Quattro minuti di sorrisi e promesse correndo accanto a Pellizzari

03.06.2025
4 min
Salva

ROMA – Il popolo che si stringe attorno a Giulio Pellizzari è composto da persone che ne apprezzano la semplicità e la grinta. Solo che rispetto allo scorso anno, si tratta di un popolo ben più numeroso. E così camminare e parlare con il marchigiano della Red Bull-Bora dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia significa essere investiti da continui richiami, complimenti e applausi. Lui sorride a tutti e intanto racconta, con quel sorriso luminoso che ha mostrato dopo ogni arrivo: anche i più duri.

Lo abbiamo già detto: al Giro non doveva neppure esserci. Poi dalle parole del coach Artuso abbiamo scoperto che le sue prestazioni erano parse già così buone al Catalunya da aver persuaso la squadra a valutare l’opzione rosa. Felice come un bimbo, Giulio si era perciò presentato al via da Tirana, orgoglioso e motivato dall’idea di aiutare Roglic. Quando poi lo sloveno è caduto e si è fermato, la squadra ha dovuto resettare le impostazioni di partenza e lui ha raccolto con motivazione lo scettro di Primoz. Il bello, il segno del riconoscimento da parte dei compagni è stato nel loro votarsi alla causa. Anche Martinez, secondo nel 2024, e come lui Aleotti, che dopo quel Giro andò a vincere il Giro di Slovenia. Pellizzari capitano non è parsa un’idea balorda. E lui, stringendo i denti, in cinque tappe si è arrampicato dal diciottesimo al sesto posto generale.

Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Questa intervista è stara realizzata camminando accanto a Pellizzari subito dopo il traguardo finale di Roma
Quanto è stato difficile cambiare il chip in questo giro?

Credo – sorride – che quella forse è stata la cosa meno dura di questo Giro. Alla fine ho fatto quello che avevo fatto anche nelle prime due settimane, sono stato sempre davanti con Primoz. Solo che nella terza settimana non c’era lui, ma ero solo.

Nel giorno in cui lui si è fermato, tu sei arrivato terzo a San Valentino. E’ vero che eri più dispiaciuto per lui che soddisfatto della tua prova?

Abbastanza, è vero. Quando ho realizzato che non avremmo vinto il Giro con lui sono rimasto parecchio male. E’ stato un dispiacere. Però alla fine ho visto che lui era sereno e contento che continuassimo e mi sono buttato nella terza settimana come meglio ho potuto.

Hai dovuto fare i conti con un ruolo nuovo per te, con un intero squadrone che ti ha eletto leader. Come è stato?

Alla fine mi sono divertito. Sono convinto che in futuro si potrà fare e questa è la consapevolezza maggiore che mi porto a casa dal Giro d’Italia.

La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano
La maglia bianca l’ha vinta Del Toro con 5’32” di vantaggio, a Pellizzari la palma di miglior giovane italiano

Pellizzari-Caruso: gregari diversi

Lo chiamano per nome. Lo incoraggiano. Lo sospingono. Per qualche secondo ci fanno cogliere il privilegio di essere accanto a raccogliere le sue parole. Nel Giro in cui Caruso è stato il primo degli italiani, Pellizzari ha acceso la fantasia con un attacco che ne lasciava presagire altri. Li avevamo accomunati in un singolare articolo che li dipingeva come gregari diversi – Caruso per il giovane Tiberi, Giulio per l’esperto Roglic – ed entrambi sono diventati leader delle loro squadre.

La differenza rispetto al Pellizzari dello scorso anno sta nel fatto che la doppia scalata del Monte Grappa fu il gesto di un giovane fuori classifica, lasciato andare e poi sbranato da Pogacar. Gli attacchi di quest’anno sono venuti dal gruppo dei migliori e la differenza non è certo banale.

Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Insieme sul traguardo di Sestriere, a 7’10” da Harper. Fra Pellizzari e Del Toro rivalità e amicizia
Che effetto fa sentirti chiamare così?

E’ un’esperienza, un’emozione unica. E speriamo che siano sempre di più.

Dopo San Valentino pensavi fosse più facile, ammesso che sia mai stato facile?

Lo ammetto, credevo che avrei avuto altre possibilità e che sarebbe stato più facile, ma forse è stata solo l’emozione del momento. Perché la gamba di San Valentino non l’ho più avuta. Sono andato bene sul Mortirolo, ma se avessi avuto la gamba dei giorni precedenti, avrei guadagnato di più.

Ugualmente, se prima del via ti avessero detto che avresti chiuso il Giro al sesto posto, come avresti risposto?

Impossibile (ride di gusto, ndr).

Qual è stato il momento più duro?

Quando dopo la tappa di Siena, Primoz ha perso due minuti e mezzo. E’ stato il primo giorno in cui ho creduto che forse non ce l’avremmo fatta a vincerlo.

E il più bello?

Sempre dopo la tappa di Siena, quando ci siamo fermati in Autogrill a prendere delle birre e abbiamo festeggiato il giorno di riposo…

Delfinato in vista: come lo affrontano i tre big. Parla professor Nibali

02.06.2025
5 min
Salva

Il Giro d’Italia si è concluso da meno di 24 ore ed è già tempo di guardare avanti al Tour de France. Ma per farlo bisogna passare dal Critérium du Dauphiné, per tutti il Delfinato, l’antipasto storico della Grande Boucle, che scatterà l’8 giugno da Domerat. Quest’anno sarà un antipasto ancora più gustoso, in quanto saranno presenti i tre maggiori contendenti alla maglia gialla: Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard e Remco Evenepoel

Ma come si affronta un Delfinato quando poi il grande obiettivo termina un mese abbondante dopo? E soprattutto, come lo si affronta quando ci sono tutti i tuoi rivali? Ne abbiamo parlato con un ex corridore che di Tour se ne intende: Vincenzo Nibali. 

Il Delfinato è ricco di salite dure. Salite che spesso si affrontano al Tour che verrà
Il Delfinato è ricco di salite dure. Salite che spesso si affrontano al Tour che verrà
Cosa significa per uno che, ovviamente come te, doveva vincerlo il Tour, andare al Delfinato? Come ci si va?

Il Delfinato è un passaggio. Un passaggio quasi obbligato per andare verso il Tour de France, un po’ perché a volte ricalca il percorso del Tour stesso e quindi hai anche modo di studiare in corsa le strade, e poi soprattutto perché vedi come sono messi i tuoi rivali dal punto di vista della condizione. Vedi quello che è un pochino più indietro, quello che è con i tempi giusti, quello che invece è già in super condizione e forse è un po’ troppo avanti. 

Che ricordi hai dei tuoi Delfinato?

Sono state occasioni che ho sofferto maledettamente, perché comunque lo affrontavo dopo un periodo di altura. Avevo bisogno di metabolizzare il lavoro e quindi facevo fatica. In alcune occasioni invece sono andato molto bene. Però diciamo che, a prescindere da come va, non c’è da fasciarsi troppo la testa perché poi l’appuntamento clou rimane comunque il Tour de France. 

Chiaro…

Prima ho parlato delle strade. Un aspetto molto importante è prendere confidenza con quel tipo di percorsi e di tattiche. Con quello che troverai lungo le strade, abituarsi al modo di correre francese… sempre un po’ particolare e… scattoso. E’ un antipasto del Tour, insomma. 

Bisogna arrivarci in condizione oppure si può anche non essere al top?

Oggi è molto importante arrivare in condizione in una gara che sicuramente potrebbe essere meno importante, ma che poi meno importante non è. Mi spiego: al Delfinato capita molte volte che si vada più forte del Tour de France. 

Non sei il primo che lo dice…

Davvero si va più forte. Qualcuno deve guadagnarsi il posto… E’ dunque un riferimento importante. Si cominciano a vedere un po’ di numeri importanti sul computerino. E quelli sono molto indicativi, si prendono dati importanti. Perché se trovi corridori che vanno fortissimo già dal Delfinato, è normale che poi prima o poi caleranno. Almeno si spera… Ci sono invece squadre che hanno già programmato tutto il team per il Tour e prendono davvero il Delfinato come un avvicinamento. E questo è stato spesso il mio caso. 

Raccontaci…

Sapevo da tempo cosa dovevo fare e con chi. Pertanto lo affrontavo per migliorare la condizione, tanto è vero che dopo il Delfinato inserivo un altro blocco di lavoro in altura. Magari media altura, ma era un completamento di preparazione, di un programma. 

Tra pochi giorni vedremo tutti e tre i maggiori contendenti del Tour impegnati al Delfinato: cosa ti aspetti da loro? Ognuno seguirà il proprio programma o si punzecchieranno?

Non è facile da dire. Loro sono stati tantissimo fuori gara. Quello che più di tutti è rimasto fuori gara è stato Remco per i suoi problemi legati all’infortunio. Pogacar, lo sappiamo, può rientrare anche il giorno prima senza aver mai corso e andare forte. Vingegaard invece per me è da valutare e per me è quello più pericoloso, se non altro per capire come arriverà a questo appuntamento. 

Lo scorso anno vinse Roglic (in giallo), sembrava dominasse ma nell’ultima tappa rischiò di saltare
Lo scorso anno vinse Roglic (in giallo), sembrava dominasse ma nell’ultima tappa rischiò di saltare
Questo ciclismo corre tantissimo e, anche se sono passati pochi anni, è diverso dai tuoi tempi il Delfinato attuale?

Oggi è diverso il modo di correre, perché sono state affinate le tecniche di allenamento. Ormai sappiamo tutti che i carboidrati, l’alimentazione, i materiali fanno una grandissima differenza. Se ne parlava anche al Giro con gli stessi corridori. Abbiamo visto le medie altissime, specialmente nelle prime ore. Basti pensare che nella tappa del Mortirolo, a fine discesa, avevano 38 di media, una media altissima. È vero che le bici sono più veloci, è vero che l’abbinamento è molto più tecnico, però alla fine la devi spingere, devi pedalare. Resta dunque valida l’idea che non ci si debba arrivare troppo in forma.

Lo vince uno dei tre? E chi secondo te?

Non lo so, perché a volte vengono fuori anche degli outsider, ma credo che Pogacar vorrà far vedere sin da subito chi comanda. 

Qual è il tuo aneddoto del Delfinato, Vincenzo?

Difficile ricordare! Forse non c’è un aneddoto particolare, ma dire tutto il mio primo Delfinato. Lì mi sono reso conto che era qualcosa di diverso: era duro, era difficile ed ero mi trovavo sempre staccato. Ero giovane e avevo un mal di gambe pazzesco. Vedevo i campioni vicino a me che lottavano e prendevano, come ho detto, i vari riferimenti per il Tour de France, su grandi salite come Croix de Fer, Télégraphe… E io facevo tanta, tanta fatica!

EDITORIALE / Giro finito, resta qualche domanda sulla UAE

02.06.2025
6 min
Salva

ROMA – In ordine sparso, prendendosi anche del tempo supplementare per una passeggiata in centro, a partire da stamattina e fino a sera, corridori, giornalisti, donne e uomini della carovana del Giro riprenderanno la via di casa. Alcuni ne hanno approfittato per farsi raggiungere dalle famiglie e trascorrere un paio di giorni a Roma, che ieri si è mostrata sfavillante e bella al mondo del ciclismo. Ma del Giro di Simon Yates si continua a ragionare e, non ce ne voglia il lettore, anche in modo irrituale.

Quando stamattina abbiamo iniziato a fissare il primo caffè, è tornata alla memoria una considerazione che si faceva anni fa parlando di mountain bike, telai e sospensioni. E quando si arrivava al dunque e si diceva che nel disegnare gli schemi per le bici si prendeva ispirazione dalle moto, l’obiezione di quelli più pragmatici giungeva puntuale come una sentenza. Puoi anche farlo, dicevano, ma ricordati che la moto ha il motore: basta dare gas e ti porta fuori da ogni situazione critica. La bicicletta il motore non ce l’ha e di lì partiva la spiegazione.

Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia
Roma ha mostrato il suo volto più bello al mondo del ciclismo: tifosi e corridori non hanno nascosto la meraviglia

Senza il motore Pogacar

Secondo noi nel disegnare la squadra del Giro, la UAE Emirates ha dato poca importanza all’assenza del motore, vale a dire Tadej Pogacar. Se qualcuno pensava che bastasse indossarne la maglia per averne i superpoteri, avrà avuto un brusco risveglio. Il modo di correre nelle tre settimane è stato uguale a quello di sempre: la corsa tenuta saldamente in mano con la squadra davanti e poi l’ultima accelerata, per consentire al leader di fare la sua parte.

Ma Ayuso non è Pogacar e tantomeno per ora gli si avvicina Del Toro, il cui Giro è stato davvero un capolavoro splendido, inatteso e prodromo di una grande carriera. Sarebbe ingiusto pretenderlo da entrambi, dato che Tadej sarà probabilmente raccontato come uno dei corridori più forti della storia. Questo lo sanno quasi tutti nel team di Gianetti e nel “quasi” probabilmente si nasconde la radice della sconfitta di Sestriere.

Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione
Giusta la scelta di Baldato di dare via libera a Del Toro verso Siena. Poi però è iniziata la confusione

Fra Del Toro e Ayuso

A Siena si è aperta la crepa che ha minato le sicurezze di Ayuso: Del Toro che scappa con Van Aert e conquista la maglia rosa ha messo infatti in discussione l’autorità del leader. La squadra ha fatto bene a lasciare spazio al messicano, ma è andata in confusione quando ha dovuto gestirne il primato.

In alcune situazioni infatti Del Toro non è stato trattato da leader e si è trovato da solo a fronteggiare gli attacchi, mentre la squadra dietro faceva quadrato attorno allo spagnolo. E’ difficile credere che un tecnico esperto come Baldato non abbia notato il dettaglio, eppure la tattica non è cambiata e viene da chiedersi se sia stata sempre condivisa. Isaac ha speso più del necessario, mentre con il giusto sostegno forse sarebbe arrivato ai giorni conclusivi con forze migliori.

Tutti, giornalisti e i suoi stessi dirigenti, hanno notato che nella conferenza stampa di Cesano Maderno, il messicano abbia cambiato modo di parlare, mostrando una sicurezza da vero leader. Forse non è casuale che ciò sia accaduto proprio nel giorno del ritiro di Ayuso.

Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro
Del Toro in rosa ha mandato in tilt Ayuso: la sfortuna ha fatto il resto e lo spagnolo ha lasciato il Giro

Un uomo in fuga

Quando si è consapevoli di avere un leader attaccabile, occorre mettere in atto delle contromisure. La UAE Emirates, che nel giorno chiave della corsa aveva sull’ammiraglia il presidente del team Al Yabhouni Matar, respinge l’osservazione per cui sarebbe stato utile mandare un uomo in fuga nella tappa di Sestriere, affinché la maglia rosa trovasse un appoggio dopo il Colle delle Finestre. Yates ha trovato Van Aert e le trenate del belga hanno chiuso il discorso. Non si tratta di una tattica geniale, anzi è piuttosto elementare ed è anche semplice da smontare: basta non lasciar allontanare la fuga. E’ tuttavia geniale quando funziona.

Nella 20ª tappa della Vuelta 2015, Giuseppe Martinelli mandò in fuga Luis Leon Sanchez. Tom Dumoulin era leader, Aru lo seguiva a 6 secondi. Così quando Fabio attaccò e si trovò davanti il passistone spagnolo, se ne servì come di un treno e strapppò la maglia a Dumoulin, che andò a fondo. E’ una tattica che ben si presta per l’attacco, ma che funziona anche in difesa.

Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere
Il Giro si è chiuso a 2 km dalla vetta del Finestre, quando si è lasciato andare Yates aspettando che fosse Carapaz a chiudere

Neutralizzare Van Aert

Se non si può mandare nessuno in fuga per scelta tattica, allora si usano gli uomini per non far allontanare troppo la fuga con Van Aert, in modo da smontare l’iniziativa della Visma-Lease a Bike. Li tieni a 3 minuti e quando inizia il Finestre, basta metà salita per prenderli e lasciarli indietro. Invece la fuga ha guadagnato i minuti necessari e quando la Ef Education ha attaccato il Colle delle Finestre ad andatura folle, i cinque compagni di Del Toro si sono staccati e la maglia rosa è rimasta isolata. Forse in quel momento qualcuno si è mangiato le mani, mentre Del Toro si è trovato a gestire da solo una situazione troppo grande per i suoi 21 anni.

Pogacar se la sarebbe cavata da solo, per il messicano serviva predisporre una vera tattica. Gli è stato detto di seguire Carapaz e a un tratto i due sono arrivati a 7 secondi dal chiudere su Yates. Non si può sempre stare a ruota, toccava a Del Toro, ma non lo ha fatto. Qualcuno gli ha detto che spettava a Carapaz o lo ha pensato lui? Con eterna gratitudine, il britannico ha gestito la salita con astuzia: aveva l’uomo davanti e ha fatto scattare la trappola.

Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar
Nell’ammiraglia UAE verso Sestriere c’era anche il grande capo Al Yabhouni Matar

Il cinismo di Carapaz

Del Toro era in crisi di gambe oppure ha ricevuto ordini che lo hanno messo in confusione? Questa è una risposta che potranno dare soltanto lui e la squadra, ma è chiaro che qualcosa non sia andata come volevano e che la gestione di quella fase sia stata confusa. Simon Yates e la sua squadra invece sapevano di non poter schiacciare i rivali e hanno corso con intelligenza, dosando gli sforzi e sparando tutto nella tappa più adatta.

Carapaz ha provato a far saltare il banco ed è comprensibile che da un certo punto in avanti abbia smesso di farlo, negando collaborazione alla maglia rosa. Non si collabora con l’avversario, se non si hanno interessi in comune. Poco cambiava per Richard fra il secondo e il terzo posto. La crudeltà della tattica lo avrebbe visto attaccare nuovamente dopo aver costretto Del Toro a seguire Yates. Ma lui non lo ha fatto: non aveva le gambe o era in confusione. Se non interessa a te difenderla, ha pensato Carapaz, perché dovrei farlo io?

GB Junior Team in Olanda e lo stupore dei ragazzi

02.06.2025
5 min
Salva

E’ diventata quasi una piacevole tradizione, quella delle trasferte estere del GB Junior Team. Due all’anno, sempre le stesse. Nella scorsa stagione avevamo seguito la squadra canturina in Belgio in estate, questa è la trasferta primaverile, in Olanda per la SPIE Internationale Junioren Driedaagse. Una partecipazione, quella del team lombardo, che viene da lontano.

A seguire i ragazzi sulle strade neerlandesi come diesse (ma in quei casi si è un po’ tuttofare) è stato Loris Ferrari, che racconta la settimana partendo da un importante principio: «Noi guardiamo a queste occasioni per il carico di esperienza che possono dare ai ragazzi, ma in questo senso intendiamo la settimana nel suo complesso, con la trasferta, il fare gruppo, il preparare le tappe…».

Loris Ferrari, con un passato agonistico e diesse da tempo nel GB Junior Team
Loris Ferrari, con un passato agonistico e diesse da tempo nel GB Junior Team
Perché proprio questa corsa?

Abbiamo uno stretto contatto con gli organizzatori, ereditato – come anche per la prova belga – da quando era direttamente il Comitato Regionale Lombardo a inviare una propria rappresentativa. Noi abbiamo scelto di coltivare quei rapporti proprio per permettere ai ragazzi di fare un paio di esperienze importanti all’estero. Questa olandese potrebbe essere tranquillamente una prova di Nations Cup, sono gli stessi organizzatori a non volere l’ingresso nella challenge, che impone la presenza di rappresentative nazionali, per essere liberi di invitare chi vogliono.

Che tipo di corsa è?

E’ di alto livello, ma molto diversa da quella belga. Questa è più orientata verso i passisti veloci e richiede anche ottime doti di guida, considerando ad esempio la prima tappa che prevedeva quattro giri di un percorso con molto pavé. Nella seconda c’erano tre lunghi tratti, per un totale di 15 chilometri, dove un forte influsso lo ha anche il vento. L’ultima, più orientata verso le Fiandre, era più vallonata, con molti strappi, riprendendo anche alcune delle salite storiche della Liegi. Nel mezzo una cronometro di 11 chilometri.

La presentazione del team lombardo al primo giorno di gare. Una corsa in 3 giornate, con al sabato 2 semitappe
La presentazione del team lombardo al primo giorno di gare. Una corsa in 3 giornate, con al sabato 2 semitappe
Che squadra avete portato, erano tutti alla loro prima esperienza?

Avevamo Julian Bortolami e Pietro Galbusera che sono al secondo anno e sono quindi più assuefatti a certi tipi di gare, gli altri tre (Ruben Ferrari, Giacomo Dentelli, Manuele Migheli) erano invece all’esordio, e non posso negare che l’approccio è stato carico di stupore. Mi raccontavano che sono rimasti colpiti dal modo profondamente diverso di interpretare queste gare, dove si parte sempre a tutta. Infatti per tutta la settimana mi sono raccomandato di far capire loro che il difficile è all’inizio, bisogna tenere duro, poi la corsa diventa più gestibile e infatti mi hanno confermato che i finali venivano più facili.

Nel complesso com’è andata?

Non abbiamo avuto i risultati che speravamo. Nella prima tappa avevamo puntato sulla volata di Dentelli ma è caduto, abbiamo riassettato la strategia di squadra supportando lo sprint di Ferrari ma non era molto adatto a lui, infatti la Top 10 finale era stata buona. Nella crono speravamo molto in Ferrari e Bortolami, ma lì ha influito molto il tempo, loro hanno corso con la pioggia e sono stati penalizzati, con Bortolami che valeva molto di più  del 12° posto finale.

Sulla crono si puntava molto ma le differenti condizioni meteo hanno influito. Alla fine 12° posto di Bortolami
Sulla crono si puntava molto ma le differenti condizioni meteo hanno influito. Alla fine 12° posto di Bortolami
E nella terza e ultima giornata?

Una caduta iniziale sul pavé ha costretto Bortolami e Galbusera a spendere molte energie per rientrare. Nel finale c’era un gruppo di una quarantina di “superstiti” e fra questi avevamo tutti e 5 i nostri, ma non avevano abbastanza forze per costruire qualcosa. Ma io giudico la trasferta comunque positiva, per quello che hanno provato, che hanno imparato. Ad esempio hanno affrontato due semitappe in un giorno che è un sistema che stravolge completamente le loro abitudini nei giorni di gara. L’obiettivo era assaporare il mondo del vertice di categoria, imparare a essere pronti a tutto.

Corse a parte?

Noi avevamo scelto una soluzione alternativa all’albergo dell’organizzazione: avevamo affittato un appartamento e quindi ci gestivamo in completa autonomia, il che ha significato fare vita di gruppo H24. Questa è stata una cosa molto importante perché ho visto da parte loro un pieno coinvolgimento, poche distrazioni legate allo smartphone ma più vita di gruppo, attenzione anche a quello che faceva lo staff, alla preparazione dei mezzi.

Un bilancio alla fine con tanta esperienza (nella foto degli organizzatori, col 20 Manuele Migheli)
Un bilancio alla fine con tanta esperienza (nella foto degli organizzatori, col 20 Manuele Migheli)
Alla fine la corsa, vinta dal belga Rune Boden, come ti è parsa come livello qualitativo?

E’ stata molto qualificata a dispetto del fatto che c’era una prova di Nations Cup in contemporanea. C’erano molti club di primo piano del Centro-Nord Europa. Direi che si può paragonare, come livello, a classiche nostrane come quella di San Vendemiano. C’erano una forte partecipazione straniera, ma per far capire a che livello si viaggiava c’è un numero che mi è rimasto impresso: per buona parte della prima tappa si è viaggiato a quasi 50 all’ora…

Finestre e Del Toro: pasticcio o gambe finite? Parla Majka

02.06.2025
4 min
Salva

ROMA – Nello sguardo di Rafal Majka c’è la delusione di chi era a un passo dalla vittoria e si ritrova con un pugno di mosche. Quello che è successo sabato sul Colle delle Finestre continua a suonare strano. L’apparente disinteresse di Del Toro nel difendere la maglia rosa dall’attacco di Yates ha lasciato molto con dei punti di domanda. Stamattina al bus della squadra circolava l’ammissione che ci fosse poco da inventare tatticamente, poiché il messicano non aveva gambe per fare altro. Ma per una sconfitta del genere ci saremmo aspettati una resa più combattuta.

Isaac Del Toro ha conquistato il secondo posto in classifica generale e la maglia bianca di miglior giovane
Isaac Del Toro ha conquistato il secondo posto in classifica generale e la maglia bianca di miglior giovane

Del Toro all’improvviso

L’immagine più eloquente ritrae Majka in testa al gruppo inseguitore, con la saliva secca intorno alla bocca, cercando di compiere l’ennesimo miracolo da grande gregario. Del Toro non doveva essere lì, quasi fermo in mezzo alla strada per Sestriere. Doveva essere davanti con Carapaz e Yates a difendere la maglia rosa, invece no. Hanno provato a rilanciarlo, ma la frittata era fatta. Majka racconta, lo vedi che c’è rimasto male. Forse più di Del Toro, che dalla sconfitta dovrà trarre un prezioso insegnamento.

«Quando lo abbiamo raggiunto, era tardi – dice – era già successo tutto negli ultimi 2 chilometri della salita del Finestre. Altro non si può dire, se non che eravamo a un passo dal vincere il Giro d’Italia. Secondo me però queste lezioni gli faranno bene. Dagli sbagli, si gettano le basi per vincere».

Tutto intorno il Giro si sta avviando alla conclusione. I giorni di Tirana sembrano lontani degli anni: le pagine che sono state scritte da allora saranno il motivo per i nostri approfondimenti. E’ stato davvero un viaggio intensissimo, a partire da quando Siena ha incoronato la giovanissima maglia rosa.

Majka e Del Toro, l’abbraccio dopo l’arrivo di Sestriere è quasi una resa
Majka e Del Toro, l’abbraccio dopo l’arrivo di Sestriere è quasi una resa
Del Toro ha solo 21 anni, dicono tutti che il tuo ruolo al suo fianco è stato preziosissimo.

Mancava un po’ di esperienza, ma tutta la squadra ha lavorato veramente bene per 20 giorni. Mi sembra che solo la UAE Emirates abbia veramente controllato la corsa. Nessun altro poteva tenere la corsa sulle salite, come abbiamo fatto noi. Però abbiamo perso tutto l’ultimo giorno, ma questo è il ciclismo e Isaac ha solo 21 anni. Ha un grande futuro e speriamo che vinca presto il Giro. Con lui ho dovuto lavorare un pochino di più, perché è giovane e io ho l’esperienza di cui ha bisogno. Il buono è che è un ragazzo d’oro, speriamo.

Può essere stato un problema di nervosismo?

E’ normale che sei nervoso quando hai la maglia l’ultimo giorno. Volevamo che tutta la squadra fosse con lui, perché tutti volevamo vincere. Ma è successo così e non possiamo cambiare niente. Non so dire se sia stato più un problema di testa o di gambe, bisognerebbe chiederlo al ragazzo. Io non l’ho chiesto e non ho voluto farlo. Quello che so è che lavori tre settimane, controlli tutta la corsa e non è facile perdere l’ultimo giorno.

Ieri mattina c’era fiducia di vincere?

Sì, volevamo vincere e pensavamo di poterlo fare. L’avversario che avevamo individuato era solo Carapaz e normalmente saremmo riusciti a tenerlo. Solo che secondo me è stato uno sbaglio quando lui ha iniziato la salita così forte, perché loro sono rimasti in tre davanti e noi in cinque dietro. Ma questo è il ciclismo, non puoi fare niente.

Secondo Majka, Del Toro ha perso il Giro negli ultimi 2 km del Finestre
Secondo Majka, Del Toro ha perso il Giro negli ultimi 2 km del Finestre
Quanto tempo hai impiegato ieri sera per capire come è andata a finire?

Non ho ancora capito bene. Ho vinto Giro e Tour con Pogacar e anche la Vuelta con Contador. Puntavo anche a vincere una tappa al Giro, perché ancora mi manca. Però mi sono messo a fare il gregario per il giovane e alla fine va bene. Bello il secondo posto, però la vittoria ci manca.

Stavi bene?

Stavo molto bene. Come l’anno scorso con Tadej, ho preparato il Giro nei dettagli. Stavo veramente bene, però mi tocca ripeterlo ancora: questo è il ciclismo, ragazzi.

Il Giro di Yates: un viaggio nei pensieri della maglia rosa

01.06.2025
6 min
Salva

ROMA – Quando Simon Yates ha tagliato il traguardo dell’ultima tappa del Giro d’Italia, aveva sul volto un sorriso bellissimo, in netto contrasto o a completamento delle lacrime di ieri a Sestriere. Sette anni dopo essere stato respinto dal Colle delle Finestre, il britannico della Visma-Lease a Bike è tornato sulla stessa salita per riprendersi quello che sentiva suo e ci è riuscito. Per questo, acclamato dalla gente di Roma sul circuito finale, Simon ha sentito di aver realizzato un suo sogno di bambino. E così gli abbiamo chiesto di raccontarci alcuni pensieri di questa giornata finale tutta in rosa. Di quelle che ha visto con altri attori al centro della scena e lui, in disparte, ad abbassare lo sguardo sperando in giorni migliori.

Il Giro a Roma ha trovato gli scenari più degni per un evento così grande
Il Giro a Roma ha trovato gli scenari più degni per un evento così grande

Sulla vittoria del Giro

«Da quando sono diventato professionista ho sempre sognato di vincere le migliori gare e ovviamente i Grandi Giri, che sono l’apice del nostro sport. Mi sono innamorato del Giro nel 2018 e penso sappiate tutti bene che negli anni ho avuto i miei alti e i bassi, ma era come se questa corsa continuasse a chiamare il mio nome. E alla fine sono riuscito a vincerla, a coronare il mio sogno e quasi mi sembra impossibile».

24 ore dopo, Van Aert e Yates: a Sestriere, Wout ha spianato la strada verso la maglia rosa
24 ore dopo, Van Aert e Yates: a Sestriere, Wout ha spianato la strada verso la maglia rosa

Sulla fiducia in se stesso

«Penso che chiunque creda in se stesso e pensi di potercela fare. Solo che nell’ultima settimana mi sono ritrovato a perdere del tempo da Carapaz e Del Toro e stavo iniziando a vedermi lontano e a capire che vincere sarebbe stato sempre più complicato. Ma come ho raccontato ieri, i ragazzi mi hanno incoraggiato a provare, perché non si sa mai. Ci ho creduto anche io, ho provato e sono riuscito a farcela. Quindi questa domenica del Giro a Roma è stata una giornata pazzesca».

La maglia rosa ricevuta in Vaticano da Papa Leone XIV, un momento ad alta intensità
La maglia rosa ricevuta in Vaticano da Papa Leone XIV, un momento ad alta intensità

Sull’incontro col Papa

«Oggi la partenza è stata davvero incredibile. Per qualche motivo non mi ero reso conto che ci saremmo fermati ed è stato davvero comico. Pensavo che saremmo passati di lì, non immaginavo a un momento per me. Pensavo fosse per tutti i corridori presenti, saremmo passati di lì e avremmo avuto la sua benedizione. Invece è stato un momento davvero forte».

Sul cambio di squadra

«Sono stato per 11 anni nella stessa squadra e ho vinto il Giro al primo anno che ho cambiato. Penso che avessi solo bisogno di cambiare e volevo arrivare in una squadra che sapesse come vincere i Grandi Giri. Lo hanno fatto con successo con diversi corridori e sembra che il cambiamento abbia dato i suoi frutti. Naturalmente, non mi sono mai pentito di essere rimasto alla Jayco per così tanto tempo, penso di avere alcuni amici di una vita e dei bei ricordi. Ma sono team molto diversi, non sarei in grado di cogliere una sola differenza che abbia cambiato le cose».

Yates si definisce poco emotivo e razionale, ma l’impresa di Sestriere lo ha scosso nel profondo
Yates si definisce poco emotivo e razionale, ma l’impresa di Sestriere lo ha scosso nel profondo

Sui momenti duri

«Penso che tutti noi abbiamo sempre dei dubbi, se stiamo facendo la cosa giusta o se siamo sulla strada giusta. Ho anche avuto un sacco di battute d’arresto, non solo qui al Giro, ma anche durante altre gare. E davvero ho pensato che forse fosse il momento di fermarsi e fare qualcos’altro. Ma ho continuato ad andare avanti e adesso mi ritrovo qui. Finora questo è stato il mio anno, non ho avuto sfortuna».

Sorridono tutti, ma Del Toro e Carapaz riusciranno prima o poi a spiegarsi?
Sorridono tutti, ma Del Toro e Carapaz riusciranno prima o poi a spiegarsi?

Sulle lacrime di ieri

«Normalmente mi considero poco emotivo, diciamo, e abbastanza concentrato. Ma ieri non sono riuscito a trattenere le lacrime perché quello che ho vissuto mi ha davvero colpito. Non per continuare a ripetermi, ma è qualcosa per cui ho davvero lavorato e mi sono sacrificato per molto tempo e non riuscivo a credere di essere riuscito a farcela. Per questo piangevo e per questo ci sto ancora pensando. Comunque voglio dire che erano lacrime di felicità. Anche oggi abbiamo finito questa tappa in modo così grande che siamo tutti al settimo cielo. Inizio davvero a rendermi conto di ciò che abbiamo realizzato. Abbiamo avuto un grande tifo e vedremo cosa succederà dopo».

L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo
L’attacco sul Finestre ha permesso a Yates di restare da solo e gestire al meglio lo sforzo

Sull’impresa di Sestriere

«Dire se ieri ho vinto per le gambe o per astuzia? Avevo un’idea e prevedeva di attaccare da lontano. Volevo davvero stare da solo in modo da potermi concentrare sul mio sforzo. Sapevo di avere gambe forti e sapevo che, una volta rimasto da solo, che potevo concentrarmi e dare il meglio. Mi è sembrato che alcune delle altre tappe fossero più tattiche, ma sabato sapevo o sentivo che avrei fatto meglio in uno sforzo più lungo e sostenuto. Avevo solo bisogno di andarmene da solo e riuscire a farlo. Ad essere onesti, da lì in poi è stato abbastanza semplice. Ogni giorno avevamo il piano di mandare qualcuno in fuga per sostenermi se ne avessi avuto bisogno in caso di attacco. Ed ha davvero funzionato».

Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti
Qualche chilometro accanto al fratello Adam: per i gemelli Yates un Giro dalle luci differenti

Sul fratello Adam

«Sono molto legato a mio fratello, ma in realtà non parliamo molto di ciclismo. Così oggi abbiamo pedalato accanto, ma non del fatto che la sua squadra ha perso il Giro. Abbiamo parlato solo del correre attraverso la Città del Vaticano e cose della vita normale. Ma penso, venendo alla sua squadra, che Isaac Del Toro sia un ragazzo giovane e davvero brillante, già di livello mondiale. Penso che quando avevo 21 anni, ero ancora un neo professionista o forse non ero nemmeno professionista. Quindi sono sicuro che si riprenderà e avrà molto più successo nel suo futuro».

Sono le 21 di una giornata lunghissima. La Visma-Lease a Bike ha riservato un tavolo al Midas per festeggiare la vittoria in un Grande Giro che mancava dalla fantasmagorica Vuelta del 2023. Sul podio è spuntato nuovamente il boss, Richard Plugge, che si frega le mani, si gode il momento e magari pregusta i giorni del Tour, quando anche Yates correrà al fianco di Vingegaard. Ma per quello ci sarà tempo. Il vincitore sparisce dalla grande porta della Sala della Protomoteca in Campidoglio. A noi non resta che scrivere…

Kooij sale sul diretto Affini-Van Aert e si prende Roma

01.06.2025
5 min
Salva

ROMA – Olav Kooij sta per entrare in mix zone. Sono passati forse venti minuti dalla sua vittoria, ma ecco che Wout Van Aert lo richiama. «Vieni, andiamo alla premiazione di Simon (Yates chiaramente, ndr)». E così è andata a finire che tra brindisi, premiazioni, antidoping, priorità delle tv, e svariate pacche sulle spalle, l’olandese della Visma-Lease a Bike si è presentato ai microfoni quando ormai le ombre avevano coperto persino i punti più alti del Foro Romano.

Il re di Roma è lui. E’ lui che ha vinto lo sprint finale su un circuito meno scontato del previsto. Un anello nel cuore della Capitale che a tratti riprendeva gli ondulati del GP Liberazione e arrivava sulla collinetta che domina il Circo Massimo.

Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale
Olav Kooij (classe 2001) è al suo secondo successo al Giro 2025, il terzo in totale

Turbocompressore Affini

Si poteva pensare che i calabroni, oggi a dire il vero con il rosa al posto del giallo, potessero essere appagati dai due successi di tappa e soprattutto dalla rocambolesca maglia rosa conquistata ieri. E invece eccoli spianati sulle loro Cervélo. Il treno finale, un diretto, era composto da Edoardo Affini, Wout Van Aert e appunto Kooij.

La velocità era altissima. La fuga volava e dietro si limava come fosse una classica. Altro che gambe stanche. O almeno, se così era, i corridori non lo hanno dato a vedere. La Alpecin-Deceuninck ha svolto un ottimo lavoro per Kaden Groves, ammaliato dal circuito tecnico e duro e dall’arrivo in salita: 300 metri al cinque per cento.

Ma quando poi entrano in gioco i mega motori c’è poco da fare. Sentite qui il racconto di Affini degli ultimi 1.500 metri: «C’era tanta tensione ed è stato un po’ un gioco di tempistiche nella parte finale. Anche le altre squadre volevano stare davanti e soprattutto avevano sacrificato degli uomini per chiudere sulla fuga, che stava andando veramente forte. Quindi un po’ tutti erano senza uomini e per questo non bisognava sbagliare i tempi della volata. A quel punto siamo andati in crescendo di velocità, pensavamo partisse il tutto ma si sono spostati e la velocità è calata».

Quelli sono attimi di incertezza in cui c’è un grande rimescolamento di carte. E proprio lì Affini mette a segno il capolavoro per il suo team e per Kooij.

«Ci sono state di nuovo un paio di accelerazioni – spiega Affini – ma sono riuscito a stare in posizione senza sprecare troppo. Poi a un chilometro e mezzo ho visto che era il momento di andare e mi sono detto: “Adesso. O la va o la spacca”. Per radio Wout mi ha fatto sapere che erano in buona posizione. Mi ha detto: “Siamo qui”. Io ho capito che erano alla mia ruota ed è stata un’indicazione importante per fare un’accelerata forte. Quando sai che i tuoi compagni ti seguono hai ancora più motivazione, più certezza. Sai che non stai facendo una tirata a vuoto».

L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)
L’urlo dell’olandese che ha preceduto Groves e Moschetti (che si nota col casco bianco e azzurro nella foto di apertura)

Vittoria Kooij

A quel punto Kooij doveva “solo” spingere la sua bici fino al traguardo. «Edoardo – dice Kooij – è stato un grande a spingere in quel modo e a sua volta anche Wout ha potuto affondare fortissimo. Toccava a me e non potevo che spingere forte sui pedali… L’unica paura che avevo non era per lo sprint in sé ma di riuscire a restare sui pedali dopo tre settimane durissime».

«Non è facile concludere uno sprint perfetto, ma oggi credo proprio che ci siamo riusciti con tutta la squadra. Prima di Affini e Van Aert che, ripeto, mi hanno posizionato in modo perfetto, anche gli altri avevano svolto egregiamente il loro compito. Pertanto sono contento di averli ripagati così».

Prima di andare oltre, Olav ha dedicato anche un pensiero a Robert Gesink, una colonna portante di questo team. «Oggi abbiamo pedalato con un’emozione speciale ulteriore, per la perdita della moglie del nostro ex compagno di squadra Gesink».

La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità
La Visma ha tirato sia per Kooij che per tenere Yates fuori da guai. Per Affini e compagni un lavoro doppio, ma anche doppia felicità

Festa maglia rosa

«Olav – racconta Affini – è sicuramente un grande velocista, direi uno dei migliori al mondo. E che finale per noi, con Simon in maglia rosa. È stato bellissimo finire il Giro d’Italia così, con Olav primo a Roma. Era una tappa che avevamo cerchiato in rosso. E credetemi, oggi non è stata affatto una passerella, come si suol dire. Siamo andati forti tutto il giorno. A parte ovviamente la prima parte con un po’ di foto, un po’ di festeggiamenti».

Anche Kooij fa eco a quanto detto da Affini e ha voglia di staccarsi dalla sua vittoria. In fin dei conti è comprensibile: hanno vinto il Giro d’Italia. «Questo finale di settimana è stato incredibile, davvero. L’azione di ieri con Simon è stata, è stata… non so neanche come dire: pazzesca! E poi vincere qui a Roma. La vittoria di Simon mi ha dato ancora più carica. Abbiamo vissuto 24 ore incredibili».

Proprio su Roma, si è soffermato l’olandese. In qualche modo è riuscito a godersi lo spettacolo di questo arrivo nella storia. «E’ stato bellissimo, abbiamo pedalato con un panorama stupendo. Conoscevo già il Colosseo… Un circuito bello, ma anche duro. Ora festeggeremo con una bella cena romana!».

Gran finale a Roma e Viviani ci porta nel fascino dell’ultima volata

01.06.2025
5 min
Salva

Per il terzo anno consecutivo, Roma aspetta il Giro d’Italia. L’ultima tappa di un Grande Giro ha sempre un fascino particolare. Se guardiamo il tutto dalla prospettiva del ciclista, soprattutto del velocista, vincere le altre frazioni conta tantissimo, ma l’ultima è speciale. Ha qualcosa in più e per arrivarci, tanti stringono i denti. Pensate a coloro che stanno affrontando l’ultima settimana del Giro d’Italia fra salite lunghissime e pendenze da incubo, senza prospettive di classifica e di vittoria in queste frazioni riservate a scalatori e a chi punta alla classifica (Pedersen e Groves, per esempio) pensando solo all’ultima volata, quella di Roma: quella odierna.

Viviani svetta al traguardo finale di Madrid alla Vuelta 2018, battuti Sagan e Nizzolo
Viviani svetta al traguardo finale di Madrid alla Vuelta 2018, battuti Sagan e Nizzolo

Perché c’è sempre tanta attesa per l’ultimo traguardo? Elia Viviani ne ha vissuti ben 11 (6 al Giro, 3 al Tour, 2 alla Vuelta) e proprio nella corsa spagnola si è anche aggiudicato la frazione finale, quella di Madrid nel 2018. «Ma il mio grande rammarico – ammette – è stato non esserci riuscito a Roma, lo stesso anno, battuto da Sam Bennett. Quello è stato il mio anno speciale, al di là dei risultati olimpici. E vincere a Roma è stata l’unica cosa che mi è realmente mancata».

Perché l’ultimo traguardo è così speciale?

E’ l’obiettivo di tutti, ha qualcosa in più perché ha realmente il sapore della conquista. E’ l’ultimo giorno, significa che ci sei arrivato, che hai superato indenne le durissime tre settimane. Arrivare alla fine è l’obiettivo che unisce tutti, il primo come l’ultimo della classifica. Poi, per il velocista, ha qualcosa in più, perché se vinci sei parte della festa finale, di quel podio dove ci sono tutti i migliori, in un’atmosfera unica, in uno scenario clamoroso, che sia a Roma, a Parigi, a Madrid.

Lo sprint di Roma al Giro 2018, Elia è tutto sulla destra, al centro strada Bennett mette la ruota davanti
Lo sprint di Roma al Giro 2018, Elia è tutto sulla destra, al centro strada Bennett mette la ruota davanti
La volata finale in che cosa cambia rispetto alle altre?

E’ profondamente diversa da quelle d’inizio Giro. Innanzitutto perché molti velocisti te li sei persi per strada, è sempre così e già per questo sai di essere stato bravo ad arrivarci. Ma fisicamente non sei più quello di tre settimane prima, hai perso molta esplosività, hai meno chilogrammi di peso e anche i muscoli si sono consumati. Diciamo che agli inizi si parte davvero tutti alla pari, alla fine bisogna supplire con altro, con il mestiere.

Tecnicamente la costruzione dello sprint cambia?

Non tanto, si lavora sempre con il treno che ti porta fino alle battute finali. Cambiano i componenti, però in effetti c’è qualche cosa di diverso. L’importanza di quel traguardo stravolge un po’ le gerarchie in squadra, ecco quindi che magari vedi la maglia gialla del Tour che si mette a tirare per lo sprinter. Un po’ come come successe a Cavendish con Thomas, suo grande amico che due anni fa gli ha fatto da ultimo uomo.

Il passaggio di Montmartre (qui ai Giochi 2024) cambia l’ultima tappa del Tour 2025: volata addio?
Il passaggio di Montmartre (qui ai Giochi 2024) cambia l’ultima tappa del Tour 2025: volata addio?
Che cosa ricordi della volata vittoriosa di Madrid?

Non tutto funzionò alla perfezione. Il treno si era sfaldato anzitempo e mi ritrovai a dover lanciare la volata da lontano. Riuscii in una grande rimonta e ricordo che il primo pensiero fu alla scommessa che avevo fatto con Lefevere: il giorno del secondo riposo mi aveva promesso che se avessi vinto a Madrid mi avrebbe lasciato libero per il resto della stagione, significa che potevo chiudere anzitempo. Era stata una stagione tanto bella quanto stressante, quella vittoria fu la ciliegina sulla torta. Poi fu emozionante salire sul podio, io insieme a coloro che aveva conquistato le maglie, con i fuochi d’artificio tutti intorno. Fu davvero magico.

Ora nell’ambiente si discute sulla scelta degli organizzatori del Tour d’inserire per tre volte la salita di Montmartre nella tappa finale, si dice che la corsa perde fascino…

E’ vero, a me l’idea non piace e spero che sia solo per quest’anno, per celebrare le Olimpiadi della scorsa stagione. Potevo essere d’accordo nel prevedere un passaggio prima dell’ingresso nel circuito finale, ma così il significato della corsa viene svilito. So che i corridori non sono contenti, in gruppo se ne parla. Così si cerca di far emergere i corridori da classiche, ma la tappa finale era altro. Inoltre, pochi hanno evidenziato il fatto che così la frazione diventa più pericolosa, tutti vorranno stare davanti e aumenta il rischio di cadute. Figurarsi poi se malauguratamente dovesse piovere…

Per Viviani si profila un’intensa estate, con il ritorno alla Vuelta Espana all’orizzonte
Per Viviani si profila un’intensa estate, con il ritorno alla Vuelta Espana all’orizzonte
Ora dove ti vedremo?

Ho finito il mio primo blocco di gare a Dunkerque. Ora sto rifiatando e preparando il secondo blocco con una corsa il 15 giugno in Olanda e il 22 la nuova classica del WorldTour a Copenaghen, città dove sono stato spesso per i mondiali su pista e che amo particolarmente. Ci tengo a esserci e a fare la mia figura su quelle strade. Poi c’è il campionato italiano e una serie di gare che dovrebbero portarmi nelle condizioni migliori alla Vuelta, dove chissà che non possa replicare la gioia di Madrid…

E dopo 41′ spunta Affini, ritratto della felicità, che racconta

01.06.2025
4 min
Salva

SESTRIERE – Quando ormai tutti, ma proprio tutti i 159 corridori rimasti in gara sono sfilati verso le ammiraglie, ecco che spunta Edoardo Affini. Il gigante della Visma-Lease a Bike ha un sorriso grosso così.

Edoardo è transitato 41’08” dopo il bravissimo Chris Harper e ha perso ulteriore tempo perché si è infilato direttamente nella mixed zone per stritolare con un abbraccio dei suoi Simon Yates. Hanno vinto il Giro d’Italia ed è giusto così.

Lo hanno vinto con una grande azione di squadra. Il ruolo di Wout Van Aert se non decisivo è stato determinante. Che locomotiva, Wout… Alla fine i campioni trovano sempre un modo per farsi vedere, mettersi in mostra e soprattutto per essere nel vivo della corsa. Ma nel vivo della corsa e di questo Giro c’è stato anche Edoardo Affini. Era dal successo sul Lussari di Primoz Roglic che non conquistava un Grande Giro, ma quella era tutta un’altra storia. Era decisamente più attesa quella maglia rosa. E la festa può dunque iniziare.

Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Edoardo, sei emozionato, ve lo aspettavate?

Aspettavate “ni”, nel senso che io onestamente ci credevo. Se chiedete anche ai massaggiatori, ai ragazzi dello staff, quando parlavamo con i direttori dicevo sempre che Simon doveva crederci, perché continuavo a vederlo bene. Era bello pimpante, forse da un certo punto di vista ci credevamo quasi più noi che lui.

Incredibile, ma ormai anche tu hai una certa esperienza in fatto di grandi capitani…

Anche ieri sera gli ho detto: «Dai Simon, credici. Insisti». E come me anche gli altri. Abbiamo provato a dargli la spinta giusta e poi oggi ecco quel che è successo! Quando in radio ho sentito che cominciava a guadagnare ho detto: «Dai, dai… ma che roba sta succedendo?». Che poi ha vinto il Giro d’Italia sulla salita dove l’aveva perso. Ma lui è tornato per vincerlo. Penso che sia una storia incredibile, una gran bella storia.

Era in programma di mandare in fuga Van Aert? Avevate progettato questa azione?

Sì, ma non in modo forzato, diciamo. Mi spiego: non è che dovesse fare proprio quello che ha fatto, però si è creato un gruppo grosso di attaccanti, volevamo metterci un uomo e Wout è riuscito ad entrarci. Poi chiaramente, per come si è messa la corsa, è venuto fuori un piano perfetto.

Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Edoardo, come hai vissuto questi chilometri finali?

Li ho sofferti! Perché dopo tre settimane e con queste salite sono abbastanza finito, ma è chiaro che avere quelle notizie dava motivazione.

Cosa ti chiedevano gli altri vicino a te?

Ah – ride – volevano sapere come stava andando. «Ma è finita?». «Come sono messi?». «Cosa è successo?». Io davo un po’ di indicazioni, ma fino a un certo punto, perché poi la distanza cominciava ad essere troppa, quindi anche la radio non si sentiva più bene. Arrivare quassù e vedere tutto quanto… una gioia!

I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
Hai avuto modo di vedere Simon, di fargli i complimenti?

Sì, sì, sono andato nella mixed zone. Stava facendo le interviste, ma me ne sono altamente “sbattuto le balle” (concediamogli questa licenza, ndr) e sono piombato su di lui. Per una cosa del genere non c’è intervista che tenga. Ci siamo abbracciati subito.

E’ una grande soddisfazione anche per chi come te lavora per questi capitani, giusto?

Assolutamente. In queste tre settimane io ho fatto un po’ il suo bodyguard, per le tappe ovviamente più veloci. Per quelle più dure stavo lì finché riuscivo. Poi ero di supporto, ovviamente, anche ad altri corridori della squadra. Però che dire, con Simon abbiamo fatto un ritiro insieme a Tenerife, ad inizio anno siamo stati in camera assieme… Penso che si sia creato un bel legame. E poi, ragazzi, dopo una vittoria del genere… E’ tanta roba.