Una Coca con Hincapie, prima di ripartire

26.07.2021
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La storia di George Hincapie vale la trama di un film. Ed è per questo che mentre l’americano parla seduto a un tavolo in questo angolo caldo di Toscana, davanti agli occhi scorrono le immagini di una vita affascinante ma dura. Hincapie il gregario, figlio di colombiani emigrati in America. Scoperto per caso a Central Park da quel mecenate (marchigiano) della bici che si chiamava Fred Mengoni e portato alla Motorola appena un anno dopo l’arrivo di Armstrong che in un modo o nell’altro gli avrebbe cambiato la vita.

L’ottavo, il primo

Quando Evans l’ha chiamato per venire a Saturnia a festeggiare i 10 anni del Tour, George ha prenotato in men che non si dica. Ne aveva già vinti sette accanto al texano, ma di quel giallo restano soltanto le ombre, una dannata parentesi della storia con cui fare quotidianamente i conti. George i conti li chiuse nel settembre del 2012, giusto l’anno dopo il Tour con Evans, quando fu costretto a raccontare la sua versione della storia e questo gli valse sei mesi di sospensione e le vittorie dal 31 maggio 2004 al 31 luglio 2006. Aveva 39 anni, il ciclismo aveva poco altro da regalargli e così smise.

Uomo in affari

Ci ha sempre regalato la sua gentilezza, anche se con gli occhialoni e la barba ispida sembra un vero cow boy. Oggi gestisce un hotel cui ha dato il nome di Domestique, gregario, ai piedi della Blu Ridge Mountains in South Carolina: monti nella catena degli Appalachi resi celebri da alcune canzoni di John Denver. Le stanze di quell’hotel portano il nome di alcune delle località che lo hanno visto sudare su una bici. Bordeaux, Courchevel, Aubisque, Aspin, La Madeleine, Galibier, Azet, Chartres, Colombiere, Lombarde, Portillon, Dijon, Tourmalet. E anche l’ospitalità, fra campi da golf e tour in bicicletta, è la somma delle esperienze in giro per il mondo.

Accanto al suo ultimo capitano, Hincapie sulle strade etrusche di Saturnia
Accanto al suo ultimo capitano, Hincapie sulle strade etrusche di Saturnia

In più ha una linea di abbigliamento fondata nel 2002 con suo fratello Rich, con cui vestì anche la BMC di allora, e coordina l’organizzazione di tre Gran Fondo che portano il suo nome: in South Carolina, in Pensylvania e in Tennessee.

La nuova vita

Da quel passato ha preso le distanze e anzi si è fatto portavoce di un diverso modo di fare ciclismo, quello giusto e certamente sano.

«Io e Cadel – ricorda – abbiamo fatto un pezzetto di storia insieme. Siamo partiti da quella che sembrava una piccola squadra e quello che abbiamo fatto è stato davvero importante nella mia carriera. Non potevo dire di no. Naturalmente l’ho fatto per tutto il gruppo, è bastato rivedere il video l’altra sera in cui si raccontava quel Tour. Mi ha chiamato a giugno, dicendomi che si sarebbe potuto fare qualcosa del genere, ma non aveva le idee chiare. I dettagli li ho saputi la settimana scorsa…».

Un sorso di vino prima di ripartire: per Hincapie ora il ciclismo è relax
Un sorso di vino prima di ripartire: per Hincapie ora il ciclismo è relax

Gregario e leader

La magia di quella BMC è qualcosa di cui abbiamo parlato spesso con i corridori che ne facevano parte e accettarono a malincuore di disperdersi, quando con la morte del fondatore Andy Rihs fu chiaro che il team avrebbe cessato di esistere.

«La grande forza di quel team – racconta – fu prima di tutto Andy Rihs, molto appassionato di sport. Poi Jim Ochowitz, un grande boss, e John Lelangue, un grande direttore sportivo. A quel punto della mia carriera avevo bisogno di un ruolo diverso, al servizio di un capitano. Quando diventi un professionista, ti rendi conto che il talento può portarti lontano, ma non basta. Ti rendi conto che tutti a quel livello sono straordinariamente bravi e la vera differenza è mentale. Nasce tutto dal tuo desiderio di lavorare, la disciplina sul lavoro. Queste sono le cose che fanno la differenza. E per me arrivare nella squadra di Cadel significava accettare anche più responsabilità, mi sono goduto quella piccola parte della mia carriera».

Verso l’ignoto

Il ciclismo oggi è un’altra cosa, ma non solo per l’impressionante mole dei controlli messa in atto proprio dopo quel dannato periodo americano, ma anche per cosa significa essere in gruppo.

«E’ un altro mondo – dice – noi eravamo pronti per qualsiasi cosa succedesse sulla strada, ci conoscevamo bene come squadra e andavamo spesso verso l’ignoto. Sulle mappe non c’era scritto se le strade fossero strette oppure molto ripide. Potevi aver fatto il sopralluogo e ricordare qualcosa, ma nessuno sapeva tutto nei dettagli e la bravura stava nel reagire e nel gestire le situazioni. Invece adesso sanno tutti esattamente ciò che sta per accadere e secondo me tanta tecnologia aumenta lo stress e tutto diventa più pericoloso. Vedo i corridori combattere sempre per tenere la testa. Ma resta bello. Sono ancora contento di guardarlo in televisione».

Sosta per fare qualche foto: Evans, Bookwalter e Hincapie
Sosta per fare qualche foto: Evans, Bookwalter e Hincapie

Back home

George rientrerà oggi negli Stati Uniti, proprio nel momento in cui ha iniziato a fare pace con il fuso orario. Si è goduto ogni attimo con il sorriso sul volto, chiedendosi se e quando si vedranno ancora. E’ stato già tanto aver potuto volare nonostante il Covid.

«Torno al mio piccolo hotel in South Carolina – dice – e alla mia linea di abbigliamento che mi porta in giro per il Paese. Ho molto da fare. Ho tre Gran Fondo, sono ancora coinvolto nel ciclismo. Ma a Cadel non potevo dire proprio di no».

La prossima Gran Fondo si correrà il 23 ottobre a Greenville, nel South Carolina, sulle strade in cui era solito prepararsi per il Tour. George sembra ancora in gran forma. A vederlo passare sulla sua BMC in un paio di inquadrature è parso di riconoscere il corridore che nel 2011 aiutò il suo capitano a vincere il Tour de France. E di quello negli annali resterà per sempre la traccia.