima di diventare professionisti. E poi, naturalmente, spero sinceramente che Mads e Jonas possano mantenere, come anche Skjelmose, il loro altissimo livello internazionale e continuare a ottenere grandi vittorie con questi tre corridori.
Morkov, il tuo amico e rivale, Elia Viviani, è alla fine della sua carriera. Alla Sei Giorni di Gand sta salutando l’attività agonistica. Che cosa ne pensi?
In realtà è un po’ triste che finisca la sua carriera perché mi piace sempre seguire Elia. Ho parlato con lui l’altro giorno e gli ho detto che alcuni dei miei migliori anni da ciclista sono stati quelli trascorsi in squadra con lui, dove abbiamo lavorato molto bene insieme alla Quick Step. E’ un mio caro amico e mi mancherà vederlo correre, soprattutto mi mancherà vederlo correre in pista. Anche se credo che ci incontreremo spesso, per i nostri rispettivi ruoli se entrerà a far parte della federazione italiana.
NAKLO (Slovenia) – Gusto, marchio taiwanese produttore di telai per bici da corsa, ha da poco aperto la sua prima sede europea, più precisamente a Naklo in Slovenia. Un paesino vicino alla città di Kranj dove si respira ancora un clima di tradizioni, colori e sapori tipici di questa parte di mondo. La sede europea di Gusto è stata inaugurata un anno fa e la sua modernità è quasi in contrasto con le strutture intorno, con ancora tante parti realizzate con il legno dei boschi circostanti.
All’interno della sede di Naklo viene ultimato l’assemblaggio delle biciclette che poi saranno distribuite sul mercato europeo. Un lavoro del tutto manuale della durata di un paio d’ore dove i tre meccanici: Andrej, Urban e Mark si dividono il carico. Da qui esce una ventina di biciclette al giorno.
Il nostro interlocutore è stato Luka Zele, Gusto Europe Operation ManagerIl nostro interlocutore è stato Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager
Nuove prospettive
Gusto è cresciuta molto nel corso degli ultimi anni, complici alcuni successi sportivi legati al Pogi Team Gusto Ljubljana, certamente, ma anche grazie alla qualità dei propri telai.
«La decisione di trasferire una parte dell’attività qui in Europa – racconta Luka Zele, Gusto Europe Operation Manager – è abbastanza semplice da spiegare. Il ciclismo è un mercato globale, e operando in questo settore da tanti anni Gusto ha voluto espandere i propri confini. Per riuscire a lavorare con continuità con il mercato europeo era necessario stabilirsi nel Vecchio Continente e avere una sede centrale.
«Avere una sede europea – riprende Luka Zele – è importante anche per il mercato asiatico e per l’azienda stessa. Gran parte dell’industria e dell’attività sportiva si concentra qui da noi. Essere vicini agli atleti e ai consumatori ci permette di raccogliere rapidamente i feedback e parte del potere di acquisto che si trova in Europa».
Gusto ha portato in Slovenia parte dell’assemblaggioUna scelta volta a lavorare al meglio e in funzione al mercato del Vecchio ContinenteGusto ha portato in Slovenia parte dell’assemblaggioUna scelta volta a lavorare al meglio e in funzione al mercato del Vecchio Continente
Quali sono le differenze tra il mercato asiatico e quello europeo?
Il mercato asiatico è più orientato verso il ciclismo ricreativo. Un altro aspetto interessante è che in Asia non si vedono molte mountain bike, né biciclette gravel. Di conseguenza distribuire molte bici da strada sul mercato europeo significa prendere una fetta di clientela importante che è ancora affezionata a questa disciplina. Allo stesso modo è utile anche per l’immagine di Gusto in Asia, in quanto facciamo vedere come il nostro brand sia appetibile sul mercato mondiale di riferimento. La combinazione di questi due fattori significa che l’azienda sta crescendo nel suo complesso.
Essere legati da ormai dieci anni a una formazione continental che vantaggi vi ha portato?
Il rapporto tra la nostra azienda e il Pogi Team Gusto Ljubljana è piuttosto stretto. Diciamo che i corridori testano le nostre attrezzature, chiaramente a un livello superiore rispetto agli altri utenti. Un altro motivo che ci spinge a sponsorizzare un team è il marketing e il conseguente ritorno d’immagine, pensate cosa significa per noi il fatto che Pogacar abbia vinto il Tour de l’Avenir con una bici Gusto. Terzo e ultimo motivo è la presenza alle corse, non solo in Slovenia ma in tutta Europa. Da quest’anno anche in tutto il mondo.
Pogacar in sella alla sua Gusto, con la quale vinse il Tour de l’Avenir nel 2018Negli anni il Pogi Team Gusto Ljubljana è diventata una squadra sempre più internazionalePogacar in sella alla sua Gusto, con la quale vinse il Tour de l’Avenir nel 2018Negli anni il Pogi Team Gusto Ljubljana è diventata una squadra sempre più internazionale
Un team che nel frattempo è diventato sempre più internazionale…
Abbiamo avuto modo di creare e far vivere tante belle storie, aiutando molti atleti a raggiungere un livello superiore. Negli anni la squadra si è allargata e sono arrivati corridori australiani, taiwanesi e giapponesi. Anche molti membri dello staff sono passati poi nelle squadre migliori al mondo, nel WorldTour: Ineos, Q36.5 Pro Cycling, Visma Lease a Bike. Per noi avere queste storie da raccontare è un modo per far vedere che il nostro modo di lavorare funziona e sta portando i suoi frutti.
Quanto ha imparato Gusto dal mercato europeo?
In termini tecnici ci sono stati dei feedback importanti con il team. Alcuni piccoli accorgimenti, in particolar modo nel design, che ci hanno permesso di migliorare i nostri telai e le nostre biciclette.
Avete parlato di gravel e mountain bike, Gusto sta pensando di entrare in questo mercato?
L’azienda si è sempre concentrata sulle bici da strada e continuerà così. Allo stesso modo non si può mai sapere cosa comporterà il futuro. Al momento escludiamo il campo delle e-bike e delle mountain bike. E’ possibile vedere qualcosa sul gravel in futuro, che è più simile al ciclismo su strada per certi aspetti.
Gli uffici, al piano superiore della sede: qui vengono gestiti gli ordini dei negozianti in tempi davvero breviGli uffici, al piano superiore della sede: qui vengono gestiti gli ordini dei negozianti in tempi davvero brevi
In che modo vi rapportate con i venditori?
Entrare in un mercato in cui sono già presenti marchi locali ben più noti del nostro non è facile ma abbiamo trovato il modo giusto, a mio avviso. Il rapporto diretto con il rivenditore ci permette di aiutarlo a crescere ed evolvere. Questo lo facciamo attraverso la cooperazione, e non con la competizione. Inoltre i nostri rivenditori non devono fare preordini, ma lavorano con le quantità disponibili e con gli ordini al momento.
Da qui anche l’esigenza di spostare la parte finale dell’assemblaggio in Europa?
Normalmente abbiamo tutte le biciclette disponibili in magazzino e produciamo ciò che viene ordinato con tempi di reazione rapidi. Assemblare in Europa in base alla domanda del mercato è un modo per essere presenti e competitivi.
E’ un sistema che può funzionare anche con numeri più alti?
Certamente, abbiamo già dei piani che ci permetteranno di sostenere una produzione più grande mantenendo lo stesso criterio di gestione degli ordini. Il nostro metodo di lavoro non richiede al negoziante di avere cento o duecento biciclette a magazzino, questa responsabilità ricade su Gusto come azienda. Si tratta di un sistema che ci rende unici e specifici sul mercato.
Sempre più spesso quando parliamo di preparazione viene fuori questa parola: kilojoule. «Si seguono i kilojoule». «Dipende da quanti kilojoule hai fatto». «Volume di kilojoule»… ma cosa sono? Che parametro è?
E’ una domanda ricorrente. E quando si parla di preparazione, magari strettamente legata all’atleta, uno dei migliori interlocutori in assoluto è Domenico Pozzovivo, che oltre a essere un coach affermato e molto aggiornato, è anche un fresco corridore. Insomma, è da entrambe le parti della barricata in qualche modo.
Domenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatoreDomenico Pozzovivo (classe 1982) ha smesso di correre lo scorso anno. Oggi è un preparatore
Innanzitutto, Domenico, di cosa parliamo: è un’intensità, è un’unità di misura?
La possiamo chiamare una metrica, un valore che serve a quantificare il lavoro meccanico svolto nell’unità di tempo. Basta moltiplicare i watt, che sono la misura del lavoro espresso, per il tempo. A quel punto otteniamo i joule. Per ottenere il kilojoule dobbiamo dividere il risultato per mille. E’ semplicemente questo e soprattutto è qualcosa che abbiamo già nei nostri archivi, dal punto di vista dei dati, per valutare l’intensità di un allenamento.
E perché adesso si usano questi kilojoule? Qual è il vantaggio?
Il vantaggio è avere un parametro immediato di quanto lavoro si è compiuto nell’allenamento. Va molto in parallelo, alla fine, con il training score o altri indici che spesso vengono forniti di default a fine training dalle varie piattaforme (tipo Trainingpeaks, ndr). Questo però è un valore assoluto. Attenzione però…
A cosa?
C’è la superficialità di considerarlo come un dato oggettivo, uguale per tutti. In realtà ognuno dovrebbe parametrare il kilojoule a se stesso. Ovviamente un corridore più leggero, esprimendo meno watt di un corridore più pesante, avrà sempre meno kilojoule. Il paragone in senso stretto sarebbe errato e andrebbe relativizzato. Il top del tutto è il kilojoule per chilo, se vogliamo avere un parametro davvero oggettivo e confrontabile.
Sul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumatiSul computerino, in basso a destra, il dato dei kilojoule consumati
Che differenza c’è allora rispetto al valutare solo i watt? Cosa c’è di diverso dal dire, per esempio: a fine allenamento ho fatto 200 watt medi?
Perché dentro c’è anche la durata. Con un numero hai sia l’intensità che il tempo. Riprendendo la vostra frase, per correttezza avreste dovuto dire: “Ho fatto 200 watt medi per tre ore”, mentre nel kilojoule il tempo è già incluso. Con quel numero sintetizzi due grandezze: hai la misura oggettiva di quanto è stressato il tuo organismo perché rappresenta il lavoro meccanico complessivo che hai svolto.
Ci sono relazioni con le calorie bruciate? Tanto più che siamo nell’era dell’uso massiccio dei carboidrati…
Viene associato alla caloria, ma parlando di consumo calorico bisognerebbe dividere per quattro il suo valore. Però non è correttissimo, perché otteniamo il dato dei kilojoule solo dalla pedalata. Abbiamo detto che è una misura del lavoro meccanico, della pedalata appunto. Ma quando un ciclista pedala non produce solo quel tipo di lavoro: i muscoli del tronco stabilizzano, se ti alzi sui pedali lavorano anche le braccia. C’è un lavoro generale dell’organismo, quello per mantenersi in vita, che non viene calcolato nel kilojoule. Per convenzione, se hai consumato 10 kilojoule si dice che hai bruciato 10 calorie, anche se termodinamicamente non sarebbe così.
Preparatori e atleti dicono che oggi l’importante non è solo avere tanti watt, ma riuscire a esprimerli a fine corsa. E fanno riferimento in qualche modo al kilojoule: perché?
In tal senso il kilojoule è una misura molto utile. Dal punto di vista dell’analisi dei dati rende confrontabili prestazioni ottenute su percorsi o situazioni differenti. Ti dice che in condizioni diverse, però, dopo un certo numero di kilojoule sei riuscito a fare 20’ a 6,2 watt/chilo, oppure un altro valore. E puoi confrontarlo con un’altra prestazione svolta in un giorno diverso su un altro percorso.
Adesso si pone tanto l’accento sulla durability…
Appunto: riuscire a fare, dopo tanti kilojoule accumulati nel gruppone, determinate prestazioni ed è ciò che fa la differenza. E’ come un carico che continui ad aumentare sulle tue spalle durante l’attività: alla fine il kilojoule è questo.
Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026Qualche giorno fa Germani ci disse dell’importanza di avere un’ottima durability. Non solo ma è uno dei suoi obiettivi in vista del 2026
Chiarissimo come sempre, Domenico. Ti senti di aggiungere qualcosa? Una chiosa?
Aggiungere no. Piuttosto, mi verrebbe da dire che ci sono anche un po’ le mode. E adesso il kilojoule, se non ce l’hai in bocca, quasi non sei un preparatore! E questo a me fa sorridere. Però è altrettanto vero che è un parametro molto utile e direi immediato. Insomma, non è solo una moda. Quel che voglio rimarcare è che è soggettivo. Faccio un esempio.
Vai…
Ho due ragazzi: uno pesa 70 chili e l’altro 60. Non posso dire a entrambi: «Fai il lavoro dopo 2.000 kilojoule», perché sono due parametri diversi per ciascuno. Sapendo cosa c’è dietro quel numero riesci a usarlo bene. Se lo usi senza capirlo puoi essere addirittura fuorviante.
Perché?
Perché il segreto è rapportarlo al peso dell’atleta. In bici non è una gara di pesi: è sempre uno sport in cui mettere in relazione la prestazione con il proprio peso fa la differenza, tranne negli esercizi puri di sprint. Diciamo che i kilojoule entrano in ballo soprattutto quando si parla di durabilità, cioè di riuscire a ripetere una prestazione anche dopo un determinato carico di lavoro.
Sul Blockhaus è ancora Pozzovivo il miglior italiano. Una gestione di corsa super saggia. Ha risposto bene al forcing di Porte. E ha deciso: farà classifica
Il primo annuncio è stato quello di Leonardo Vesco, in arrivo dalla MBH Bank-Ballan-Csb, poi la notizia che Filippo Agostinacchio rimarrà in squadra, quindi l’arrivo di Stefano Leali. Gli ultimi giorni della Biesse Carrera Premac sono stati decisamente frenetici. Tanti innesti, dovuti alle partenze di altrettanti corridori per i quali era arrivato il momento giusto di lasciare il nido. Infatti i gemelli Bessega faranno parte della rosa della Polti VisitMalta, mentre Filip Gruszczynski passerà professionista proprio con la MBH Bank di Bevilacqua.
Le uniche certezze rimangono in ammiraglia:Marco Milesi e Dario Nicoletti guideranno la continental bresciana anche nel 2026.
«Abbiamo cambiato tanto – ci racconta Milesi in uno dei momenti di pausa di questo novembre – più di metà squadra sarà totalmente nuova. Dei 16 corridori che hanno corso con noi nel 2025, ne abbiamo confermati sette, gli altri sono tutti nuovi».
Favero, uscito dal progetto della Soudal QuickStep è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera Premac (foto Freddy Guérin/DirectVelo)Favero, uscito dal progetto della Soudal QuickStep è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera Premac (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Stessi numeri
Sedici atleti, un numero interessante di corridori che permetterà alla Biesse Carrera Premac di tenere il passo con il calendario messo in piedi lo scorso anno.
«Considerando tutte le nuove gare che sono entrate a far parte del calendario italiano – spiega Milesi – avremo modo di fare tanta attività, in certi casi doppia. Sono arrivati dei profili interessanti, uno di questi è quello di Renato Favero(di ritorno dall’esperienza al devo team della Soudal QuickStep, ndr). E’ un corridore forte che da noi può sbocciare definitivamente. Come lo scorso anno avremo due atleti elite: Agostinacchio e Rossi (nel 2025 erano Dati e Iacomoni, passati entrambi al Team Ukyo, ndr). Inoltre avremo un blocco importante di ragazzi al secondo anno da under 23, tutti profili interessanti e da monitorare».
Michele Bicelli è uno dei profili cresciuti maggiormente nella scorsa stagione (Photors.it)Andrea Donati è un passista dalle ottime qualità anche a cronometro (foto Camilla Santaromita Villa)Michele Bicelli è uno dei profili cresciuti maggiormente nella scorsa stagione (Photors.it)Andrea Donati è un passista dalle ottime qualità anche a cronometro (foto Camilla Santaromita Villa)
Con il passaggio della MBH Bank a team professional sentite di essere diventati il riferimento per il movimento continental?
Penso che anche altre realtà potranno dire la loro, ad esempio la Technipes #InEmiliaRomagna oppure la General Store. Certamente la nostra squadra rimane un riferimento per la categoria under 23, così come lo è stata in passato.
Favero è un altro atleta che torna indietro da un devo team, su quali aspetti bisogna lavorare con questi ragazzi?
Lui me lo ricordo da quando era junior, faceva il bello e il cattivo tempo in gara. Non so se non gli è stato dato abbastanza spazio o se non lo ha trovato, fatto sta che nei due anni alla Soudal ha corso poco. E’ un modo di fare diverso quello dei devo team, improntato molto sulla preparazione. Se un atleta non ha mai lavorato in quel modo, fa fatica ad adattarsi al fatto di non correre tutte le domeniche. Si deve esser forti di testa e rimanere convinti del progetto.
Nicola Zumsteg, svizzero classe 2006: un ottimo scalatore, qui vittorioso su Cretti alla Zanè-Monte Cengio (photors.it)Nicola Zumsteg, svizzero classe 2006: un ottimo scalatore, qui vittorioso su Cretti alla Zanè-Monte Cengio (photors.it)
Programmare l’attività è il solo modo per crescere?
Anche noi con i nostri ragazzi programmiamo i periodi di allenamento, corse e riposo. Un esempio lo abbiamo in Agostinacchio, ora impegnato nel preparare la stagione di ciclocross, il quale prima di tornare a correre su strada farà un periodo di stacco. Sicuramente diamo più spazio agli atleti con un calendario che permette loro di correre e accumulare esperienza.
Chi sono i secondi anni da attenzionare?
Alcuni di questi sono con noi dallo scorso anno e abbiamo visto un grande passo in avanti da metà stagione in poi: Michele Bicelli, Andrea Donati, Davide Quadriglia e Alessandro Milesi su tutti. Avremo anche due innesti dal Velo Club Mendrisio, Nicholas Travella e Nicola Zumsteg. Quest’ultimo si è messo in luce con ottime prove da scalatore, ha vinto la Zanè-Monte Cengio ed è arrivato in top 10 sia al Piccolo Giro dell’Emilia, alla Bassano-Monte Grappa e anche alla Schio-Ossario del Pasubio.
Leonardo Vesco uscito dalla MBH bank-Ballan-Csb è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera di Milesi e Nicoletti (foto Jacopo Perani/think bold)Stefano Leali al quarto e ultimo anno nella categoria U23 è un attaccante nato (foto Instagram)Leonardo Vesco uscito dalla MBH bank-Ballan-Csb è pronto a rilanciarsi con la Biesse Carrera di Milesi e Nicoletti (foto Jacopo Perani/think bold)Stefano Leali al quarto e ultimo anno nella categoria U23 è un attaccante nato (foto Instagram)
I profili di esperienza non mancheranno, oltre a Favero ci saranno Leonardo Vesco e Stefano Leali…
Vesco è un terzo anno e secondo me è forte, molto forte. Leali mi è sempre piaciuto perché attacca e non ha paura, spesso si piazza con azioni da lontano e ha coraggio.
Visto il calendario fitto in Italia riuscirete a mantenere qualche appuntamento all’estero?
Certamente, Giro di Slovacchia, Tour de Mirabelle e Paris-Troyes dovrebbero riconfermare l’invito. Inoltre avendo un corridore svizzero di interesse nazionale (Zumsteg, ndr) abbiamo intenzione di fare qualche gara in più oltre confine. Per il resto stiamo preparando tutto, il primo ritiro sarà a Denia a gennaio e poi partiremo come sempre dalla Coppa San Geo.
La sua vittoria più bella quest’anno l’ha conquistata giù dalla bici in una gara che ogni anno riguarda sempre più corridori. Gaia Masetti ha iniziato il 2025 con alcune aspettative e lo ha finito con altre convinzioni e soprattutto col nuovo contratto firmato con la Picnic PostNL.
Nella seconda parte di stagione abbiamo incontrato tante volte la 24enne modenese come ospite delle gare giovanili del suo comitato provinciale e il suo sguardo era lo stesso che avevamo incrociato alla team presentation del Giro d’Italia Women, l’ultima gara disputata. L’immancabile sorriso aveva assunto sfumature tristi per una serie di motivi sfortunati che avevano minato pure la volontà di continuare a correre. La mononucleosi è infida da sconfiggere e quando passi da un oro europeo con la nazionale al non avere più una squadra, tutto diventa più scuro.
Il suo percorso è stato tortuoso, Masetti si è scoperta scalatrice nelle difficoltà e alla fine è riuscita a scollinare bene con l’aiuto di persone a lei care. Dopo quattro annate con la AG Insurance Soudal (le prime due nel devo team e le altre due nella formazione WorldTour) nella quale è cresciuta molto, Gaia è pronta ad una nuova dimensione.
Gaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNLGaia esce spesso col fratello Simone, che ha corso fino agli juniores. Nel 2026 lei cerca il rilancio nella Picnic PostNL
Possiamo dire che l’ufficialità del passaggio alla Picnic di due settimane fa ha chiuso un periodo cupo?
Assolutamente sì, non ho paura a riconoscerlo. Quando ho firmato tra fine settembre ed inizio ottobre ho cominciato a stare meglio, sia fisicamente che mentalmente, tanto che in bici ho iniziato a rivedere i miei valori e ad avvertire sensazioni buone. E’ stato un sospiro di sollievo, ma durante le trattative in realtà non ero serena, nonostante il mio procuratore mi dicesse di stare tranquilla che era tutto sotto controllo. Mi si erano profilate delle alternative, però la preoccupazione maggiore era capire se potevo restare ancora nel WorldTour dopo una stagione del genere.
Cos’è che ti ha fatto perdere un po’ di fiducia in te stessa?
Infortuni e problemi di salute si sono succeduti in sequenza. Ero caduta alla Strade Bianche fratturandomi alcune vertebre alte e rimediando una forte botta al gomito. Sono stata ferma per un po’ e dopo ero condizionata negli allenamenti. Ho ripreso a maggio all’Itzulia Women e mi sentivo stanca. Prima del Tour de Suisse durante un’uscita di sei ore sul mio Appennino attorno al Monte Cimone, sono stata punta da un ragno violino. Mi sono gonfiata appena rientrata a casa. Al pronto soccorso mi hanno dato del cortisone e non ho potuto più correre fino ai campionati italiani. E non era finita.
Masetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancoraMasetti cade alla Strade Bianche ed inizia il suo calvario. Recupera dalle fratture, ma arriva la mononucleosi a frenarla ancora
Cosa è successo dopo?
La crono tricolore l’ho fatta con numeri non buoni, mentre nella prova in linea mi sono sentita male e svuotata dopo la prima ora di gara. Ho cercato di gestire le forze di quel periodo perché c’era il Giro Women. Volevo correrlo perché ci tenevo ad aiutare Sarah (la compagna Gigante, ndr) a fare risultato come poi è stato. L’ho finito con grandi dolori alla milza, sono arrivata in fondo solo di testa. A quel punto abbiamo approfondito gli esami del sangue che avevo già fatto e abbiamo riscontrato una forte forma di mononucleosi. Dovendo fare almeno tre settimane di stop, il mio 2025 è finito.
Sono quindi subentrati problemi più di natura psicologica che altro?
Proprio così. Da una parte avevo trovato la cura giusta malgrado essendo asmatica alcuni farmaci inizialmente andassero in conflitto tra loro. Dall’altra parte sapevo di non potermi più far vedere in gara né dalla mia squadra, che forse aveva già fatto scelte diverse, né dalle altre. Ad agosto ho toccato il momento più brutto. Ho pianto e sono stata male. Ne sono uscita grazie a Paola Pagani, con la quale collaboro da ormai un anno e mezzo. E’ stata fondamentale per me, a parte il ruolo importante della mia famiglia.
Come ti ha aiutata?
Un anno fa di questi giorni, dicevamo che il 2025 sarebbe stata una stagione magnifica. Invece ad ogni incontro con lei, le dicevo che era sempre peggio. Di natura sono pessimista ed autocritica, ma Paola ha lavorato a fondo con me per farmi vedere il bicchiere mezzo pieno. Assieme a lei ho trovato lati positivi che mi hanno spinta a resistere.
Lo scorso settembre Masetti (con Justine Mattera) è stata ospite di una gara femminile giovanile. La firma con la Picnic era nell’ariaQuando può Masetti (qua assieme alla collega Eleonora La Bella) partecipa sempre alle gare organizzate dal suo comitato provincialeLo scorso settembre Masetti (con Justine Mattera) è stata ospite di una gara femminile giovanile. La firma con la Picnic era nell’ariaQuando può Masetti (qua assieme alla collega Eleonora La Bella) partecipa sempre alle gare organizzate dal suo comitato provinciale
Cosa ti ha consigliato?
Già da prima di agosto ho dovuto distrarmi dal ciclismo e non è stato facile perché non ero disposta a fare passi indietro. Ho seguito le sue parole e alla fine ho ottenuto una vittoria umana e personale che mi ha fatto fare un salto di qualità mentale. Paola l’ho ringraziata pubblicamente e non lo farò mai abbastanza perché immagino che non sia stato semplice per lei spiegare certi concetti ad una ragazza che sta vedendo tutto buio.
La luce in fondo al tunnel, è il caso di dirlo, è stata quella della Picnic. Com’è nato il contatto con loro?
Sapevo che mi stavano tenendo sotto osservazione da un po’ e sono stati i primi a farsi vivi e poi concretizzare tutto. Per la verità dovevano sistemare le posizioni di alcune loro atlete e quindi i tempi non sono stati immediati. Tuttavia ho apprezzato molto questo atteggiamento e le loro parole. Quando hanno risolto quelle questioni, abbiamo fatto una video-call, poi sono andata a Manchester per parlare coi diesse Rudi Kemna e Callum Ferguson. Successivamente ho fatto un salto in Olanda per le misure della bici e dell’abbigliamento. Lassù ho conosciuto anche il mio futuro preparatore che mi ha già stimolata tantissimo per i lavori da svolgere.
Quale sarà il ruolo di Gaia Masetti alla Picnic PostNL?
Innanzitutto visto da fuori mi è sempre piaciuto il loro modo di correre, molto unite. Più che ruolo, abbiamo discusso della mia crescita. Loro ritengono che io abbia buoni numeri per ottenere risultati migliori di quelli avuti finora. So che atleta sono, ma non conosco i miei limiti e so anche che posso migliorare ancora in tanti punti, come intensità o esplosività. Io cercherò di meritarmi il mio spazio in alcune gare.
Nonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessaNonostante un’estate difficile, grazie alle parole di Paola Pagani, Gaia non ha mai perso il sorriso e la consapevolezza di se stessa
Troverai tante connazionali tra cui Rachele Barbieri, modenese come te. Avevi parlato con lei?
Ad inizio contatto con la Picnic avevo sentito Rachele. Lei per me è un riferimento, ma non so se farò parte del suo treno. Di sicuro, come vi ha detto anche lei, anche io sono felice di essere nella sua stessa squadra. Anzi, finalmente ritrovo compagne italiane dopo quattro stagioni e non è male ogni tanto poter parlare la propria lingua in un team straniero.
Sai già qualcosa del tuo programma del 2026?
Dal 10 al 18 dicembre saremo in ritiro a Calpe. So che dovrei iniziare col Tour Down Under e poi proseguire col blocco delle classiche. Non vedo l’ora di iniziare. Arrivo in una squadra molto strutturata con comparti precisi ed un metodo di lavoro ben rodato che mi piace. Per come sono fatta io e dopo l’annata appena trascorsa, questa squadra è proprio quella che mi serviva per ritrovare me stessa.
La Vuelta femminile a maggio e il mondiale ad agosto potrebbero stravolgere le preparazioni delle squadre. Abbiamo sentito il parere di Giorgia Bronzini
Il mondo del ciclismo riabbraccia un figliol prodigo, George Hincapie, del quale si erano perse le tracce da qualche anno. Uno dei nomi di punta del ciclismo americano a cavallo del secolo, vissuti sempre all’ombra di Lance Armstrong con tutte le perplessità lasciate alla storia, Hincapie è comunque uno che ha vinto tanto, anche classiche di grido come la Gand-Wevelgem del 2001. Ora è a capo della Modern Adventure, nuova squadra professional a stelle e strisce che dal prossimo anno sarà in carovana. Non sono mancati finora alcuni ingaggi importanti, come il ritorno fra i pro’ del sudafricano Stefan De Bod e soprattutto l’abbraccio a Leo Hayter, che aveva lasciato il ciclismo a soli 22 anni per colpa della depressione.
Hincapie, dall’altra parte dell’Atlantico sta lavorando alacremente al progetto, in previsione del training camp che si svolgerà a Greenville dal primo dicembre. L’entusiasmo è esattamente quello che metteva sulle strade europee e anche italiane, Paese al quale è rimasto molto affezionato.
George Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivoGeorge Hincapie, 52 anni, ha corso fino al 2012, con 28 vittorie al suo attivo
La tua ultima esperienza da direttore sportivo è datata 2018: che cosa hai fatto da allora?
Per essere precisi sono il proprietario della squadra con 3 direttori sportivi. A quei tempi ne avevamo un paio. Io la supervisiono, la guido. Mi sono rimesso in gioco, dopo che dall’esperienza nella Holowesko Citadel mi sono concentrato solo sulla mia famiglia e sulla mia azienda di famiglia: Hincapie Sportswear. Faccio anche un podcast con Lance e viaggio per partecipare a eventi. Quindi non mi sono occupato più di squadre dal 2018, ma ovviamente sono sempre stato un appassionato di questo sport e di tutto ciò che accade. Tornare è divertente, emozionante, anche snervante, ma è una bella sensazione.
Com’è nata l’idea della Modern Adventure e quali sono le tue ambizioni?
Io voglio creare il dream team americano, il dream team del Tour de France. So che ci vorrà molto tempo, molto lavoro, molta pazienza. Mi sento come quando ho firmato con la Motorola a 19 anni. Sono arrivato in Europa e non conoscevo nessuno, ma era molto allettante per me cercare di dimostrare di essere nel posto giusto. E qualunque cosa fosse successa, volevo continuare a lavorare il più duramente possibile per diventare un ciclista professionista di successo. Trent’anni dopo, sono più o meno nella stessa posizione. Voglio dimostrare di poter costruire una squadra di grande successo e rinvigorire il ciclismo qui in America. Anche se abbiamo alcuni ciclisti straordinari americani, sono in squadre diverse in tutta Europa e non riescono a impressionare il pubblico, ad avere lo spazio d’informazione che meriterebbero. I numeri, in termini di audience, stanno diminuendo qui negli Stati Uniti. Quindi, vorrei ricostruire una squadra di serie A che i tifosi americani possano sostenere.
L’obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l’affetto del pubblicoL’obiettivo del team di Hincapie è dare impulso al ciclismo locale e ritrovare l’affetto del pubblico
Nel WorldTour ci sono altre squadre americane, ma la tua ha una maggiore densità di corridori Usa. E’ una precisa scelta?
Sì, certo. E in futuro, sarà sempre così. Vogliamo avere almeno il 50 per cento di corridori americani. E’ vero, le altre squadre hanno licenza USA, ma hanno al massimo uno o due americani. Noi vogliamo fare qualcosa di diverso. Sceglieremo corridori da tutto il mondo, ma il nocciolo duro sarà sempre nostrano.
Farete attività sia in Europa che nel calendario americano?
Stiamo valutando a quali gare riceveremo inviti in Europa o in Medio Oriente, nei primi due anni correremo ovunque sarà possibile. Essendo la nostra una squadra professionistica di seconda divisione, non ha inviti garantiti. Ma in questo momento sto viaggiando in tutto il mondo, incontrando quante più persone possibile, parlando di noi e della nostra visione. Ovviamente, vogliamo gareggiare in America, ma non ci sono molte gare, quindi faremo quello che è disponibile, ma l’attenzione sarà rivolta al calendario europeo.
La domanda è d’obbligo. Considerando i tuoi rapporti con Lance Armstrong, sarà coinvolto anche lui nel progetto?
No, siamo in contatto, come detto lavoro con lui al podcast ma la squadra è completamente slegata da Lance e anche nella ricerca di sponsor mi muovo in maniera autonoma, attraverso altre vie.
Il roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensiIl roster della squadra americana comprende attualmente 20 corridori, di cui 11 statunitensi
Il programma americano è fatto soprattutto di criterium: secondo te sono utili e hanno un senso nel confronto con le gare europee?
Difficile dirlo, è completamente diverso. Ne faremo qualcuno. Ma non vanno sottovalutati, ci sono gare emozionanti. Sono gare brevi e adrenaliniche. Piene di azione. Anche in notturna. E’ un tipo di ciclismo diverso e non è su questo che vogliamo concentrarci, ma sicuramente ne faremo un paio di grandi solo per essere presenti, solo per costruire un seguito in termini di fan qui negli Stati Uniti. Ci sono anche gare classiche che stanno sviluppandosi, in Maryland, Philadelphia che sta tornando, poi forse faremo la Redlands, che è una corsa a tappe più piccola. E alcune corse gravel, se andranno a buon fine, per i nostri sponsor come Factor e SRAM.
Con voi torna a correre Leo Hayter: come pensate di sostenerlo dopo i difficili messi che ha passato e che cosa può fare?
E’ incredibilmente talentuoso, ha vinto il Giro NextGen, viene da una famiglia di ciclisti. Io so bene quanto sia difficile il ciclismo, mentalmente in particolar modo. Quando ho visto l’opportunità di riportarlo in un ambiente meno stressante, di fornirgli un’ottima attrezzatura e un ottimo allenamento, ho assunto Bobby Julich come mio direttore delle prestazioni. Lavoreremo tutti per togliergli la pressione, ma anche per fornirgli gli strumenti migliori per tornare al suo livello e anche meglio del suo. So che è rischioso per lui firmare con noi, una piccola nuova squadra, e anche per noi legarci a lui, visto che è appena tornato e ha trascorso così tanto tempo lontano dallo sport. Siamo d’accordo che lavoreremo tutti per il meglio. E personalmente sono molto entusiasta di averlo in squadra. Il ciclismo non perdona davvero né dà molte possibilità ai ragazzi. Io voglio essere qualcuno che può dare alle persone delle chance per tornare a praticare lo sport che tutti amiamo.
Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d’inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)Il recupero di Leo Hayter dopo due anni d’inattività è una delle grandi scommesse per Hincapie (foto Getty Images)
Hai intenzione di fare scouting in Europa in futuro, magari in Italia, Paese che conosci bene?
Spero di sì. Sto contattando amici che hanno contatti e conoscenze con gli organizzatori in Italia e anche Maurizio Fondriest mi ha contattato e mi sta aiutando un po’. Voglio correre in Italia, Paese che amo, vogliamo fare tutto il possibile per essere selezionati anche per le gare in Italia e se ci sarà possibilità, portare anche corridori da noi.
Tu hai vinto tanto da corridore, come ti troveresti nel ciclismo di oggi e quanto è diverso dal tuo?
Oh, è molto diverso. Noi gli allenamenti li misuravamo a sensazione, a quantità, oggi è tutto calcolato, l’allenamento, l’alimentazione, il recupero, Il sonno, l’idratazione, i watt… ci sono tanti calcoli e molte meno congetture. Tutti sanno esattamente cosa bisogna fare, quanto cibo devono mangiare. Quindi è molto più avanzato tecnicamente rispetto ai miei tempi. Penso che molti sport guardino al ciclismo per il modo in cui i ciclisti recuperano ora, per il modo in cui si allenano. Credo che sia uno degli sport tecnicamente più avanzati in circolazione.
Lo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e AsiaLo staff del team Professional, che farà attività soprattutto in Europa e Asia
Quali sono le tue speranze e i tuoi obiettivi per il primo anno della squadra?
Dobbiamo intanto concentrarci sull’immagine e sul branding della squadra, dare ai corridori l’opportunità di correre nelle gare più importanti. E non voglio sembrare pretenzioso, ma so che scenderemo in pista e proveremo a vincere cinque gare. Sarà molto difficile, ma voglio avere un impatto, voglio che i ragazzi si presentino sapendo di avere la migliore attrezzatura, i migliori allenatori e voglio che migliorino le loro prestazioni passate. Diventino ciclisti migliori grazie al nostro programma.