La seconda vita di Stacchiotti, sognando l’Olimpiade

16.05.2025
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Una seconda opportunità, per certi versi anche più grande della prima. Riccardo Stacchiotti aveva chiuso la sua lunga carriera professionistica nel 2021, con un buon numero di vittorie, pronto a vivere la sua vita lontano dal ciclismo. Ma il destino voleva altrimenti. Tutto è nato da uno sfortunato giorno del 2023, un incidente in moto, una lussazione al ginocchio particolarmente sfortunata.

Stacchiotti nella volata di Ostenda davanti all’ucraino Yegor Dementiev, iridato che corre fra i pro’
Stacchiotti nella volata di Ostenda davanti all’ucraino Yegor Dementiev, iridato che corre fra i pro’

Riccardo e la caviglia bloccata

«L’osso, uscendo dalla sua sede, ha lesionato alcuni nervi – ricorda il marchigiano – col risultato che non posso più muovere la caviglia. Nella vita di tutti i giorni è un danno serio ma relativo, ma in bici non posso più dare spinta con la gamba, questo ha cambiato un po’ le cose. Le misure della bici non sono mutate ma nella spinta disperdo molta energia. Non è la stessa cosa di prima».

Sapendo del problema, il cittì della nazionale paralimpica Pierpaolo Addesi ha così preso contatto con l’ex professionista: «Mi ha spiegato la sua idea, mi ha illustrato l’ambiente della nazionale e il mondo paralimpico, ma soprattutto mi ha fatto capire che quell’incidente e la successiva menomazione mi davano l’opportunità di tornare a gareggiare in una particolare categoria. Ci ho pensato un po’ e poi ho accettato».

L’ultima corsa di Stacchiotti da pro’ è stato il Giro del Veneto nell’ottobre 2021. 10 vittorie in carriera
Stacchiotti da pro’ è stato il Giro del Veneto nell’ottobre 2021. 10 vittorie in carriera

Una scoperta sorprendente

Che impressione ha avuto nel suo primo approccio con le gare, con l’ambiente? «Fino ad allora ne avevo sentito parlare ma le mie uniche testimonianze erano state attraverso la televisione. Ho amici che hanno disabilità, alcuni lavorano anche come guide cicloturistiche e ammetto che la loro perseveranza, la loro forza interiore mi hanno sempre affascinato. Quando però sono entrato dentro quest’ambiente mi sono accorto di un livello generale, organizzativo davvero altissimo. Ho trovato un’attenzione profonda per ogni dettaglio. Poi è arrivata la trasferta in Belgio, per la Coppa del Mondo e in alcuni momenti mi sembrava davvero di essere tornato professionista».

Com’è stato il primo approccio con la prova internazionale? «Mi avevano detto prima di partire che mi sarei trovato di fronte atleti davvero forti, ma non credevo che il livello fosse così elevato. So che ci sono alcuni atleti che fanno anche attività continental, che avrei potuto tranquillamente affrontare quando correvo. Io sono nella categoria MC5, dove ci sono disabilità abbastanza lievi, infatti si sviluppano gare che hanno ben poco da invidiare a quelle che affrontavo prima. In generale devo dire che è un mondo incredibile, dove ti confronti con una forza d’animo enorme, con persone che vanno al di là di problemi fisici enormi con una carica contagiosa».

Una delle vittorie del recanatese nelle prove amatoriali, vissute come preparazione per l’attività paralimpica
Una delle vittorie del recanatese nelle prove amatoriali, vissute come preparazione per l’attività paralimpica

Un 5° posto per cominciare

Come hai affrontato la tua prima avventura internazionale? «Diciamo che ci sono andato un po’ con i piedi di piombo, non sapevo quale poteva essere la mia condizione, a che livello ero in confronto agli altri. Alla fine posso dire che è stata una bella esperienza, molto incoraggiante. Il 5° posto finale lo reputo un inizio, una buona base, perché ho visto che ho già una buona condizione fisica e che non posso che migliorare».

Un’attività interpretata in maniera diversa rispetto a prima? «Certo, non potrebbe essere altrimenti. Allora ero un corridore al 100 per cento, pensavo solamente a quello. Oggi sono un uomo che lavora 8-9 ore al giorno e posso dire che se riesco ad allenarmi 8 ore a settimana è già tanto. Per questo mi sono tesserato per una squadra amatoriale, il Team Crainox e sfrutto le Granfondo e le prove amatoriali per allenarmi, affrontandole senza grandi velleità agonistiche. Ma quell’impegno domenicale mi consente di tenermi in forma. Diciamo che le sfrutto per mettere nelle gambe chilometri e ritmo».

Stacchiotti gareggia anche nelle Granfondo, sfruttando le domeniche per fare ritmo
Stacchiotti gareggia anche nelle Granfondo, sfruttando le domeniche per fare ritmo

La molla del sogno olimpico

Questa è la stagione del primo approccio, il progetto di Addesi però ha mire lontane, al 2028…: «Effettivamente è stata un po’ la molla che mi ha spinto ad accettare. Non avrei mai pensato che, dopo aver chiuso la mia carriera, potessi ancora ambire a un traguardo così alto. Ma io sono abituato ad andare per gradi, quel pensiero l’ho messo lì, nel cassetto, da studiarci sopra per preparami al meglio. Ho tempo, ora devo procedere con calma imparando tante cose e migliorando progressivamente, gara per gara».

E a questo proposito è alle porte già la seconda tappa di Coppa del Mondo a Maniago. Stacchiotti, in gara oggi nella cronometro, guarda però con ambizioni a domenica, alla sfida in linea: «Contro il tempo non sono mai stato un asso, mi servirà però per prendere confidenza con l’evento e studiare gli avversari. Sarà un antipasto alla prova di domenica dove non nascondo che vorrei fare meglio di Ostenda, ora che so meglio come muovermi in gara».

Il marchigiano in gara anche nelle cronometro, ma solo per migliorare la condizione
Il marchigiano in gara anche nelle cronometro, ma solo per migliorare la condizione

Un ambiente altamente professionale

Che cosa ti ha stupito maggiormente della tua prima esperienza internazionale? «Il fatto che, alla fin fine, non c’è così grande differenza con molte delle gare professionistiche alle quali ho partecipato, soprattutto nel livello organizzativo, nella cura per ogni singolo aspetto, nell’attenzione che tutto lo staff della federazione mette in ogni cosa. E’ un grande gruppo, che voglio ripagare con i risultati, ma visto quanto gli altri vanno forte non sarà per nulla facile…».

Andrea Garosio ancora in gruppo. Da corridore a regolatore…

16.05.2025
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E’ successo tutto molto in fretta, quasi senza volerlo. Quando lo scorso novembre Andrea Garosio ha deciso di smettere con il ciclismo, la stagione era appena finita. L’idea di lasciare c’era da tempo, ma la conferma è arrivata dopo pochi giorni: «Avevo ancora una proposta da una squadra, ma poi non è andata. E ho deciso che era finita».

Dopo un inverno passato con il padre nell’impresa di famiglia e un po’ di indecisione su cosa fare da grande, Garosio è stato chiamato dalla RCS Sport: lo volevano al Giro d’Italia come regolatore. Era un pomeriggio di gennaio e il telefono ha squillato.

Una figura ibrida, a metà fra la direzione e la giuria, che si muove con la moto per garantire sicurezza e fluidità alla corsa. Lo abbiamo intercettato per capire meglio cosa significhi questo nuovo ruolo e cosa si nasconde dietro le quinte della corsa rosa.

Andrea Garosio è stato pro’ per 9 stagioni. Ha chiuso la carriera nel 2024 alla Polti-Kometa
Andrea Garosio è stato pro’ per 9 stagioni. Ha chiuso la carriera nel 2024 alla Polti-Kometa
Andrea, come sei arrivato a fare il regolatore?

Mi hanno chiamato da RCS Sport. Ero a lavoro con mio papà. In quel periodo andavo un po’ con lui perché volevo tenermi la possibilità di restare legato al ciclismo, quindi non mi ero ancora impegnato con nessuno. A casa abbiamo una piccola azienda edilizia. Avevo ricevuto alcune proposte, anche per lavori d’ufficio, ma non avevo deciso. Mi ha chiamato Barbin e mi ha detto che avrebbero voluto parlarmi. Quasi non ci credevo all’inizio. Poi mi hanno convocato, ho parlato direttamente con Mauro Vegni e Luca Papini. Mi hanno spiegato tutto e ho colto al volo l’occasione. In più avevo anche il corso da direttore sportivo di terzo livello. Insomma avevo i requisiti anche per l’UCI.

Quanto il to passato da corridore, fresco ex corridore, ti ha aiutato per fare il regolatore?

Molto. Aver corso tanti anni aiuta: conosci le dinamiche, capisci la corsa. Quando vedi il profilo della tappa sai già che tipo di giornata sarà. Poi durante la corsa, essendo vicino al gruppo, sai se stanno accelerando, se c’è vento, se è un momento di stress. In discesa, per esempio, sai se conviene allungare un attimo per dare spazio, oppure se puoi stare più vicino. Insomma, sei in mezzo alla corsa. Ti muovi come un corridore, anche se sei in moto. Capisci le intenzioni del gruppo e ti adatti.

Ma concretamente, cosa fa un regolatore?

Regola tutto quello che riguarda i mezzi in corsa. Dalla gestione dei fotografi, che devono sapere quando possono avvicinarsi ai corridori, alla sicurezza degli atleti che si staccano, posizionando le staffette o la polizia per ogni gruppetto. Poi se c’è un ostacolo a terra che non è stato segnalato, puoi metterti davanti al gruppo e indicare la direzione. Quando c’è una caduta, devi far defluire il traffico, assicurarti che arrivino i medici e l’ambulanza. Se c’è un rientro dopo una foratura o un incidente meccanico, devi gestirlo. Sono tante piccole cose che non si vedono, ma fanno parte del lavoro quotidiano.

Ieri un bel da fare per Garosio e colleghi nelle fasi della neutralizzazione…
Ieri un bel da fare per Garosio e colleghi nelle fasi della neutralizzazione…
A livello tecnico, con quante radio sei collegato?

Due. Una è quella nostra, interna alla direzione. L’altra è il radiocorsa, quella di tutti: ammiraglie, direzione, giuria. Noi della direzione abbiamo un canale nostro in cui ci coordiniamo su tutto: eventuali pericoli, decisioni da prendere, posizionamenti.

C’è stato un momento difficile, oltre alla maxi caduta di ieri che però con la neutralizzazione tutto sommato è stata poi “facile”?

Il circuito di Lecce per esempio. C’erano due strettoie e l’ho segnalato subito, ero davanti e ho sentito anche le lamentele. Se fossi stato ancora un corridore, avrei pensato che fosse un punto pericoloso, invece da regolatore lo valuti diversamente. Per me il circuito era bello. Le strettoie c’erano, ma non erano impossibili da affrontare.

E’ più complicato stare davanti o dietro al gruppo?

Davanti è più complicato per l’attenzione. Devi essere preciso, non intralciare, leggere bene la discesa. C’è un lavoro più attivo. Chi scatta e chi chiude. Dietro invece c’è più da fare in generale, perché se qualcuno si stacca lo devi seguire, mettere in sicurezza. Ma se non ci sono corridori staccati, dietro è più tranquillo. Davanti hai più responsabilità, soprattutto nei momenti chiave.

Quando sei dietro però, i corridori non ci sono più…

Solo se non si staccano. Se invece ci sono corridori in difficoltà, devi seguirli, assicurarti che ci siano le staffette, vedere se rientrano. Però è più semplice da gestire: sono pochi, li conosci, sanno come muoversi. Davanti invece hai la responsabilità di non intralciare nessuno, di vedere tutto prima che accada.

Dalla tv non si vede ma in corsa c’è sempre un bel caos di mezzi al seguito. Il regolatore come Garosio ha il compito di gestire questo traffico
Dalla tv non si vede ma in corsa c’è sempre un bel caos di mezzi al seguito. Il regolatore come Garosio ha il compito di gestire questo traffico
Andrea da ex corridore: chi ti ha impressionato sin qui?

Sicuramente Pedersen. E’ fortissimo e mi ha stupito soprattutto nella crono di Tirana. Incredibile davvero. Poi vedo molto bene Roglic: mi sembra in forma. Ayuso invece si sta nascondendo tanto. Entrambi però hanno squadre fortissime. Sarà una bella sfida fino alla fine.

Il tuo ex compagno Piganzoli?

Ci ho parlato in questi giorni con “Piga”, lo vedo tranquillo. Secondo me ha preso tanta fiducia lo scorso anno dopo il Giro dell’Emilia dell’anno scorso. Ha valori buoni, va forte, gli auguro davvero di fare un bel Giro. Siamo amici, siamo stati compagni di camera tante volte, lo conosco bene. Anche Pellizzari mi ha sorpreso, soprattutto nella crono. Non era una prova semplice: strade larghe, ritmi alti, eppure è andato forte. Lui però ha un capitano importante (Roglic, ndr)… vedremo. Ma se va forte a crono, vuol dire che sta bene.

Speriamo bene per entrambi: due italiani davanti fanno bene a tutto il movimento…

Assolutamente. E io tifo per loro. Li conosco entrambi, anche se con Piga ho più confidenza visto che spesso è stato anche mio compagno di stanza. Sono ragazzi giovani, motivati, stanno bene. Spero vivamente che riescano a lasciare il segno.

Il Giro sul Mortirolo senza Recta Contador, ma la salita ci aspetta

16.05.2025
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Alla fine si è deciso di non farla. Il Giro d’Italia avrebbe dovuto scalare un Mortirolo inedito, quello che in Valtellina e fra gli organizzatori è stato ribattezzato come la “Recta Contador”. Era tutto pronto. Le autorità hanno lavorato nei tempi prestabiliti, sistemando il fondo stradale. Quando abbiamo parlato alla vigilia del Giro, Garzelli lo aveva appena provato, stupito per la sede stradale molto stretta, che avrebbe previsto il divieto al pubblico. Invece c’è stato appena il tempo di rientrare in Italia e Mauro Vegni ha deciso di non correre rischi. Nessuna squadra conosce quel tratto e il Giro d’Italia scalerà il Mortirolo senza deviazioni.

Gigi Negri è il motore del turismo in Valtellina: il cicloturismo è il cuore dell’estate
Gigi Negri è il motore del turismo in Valtellina: il cicloturismo è il cuore dell’estate

Un altro Mortirolo

Lo racconta Gigi Negri, riferimento del ciclismo in Valtellina, che ha aspettato il Giro nei giorni pugliesi ed ha avuto modo di confrontarsi sul tema con il patron della corsa. Nella sua voce c’è un po’ di rammarico, ma anche la soddisfazione perché nella prossima estate i cicloturisti potranno scalare il Mortirolo da un versante inedito. Soprattutto nei giorni di Enjoy Stelvio Valtellina in cui a rotazione i grandi passi di lassù saranno riservati alle bici. E questo stimola la curiosità e la competizione che anima i conquistatori delle grandi salite.

«Ho parlato con Mauro – spiega – e la conferma è che per quest’anno non si fa la Recta Contador. Bisogna dirlo chiaramente. I lavori sono stati ultimati a fine aprile, perché lì in alto c’era la neve. Il fatto che le squadre non abbiano potuto provare una salita molto impegnativa che cambierebbe la storia della tappa lo ha spinto a decidere per il no. Ha pensato che se poi ci fosse un problema, verrebbe fuori un putiferio. Avrebbe dovuto fare una riunione, oltre che con le squadre, anche con l’UCI e alla fine ha preferito non rischiare. In ogni caso, in quel tornante a destra, metteremo una gigantografia di Contador con tanto di indicazione per la variante».

Al bivio del Mortirolo, una gigantografia indicherà la Recta Contador
Al bivio del Mortirolo, una gigantografia indicherà la Recta Contador

Lo sbaglio di Alberto

Il Giro volterà a destra, Contador andò dritto. La storia è ghiotta da conoscere ed è proprio Negri a ricordarla. Il suo racconto ci aveva incuriosito già qualche tempo fa, ma lo avevamo tenuto in caldo aspettando il Giro.

«Era l’anno 2014 – racconta – e facevamo il Contador Day. Si scalavano Gavia e Mortirolo, che l’anno prima si era affrontato da Mazzo. Quell’anno, per dargli la giusta visibilità, si era deciso di salire dal lato della Valcamonica, quindi da Monno. Io sono un valtellinese convinto che i nostri passi uniscono e non dividono, per cui ogni anno si cercava di fare un versante diverso. Nel 2014 partimmo da Aprica e Alberto si mise in movimento con il gruppo alle spalle. Si scendeva verso Edolo, fino al bivio per Monno. Cominciò la salita. Solo che a un certo punto, appena usciti dall’abitato di Monno, dove c’è il mega tornante, lui cosa fa? Mette giù la testa e parte, ma non fa il tornante e va dritto in una stradina stretta».

Alberto Contador nel 2014 tracciò la linea della Recta Contador: quell’anno vinse la Vuelta
Alberto Contador nel 2014 tracciò la linea della Recta Contador: quell’anno vinse la Vuelta

La Recta Contador

Negri è alle spalle nell’auto con Angelo Zomegnan, che in quegli anni era il direttore del Giro d’Italia, dopo essere stato il vicedirettore della Gazzetta dello Sport. I due si accorgono dello sbaglio di percorso, ma non c’è modo di fermare lo spagnolo.

«Chiaramente in quel periodo Contador era ancora professionista – prosegue Negri – e faceva quel giro anche per allenamento. Quindi non fece il tornante e si infilò in questa strada che tagliava dritta. Saliva a testa bassa sull’asfalto che non era perfetto. E così, non potendo fare altro, decidemmo di andare in cima, salendo dal versante… ufficiale. Lo trovammo in cima al Mortirolo. Si era fermato al rifugio per cambiarsi e io gli dissi: “Ma Alberto, hai sbagliato!”. Invece lui era molto soddisfatto e disse: “Nessuno sbaglio, d’ora in poi questa sarà la Recta Contador”. Era soddisfatto di aver fatto una cosa inedita. E da lì quel tratto ha preso il suo nome».

Una sfida per l’estate

La Recta Contador probabilmente verrà inquadrata dalle telecamere nella 17ª tappa che il 28 maggio porterà il gruppo da San Michele all’Adige a Bormio. E in attesa che un domani anche i professionisti ne accettino la sfida, rimarrà terreno di conquista per i cicloturisti che dall’estate inizieranno a sfidare i giganti della Valtellina.

«E io – sottolinea Luigi Negri – devo ringraziare il sindaco di Monno e tutte le Istituzioni perché hanno speso veramente tanti soldi per metterla a posto. Sicuramente è un percorso nuovo per raggiungere il Mortirolo. Sono 2,9 chilometri che arricchiscono la nostra offerta turistica. Poi abbiamo saputo che Contador non sarebbe potuto venire per altri impegni con Eurosport, per cui ce ne siamo fatti una ragione. Soprattutto perché non sarebbe giusto giocare con la sicurezza dei corridori».

Il ragionamento è giustissimo. Gli stringiamo la mano chiedendoci come facessero negli anni in cui non esisteva VeloViewer e la pratica delle ricognizioni sui percorsi era sconosciuta o poco frequentata. E quando ai direttori sportivi, quelli più bravi, bastava una buona altimetria per guidare i corridori. Ma i tempi cambiano, giusto così. La Recta Contador noi l’abbiamo fatta casualmente in auto una volta che scalando il Mortirolo ci rendemmo conto che così avremmo guadagnato qualche chilometro. Ma in bicicletta state attenti: la pendenza è davvero degna del miglior Alberto Contador.

Il caos di Napoli, ma da domani si sale. Vero “Martino”?

15.05.2025
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«Oggi la parola simbolo è solo una: sfortuna. Già che piove a Napoli è sfortuna. Ma ancora di più perché quando piove da quelle parti le strade diventano impraticabili». Giuseppe Martinelli va dritto al sodo, come sempre, come nel suo DNA. Il tecnico bresciano è al suo primo non-Giro, ma le tappe le guarda con la solita passione, ogni giorno.

La cronaca di oggi è breve. Inizia a piovere quando il gruppo entra nella zona della pianura prima di affacciarsi sulla costa tirrenica. Una pinzata, una mezza “svirgolata”, e va giù mezzo gruppo. Corsa neutralizzata… come da regolamento.

Le ambulanze, oltre a non poter passare, non possono assistere tutti. Si riparte, ma senza classifica: in palio solo la vittoria di tappa. E la tappa è andata a Kaden Groves della Alpecin-Deceuninck, uno dei migliori sprinter di questo Giro d’Italia finora.

Giuseppe Martinelli, per 15 anni è stato il direttore sportivo dell’Astana
Giuseppe Martinelli, per 15 anni è stato il direttore sportivo dell’Astana
E quindi Martino, la tappa di oggi è stata decisa da pioggia e buonsenso…

Credetemi, giusto ieri sera avevo parlato con Shefer, perché ho ancora buoni rapporti con un po’ tutti, e la prima cosa che mi ha detto è stata: «Guarda Martino, se domani piove è il solito casino di Napoli. Le strade sono queste qua: piove poco e come viene giù un po’ d’acqua diventano sdrucciolevoli». Ed è successo. E succederà ancora.

E infatti tutto sommato non ci sono state neanche polemiche. Team, giuria, organizzatori, corridori erano allineati…

In questi casi, qualunque decisione tu prenda, a qualcuno non va bene e a qualcuno sì. Però era la soluzione migliore. Si è visto pure con Landa: guarda che è successo, si è fatto male subito un big al primo giorno. Rischiare così di rovinare uno spettacolo come il Giro quando mancano tre settimane non ha senso. E comunque la volata c’è stata, e non sarebbe stata molto diversa da quella che abbiamo visto.

E allora, Martino, è già tempo di guardare a domani, alla Castel di Sangro-Marsia, e alle prime vere salite: si va sopra i 1.000 metri di quota: tre GPM e arrivo in salita. Come si diceva una volta: “Domani inizia il Giro”. E’ così?

Diciamo che domani è il primo giorno in cui si può capire qualcosa di più di questo Giro. Okay, Pedersen ha dimostrato di essere il più forte da un po’ di tempo. Non dimentichiamoci che è andato fortissimo nelle classiche, fortissimo a inizio stagione, e tutto quello che ha fatto se l’è meritato. Devo dire che mi aspettavo un po’ di più in generale dall’Albania. C’erano due tappe dove si poteva fare qualcosa di più. Però probabilmente, sai, anche i corridori ogni tanto usano la testa.

La direzione di gara ferma la corsa. Neutralizzazione e ripartenza verso Napoli (ma senza tempo)
La direzione di gara ferma la corsa. Neutralizzazione e ripartenza verso Napoli (ma senza tempo)
Cioè?

Sanno che il Giro è lungo, che si deciderà nell’ultima settimana. Domani vediamo chi ha veramente le gambe per fare qualcosa e chi invece non le ha.

Da chi ti aspetti qualche movimento? Ci dicono di un Ayuso taciturno, che si nasconde… Magari domani vorrà farsi vedere per recuperare quei secondi persi a crono?

Io credo di no. Se è bravo, sta ancora lì, perché Roglic in questo momento va forte e tra gli uomini di classifica mi sembra quello più in palla. Ayuso l’ho visto bene, ma non benissimo come pensavo. In quella cronometro non è andato come mi aspettavo. Ed era una crono adatta a lui: c’era salita, c’era discesa, e lui sa guidare. Perciò credevo arrivasse un po’ più avanti. Io credo che domani si difenderà. E poi speriamo bene per i nostri italiani!

Paleni e Van der Hoorn: i due fuggitivi di giornata sono entrati in testa a Napoli, ma poi il gruppo li ha ripresi a -2,5 km
Paleni e Van der Hoorn: i due fuggitivi di giornata sono entrati in testa a Napoli, ma poi il gruppo li ha ripresi a -2,5 km
Ti riferisci a Tiberi?

Secondo me, Tiberi ha una squadra a completa disposizione, e spero che domani, anche se non succederanno grandi cose, alla fine vedrai che qualche indicazione ci sarà. Non credo ci saranno distacchi grandi, ma si capirà chi il Giro lo può anche non vincere. Ci potrebbe essere, non so, un Carapaz che ha voglia di rischiare. Un Bernal che, se sta bene, ci prova. Ecco, mi aspetto più qualcosa dalle seconde linee.

Noi invece abbiamo due nomi sulla bocca. Il primo è Ciccone: sta bene, corre in Abruzzo e sappiamo che è uno focoso. Se si trova lì davanti, una stoccata la prova?

All’inizio del Giro, nelle mie considerazioni, pensavo che lui non puntasse alla classifica. Pensavo che Giulio provasse a vincere un paio di tappe fatte bene. E una di queste poteva essere quella di domani. Ciccone la gamba ce l’ha, perché quello che ha fatto in Albania e in questi giorni, anche ieri in finale, lo dimostra. Ha però la maglia rosa in casa. Anche se dovrebbe lasciarla. Pedersen gli darà via libera, suppongo.

L’altro nome è quello di Lorenzo Fortunato, che tra l’altro hai diretto fino a pochi mesi fa. Lui sta bene, ha la maglia blu, esce da un ottimo Romandia. Magari con l’anticipo giusto può veramente arrivare a Marsia…

Lorenzo però è caduto oggi e mi dispiace. Se Fortunato non fosse caduto, poteva essere sicuramente un uomo da giocarsi domani. Bisogna vedere cosa si è fatto, perché dopo l’arrivo l’ho visto incerottato. Però ha la maglia del GPM, ci tiene, e la maglia blu tante volte dà quella spinta in più.

Giuseppe, domani è prevista pioggia per le ultime due ore (abbondanti) di corsa. Questo incide sul risultato e sulla tattica?

Se la pioggia arriva nel finale incide un pochino meno. In quel momento i corridori sono entrati in modalità corsa. Perciò non stanno a pensare a mantelline o no. Non è come se piove dal via. Tuttavia, per qualcuno la pioggia incide comunque. C’è chi la paga e chi invece ci si trova bene. Roglic, per esempio, ci è abbastanza abituato. E anche Ciccone col maltempo potrebbe approfittarne. Se la cava. E’ uno che è capace anche di buttarsi nella mischia e magari ribaltare un po’ lo schema della corsa. Sarà una bella tappa… Perché i corridori, che se ne dica, hanno corso abbastanza bene sin qui. Voglio dire, è una settimana che sono in corsa e sono pronti per darsi battaglia nel vero senso della parola.

La tappa di Tagliacozzo apre una quadripletta (al netto del giorno di riposo) insidiosa: coi muri di Castelraimondo, gli sterrati e gli strappi di Siena, e la crono di Lucca…

Non è la fine del mondo, però c’è da stare attenti. In questi tre-quattro giorni qualcuno potrebbe anche pagare qualcosa… a partire da domani, ma anche sui muri marchigiani. E lo stesso vale per Siena. Quell’arrivo non è per tutti: qualche secondo a destra o a sinistra lo puoi lasciare se non sei in giornata. Dai, ci aspetta un bel finale di settimana.

Una piscina, Pantani e il giorno che conoscemmo Borra

15.05.2025
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Iniziava il lockdown, l’Italia si stava chiudendo e Matteo Moschetti era ancora nel piccolo appartamento che un amico di Fabrizio Borra gli aveva messo a disposizione per la riabilitazione dal secondo incidente.

«Mio figlio e mia moglie lo accompagnavano avanti e indietro – raccontò Fabrizio – e anche a fare la spesa. E’ un peccato non essere riusciti a finire il lavoro perché a un certo punto è dovuto andare a casa, ma credo che anche quel poco gli abbia permesso di abbreviare la ripresa».

Eccome se glielo permise! Il Moschetti che quest’anno ha già vinto quattro corse e sta lottando al Giro è figlio di quel lavoro. Tanti corridori sono passati dal suo centro e tanti hanno continuato a farlo, trovando in lui la chiave per rieducazioni anche estreme e un amico capace di immensa empatia. Fabrizio aveva gli occhi buoni, spesso stanchi per il tanto lavoro, con lo stesso guizzo sul fondo quando trovava la via migliore. E allora diventava un vulcano. Un’intelligenza inquieta, di quelle che servono per fare la differenza.

Pantani e la piscina

La prima volta fu nel vecchio centro, quello in città, al piano terra di un palazzo con il parcheggio alle spalle. Ci aveva invitato Marco, perché eravamo curiosi di seguire il suo recupero. Lo trovammo che nuotava contro una corrente piuttosto energica, con la smorfia di quando in salita metteva in croce gli avversari.

Fabrizio Borra, così si chiamava il suo rieducatore, lo conoscemmo in quel giorno di fine 1995. Spiegò le fasi del lavoro e solo dopo che Pantani ebbe terminato la seduta, ci accolse nel suo ufficio. La nostra storia con lui iniziò quel giorno e non si è più fermata. Anche quando si parlò di offrire a Marco un ultimo appiglio, il viaggio in una sperduta comunità sudamericana, al tavolo di don Gelmini era seduto anche lui.

Trent’anni di chiamate e incontri. Certamente con un diverso grado di intimità rispetto a quello che di volta in volta riusciva a stabilire con i suoi atleti, ma sempre con presenza e voglia di aiutare. Perché questo faceva Fabrizio: aiutava e trasmetteva la sensazione che nessun risultato fosse impossibile. Era una persona buona: non puoi fare quel mestiere se non lo sei.

Da anni, Borra era l’anima gemella di Fernando Alonso. Con lui e Bettini tentò anche di costruire un team (immagine Instagram)
Da anni, Borra era l’anima gemella di Fernando Alonso. Con lui e Bettini tentò anche di costruire un team (immagine Instagram)

Un precursore assoluto

«Ci sei?». Non c’era discorso di Fabrizio Borra, soprattutto quando spiegava qualche concetto legato al suo mestiere, che non fosse frammentato da quell’intercalare. Voleva essere certo che capissimo e in certi giorni effettivamente la seconda domanda era necessaria. E anche la terza.

Si era formato alla scuola dello sport americano e aveva portato in Italia la concezione del corpo come un sistema unico e l’uso dell’acqua per la rieducazione, che inizialmente sparigliò le carte. Non ha mai smesso di studiare Fabrizio, né di rimboccarsi le maniche. Anche quando l’alluvione entrò nel suo nuovo studio e fece marcire anni di ricordi e impegno. Ripartì anche quella volta.

Per chi come noi visse la vicenda di Pantani, resterà sempre un eroe. Lo guardò. Lo guardò impegnarsi. E disse: «Può tornare quello di prima, non ho dubbi». C’era lui quando Marco entrò nella clinica del professor Terragnoli a Ome, in provincia di Brescia, e tolse i ferri dalla gamba. Era già risalito in bici senza dirlo a nessuno, anche con quel fissatore esterno. Il miracolo si era già compiuto.

«Avevamo già provato a mettere la cyclette in acqua – raccontò un giorno Borra, ridendo – ma desistemmo perché il grasso sporcava l’acqua. Allora nuotava, ma bisognava stare attenti che non entrasse acqua. Una volta trovammo la protezione piena fino all’orlo, ma al medico non dicemmo nulla…».

L’idea di Bernal

Una delle ultime situazioni di cui parlammo con lui in modo approfondito fu l’incidente di Bernal. Eravamo certi che se Egan fosse passato fra le sue mani, il recupero sarebbe stato ben più rapido e incisivo. Invece la Ineos decise di seguire la strada colombiana e di fatto sono passati tre anni prima di poter rivedere Egan vicino ai suoi livelli.

«Non è tanto il fatto di rimetterlo prima o dopo sulla bici – disse Borra nell’interessante intervistace lo puoi mettere anche dopo 30 giorni, l’accortezza è che sia dritto. Quando hai tante fratture e così tanti traumi di quel tipo, che coinvolgono anche gli organi interni, bisogna guardare l’equilibrio muscolo-funzionale. Non so come stiano lavorando in Colombia, mi auguro che non abbiano guardato solamente l’aspetto osseo o l’aspetto della medicina interna, ma che abbiano misurato e valutato gli equilibri muscolo-funzionali. Cioè che la muscolatura abbia ripreso a lavorare in modo corretto. Penso che la Ineos Grenadiers, avendo creato un nuovo modello del ciclismo, sia attenta a questo aspetto».

Fabrizio Borra se ne è andato a 64 anni. Ha collaborato con un numero immenso di atleti, il mondo dello sport lo ricorderà a lungo
Fabrizio Borra se ne è andato a 64 anni. Ha collaborato con un numero immenso di atleti, il mondo dello sport lo ricorderà a lungo

Che fortuna averti incontrato

Lo avrete già letto e sentito. Fabrizio Borra non c’è più, portato via da un tumore scoperto un anno fa. La notizia è caduta dall’alto e si è propagata attraverso il mondo del ciclismo come uno tsunami per il quale nessuno era preparato. E siccome Fabrizio non era uno che chiamasse e preferiva starsene in disparte, soltanto ora tanti guardano l’ultimo messaggio senza risposta e ne capiscono il perché.

Sono decine gli atleti che gli hanno detto grazie e continueranno a farlo. Campioni, personaggi e persone comuni che hanno perso un punto di riferimento. Non conosciamo direttamente la sua famiglia, come i corridori che in questi giorni lo hanno ricordato. Ma nell’esprimere ovviamente vicinanza, perché il vero riferimento l’hanno perso soprattutto loro, ci teniamo stretta una frase pronunciata da suo figlio Daniele.

«Ci hai insegnato la lealtà, l’onestà e l’amicizia e in famiglia c’eri sempre anche quando non c’eri. Alla mamma penseremo noi e l’ameremo come tu ci hai insegnato a fare. Che fortuna averti avuto, papà».

Che fortuna, Fabrizio, averti incontrato sulla nostra strada.

Due anni da recuperare, ma Paternoster sta arrivando

15.05.2025
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Dopo le classiche, l’obiettivo di Letizia Paternoster è diventato il Tour de France Femmes. Riuscire a vincere una tappa sarebbe il modo di entrare fra le grandi e tenere il ritmo delle coetanee che, a vario titolo, hanno compiuto i loro passi verso l’alto. Basterebbe partire dal podio di Doha 2016, quando quel fantastico gruppo di ragazze fra il 1998 e il 1999 si affacciò (vincendo) sul mondo. Al centro Elisa Balsamo con la maglia iridata e a sostenerla proprio Letizia, Chiara Consonni e Martina Fidanza.

Sono passati nove anni, chilometri e tanta vita. C’è stato il Covid e ci sono stati gli incidenti. In tanti casi rimanere in equilibrio fra la realtà, le attese e i propri guai è già di per sé un’impresa, per cui essere riusciti a risollevarsi è segno di talento e determinazione. Così Letizia Paternoster sta risalendo le posizioni del gruppo. Si è smarcata dalla riduttiva etichetta di velocista. E’ tornata competitiva in pista. Ha imparato a non mettersi addosso pressioni troppo pesanti. E ora addenta le corse con altra consapevolezza, facendo i conti con la sua immagine pubblica che a molti basta e avanza per dare giudizi senza conoscere. La maledizione dei social colpisce spesso chi sui social è più forte.

Passaggio in Spagna

Fra le classiche e il Tour, con la condizione che le restava nelle gambe, la trentina si è trovata a passare per la Vuelta. E senza fare miracoli, ha portato a casa un secondo posto di tappa e ha vestito per un giorno la maglia rossa di leader. Poco al confronto di una leonessa come Marianne Vos, ma abbastanza per capire di aver trovato la chiave. E la stessa Vos, rileggendone la storia, a un certo della sua carriera di predestinata, ebbe un crollo che la costrinse a mettere un lungo punto.

«Ho iniziato la stagione con tanta pressione addosso – racconta – e questo al Nord mi ha fatto vivere dei brutti momenti. Il guaio è che me la mettevo da sola. L’anno scorso ero andata tanto forte e mi sono resa conto che non funziona affrontare certe corse solo con le attese e senza la mente libera. La Vuelta è servita per ritrovare testa e gambe e affrontare quel che verrà con un’altra consapevolezza».

Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Quattordicesima al Fiandre (qui con Niewiadoma), dopo il nono posto del 2024, pagando pegno alla tensione
Però è venuta la maglia di leader e soprattutto alle spalle Marianne Vos, una vera leggenda…

Ricordo che ero piccolina la prima volta che puntai la sveglia per vedere il mondiale del 2010 in Australia, avevo 11 anni. Lo ricordo perché era il primo mondiale di Rossella Callovi, che è una mia amica ed è trentina come me. E ricordo la vittoria di Giorgia Bronzini sulla Vos, che già quattro anni prima, a 19 anni, aveva vinto il mondiale di Salisburgo. Marianne Vos è un riferimento, un modello da seguire.

Che cosa ti ha detto la Vuelta?

Che ho ritrovato testa e gamba. Ci sono arrivata motivata, con la testa leggera e ho capito le mie possibilità. Mi sono scrollata di dosso il fatto di essere una velocista, anche se l’ho sempre saputo e me l’hanno sempre detto. Sono più leggera delle ragazze di 70 chili specializzate negli sprint, vado meglio sui percorsi ondulati, con arrivi sugli strappi. Infatti la seconda tappa della Vuelta aveva l’arrivo dopo l’ultimo chilometro che tirava tutto in salita.

Però le salite lunghe restano indigeste…

Non è tanto il dislivello, infatti, il mio problema è la durata delle salite, la lunghezza. Se le salite sono corte, ripide e non tanto lunghe, se sono in forma posso dire la mia. Per questo ad esempio, non so cosa pensare di mondiali ed europei. Un po’ perché non ho visto i percorsi e un po’ perché non voglio guardare troppo avanti.

Chi ti ha sempre detto che non sei una velocista?

Quasi tutti i tecnici con cui ho lavorato (sorride, ndr). Penso a Josu Larrazabal, il capo dei tecnici alla Lidl-Trek. Non faceva che ripetermelo e l’ultima volta che ci siamo visti in ritiro, perché eravamo nello stesso hotel, me lo ha ricordato.

Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
Al Trofeo Binda, Paternoster ha tenuto bene sulla salita di Orino ed è stata quinta allo sprint vinto da Balsamo
Si può dire che la parte più difficile in questa fase della carriera sia capire che atleta sei?

Assolutamente. Sto acquisendo adesso la piena consapevolezza, dopo aver perso quasi due anni per problemi di salute. Quello che avrei dovuto fare a 22 anni, io lo sto facendo adesso. Ho riscoperto la Letizia giusta. E grazie a Marco Pinotti e alla squadra, alla LIV-Jayco-AlUla, ho capito quali saranno le corse cui posso puntare.

Il Tour e non il Giro proprio per questo?

Esatto e sono super entusiasta. Non vedo l’ora di iniziare la preparazione per il Tour. Le prime 5 tappe hanno arrivi di questo tipo, che ricordano molto le classiche. La squadra pensa che sia la soluzione migliore per me, quindi andrò dritta in Francia. Il Tour non l’ho mai fatto, l’ho sempre solo guardato, quindi mi gasa tantissimo. Però insieme ho un dispiacere enorme nel non fare il Giro d’Italia. Appena hanno annunciato le tappe, ho visto quella che passa proprio da Cles e arriva a Trento e farla sarebbe stato un sogno. Però per il resto, devo ammettere che il Tour si addice molto di più alle mie caratteristiche.

Farai altura, sai già come ci arriverai?

Questa settimana è stata di respiro dopo le classiche e la Vuelta. Nella prima parte di stagione non ho mai staccato, se non in questi giorni. Prossima corsa sarà il Tour of Britain ai primi di giugno, quindi fra due settimane e mezzo. Poi vado in altura. Scendo per il campionato italiano con le Fiamme Azzurre. Ritorno in altura. E poi, il tempo di riadattarmi al livello del mare e vado dritta al Tour de France.

Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
Linguaccia alla cattiva sorte e ripartenza: il Tour sarà per Paternoster un importante momento di verifica
Sei passata definitivamente a lavorare con Pinotti, dopo il periodo a metà fra lui e Broccardo. E’ cambiato qualcosa?

Marco mi ha sempre detto che ho tantissimo margine. E quindi gradualmente stiamo aumentando il lavoro e facendo tutto nel modo giusto. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. Sto crescendo e sta crescendo il carico di lavoro, per arrivare al mio vero valore. Ciclisticamente Dario è stato un padre, siamo in ottimi rapporti, resta un riferimento.

Quindi riassumendo, pochi viaggi mentali, pressioni al minimo e testa libera?

Esatto. E così arriverà tutto. Devo solo continuare in questo modo. Essere positiva con la testa, stare su e lavorare nel modo giusto. E poi la ruota girerà. Ne sono certa.

Borgo, la vittoria alla Gand e una notte insonne

15.05.2025
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Com’è stato il ritorno a casa dopo la Gand? Borgo sorride, ricorda e racconta. «Abbiamo passato la notte all’hotel dell’aeroporto, perché avevo il volo il giorno dopo. E’ stata una notte… Diciamo che ho dormito sì e no un paio d’ore. Era impossibile prendere sonno, era una sensazione che non avevo mai provato fino ad ora. Pian piano mi rendevo conto di quello che avevo fatto e tutt’oggi ci penso. Poi l’accoglienza a casa sicuramente è stata bella, con i tifosi che mi supportano da sempre…».

Sono passati quattro giorni dalla vittoria di Alessandro Borgo alla Gand-Wevelgem U23. Il ragazzo di Conegliano, vent’anni compiuti il 6 febbraio, è stato a casa fino a ieri e da oggi si trasferirà sul Passo Pordoi per un blocco di altura che lo porterà in condizione al Giro Next Gen. La vittoria belga è arrivata dopo una serie di piazzamenti che lo avevano contrariato e in qualche modo ha pareggiato i conti con la sorte.

Borgo, il suo coach Mattiussi e Alessandro Pessot: ex pro’ e ora massaggiatore, ma prossimo alla laurea magistrale in Scienza dell’Alimentazione
Borgo, il suo coach Mattiussi e Alessandro Pessot: ex pro’ e ora massaggiatore, ma prossimo alla laurea magistrale in Scienza dell’Alimentazione
Eri andato su sapendo di avere le gambe per vincere?

Diciamo che era un obiettivo stagionale, cerchiato in rosso da me e dal mio coach Alessio Mattiussi. In precedenza ero venuto a casa mangiandomi le mani per un paio di occasioni sfumate. Avevo una gamba buona e le ho buttate via, ma ritengo siano stati passaggi che mi fanno crescere. Quindi sono venuto a casa e ho continuato il mio avvicinamento per la Gand. Sapevo di essere uno dei favoriti e ce l’ho fatta.

Le occasioni mancate sono i piazzamenti al Tour de Bretagne?

Esatto. Mi sono mangiato le mani in due tappe e ho fatto decimo nella generale. Il penultimo giorno, avevo le gambe buone, ma ho aspettato troppo e alla fine ho perso secondi in classifica perché non ho azzardato. Il giorno dopo invece sono stato chiuso in volata, avevo una buona gamba e sono arrivato terzo.

Gand cerchiata di rosso perché il percorso è adatto a te?

Già l’anno scorso avevo fatto un po’ di esperienze in Belgio e pur essendo al primo anno, avevo fatto quinto, quindi volevo sicuramente migliorarmi. E’ una gara abbastanza adatta alle mie caratteristiche, anche se quest’anno non è venuta troppo dura perché mancava il vento, in cui speravo. Però mi sono inventato comunque qualcosa e ce l’ho fatta.

La corsa si è accesa nel circuito del Kemmelberg e grazie al vento (foto Facebook/Gent-Wevelgem)
La corsa si è accesa nel circuito del Kemmelberg e grazie al vento (foto Facebook/Gent-Wevelgem)
Che cosa ti sei inventato?

Il giorno prima avevamo analizzato la gara sempre con Mattiussi e il vento era previsto a 18 km/h. Non bastava per fare chissà quale azione, infatti la prima parte è stata un po’ controllata con la fuga che è andata via. Poi quando ci siamo avvicinati al circuito del Kemmelberg, è arrivato anche un po’ di vento. E in una parte di percorso che già conoscevo dall’anno scorso, dove bisognava stare attenti, si è staccato un gruppetto. Io inizialmente non c’ero dentro, ma sono rientrato assieme al ragazzo della Lidl-Trek che poi ha fatto secondo (Patrick Boje Frydkjaer, ndr).

E come è andata?

All’inizio non c’era molta collaborazione, però quando siamo arrivati sulla parte più dura con le salite in successione, c’è stata una selezione naturale. Siamo rimasti in tre, negli ultimi 10 chilometri abbiamo raggiunto Golliker che era via da solo e siamo arrivati in quattro al traguardo.

Non vincevi da Collecchio nel 2024, nervoso al momento di affrontare la volata?

Diciamo che dall’anno scorso ho iniziato a trovarmi in finali di corsa abbastanza importanti. Non voglio sminuire la gara di Collecchio, però sicuramente le gare internazionali all’estero che ho fatto hanno un’importanza maggiore e ovviamente anche degli avversari superiori. Avevo già provato questo tipo di arrivi e di adrenalina. Tanto che è stato l’arrivo in cui mi sono scoperto più tranquillo. Forse non mi sono neanche reso conto di quello che stavo vivendo.

Dopo il quinto posto del 2024, per Borgo una grande conferma (foto Facebook/Gent-Wevelgem)
Dopo il quinto posto del 2024, per Borgo una grande conferma (foto Facebook/Gent-Wevelgem)
Vittoria scontata?

Quello mai. So di essere veloce, però si sa che dopo una gara di 190 chilometri, appena ti alzi in piedi per la volata, può succedere di tutto. Può partire un crampo o che ti cada la catena, perciò l’ho presa di petto, ma restando freddo. Sono partito lungo perché la strada era particolare: ai lati il pavé, mentre al centro era liscia. E siccome ho una buona volata lunga, mi sono infilato nel tratto liscio e nessuno mi ha passato.

Hai parlato di corse importanti che hai fatto, cosa possiamo dire della Freccia del Brabante?

Penso che ad oggi sia la gara più importante in cui sia partito. C’erano avversari come Van Aert, Evenepoel e Pidcock. Insomma, sono gli idoli dei corridori e ho avuto l’opportunità di correrci assieme. E’ stata forse una delle gare dove ho sofferto di più, non ero in condizione al 100 per cento e poi i ritmi erano sicuramente alti. Però mi sono trovato spalla a spalla con Remco ed è stata una sensazione molto strana. Perché da guardarlo in TV vincere le Olimpiadi, ero lì a correrci contro ed è stato stranissimo. Per questo, anche se ero a tutta, ho pensato alla maglia che avevo addosso e che dovevo onorarla. Non potevo staccarmi e così sono riuscito ad arrivare col gruppetto degli inseguitori. Ho anche provato a tirare la volata ai miei compagni Zambanini e Buratti, che però nel finale hanno avuto qualche problema. Quindi sì, è stato emozionante anche per me.

Come sta andando questo primo anno nel devo team? Tanto diverso dall’anno passato?

Sicuramente abbiamo un budget diverso, quindi le cose venivano fatte bene già prima, ma sicuramente abbiamo più materiale e più staff. Viene tutto meglio e possiamo permetterci di fare anche dei giorni di trasferta in più e questo ci fa migliorare. 

C’era tanta gente a Ieper per l’arrivo?

L’anno scorso era ovviamente di più, perché si correva nello stesso giorno dei professionisti. Però è comunque una gara sentita, una gara di spessore.

Adesso si va in altura, verso quali obiettivi?

Vado sul Pordoi e scendo il 30. Poi farò il Tour of Malopolska in Polonia, che sono quattro giorni di gara. Torno a casa il 9 giugno, faccio una rifinitura per il Giro d’Italia e da lì vediamo di portare a casa un bel risultato.

L’anno scorso, quando la squadra si chiamava CTF Victorious e Alessandro Borgo era un U23 di primo anno, il Giro Next Gen gli portò il quarto posto nella penultima tappa. Il progetto va avanti, anche se ha cambiato nome e finanziatore. Fa piacere vedere che nella squadra della Gand-Wevelgem ci fossero anche Thomas Capra che l’aveva vinta da junior e Bryan Olivo che spinge per uscire. Fa piacere riconoscere il lavoro di Alessio Mattiussi e Renzo Boscolo e il profilo di Alessandro Pessot, che ha fatto due anni da pro’ alla Bardiani e poi si è dato allo studio. In attesa della laurea magistrale per diventare nutrizionista, è massaggiatore nella sua ex squadra. E fa piacere ricevere gli aggiornamenti da Bressan ogni volta che arriva un bel risultato. L’anima friulana continua a battere, anche se a volte parla un dialetto diverso.

Velocisti da Giro, velocisti “da Malesia”: il punto con Mazzoleni

15.05.2025
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Tutto nasce da una frase di Matteo Malucelli, il quale presentando i velocisti del Giro d’Italia, aveva usato l’espressione «velocisti da Malesia», per indicare cioè quegli sprinter puri più idonei a corse solitamente molto veloci, su percorsi più abbordabili. La tappa di ieri con arrivo a Matera ha scavato la netta differenza fra i pochi, Pedersen fra loro, che hanno retto fino al traguardo e quelli che si sono staccati prima.

Il corridore e ingegnere della XDS–Astana aveva anche aggiunto che corridori così avrebbero fatto più fatica a finire il Giro, a mantenere lo spunto veloce su percorsi più duri e in una corsa a tappe tanto lunga. Lui stesso aveva detto che in parte si riconosceva in questa categoria e che per poter affrontare un Giro serviva un compromesso fra tenuta e spunto veloce.

Un aspetto tecnico davvero interessante che abbiamo posto all’attenzione di Maurizio Mazzoleni, capo dei preparatori proprio della XDS–Astana.

Maurizio Mazzoleni, preparatore e sport manager della della XDS-Astana (foto XDS-Astana)
Maurizio Mazzoleni, preparatore e sport manager della della XDS-Astana (foto XDS-Astana)
Maurizio, prendiamo come spunto le parole di Malucelli, il quale in Turchia dopo la sua vittoria ci aveva detto che non avrebbe fatto il Giro perché sarebbe una sofferenza grande per lui. Quindi ci deve essere un velocista che è pronto per un grande Giro? Ed eventualmente, come si può diventarlo?

E’ chiaro che, come avevamo detto a inizio anno, il nostro obiettivo è massimizzare le performance degli atleti in base alle caratteristiche che hanno e metterli nelle condizioni di esprimerle al meglio nelle gare che più gli si addicono. Per questo Malucelli rientra in una valutazione che facciamo utilizzando la nostra esperienza, i nostri dati e anche quelli dell’intelligenza artificiale, mettendo assieme tutto.

Chiarisci meglio…

E’ emerso che il miglior calendario per Malucelli non prevedeva i grandi Giri. Quando si prepara un grande Giro e lo si corre, in quei due mesi si rinuncia ad altre gare che gli si addicono di più. Questo è il punto.

Non si tratta solo della corsa, quindi?

Esatto. Se devo preparare un grande Giro non posso sempre correre. E poi c’è un altro discorso.

Malucelli, qui vincitore della tappa finale del recente Tour of Turkiye, non ha mai preso parte ad un grande Giro
Malucelli, qui vincitore della tappa finale del recente Tour of Turkiye, non ha mai preso parte ad un grande Giro
Quale?

La scelta della lineup per quella determinata competizione. Se si prevede un velocista puro, devi supportarlo con uno, due, anche tre uomini che lavorino per lui. Finalizzare il lavoro vuol dire usare corridori con caratteristiche specifiche. Al tempo stesso sono corridori in meno che potrebbero fare un altro tipo di lavoro. Per Malucelli, la valutazione è rientrata in questo ambito.

Allarghiamo però il discorso, usciamo da Malucelli…

In generale, nel ciclismo il velocista puro è un tipo di corridore che si sta trasformando. Se guardiamo gli ordini di arrivo in certe tappe, come quelle iniziali del Giro, abbiamo visto corridori come Pedersen, Strong, Groves: passano salite che prima certi velocisti non superavano.

E quindi?

E’ un nuovo tipo di sprinter. Sono corridori moderni che passano anche asperità intermedie. Ma sicuramente hanno previsto una preparazione specifica per il grande Giro. Queste qualità sono in parte genetiche, ma sono anche allenabili. Non è precluso che un velocista puro possa fare un grande Giro, ma bisogna considerare che le tappe veramente piatte sono poche: due, forse tre. Le altre occasioni se le devono sudare.

Anche fare gruppetto (qui Dainese, Gaviria e Consonni in una foto del 2023) può non essere scontato nei grandi Giri
Anche fare gruppetto (qui Dainese, Gaviria e Consonni in una foto del 2023) può non essere scontato nei grandi Giri
Sempre prendendo spunto dalle parole di Malucelli, si parlava del recupero. E’ più difficile per uno sprinter?

La struttura fisica di un velocista comporta una maggiore massa muscolare. A livello di tossine e di recupero metabolico, lo sforzo produce più metaboliti e scorie. I tempi di recupero possono essere maggiori, ma fa parte della loro normalità. Gli scalatori hanno meno masse muscolari e un volume aerobico maggiore che gli consente un recupero più efficiente.

Prima hai detto che a uno sprinter puro il Giro non è precluso, ma bisogna lavorarci. Ebbene, come si lavora in questa direzione?

Questa riforma del calendario spinge a considerare l’intera stagione. Non è detto che un professionista debba fare i grandi Giri per forza. Anzi, si stanno promuovendo anche le attività parallele. Noi, per esempio, siamo al Giro d’Italia, ma in maggio facciamo anche tre attività con l’obiettivo punti: le 4 Jours de Dunkerque, il Tro Bro Léon e il Giro d’Ungheria. Bisogna allontanarsi dall’idea che ci siano solo tre grandi Giri. Un atleta può essere completo anche seguendo calendari diversi.

Se una squadra punta forte sul velocista, può avere anche 6 uomini a sua disposizione. Qui l’Astana 2024 per Cavendish al Tour
Se una squadra punta forte sul velocista, può avere anche 6 uomini a sua disposizione. Qui l’Astana 2024 per Cavendish al Tour
Da un punto di vista tecnico, come dovrebbe lavorare uno sprinter per affrontare un grande Giro?

La prima cosa è non snaturarsi: Cavendish ad esempio non lo ha mai fatto. Bisogna arrivare pronti a una competizione importante, ma senza alterare troppo la preparazione. Più si esaspera la parte aerobica, più si rischia di perdere le qualità anaerobiche. E’ sempre un equilibrio delicato. Un velocista puro deve avere comunque un livello minimo per completare tre settimane e non uscire dal tempo massimo. Non è scontato. Anche se oggi le percentuali sono un po’ più generose, resta un rischio. Basta una giornata storta in una tappa dura, e può uscire fuori tempo massimo.

Discorso lineup: tu ci hai parlato di un certo numero di uomini a supporto. Puoi dirci di più?

Gliene servono minimo due per il lead-out, e poi chi lo accompagna nelle tappe più difficili. Come ho detto, da due a quattro uomini se la squadra ha anche altri obiettivi. Se invece si punta tutto sul velocista, possono arrivare anche a sei.

Pedersen tris a Matera, ma Zambanini lo ha fatto tremare

14.05.2025
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Cosa c’è in quell’urlo che lo scuote fino a farlo tremare? Quando Edoardo Zambanini taglia il traguardo di Matera e si accorge di non avercela fatta a passare Pedersen, sente come un terremoto dentro. Gli altri soffiano via quel refolo di vita che gli è rimasto, lui ruggisce contro il vento. C’è il rammarico per essere stato toccato al momento di partire. C’è che se avesse potuto sprintare al centro e non sulle transenne, magari si sarebbe lanciato meglio. E c’è la vittoria che ogni volta sembra vicina e invece all’ultimo istante di nuovo si allontana. Era già arrivato quinto a Valona, in una tappa tutto sommato simile. Di quelle in cui i velocisti normali affondano e restano a galla solo quelli con il motore oversize. Come oggi, a ben vedere.

La Puglia ha accolto il Giro e ora lo vede partire. Ceglie Messapica è un abbraccio immenso. E alle 13,35 il gruppo se ne va
La Puglia ha accolto il Giro e ora lo vede partire. Ceglie Messapica è un abbraccio immenso. E alle 13,35 il gruppo se ne va

Un soffio da Pedersen

Matera è dura come le sue pietre e come ogni stradello che dal fondovalle si arrampica in alto. I velocisti se ne rendono conto salendo Montescaglioso e soltanto un Pedersen formato imperiale poteva resistere a certe strappate. Con le gambe e con il cervello, riuscendo a dosare il fuorigiri della salita per trovarne uno superiore in volata. Eppure Zambanini era lì e per un soffio non lo infilava.

«Oggi ho avuto bellissime sensazioni per tutto il giorno – dice il trentino quando il cuore ha smesso di fargli male – ma in generale questo è un periodo che sto molto bene! Abbiamo lavorato tanto anche con la squadra nei ritiri e piano piano si vedono i risultati. L’obiettivo era di non perdere tempo nella generale, così mi sono messo a disposizione della squadra durante la tappa».

Tre italiani in fuga verso Matera. Sono Davide Bais, Lorenzo Milesi e dietro c’è Giosuè Epis, in maglia Arkea, che si staccherà
Tre italiani in fuga verso Matera. Sono Davide Bais, Lorenzo Milesi e dietro c’è Giosuè Epis, in maglia Arkea, che si staccherà

Tiberi-Caruso, luci diverse

Su quello strappo più duro, giurano di aver visto Tiberi in leggero affanno. Antonio si è un po’ sfilato e probabilmente per un diesel come lui, il finale così esplosivo non era il massimo. Tanto che nella volata, il nono posto se l’è preso Caruso, mentre il capitano è rimasto a centro gruppo.

«Una volta finito il mio lavoro – dice ancora Zambanini – ho tenuto duro sullo strappo. Mi sono trovato un po’ indietro all’ultimo chilometro, proprio perché in precedenza avevo aiutato. Ma siccome stavo bene fisicamente, ho dato tutto fino all’arrivo. Forse sarebbero forse bastati 5-10 metri in più, perché ero davvero vicino. Sono davvero contento di queste sensazioni. Ringrazio il team per la fiducia che mi sta dando, stiamo crescendo insieme!».

Matera offre sempre un colpo d’occhio unico, l’Italia è il solito splendido affresco
Matera offre sempre un colpo d’occhio unico, l’Italia è il solito splendido affresco

Venti chilometri infernali

Questa volta Pedersen ha dovuto stringere i denti più che nei giorni scorsi. Se la tappa di Valona l’avevano scandita tutta loro della Lidl-Trek, questa volta le accelerazioni del UAE Team Emirates e poi quella di Roglic hanno costretto la maglia rosa e i suoi scudieri a correre di rimessa. Vacek lo ha preso per mano, aspettandolo quando Mads si è sfilato e poi lanciandolo in volata con il solito rapportone che ha piegato le gambe di tanti.

«Non ero affatto sicuro di aver vinto – dice la maglia rosa – gli ultimi 20 chilometri sono stati incredibilmente duri. Ho sofferto tantissimo. Dopo l’ultima salita ero un po’ indietro e ho dovuto spendere tante energie per rientrare sulla ruota di Vacek. Per fortuna ne avevo ancora abbastanza per lo sprint finale. Vincere con la maglia rosa è pazzesco. E’ molto più di quanto abbia mai sognato. Che Giro e che squadra ho attorno a me… Domani si va a Napoli, lì ho già vinto (nel 2023, battendo Milan oggi suo compagno, ndr), ma adesso penso a godermi questo successo».

Questa volta Pedersen ha lasciato un pezzetto di vita sul manubrio. Ha vinto, ma è piegato e allo stremo delle forze
Questa volta Pedersen ha lasciato un pezzetto di vita sul manubrio. Ha vinto, ma è piegato e allo stremo delle forze

Onore a Vacek

Dopo l’arrivo si è fermato sulla destra con la testa bassa e il sudore che impregnava la maglia. Ha preso da bere dal frigo del massaggiatore. C’è da scommettere che non abbia neppure guardato il computerino, pensando piuttosto a ritrovare il fiato. Quando è arrivato Ciccone, i due si sono abbracciati. Il copione si ripete, ma forse siamo agli ultimi atti e da venerdì a Tagliacozzo le parti si invertiranno. Sperando che il danese a un certo punto non scelga di andarsene a casa.

«Tre vittorie su cinque tappe – dice ancora Pedersen – è un traguardo incredibile. Volevamo partire forte per prendere la maglia rosa in Albania e accumulare successi oltre a punti utili per la ciclamino. Nel finale, quando Roglic ha accelerato, ho detto a Vacek di seguirlo. E’ in grande condizione e aveva diritto di giocarsi le sue carte nel caso mi fossi staccato. Ha dimostrato di essere forte e intelligente, perché ha abbassato il ritmo permettendomi di rientrare. Il suo lavoro è stato fondamentale e spero che possa avere una chance da qui a fine Giro. Quando mi hanno detto che sarei venuto al Giro, ho accettato, perché è la squadra che decide e la squadra che paga gli stipendi. Ma devo dire che sto davvero vivendo un momento eccezionale».