La ripartenza dei paralimpici. Addesi fra medaglie e discussioni

12.05.2025
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Anche l’attività paralimpica è ripartita e anzi ha già vissuto un importante evento internazionale come la prova di Coppa del Mondo di Ostenda (BEL) dove la rinnovata nazionale ha fatto davvero faville, con 13 medaglie in totale (5 ori, 2 argenti e 6 bronzi).

Era il primo test per Pierpaolo Addesi, rinnovato alla guida del settore dopo la chiusura del quadriennio olimpico. Anzi, con una prospettiva diversa, essendo state unificate sotto la sua guida strada e pista. E il tecnico azzurro si è subito messo all’opera per trovare forze fresche, considerando l’età avanzata di alcuni esponenti storici. Una ricerca non scevra anche di qualche mugugno, considerando che c’è chi dice che stia andando a cercare nuovi azzurri nel mondo professionistico o giù di lì andando a spulciare eventuali appigli sanitari per inserirli fra le categorie paralimpiche.

Pierpaolo Addesi, impegnato in un difficile lavoro di scouting sostenuto da FCI e CIP
Pierpaolo Addesi, impegnato in un difficile lavoro di scouting sostenuto da FCI e CIP

Addesi non si tira indietro rispetto a un argomento che può risultare spinoso, ma per affrontarlo bisogna farlo con la giusta attenzione: «Siamo in un momento di passaggio, come ogni quadriennio. Già ai mondiali di Zurigo si era capito che avevamo bisogno di forze fresche perché alcune delle nostre colonne volevano chiudere o non erano più al livello d’eccellenza. Ho iniziato a girare, a prendere contatto con le società ma mi sono trovato di fronte un muro che spero di abbattere con la loro collaborazione».

Perché?

Basta guardare all’estero, dove ci sono tanti ciclisti elite che fanno la loro regolare attività su strada ma che hanno malformazioni, o dalla nascita o frutto di qualche incidente, che consente loro di fare anche attività parallela nel paraciclismo. Cosa significa ciò? Che alla società non si toglie nulla, anzi si aggiunge qualcosa a livello di vetrina, di messaggio culturale. Invece si pensa che se a un ciclista si propone di fare attività nel nostro settore, lo si vuole portar via.

Piazza d’onore per Chiara Colombo ed Elena Bissolati, tandem che finora ha privilegiato la pista
Piazza d’onore per Chiara Colombo ed Elena Bissolati, tandem che finora ha privilegiato la pista
Dall’altra parte però c’è chi dice che si cercano scorciatoie…

Non è assolutamente così. Io applico solamente quelle che sono le regole in vigore. Se un ciclista, per fare un esempio, ha un polpaccio inferiore all’altro, per qualsiasi ragione, potrebbe rientrare in una specifica categoria e può competere in quella. Perché non farlo allora? Molti non lo sanno neanche. Guardate ad esempio Dementiev, l’ucraino campione paralimpico che da tanti anni fa la sua attività nelle continental. O la stessa Cofidis, che nel suo roster ha due atleti con regolare contratto professionistico che fanno attività paralimpica.

E’ anche un problema culturale?

Forse, ma io ci vedo più ignoranza, nel senso letterale del termine. Dimenticando che facendo attività nazionale paralimpica si acquisiscono i requisiti per avere un contratto con un corpo militare e quello puoi tenerlo per tutta la vita. Si va anche al di là del puro discorso sportivo – avverte Addesi – Deve essere chiaro il fatto che da parte mia e della federazione non c’è alcuna forzatura, applichiamo solo la classificazione internazionale. Per rientrare in una categoria paralimpica bisogna superare rigidi esami medici da parte della commissione internazionale, che fra l’altro è diventata anche molto più severa e a tal proposito posso raccontare un aneddoto…

Protagonista assoluta in Belgio Roberta Amadeo, vincitrice sia in linea che a cronometro
Protagonista assoluta in Belgio Roberta Amadeo, vincitrice sia in linea che a cronometro
Prego…

A Parigi c’è stato un atleta che cogliendo il secondo posto ha impedito a Giorgio Farroni di vincere la medaglia olimpica. Questo atleta aveva una malformazione che fino all’anno prima lo faceva appartenere a un’altra categoria, poi era stata cambiata la regola. Ora è stata nuovamente cambiata e quell’atleta è tornato alla categoria precedente. Il danno è stato tutto per Farroni, che si ritrova senza una medaglia ampiamente meritata.

La tua ricerca ha portato risultati?

Qualche atleta nuovo c’è come Giacomo Salvalaggio dell’Uc Pregnana oppure Riccardo Stacchiotti, che aveva chiuso la sua carriera nel 2021. A causa di un incidente in moto nel 2023, Riccardo ha qualche problema nella mobilità di una caviglia. Sapendolo, l’ho consultato e gli ho proposto l’idea che ha accolto con entusiasmo. A Ostenda ha chiuso 5° perché deve riprendere confidenza e perché si è reso conto che le competizioni paralimpiche sono molto diverse, ma la volata del gruppo l’ha vinta con facilità.

Per Giacomo Salvalaggio, under 23 dell’Uc Pregnana, subito un bronzo nella categoria MC5
Per Giacomo Salvalaggio, under 23 dell’Uc Pregnana, subito un bronzo nella categoria MC5
Le gare di Ostenda che cosa ti hanno detto?

E’ un risultato complessivo molto buono considerando anche che in questo periodo tradizionalmente non siamo al massimo e paghiamo dazio rispetto ad altre nazioni. In primis la Francia che ha un movimento pauroso. Ne parlavo con il mio omologo transalpino, Laurent Thirionet, mi diceva che dopo Rio 2016 hanno fatto una profonda ristrutturazione del settore, con 50 atleti scaturiti da una grande ricerca. Noi ci stiamo ispirando e stiamo prendendo esempio da quel sistema. Tornando alle gare belghe, ho raccolto molte positive indicazioni

L’handbike resta il nostro pezzo forte?

Sicuramente, lì abbiamo un gruppo consolidato e sono molto fiducioso su quel che potremo fare da qui in avanti. Ma stiamo crescendo anche nelle altre categorie. Il tandem ad esempio mi dà molte speranze, con la coppia Toto-Bernard che possono solo crescere dopo aver vinto la gara in linea. Paolo rispetto a Davide Plebani è più stradista e quindi si deve ancora amalgamare con Bernard, ma sono convinto che soprattutto a cronometro hanno margini enormi, come anche Bissolati-Colombo, una coppia più per la pista ma che credo anche su strada potrà far bene.

Lo sprint vincente di Paolo Toto e Lorenzo Bernard, vittoriosi alla loro prima uscita internazionale
Lo sprint vincente di Paolo Toto e Lorenzo Bernard, vittoriosi alla loro prima uscita internazionale
Poi c’è la Cretti…

Credo che a Ostenda si sia visto il suo vero valore – afferma Addesi – Finalmente posso lavorare con lei a pieno livello, fra strada e pista. E’ un’atleta nuova, la volata che le ho visto fare mi ha riempito il cuore. Ha chiuso la parentesi dello scorso anno lavorando duro, anche fisicamente è molto più asciutta e tirata. In questo vorrei dire grazie al Team Performance che ci sta dando una grande mano, sia per la pista che per la strada. Con una direttiva ben chiara.

La smorfia di Claudia Cretti al traguardo, dopo la sua volata tanto imperiosa quanto vincente
La smorfia di Claudia Cretti al traguardo, dopo la sua volata tanto imperiosa quanto vincente
Quale?

Privilegiare quelle che sono le categorie e le specialità olimpiche. Vincere medaglie europee e mondiali in altre prove, dove la partecipazione è ridotta perché a tante nazioni non interessano, non serve a molto, noi dobbiamo concentrarci sulle prove olimpiche perché sappiamo bene che il nostro lavoro viene giudicato ogni quattro anni, in quello che è l’evento principe.

EDITORIALE / Il bello e il brutto del Giro in Albania

12.05.2025
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Dopo cinque giorni in Albania, il Giro torna in Italia e finalmente il popolo del ciclismo potrà riabbracciare i campioni e vederli sulle sue strade. In qualche modo si tratta di un ritorno a casa che però non deve, a nostro avviso, screditare la partenza appena vissuta.

Nei giorni albanesi ne abbiamo viste, vissute e sentite di ogni forma e colore. La nota comune è che la gente non sembrasse troppo informata. Ai massaggiatori della UAE Emirates, entrati in un supermarket, è stato chiesto se appartenessero a una squadra di calcio. Altro punto rilevato è stata la scarsa presenza nelle città di cartelloni inneggianti alla grande corsa italiana. Vero anche questo. Le strade al di fuori dei percorsi di gara erano messe maluccio. Il traffico non è affatto abituato a gruppi in allenamento. E i cani randagi sono stati per tutto il tempo una presenza fissa e non sempre ammiccante. Che cosa ci ha dato dunque l’Albania oltre ai milioni di euro che ha versato nelle casse di RCS Sports & Events? E che cosa potrebbe aver lasciato il Giro d’Italia?

Il premier Edi Rama ha visitato il Giro sabato per la crono. Qui un selfie con Vegni (foto Giro d’Italia)
Il premier Edi Rama ha visitato il Giro sabato per la crono. Qui un selfie con Vegni (foto Giro d’Italia)

Parte della scena

E’ stato evidente che da quelle parti il ciclismo non sia lo sport più popolare, come supponiamo che i mondiali in Rwanda attireranno l’attenzione di pochi e saranno soltanto un rumore di fondo per gli altri. Il criterio con cui si individuano i luoghi delle grandi partenze sono sicuramente prima economici e poi forse anche tecnici. E’ quindi un fatto che se l’Albania ha ritenuto di investire per portarsi il Giro a casa, un motivo ce l’aveva ed è emerso dalle parole del premier, appena rieletto.

«Un tempo sarebbe stato impensabile – ha detto Edi Rama nella sua apparizione di sabato – oggi è realtà. Il Giro parla della nostra amicizia con l’Italia, dell’apertura del Paese, della crescita della nostra immagine nel mondo. Da terra dimenticata siamo diventati protagonisti sugli schermi di milioni di persone. Vogliamo essere parte della scena, non per guardare, ma per esserci. Siamo piccoli per superficie, ma non ci mancano il coraggio e la bellezza. Siamo uno Stato europeo a tutti gli effetti».

La promozione

Quasi nessuno fra noi presenti alla grande partenza era mai stato in Albania, mentre siamo piuttosto certi che qualcuno abbia pensato almeno una volta di tornarci. Si tratta di promozione e il grande evento sportivo è la migliore cassa di risonanza. Mentre per il Paese che vuole fortemente entrare in Europa, è importante iniziare a frequentare ciò che in Europa si dà quasi per scontato.

«L’Albania è molto più che spiagge – ha detto ancora Rama – è storia, montagne, vita autentica anche lontano dalla costa. Attraverso il Giro, milioni di telespettatori scopriranno un Paese spesso giudicato superficialmente. E credo che ne rimarranno sorpresi. Oggi abbiamo atleti che gareggiano con dignità in discipline che prima neanche si nominavano. Il successo non è più un’eccezione, ma sta diventando parte della nostra normalità».

E’ un fatto che l’Albania stia crescendo, punti ad entrare in Europa e abbia ancora strada da fare. Ha vissuto anni di chiusura al mondo e vi si sta affacciando dovendo offrire parallelamente la necessaria apertura mentale alla sua gente. Semmai c’è da capire in che modo gli albanesi siano stati affiancati nel grande lancio e se nel contratto fosse presente un capitolato con i necessari obblighi legati alla comunicazione e alla cartellonistica.

Oggi il Giro riposa in Puglia, da domani si riparte con Pedersen in rosa
Oggi il Giro riposa in Puglia, da domani si riparte con Pedersen in rosa

I pregiudizi

Il Giro d’Italia ha vissuto in Albania tre giorni di buonissima intensità. La prima vittoria di Pedersen. Poi la crono dei distacchi minimi. Quindi la rosa bis del danese. La corsa ha espresso ottimi standard, per quello che si può esprimere nelle prime tre tappe. Nonostante il traffico pazzesco, non si sono registrate intemperanze da parte degli automobilisti, perché per ogni piccolo incrocio era presente un agente di polizia. Le staffette in moto hanno detto di aver collaborato meglio con la Polizia albanese di quanto accada con quella italiana. Una capretta è entrata in gruppo e un cane ha attraversato la strada, lo abbiamo visto. Allo stesso modo in cui vedemmo il cavallo che corse assieme a Demi Vollering alla Strade Bianche del 2023. E come siamo certi che non tutti i romani fra due settimane sapranno che il traffico sia impazzito per la presenza del Giro d’Italia e se ne staranno buoni agli incroci per vederlo passare.

Insomma, siamo partiti per l’Albania con diversi interrogativi e ne siamo tornati con punti di vista diametralmente opposti. Le persone con cui ne abbiamo parlato nei giorni scorsi si sono dette stupite per la bellezza dei luoghi mostrati dalle dirette. A conferma che il pregiudizio sia soprattutto figlio dell’arroganza che poggia a sua volta sulla non conoscenza. Mentre a volte mostrare un po’ di curiosità sia un esercizio che rende più ricchi.

Calendari fittissimi: ma quando si allenano i corridori?

12.05.2025
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Quando si parla di preparazione uno dei nostri cardini è senza dubbio Pino Toni. Stavolta al tecnico toscano abbiamo sottoposto un argomento che è sì di preparazione, di allenamento, ma forse è anche “politico”, se vogliamo. In pratica, facendo un po’ i conti e parlando con diversi corridori, ci siamo resi conto di quanto i corridori abbiano già messo nel sacco… e tante altre gare li aspettano.

Alla luce di tutto questo ci siamo posti una domanda: ma quando si allenano? Oggi, si vede quanto fare programmi, alternare fasi intense e di recupero sia importante. Lavorare sulla forza o fare l’altura. Giovanni Carboni è uno di quelli che ha già oltre 30 giorni di corse nelle gambe e tantissime altre ne ha in lista. Alex Aranburu, Thibault Guernalec che supera i 35, e Jorge Arcas che addirittura guida questa classifica con 40 giorni. Lo scorso anno Damiano Caruso finì la stagione con 82 giorni di gara e fu il primo. Ad inizio anni 2000-2010 superare i 100 giorni era cosa consueta. Adesso non più e quei 30 e passa giorni di gara fanno riflettere.

Il coach toscano Pino Toni
Il coach toscano Pino Toni
Toni, molti corridori, specie di team non di primissimo piano, “non si allenano” più. Nel senso che sono sempre impegnati a correre…

E’ così. I big hanno la preparazione studiata nei dettagli, ma gli altri seguono il calendario, punto. Le squadre oggi fanno troppe corse, troppe. E con il sistema a punti attuale vanno a fare anche le gare 2.2 per cercare di accumulare qualcosa. Quindi si incastrano le corse brevi di uno o due giorni, le brevi gare a tappe, e quando uno corre tutte le settimane, ti ritrovi che l’allenamento lo fai… in gara.

E come si fa in questi casi?

Devi calibrare bene la gara e quei giorni tra una competizione e l’altra. Non puoi caricare l’atleta in settimana e allora lo porti alla corsa nella miglior condizione possibile e la corsa diventa il giorno di carico. Ma non è semplice. Non puoi più permetterti di “andare a fare la corsa per arrivare”, perché poi rischi pure il contratto, oltre che fai una fatica bestiale. Oggi i ragazzi sembrano quasi carne da macello e mi dispiace dirlo.

Quindi è una questione più “politica”, se vogliamo, che tecnica?

E’ chiaro. Un corridore non va in gara perché c’è un fine tecnico, ma perché la squadra ha bisogno di punti. Se non sei nei primi 30 del ranking, non fai i Grandi Giri. Specie le squadre Professional (ma anche qualche WorldTour aggiungiamo noi, ndr), mandano i corridori ovunque. Il ragazzo ti chiede di fare l’altura ma non ha tempo, corre ogni settimana. Fa tre giorni a casa, poi è di nuovo su un aereo. Ed è così per tantissimi. A tanti team interessa solo che abbiano avuto punti l’anno prima, li prendono al minimo salariale e li fanno correre.

Le professional e le WT più piccole pagano a più caro prezzo questa rincorsa ai punti e a risentirne sono soprattutto i corridori
Le professional e le WT più piccole pagano a più caro prezzo questa rincorsa ai punti e a risentirne sono soprattutto i corridori
Come gestite la preparazione in questi casi?

Si parte dal capire quanto recupera. Se recupera bene, gli metti qualcosa tra una corsa e l’altra. Altrimenti, lo tieni “a galla”: mantieni il peso, l’alimentazione, gli fai fare un po’ di ritmo dietro moto, ma niente carichi. Le 5 ore insomma non le fai più.

E la palestra, la forza per dire, che è ormai un cardine anche nel pieno della stagione è praticamente impossibile inserirla?

Non è detto, magari puoi sostituire un paio di uscite con della forza leggera, ma è complicato. Come ripeto, va calibrato bene con il recupero e le tempistiche tra una gara e l’altra.

Oggi si usa anche la tenda ipossica, che ora è stata sdoganata anche in Italia, ha senso farla? Il problema di questi ragazzi è che spesso non possono inserirci l’altura ideale per costruire e rigenerarsi…

Non è l’altura certo, ma è utile se fatta in blocchi di 3-4 giorni, può dare uno stimolo. Non serve starci settimane come per l’altura. In tenda sei in ipossia senza fare fatica. Alla fine l’allenamento è una forma di ipossia e vai in debito di ossigeno se sei in quota o se spingi forte in allenamento. Il principio è quello.

A livello psicologico non è pesante per i corridori? Vent’anni fa, per dire, quando arrivavano le corse di primavera ed estate in qualche modo si era più tranquilli. Si correva al mercoledì (o al martedì), il sabato e la domenica…

Ma quello è il ragionamento dei dilettanti… di un tempo. A livello psicologico per un professionista attuale è tosta, ma lì entrano in gioco il preparatore e l’ambiente. Se il corridore si convince che “non vado forte perché non ho fatto l’altura”, è finita. Allora devi fargli capire che si può fare bene anche così.. Il coach deve aiutare il corridore a capire che non è tutto perduto, che c’è un modo per salvare la stagione anche senza i blocchi di allenamento perfetti.

Zabel per nove volte è stato il corridore con più giorni di corsa in stagione. Otto volte ha superato quota 100, il record nel 2000: con 114 giorni
Zabel per nove volte è stato il corridore con più giorni di corsa in stagione. Otto volte ha superato quota 100, il record nel 2000: con 114 giorni
Insomma è il sistema dei punti che ha inciso su questa situazione?

E’ il problema principale. Una volta facevi un calendario logico, ora togliendo da questo discorso i big e gli squadroni, devi rincorrere i punti. E quindi corri le 1.1, le 2.2 in Asia, in Africa. Pensate che alcuni team faranno più punti in una corsa in Giappone che c’è in questi giorni che al Giro d’Italia, se non si arriva nei primi o non si vince una tappa.

E questo colpisce soprattutto le professional che hanno strutture importanti, ma non hanno 30 corridori più il devo team…

Ma colpisce anche le WorldTour che hanno 30 corridori, c’è chi in classifica annuale è dietro pur essendo WorldTour. Le Professional devono coprire ogni corsa per sperare di guadagnare qualche punto, e al Giro se devono andare in fuga dove li fanno i punti? E’ dura, e finché resta così, i corridori “di manovalanza” faranno più gare che allenamenti.

Il Giro dei giovani: la lotta per la maglia bianca e non solo

12.05.2025
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Il Giro d’Italia è ufficialmente iniziato e le prime tappe albanesi hanno assegnato le varie maglie ai rispettivi, anche se momentanei, padroni. La Corsa Rosa, con le sue ventuno tappe, è lunga e ogni giorno tutto può cambiare. Dobbiamo attenderci passaggi di mano ed eventuali ribaltamenti. Della lotta al simbolo del primato, la maglia rosa, abbiamo parlato tanto. Ma tra le varie classifiche ce n’è una che apre uno spiraglio sul futuro e il presente di questa corsa: quella del miglior giovane. Il simbolo del primato è la classica maglia bianca, quest’anno sponsorizzata da ConadLa classifica riservata ai giovani è aperta a tutti i corridori under 25, quindi nati dal 2000 in avanti.

Sono quarantasei gli atleti che rientrano in questo criterio, ma non tutti per caratteristiche tecniche e ruoli in squadra saranno alla caccia del simbolo del primato a loro riservato. 

Tiberi ha vinto la maglia bianca nel 2024, l’ha presa alla tappa numero 11 e l’ha portata fino a Roma
Tiberi ha vinto la maglia bianca nel 2024, l’ha presa alla tappa numero 11 e l’ha portata fino a Roma

Corsa a due?

Per provare a capire chi tra i giovani possa lottare per questa speciale maglia, indossata in passato da corridori come Aru, Quintana, Richie Porte e Bernal, abbiamo chiesto aiuto a Marino Amadori. Il cittì della nazionale under 23 ha visto in azione tutti i pretendenti alla maglia bianca 2025 e ha le idee chiare sui favoriti. 

«Intanto segnerei il nome di chi l’ha indossata a Roma lo scorso anno – dice Amadori – ovvero Antonio Tiberi. E’ stato il primo italiano, a distanza di nove anni da Fabio Aru, a trovare di nuovo la vetta di questa speciale classifica. Per il resto c’è tanta qualità, anche da parte dei corridori stranieri. Uno su tutti direi che è Juan Ayuso, lo spagnolo è venuto qui per vincere il Giro quindi rientra di diritto tra i pretendenti alla maglia bianca. In effetti, per forza di cose, la classifica dei giovani va di pari passo con quella generale».

Giovani e leader

Il ragionamento del cittì azzurro non fa una piega. La maglia bianca era stata inserita nei Grandi Giri per dare rilevanza e un segno distintivo ai giovani in grado di combattere insieme ai grandi. Nelle ultime stagioni però è successo che i giovani arrivano nel professionismo pronti a fare bene. Lo si è visto al Tour de France con Tadej Pogacar, capace di vincere la maglia bianca per quattro anni di fila abbinando in due occasioni la vittoria della classifica generale. Insieme allo sloveno hanno contribuito a riscrivere questa regola anche Remco Evenepoel e proprio lo stesso Juan Ayuso. Il belga e lo spagnolo hanno vinto la classifica riservata ai giovani alla Vuelta Espana rispettivamente nel 2022 e nel 2023. 

«E’ chiaro che la lotta per la maglia bianca – spiega il cittì Amadori – è riservata a quei ragazzi le cui squadre lasciano campo libero. In questo Giro d’Italia di leader dichiarati che hanno meno di venticinque anni sono pochi, oltre a Tiberi e Ayuso mi viene in mente Piganzoli. Questi sono i tre che metterei su un possibile podio riservato ai giovani, esattamente nell’ordine elencato. Ayuso lo vedo favorito addirittura per la maglia rosa finale, ha una squadra forte che sa come correre sulle tre settimane. Anche nel suo passaggio tra gli under 23, seppur breve, aveva mostrato qualità incredibili. Lo stesso ha fatto Tiberi quando era alla Colpack. In corsa si vedeva un divario netto con gli altri. Entrambi sono forti in ogni aspetto, Ayuso dalla sua ha anche una grande esplosività. Tiberi invece è un regolarista. Se dovessi fare un paragone lo accosterei a Indurain. 

La prima maglia bianca del Giro d’Italia 2025 è andata a Francesco Busatto, il veneto l’ha indossata al termine della tappa di Tirana
La prima maglia bianca del Giro d’Italia 2025 è andata a Francesco Busatto, il veneto l’ha indossata al termine della tappa di Tirana

Tanti talenti

Il vincitore della maglia bianca probabilmente uscirà da un duello a due tra Ayuso e Tiberi ma i giovani interessanti al via di questo Giro sono diversi e in gradi di fare bene, anche solo per una tappa o per mostrare le loro qualità accanto ai capitani. 

«Poi se allarghiamo il discorso ai giovani in grado di competere e fare bene nel corso dell’intero Giro d’Italia – conclude Amadori – me ne vengono in mente tanti. Uno su tutti è Pellizzari, un predestinato nelle corse a tappe. Il solo fatto di essersi conquistato un posto al Giro, che non era nei programmi iniziali, gli fa onore. Sarà al servizio di Roglic, vero, ma la sua forza non si discute. Tra gli altri giovani interessanti inserirei Garofoli e Marcellusi. La UAE ha elementi forti come Del Toro e Baroncini, ma correranno tutti in appoggio ad Ayuso, sarà difficile che trovino spazio per emergere».

Pedersen saluta l’Albania e sbarca con la rosa in Italia

11.05.2025
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VALONA (Albania) – Puoi studiare tutte le altimetrie che vuoi, ma quando poi devi portarci sopra il tuo peso e la tua fatica, non sempre i piani ben congegnati riescono alla perfezione, come invece è andata oggi alla Lidl-Trek. Ma se la prima tappa di questo Giro d’Italia era stata un’esecuzione persino elementare, vincere la terza e riprendere la maglia rosa con Pedersen è costato una fatica molto meno banale. Ammesso che la fatica lo sia mai.

«E’ stato un giorno molto duro sulla bici – ha detto il danese che dopo l’arrivo è parso commosso – ma per come hanno corso oggi i miei compagni, mi sono sentito obbligato a dare tutto me stesso per vincere la tappa e riprendere la maglia rosa. Ora voglio godermela per più tappe possibili, cercando semmai di vincerne altre».

Lanciato da Vacek, Pedersen ha vinto anche la terza tappa del Giro d’Italia e ripreso la maglia rosa
Lanciato da Vacek, Pedersen ha vinto anche la terza tappa del Giro d’Italia e ripreso la maglia rosa

La forma della vita?

Si conclude a Valona la tre giorni albanese del Giro. Era iniziata in salita, con quel contratto che non si firmava e il ritardo di una presentazione annunciata e poi cancellata. Siamo volati quaggiù con qualche riserva e qualche pregiudizio di troppo, invece abbiamo trovato un Paese che certamente ha tanta strada da fare, ma che vuole fortemente farla. E quando ieri dopo il lavoro ci siamo ritrovati a camminare nel cuore di Tirana per andare a riprendere l’auto parcheggiata a un chilometro dal Quartier Tappa, ci siamo sorpresi per le tante bici, le famiglie e i bambini nei viali del centro. Mentre oggi, su strade meno frequentate, a colpire è stata la natura selvaggia di un posto che meriterebbe di essere scoperto più a fondo. Basti pensare che per tracciare i sentieri sulle montagne alle spalle di Tirana sono stai chiamati gli uomini del CAI e hanno raccontato solo meraviglie.

«Le prime tre tappe del Giro in Albania – ha sottolineato Pedersen – erano perfette per me. E’ stato più facile mostrare quello che so fare. Vi sento dire che sono nella forma della vita, semplicemente penso di essere in una buona condizione, che siamo riusciti a mantenere dalle Classiche fino ad ora. Oggi avevo qualche dubbio, ma siamo riusciti a correre come volevamo. Vacek è stato straordinario, questo ragazzo ha un grande futuro. Farò tutto il possibile perché riesca a vincere una tappa. E’ una macchina, ha lavorato tantissimo per me durante le Classiche. Sono orgoglioso di avere un corridore così al mio fianco».

Il piano di Guercilena

Primoz Roglic ha onorato la maglia rosa. La Red Bull-Bora ha tirato per non lasciar andare la fuga oltre il limite di guardia e offerto un lancio molto gradito alla Lidl-Trek. Per più di metà tappa il team americano ha vivacchiato sulle spalle di Jacopo Mosca che li ha portati tutti a spasso fino alle ultime due salite. A quel punto, mentre davanti si notavano incoraggianti lampi di azzurro con Germani e Tonelli nella prima fuga, poi Fortunato e Garofoli nel contrattacco, la squadra di Luca Guercilena ha inserito il pilota automatico e gestito la salita di Oafa E Llogarase al ritmo migliore per Pedersen. E il danese, che è campione nella testa prima che nelle gambe, ha ceduto soltanto quando davanti hanno mostrato i muscoli Pidcock e pochi altri. Azioni di assaggio e nulla più, perché una salita così lunga e impegnativa a 40 chilometri dal traguardo non autorizza a dire che ci si potesse aspettare di più.

«Avevamo puntato sia la prima sia la terza tappa – racconta Luca Guercilena – ma in questa credevamo un po’ meno, perché la salita era veramente dura. I ragazzi però stanno andando forte e la squadra è molto coesa e questo vuol dire che stiamo lavorando bene. Con Ciccone, che oggi è stato ancora esemplare, continueremo a vivere questo Giro alla giornata e dopo la crono di Pisa faremo un primo punto».

Il solito immenso lavoro di Jacopo Mosco nella prima parte di tappa ha tenuto la Lidl-Trek al coperto
Il solito immenso lavoro di Jacopo Mosco nella prima parte di tappa ha tenuto la Lidl-Trek al coperto

La calma di Ciccone

Il diretto interessato dopo l’arrivo ha ricevuto l’abbraccio della maglia rosa (foto di apertura), poi ha ripreso fiato, ha bevuto e reintegrato i primi zuccheri e poi ha parlato con la solidità che lo contraddistingue da qualche tempo a questa parte. Merito, come dice Guercilena, di sua moglie, ma anche della maturazione atletica e del vivere le corse senza apparente pressione.

«Oggi il piano prevedeva quello che poi abbiamo fatto – ha detto – ma non è stato facile, perché non era una tappa semplice da gestire. Abbiamo fatto un altro grande lavoro, ma sapevamo che Mads avrebbe potuto reggere quella salita. Quando sta bene, in certe tappe si diverte. Ieri non mi è parso tanto dispiaciuto per aver perso la maglia, quanto piuttosto molto motivato a riprendersela».

Il simbolo del primato è stato consegnato a Pedersen da Enrico Della Casa, presidente della UEC
Il simbolo del primato è stato consegnato a Pedersen da Enrico Della Casa, presidente della UEC

Il nuovo ciclismo

Mentre la carovana sta per prendere la via dell’Italia e domani vivrà il primo riposo in Puglia, un’osservazione meritano le volate parallele di Marcellusi e Fiorelli, entrambi corridori del VF Group-Bardiani, finiti all’ottavo e nono posto (anche se il primo è stato poi retrocesso dall’ottava alla 85ª posizione e all’ottavo posto si è ritrovato il compagno). In altri tempi avremmo gridato all’errore e sostenuto che, se si fossero aiutati, avrebbero portato a casa qualcosa di meglio. Oggi probabilmente non è più così e lo diciamo dopo averne parlato a lungo alla partenza di Durazzo con Roberto Damiani.

Il tecnico della Cofidis ha dovuto ammettere che la necessità di fare punti e curare il ranking sta portando anche i direttori sportivi più vincenti, quelli che avrebbero ragionato come nella nostra premessa, a tapparsi il naso e chiedere ai corridori di fare la volata tutti insieme per fare più punti possibile. Al di là della retrocessione di Marcellusi, portare a casa due piazzamenti nei primi 10, essendo consapevoli di non poter vincere, sarebbe stato per la VF Group un bottino interessante.

Lidl-Trek con tubeless da 28 mm: le ragioni della scelta

11.05.2025
6 min
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TIRANA (Albania) – Lo avevamo notato sul camion dei meccanici mentre Ciccone metteva a posto le misure della sua bici, così dopo la prima tappa del Giro siamo tornati in casa Lidl-Trek per fare il punto sulle gomme. Ci aveva colpito la scelta di tenere per l’Albania e poi per le strade bianche di Siena le ruote delle classiche. Così abbiamo chiesto di parlarne con Glen Leven, che per la squadra americana è il responsabile dei materiali. E’ lui a trattare con gli sponsor e a fare il punto con i corridori sulle scelte tecniche. In che modo si scelgono le gomme in questo ciclismo così veloce? E perché corrono solo con tubeless da 28 mm? La sensazione ormai è che l’unica corsa che imponga di cambiare qualcosa sia la Roubaix, ma forse è sbagliato pensare che per il resto tutto rimanga uguale. Ad esempio si lavora sulle pressioni e le sezioni, da quando il tubeless ha riscritto le abitudini e le tecnologie.

«Se guardiamo a 10 anni fa – spiega il lussemburghese che è stato corridore – io usavo i tubolari. Avevo una misura unica, la gonfiavano la mattina prima di partire e tutti avevamo la stessa pressione. Il ciclismo moderno è cambiato. Non guardiamo solo al peso del corridore, guardiamo anche all’aerodinamica, alla resistenza al rotolamento e al peso. La sezione degli pneumatici ha un impatto importante in questo momento, sia in termini di aerodinamica che di resistenza al rotolamento. Gli pneumatici sono la prima parte della bici a colpire il vento. Quindi sono i primi a dover indirizzare il vento nella giusta direzione».

L’uso del tubeless e le pressioni più basse consentono una tenuta di strada superiore. Qui Ciccone nella 1ª tappa
L’uso del tubeless e le pressioni più basse consentono una tenuta di strada superiore. Qui Ciccone nella 1ª tappa
Questo orienta nella scelta degli pneumatici?

Sì, per questo usiamo pneumatici da 28 millimetri sulle nostre ruote. Sono il compromesso migliore fra 28 e 30. Sul piano del rotolamento non c’è una grande differenza, mentre è notevole in termini di aerodinamica. Per questo scegliamo quelli da 28.

Hai parlato di pressioni uguali per tutti 10 anni fa.

E’ chiaro che la direzione intrapresa in passato, con un corridore di 90 chili e uno di 45 “gonfiati” alla stessa pressione, fosse sbagliata e la realtà lo dimostra. Quindi insieme a Pirelli abbiamo fatto molti test negli ultimi anni per personalizzare la pressione in intervalli di 5 chili per ciascun punto di pressione. Questo è il valore ottimale per ottenere il miglior rotolamento e la miglior superficie di appoggio sulla strada per ogni corridore.

Gli atleti non hanno voce in capitolo in queste scelte?

Siamo una squadra aperta, ma ci piace istruire i nostri corridori. Per questo mostriamo loro i dati e tutto quello che ci ha spinto a fare le scelte e difficilmente chiedono cose diverse. Nelle classiche, studiamo il percorso e cerchiamo soluzioni che diano più resistenza alle forature, più comfort e quello che serve. Nelle corse su strada siamo convinti e anche tutti i nostri corridori sono convinti che il 28 sia la miglior opzione.

Le ruote delle classiche con tubeless da 30 mm portate al Giro in previsioni di strade dissestate e per la tappa sterrata di Siena
Le ruote delle classiche con tubeless da 30 mm portate al Giro in previsioni di strade dissestate e per la tappa sterrata di Siena
Il tubeless ha cambiato di tanto le cose?

E’ stato una rivoluzione. Il tubolare era la scelta dei corridori della vecchia generazione e per loro, soprattutto mentalmente, è stato un passaggio difficile passare dalle 8,5 atmosfere alle 5 del tubeless. Ci è voluto un po’ per convincerli ad accettare questa pressione così bassa, ma ora penso che tutti ne siano contenti.

E’ stato difficile convincerli?

E’ stata una sfida. Devi mostrargli i dati. Devi passare del tempo con loro in modo che possano provarlo e convincersene. Non importa cosa fai oggi, è importante cosa farai domani. I ciclisti di nuova generazione sono cresciuti con il tubeless e non torneranno mai al tubolare. Ma con i ciclisti della vecchia generazione, abbiamo avuto molti problemi. Inoltre il tubolare era completamente libero, poteva muoversi in tutte le direzioni, al punto che il copertoncino teneva di più. Tutto questo, messo insieme, ci ha permesso di convincerli.

Che tipo di collaborazione avete con gli sponsor alla luce di tutto questo?

Tra noi e Pirelli per questo c’è un rapporto molto stretto. Ascoltano le nostre esigenze e noi ascoltiamo la loro esperienza, perché ne hanno una notevole nel motociclismo. Sviluppiamo insieme gli pneumatici, in base alle esigenze dei corridori e in questo modo cresciamo entrambi.

Sul camion dei meccanici, oltre alle ruote montate, un cassetto contiene i tubeless di scorta
Sul camion dei meccanici, oltre alle ruote montate, un cassetto contiene i tubeless di scorta
Come è stata fatta la valutazione fra il 28 e il 30?

Li abbiamo testati in galleria del vento, per ottenere il dato più preciso. Li abbiamo testati in velodromo e poi all’aperto con il nostro Aerosensor, dove abbiamo potuto avere il riscontro per l’osservazione più scientifica. Nella galleria del vento, la resistenza ha una sola direzione. Nella vita reale ce ne sono almeno cinque. Da tutto questo, abbiamo concluso che il pneumatico da 28 è migliore di quello da 30 per una sola questione aerodinamica.

Nelle cronometro funziona allo stesso modo o il discorso è diverso?

Le cronometro sono un ciclismo completamente diverso, l’aerodinamica sta arrivando a livelli ancora più estremi. Abbiamo fatto molti test e concluso che anche lì il 28 è la scelta migliore, perché la forma del cerchio è la stessa. La vera differenza rispetto al ciclismo su strada è che, fatta questa valutazione, la bici da crono – il carro e la forcella – è stata sviluppata per pneumatici da 28.

La bici disegnata in base alla misura delle gomme?

Il discorso è davvero globale, non si tratta semplicemente di scegliere quale pneumatico montare. L’opzione più veloce sarebbe comprare un set di ruote standard e montarci uno pneumatico da 28 mm. Ma dipende anche dalla forma del telaio, dagli spazi tra ruota e pneumatico. Per questo serve ragionare sul pacchetto completo.

Nei giorni di Tirana, la Lidl-Trek ha alloggiato in un hotel accanto all’aeroporto, con Ineos e Team Polti
Nei giorni di Tirana, la Lidl-Trek ha alloggiato in un hotel accanto all’aeroporto, con Ineos e Team Polti
Parlavamo di 10 anni fa e quando pioveva, dovevi abbassare la pressione. E’ lo stesso anche adesso, nonostante queste sezioni così grandi?

Sì, è ancora così. Abbassando la pressione aumenta la superficie di contatto, che riduce le possibilità di scivolare. Anche se hai pneumatici più grandi.

Ultima cosa, avete valutato di usare cerchi e pneumatici hookless?

Ne abbiamo testati alcuni in galleria del vento e abbiamo fatto dei test di guida con i piloti. Ma la sicurezza è la prima cosa, soprattutto per noi che siamo un team americano. Quindi la discussione sull’hookless è sempre aperta, può essere un’apertura possibile, ma al momento per noi è fuori discussione.

Dalla Spagna arriva Blasi, sulle orme di Mavi Garcia

11.05.2025
5 min
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«Molte persone me lo chiedono quando mi conoscono, pensano che sia di origini italiane ma non è così. La mia famiglia è tutta catalana, Blasi è un nome tipico dalle mie parti». Nessuna radice italiana, nessuna parentela con Ilary: Paula Blasi è spagnola purosangue. Anche se è in Italia che ha colto finora la sua vittoria più importante, trionfando all’ultimo Gran Premio Liberazione concretizzando l’ennesima supremazia nella corsa romana della UAE.

A Roma la ciclista della UAE è andata in fuga con Milesi, staccandola per arrivare solitaria
A Roma la ciclista della UAE è andata in fuga con Milesi, staccandola per arrivare solitaria

Una carriera iniziata… lo scorso anno

La ragazza di Esplugues de Llobregat proprio da quel giorno di aprile sembra avere fatto un bel salto di qualità, avendo raccolto un’altra vittoria in patria nel gravel e poi la Pointe du Raz, classica francese, ma d’altro canto parliamo di una ciclista che lo scorso anno ha sfiorato il podio al Tour de l’Avenir. Proviamo allora a conoscerla meglio, perché la sensazione è che ne sentiremo sempre più parlare.

«La mia storia è curiosa, perché vado in bicicletta solo da un anno e mezzo. Prima andavo su pista, ma quella di atletica. Ero una mezzofondista, correvo 800 e 1.500 metri, poi mi sono infortunata e ho detto: “Bene, mi prenderò un paio d’anni di pausa”. Ho iniziato a giocare a calcio, poi 4 anni fa ho deciso di iniziare il triathlon, ma l’anno scorso mi sono infortunata di nuovo perché nel triathlon si corre e si nuota. Potevo solo andare in bici. A marzo 2024 ho fatto la mia prima gara in Spagna finendo seconda, da lì ho continuato e andavo sempre meglio, ho vinto il campionato catalano e altre gare, così a fine stagione sono entrata nel devo team della Uae».

La spagnola è nata il 19 febbraio 2003. Lo scorso anno ha militato nel club Massi-Baix Ter
La spagnola è nata il 19 febbraio 2003. Lo scorso anno ha militato nel club Massi-Baix Ter
Quest’anno stai ottenendo molti grandi risultati nelle prove di un giorno, ma lo scorso anno sei stata protagonista nelle corse a tappe. Quali preferisci fra le due?

Ah, l’ho ben chiaro: adoro le corse a tappe. Perché penso di essere una ragazza molto costante nel rendimento, quanto basta per puntare alla classifica generale e poi mi piace tutto il gioco di strategie che s’innesca giorno dopo giorno. Se sei molto costante con i risultati, puoi farcela, quindi di solito cerco anche di dare quel di più che serve pensando al risultato finale, dimenticandomi la stanchezza.

Nel tuo team siete tante a essere vincenti, è difficile trovare spazio e essere la leader? Si decide in corsa o si stabilisce prima?

Dipende molto dalla strada. Abbiamo sempre ruoli molto chiari, ma ad esempio, nel Liberazione c’era un accordo per il quale, se la gara fosse stata aperta e c’era l’opportunità di una fuga buona, l’avremmo colta. Non importa se era una ciclista del devo team o una titolare (a Roma ha corso una squadra mista, ndr). Ma le gare sono solitamente abbastanza definite nei ruoli di ciascuno.

Paula Blasi è al UAE Team Adq da quest’anno, nel devo team ma sta correndo spesso con il team WT
Paula Blasi è al UAE Team Adq da quest’anno, nel devo team ma sta correndo spesso con il team WT
Il tuo attacco al Gran Premio Liberazione era stato quindi pianificato…

La nostra tattica è stata, per i primi 5 o 6 giri, di controllare la gara, per assicurarci che nessuno scappasse, e poi da lì abbiamo cercato di rendere la gara aggressiva e dura e iniziato ad attaccare. Certo, non mi aspettavo che il primo attacco si rivelasse una buona fuga, ma alla fine ha funzionato.

Che valore dai alla vittoria di Roma?

Beh, lasciami dire che questa è la mia prima vittoria da professionista. La mia vittoria più speciale. Finora non ero mai riuscita ad alzare le braccia in una gara di questo livello, quindi è stato un po’ inaspettato perché non sono andata lì con l’intenzione di vincere, questo ha reso tutto molto speciale.

L’arrivo solitario dell’iberica alla Pointe du Raz di giovedì, con 7″ sulla britannica Dickson
L’arrivo solitario dell’iberica alla Pointe du Raz di giovedì, con 7″ sulla britannica Dickson
Paula, qual è la situazione del ciclismo femminile in Spagna? E soprattutto, quale attenzione danno i media gare femminili?

Suppongo che sia difficile crescere perché, in fin dei conti, in Spagna ci sono poche grandi squadre e il ciclismo non è come in Belgio; non è uno sport di punta, quindi non ha molta visibilità. Ma anche a livello mediatico vedo che gradualmente si fanno degli sforzi per dargli più spazio, ma è vero che non è sviluppato come altrove. E certamente non come quello dei nostri colleghi.

Quanto ha significato l’esempio di Mavi García per te e per la tua generazione di ciclisti?

Personalmente per me è il punto di riferimento numero 1 in Spagna. Più di ogni altra cosa perché ho una storia molto simile a lei, perché anche lei proveniva dal duathlon, dalla corsa. E poi è passata al ciclismo. Io ho fatto il cambio che ero un po’ più giovane, ma da quando ho deciso di iniziare ad andare in bici, tutto mi riporta a lei. Ho seguito gli stessi passaggi di Mavi. Naturalmente ero interessata a vederne i risultati, come stava andando. Dici il nome Mavi García e tutto il mondo sa chi è, quindi penso che sia un ottimo riferimento.

Il grande obiettivo della catalana è il Tour de l’Avenir, dove nel ’24 ha chiuso quarta a 6’17” dalla Bunel
Il grande obiettivo della catalana è il Tour de l’Avenir, dove nel ’24 ha chiuso quarta a 6’17” dalla Bunel
In questa stagione che obiettivi ti sei posta?

Il Tour de l’Avenir, penso che per me questo sia un obiettivo chiaro. L’anno scorso credo che sia stata la gara che mi è piaciuta di più e che mi è rimasta più impressa. Mi sono classificata quarta nella classifica generale senza avere fatto una preparazione specifica, senza avere alle spalle un team importante come la UAE. Penso che il mio grande obiettivo quest’anno sia quello di poter competere per portare a casa la maglia gialla.

Inizia la rumba dei velocisti. Malucelli punta su Kooij e… Moschetti

11.05.2025
4 min
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Se oggi l’altimetria rischia di essere per loro proibitiva, dalla tappa di martedì a Lecce dovrebbe finalmente aprirsi lo show dei velocisti in questo Giro d’Italia. Su carta, le frazioni dedicate alle ruote veloci sono sette, ma almeno tre di queste gli sprinter dovranno sudarsele fino all’ultimo metro. E una di queste potrebbe essere quella di oggi a Valona.

Del parterre dei velocisti abbiamo parlato con chi di volate se ne intende: Matteo Malucelli, atleta della XDS-Astana che alla corsa rosa non c’è, ma che ha fatto le carte ai colleghi presenti. L’occhio di chi è nel gruppo riesce sempre a dare qualcosa in più.

Matteo Malucelli (classe 1993) ha analizzato per noi il parterre dei velocisti al Giro
Matteo Malucelli (classe 1993) ha analizzato per noi il parterre dei velocisti al Giro
Matteo, iniziamo dall’analisi degli sprinter in gara. Il livello com’è?

E’ vero che, lo dico sinceramente, il livello non è mega galattico. Manca gente come Jasper Philipsen e Jonathan Milan. Secondo me però vedremo degli sprint molto interessanti proprio perché mancano i tre corridori che hanno dominato tutte le volate finora: Philipsen, Merlier e Milan.

Quindi chi vedi come favorito?

Secondo me Olav Kooij è quello che ha un livello un filino più alto degli altri: lo sprinter più “puro” (immagine di apertura in uno sprint contro Bennett, anche lui presente al Giro, ndr). Olav è il più veloce per me. Se Kooij avrà spazio, anche in base a quel che farà Van Aert, sarà un osso duro. Dietro di lui ci sono altri bei velocisti che si giocheranno le tappe. Direi che ci sono 5-6 corridori sullo stesso livello. E poi chiaramente c’è Mads Pedersen che è fortissimo, ma non è uno sprinter puro. E’ qualcosa di più di un velocista (e lo ha dimostrato nella tappa di apertura, ndr).

Chiaro…

E’ cambiata. Il velocista puro come una volta non c’è più o comunque si sta modificando. Però gli uomini davvero veloci ci sono ancora, e quindi sicuramente ci saranno delle belle volate. Kooij, sulla carta, è quello che ha velocità di punta maggiore più veloce. Però…

Però?

Però anche io, in Turchia, pensavo di essere il più veloce e su tre volate ne ho vinta una. Quindi magari il più veloce non lo ero davvero. E’ anche vero che corridori più quotati come Kristoff non ne hanno vinta nemmeno una. Le volate sono sempre un po’ un terno al lotto.

Pedersen non è un velocista puro, ma a Tirana ha dimostrato notevole potenza
Pedersen non è un velocista puro, ma a Tirana ha dimostrato notevole potenza
In ogni caso, mancano pezzi grossi come Philipsen, Merlier, Milan. Non è poco…

E anche Groenewegen. Ma il livello resta buono. E poi bisogna considerare il percorso: in alcune tappe potrà vincere un velocista che ha qualcosa in più. Secondo me Groves e Pedersen sono i corridori che possono passare meglio le salite. E questo darà loro la possibilità di giocarsi più arrivi. E di arrivarci con gambe migliori.

Il percorso lo hai guardato?

Non facendolo non l’ho studiato bene, ma ho visto che di volate piatte ce ne sono poche. Gli arrivi degli sprint arrivano quasi tutti dopo tappe mosse, quindi sarà fondamentale anche la tenuta sugli strappi.

Riassumendo, chi sono gli sprinter più pericolosi?

Come detto, il più puro è Kooij. Poi ci sono Pedersen, Groves, il mio compagno di squadra Kanter, Sam Bennett, Van Aert, Lonardi e Moschetti. Ecco, Matteo secondo me una tappa la vince.

Cosa ti porta a dire questo su Moschetti?

Perché è partito bene ed è forte. E’ sempre stato forte. Lo conosco, ha trovato la squadra giusta e le motivazioni giuste. Quando un velocista comincia a vincere prende fiducia. E’ questione di equilibrio. Una tappa al Giro se la merita e sarei contento per lui se dovesse riuscirci.

Matteo Moschetti ha già vinto 4 corse quest’anno: per Malucelli ha ottime possibilità di conquistare una tappa in questo Giro
Matteo Moschetti ha già vinto 4 corse quest’anno: per Malucelli ha ottime possibilità di conquistare una tappa in questo Giro
E di Lonardi invece cosa ci dici? E’ uscito dalla Turchia con la maglia verde…

E’ quello il suo problema, tiene troppo in salita! Gliel’ho detto: «Ma perché vai così forte in salita? Magari potresti essere più veloce se risparmiassi un po’». E lui mi ha risposto che lo sa, che deve cercare di essere più potente per i finali. In generale però Lonardi va forte e la maglia verde di miglior sprinter lo dimostra. E’ costante. Ma la coperta è corta: se migliori in salita, perdi qualcosa in volata. Bisogna trovare la giusta combinazione. Questo vale per lui come per tanti altri.

Questo equilibrio è davvero delicato nel ciclismo moderno…

E’ così. Bisogna fare delle scelte e la squadra deve esserne consapevole. Il calendario deve essere programmato in funzione delle tue caratteristiche. La squadra te lo deve cucire addosso anche con gli altri compagni. Se vai al Giro d’Italia non puoi essere un velocista da Tour of Langkawi, per capirci. Perché il Giro non lo finisci, fai fatica.

C’è qualche altro nome da tenere d’occhio?

Beh, c’è Luca Mozzato, anche se quest’anno si è visto poco. C’è Milan Fretin che è stata una bella sorpresa. E poi bisogna capire Casper Van Uden. Però, sinceramente, in Turchia non è che abbia brillato.

Crono spaziale, inchino a Tarling e Roglic ritrova la rosa

10.05.2025
6 min
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TIRANA (Albania) – Il solo giorno in cui Primoz Roglic vestì la maglia rosa in corsa fu il 28 maggio del 2023, all’indomani della straordinaria cronoscalata del Monte Lussari, in una delle cornici più belle degli ultimi Giri d’Italia. La vestì nella tappa di Roma e oggi, a distanza di due anni, l’ha riconquistata.

«Ma quella fu una specie di grande festa – sorride – ora è un po’ diverso. Questa, voglio dire, me la godrò e basta. Se vogliono prenderla, va bene. Ma io me la godrò giorno dopo giorno, perché non si sa mai quando sarà l’ultima. E’ come con le vittorie o cose del genere. Quindì sì, voglio proprio godermela».

Il leader della Red Bull-Bora è sereno e sorridente. E non è solo per la conquista del primato, ma per una condizione mentale lontanissima dallo stress con cui viveva le corse prima dell’incidente del 2022. E così nel raccontare la giornata, sembra divertito e insieme contrariato per la conquista. Voleva fare bene la crono e questo avrebbe significato conquistare la maglia rosa, ma al contempo ne avrebbe fatto a meno. C’è un divertente controsenso nel suo raccontarsi e questo lo rende ancora più scompigliato e simpatico.

E’ tornata la maglia rosa.

Sono felice, decisamente. Non lo si pianifica mai davvero. Sogni di averla o di lottare per ottenerla, di averla a casa tua. Quindi sì, sono contento del risultato di oggi e ovviamente della maglia. Però sono venuto per averla a Roma, quindi il cammino è ancora lunghissimo.

Non ti aspettavi di guadagnare così tanto sui rivali diretti?

In realtà volevo semplicemente non perdere troppo, perché non era proprio la cronometro che avrei desiderato o che mi si addiceva di più. Alla fine ho dovuto fare con quello che c’era, per questo sono felice e mi sono divertito molto. Insomma, intendiamoci, correrla è stato piuttosto duro, ma il risultato è bello.

Sulla bici montavi un bel rapportone…

Era un 68×10. Il problema di certi rapporti non è sceglierli e montarli, il problema è la potenza che serve per girarli. E oggi in qualche modo ce l’ho fatta.

Ora ti diranno che è arrivata troppo presto…

Non mi interessa più tanto dei risultati parziali. Mi hanno suggerito di non stressarmi per questi dettagli. Per cui mi basta sapere che sono in salute e che sto bene. Ho fatto una bella cronometro e arrivare così davanti è stato semplicemente una grande sorpresa. Ora ho anche questa maglia rosa ed è più facile perderla che conquistarla, per questo sono contento di averla addosso.

Se dovesse capitare di lasciare la maglia a qualcun altro, eviterai di lasciargli sei minuti come a O’Connor lo scorso anno alla Vuelta?

In quel caso (ride, ndr), qualche minuto in meno sarebbe meglio, no? Vedremo.

Come immagini la tappa di domani con distacchi tanto piccoli?

Immagino una giornata come ieri. C’è una salita difficile, quindi dipende da quanto sarà alto il ritmo. Ovviamente Mads Pedersen è in ottima forma, quindi immagino che sicuramente cercheranno di rimetterlo in testa al Giro.

Tarling ha volato i 13,7 km in 16’07” a 51,003 di media
Tarling ha volato i 13,7 km in 16’07” a 51,003 di media

Il momento di Tarling

Il tempo di notare che Roglic se ne va in giro con due orologi e nel van delle interviste arriva Joshua Tarling, il vincitore di giornata. Per le cronometro lo allena Dario Cioni e alla Ineos Grenadiers quella sottile e mai confessata rivalità con Ganna si è trasformata col tempo in un pungolo reciproco. Solo che mentre Ganna quando vince ha il gusto di raccontare, si scopre che Tarling parla per monosillabi. Forse intimidito dalla giovane età, dato che comunque questo ragazzone che ha piegato i migliori specialisti del Giro ha soltanto 21 anni.

«Prima crono e vittoria – dice – è davvero speciale. Penso che ora abbiamo anche la fiducia necessaria e non vediamo l’ora che arrivi la prossima. E’ un buon modo per iniziare. Posso dire che era l’obiettivo dall’inizio della stagione. Il primo erano le classiche, poi abbiamo fatto uno switch e non vedevamo l’ora di arrivare qui, soprattutto perché il percorso con tutte quelle curve si adattava. Qualcuno l’ha ritenuto pericoloso, ma bastava non prendersi rischi. Invece è stato stressante essere seduto tanto tempo sulla hot seat. Pensavo che Roglic sarebbe stato veloce e ovviamente in cima alla salita lo è stato. Però ha guadagnato più di quanto avrei voluto e aspettare il suo arrivo mi ha logorato».

L’attesa a ben vedere è durata un’eternità. Andando via dal camion delle interviste incrociamo Mads Pedersen e non ha lo sguardo ridente di ieri. C’è da scommettere che domani tenterà di riprendersi la maglia. Al netto di tutto quel che si può dire, le prime due tappe albanesi hanno offerto degli splendidi squarci di ciclismo. Sul fronte della classifica, Ayuso ha guadagnato su Tiberi. Piganzoli ha fatto un’ottima crono e Storer ha ancora la gamba del Tour of the Alps. Van Aert se ne è andato con il morale a pezzi per un 34° posto che ha deluso proprio tutti. Il Giro è appena cominciato, non vediamo l’ora di raccontarvi il resto.