Ci sono vittorie che non arrivano attraverso un traguardo o un responso cronometrico, ma che hanno molto più valore. Guardate la foto di apertura, presa dal suo profilo Instagram: ritrae Leo Hayter in gara, dopo un anno e mezzo e la sua espressione, al di là dello sforzo fisico, è quella di un giovane che ha ritrovato la passione. Ve lo ricordate? Lo avevamo lasciato lo scorso agosto quando a 22 anni aveva deciso di dare un taglio netto con la sua vita di corridore. Chiudendo repentinamente un contratto molto vantaggioso con la Ineos Grenadiers, piegandosi a quello che viene definito il “male oscuro” della depressione. Ora è un uomo nuovo, forse sarà anche un corridore nuovo.
Riavvolgiamo il nastro. Del corridore londinese si comincia a parlare nel 2021, quando raccoglie le sue prime vittorie internazionali. Di spessore, considerando che porta a casa anche la Liegi-Bastogne-Liegi per U23. Poi c’è quel cognome, quello di suo fratello Ethan sempre più in evidenza sia come sprinter di lusso, sia come finisseur, sia anche come pistard colonna della nazionale britannica. Un paragone continuo, soprattutto l’anno successivo quando dimostra di essere uno dei migliori prospetti per le corse a tappe aggiudicandosi una bellissima edizione del Giro NextGen mettendo sotto scacco corridori già molto affermati come il francese Gregoire. I giornalisti lo pressano, vogliono sapere tutto di lui, i paragoni con il fratello sono in ogni intervista.


Troppa pressione e poca pazienza
Nel 2023 approda all’Ineos Grenadiers andando ad affiancare proprio Ethan, anche se i due, per caratteristiche, s’incontrano poco. Il più grande è già affermato specialista delle brevi corse a tappe come pregiato finisseur e poi si divide con la pista. Leo è visto come un ottimo prospetto per i grandi giri, ma bisogna lavorarci sopra lentamente. Già, lentamente, una parola che nel ciclismo attuale non è molto apprezzata, figurarsi per un giovane che vuole tutto e subito. L’anno si chiude con 30 giorni di gara e buone indicazioni alla Settimana Coppi e Bartali, ma lì la sua stagione s’interrompe per 4 mesi e già qualche campanello d’allarme inizia a suonare.
L’anno dopo, corre da gennaio a maggio, ma che sia in Australia o in Europa, è sempre nel fondo del gruppo. Pallida copia di quel che si era visto solo due anni prima. Non è problema di gambe o di condizione, non è il fisico che non risponde. A giugno, prima dei campionati britannici, Leo annuncia che mette in pausa la propria carriera (attenzione a questa frase…) per curarsi da una forte depressione che lo attanaglia sin da quando ha fatto il salto di categoria. La squadra gli è sempre stata vicino, ma si è resa conto di non avere più un proprio effettivo perché da tempo Leo non è più un corridore. Servono tempo, cure, terapie per riprendersi. Il ciclismo non è più un fattore primario, almeno non “quel” ciclismo.


La fatica per alzarsi dal letto
«Pensavo che fosse colpa mia – racconta Leo in un suo post sui social, che da sempre sono per lui una sorta di diario di bordo – che mi mancassero le motivazioni. Non c’era sintonia tra mente e fisico. Credevo che sarebbe passato, invece non è così. A maggio 2023 ero completamente bloccato, non riuscivo a lasciare il mio appartamento ad Andorra, a fatica mi alzavo dal letto. Il team ha fatto di tutto, mi ha sottoposto a una valutazione che ha dato il responso temuto: depressione. Mi sono preso una pausa, ho iniziato a prendere dei farmaci, ho iniziato un cammino lungo, molto più lungo di qualsiasi competizione ciclistica. E più duro….
«Sono tornato a fine stagione, al Tour of Guangxi in Cina, sembrava che il ciclismo tornasse a sorridermi, che la voglia riemergesse. L’inverno è andato bene ma non appena sono tornato ad allenarmi, sono tornate le stesse percezioni e gli stessi pensieri negativi, lo stesso panico, la stessa fatica ad alzarmi, ad affrontare la vita. Mi vergognavo di non essere al livello che volevo. Non dormivo, non mi allenavo, mi chiudevo sempre più in me stesso, isolato dal mondo. E mi sfogavo sul cibo».


Le piccole scosse elettriche dell’ansia
Nel suo articolato racconto, Leo spiega anche la coesistenza con l’ansia, qualcosa che è comune a tante persone: quella macchina che ti sorpassa all’improvviso, quei piccoli normalissimi eventi che su di lui come su altri hanno l’effetto di una scossa elettrica che ti blocca per lunghi istanti. Qualcosa di difficile da sopportare nella vita quotidiana, figuriamoci per un ciclista professionista. Leo ha spiegato nei particolari anche le cause di questo stato.
«Questa pressione viene sempre da me stesso, una pressione interna per essere il migliore, ossessionato dalla perfezione, che nello sport non è qualcosa di realistico o realizzabile giorno per giorno. Le piccole battute d’arresto fanno parte dello sport, ma io non riesco a gestirle in modo positivo. Quando l’anno scorso ho fatto un passo indietro, i miei livelli di testosterone sono aumentati notevolmente, dormivo meglio, ero più socievole e non mi abbuffavo, non ho mai perso peso così rapidamente. Ho sempre ottenuto buoni risultati quando non c’è pressione su di me e mi sento tranquillo. Tutte le mie prestazioni più importanti sono arrivate in questo modo».


La lenta scalata verso la luce
Da allora, Leo è scomparso dall’ambiente, ma a ben guardare proprio in quelle parole c’erano i prodromi della soluzione. Il britannico si è dedicato completamente a se stesso, affrontando un lungo lavoro psicologico che sembra avergli restituito innanzitutto la voglia di correre, di rimettersi in gioco senza chiedere troppo a se stesso. Leo ha detto, sempre sui social, di voler ricominciare e per farlo vuole partire non più dall’alto, ma trovare (con l’aiuto dell’Ineos) un team continental per riprendere l’attività.
«Sono passati 426 giorni dall’ultima volta che ho indossato un numero di gara, ma molti di più da quando ho partecipato a una competizione con desiderio di farlo. Mi “alleno” da pochi mesi e questo è già un grande risultato, frutto di tanta terapia, frequenti telefonate, lavoro su me stesso, nuova mentalità e ritrovata motivazione. Ora sono sicuro di voler essere un ciclista, ma non è tutto ciò che sono. Per molto tempo le prestazioni scadenti e l’aspetto fisico hanno definito la mia immagine di me stesso. Non volevo allenarmi con i miei amici, né tantomeno vederli, per paura che avessero la stessa opinione degradante che avevo di me stesso».


15 chili in più, ma tanta voglia di tornare
Hayter ha già gareggiato al campionato catalano a cronometro: «Peso 15 chili più del mio peso forma, eppure è stata una delle mie migliori prestazioni (…) Per la prima volta dopo tanto tempo sono ottimista per il futuro. Voglio tornare al ciclismo professionistico nel 2025, intanto mi sono posto come obiettivo la Chrono des Nations del prossimo ottobre, voglio salire sul podio, ma per gareggiare devo far parte di una squadra continental. C’è qualche team che è interessato?».
Se raggiungerà quel podio lo sapremo solo con il tempo, ma già il fatto di aver trovato la voglia di esserci è una grande vittoria e un esempio per chi è nelle sue condizioni. Tanti ciclisti ci sono passati, alcuni sconfinando nella tragedia, altri come ad esempio Dumoulin piegandosi al destino. Leo ha combattuto la sua battaglia e anche se non si può dire se abbia vinto, almeno ha lanciato un grande segnale di ottimismo.