Team Cofidis

Cofidis, Damiani analizza: «Errori di tutti, ma guardiamo avanti»

06.11.2025
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Il Team Cofidis ha vissuto forse la sua stagione peggiore. La storica squadra francese ha chiuso un’annata con appena nove vittorie ed è retrocessa dal WorldTour, essendo arrivata ventesima nel ranking. Un colpo non da poco per un team che, pur senza grandissimi campioni, si è sempre distinto nel panorama ciclistico internazionale.

Ne è conseguito l’allontanamento del team manager Cédric Vasseur e l’arrivo di Raphael Jeune. Di questo rimescolamento, di quel che è stata la stagione e di ciò che sarà, abbiamo parlato con Roberto Damiani, direttore sportivo e ormai colonna portante della squadra francese.

Roberto Damiani (classe 1959) da otto stagione è nella Cofidis (foto Instagram)
Roberto Damiani (classe 1959) da otto stagione è nella Cofidis (foto Instagram)
Roberto, dunque, che stagione è stata?

Una stagione iniziata tutto sommato bene, almeno fino ad aprile, poi siamo andati in difficoltà. Il perché: odio accampare scuse, ma è certo che qualcosa non ha girato per il verso giusto. Abbiamo fatto tutti degli errori e come dico sempre si vince e si perde tutti insieme. Ognuno ha le sue responsabilità se le cose non sono andate come pensavamo.

E ora?

Abbiamo fatto le nostre analisi e possiamo dire che ripartiremo con ancora più grinta.

C’è stato un grande cambio al vertice: via Cédric Vasseur, dentro Raphaël Jeune…

E’ stato un cambio deciso dall’alto, da Cofidis come azienda. Io sono arrivato in questo gruppo otto anni fa proprio con Vasseur e con lui ho sempre lavorato molto bene. Ma quando mi hanno proposto il rinnovo ho deciso di rimanere, perché voglio continuare a dare il meglio. Prima Cédric era il mio team manager, ora è un amico. Ci sentiamo ancora.

Si dice che proprio Vasseur sia stato travolto dallo stress dei punti a un certo punto della stagione. Questo ha contagiato anche il resto del team?

Certo, ma ditemi chi, dal decimo posto in giù del ranking UCI, non sia stato travolto da questa paura, da questa paranoia. C’era per tutti una vera tensione da punti, non solo per noi della Cofidis. Guardiamo le squadre con cui eravamo in lotta: XDS-Astana, Uno-X Mobility, Picnic-PostNL… Tutti hanno cambiato modo di correre e di gestire le gare. In quante corse si è andati non per vincere ma per fare punti? Questo ha inevitabilmente comportato una diminuzione dello spettacolo, e chi ha deciso queste regole se ne deve assumere le responsabilità. Ma se sei con l’acqua alla gola – e dico acqua per non dire altro – per salvarti non stai a guardare lo stile…

Fretin è stata una delle sorprese della prima parte di stagione: il velocista belga ha vinto tre corse e ottenuto molte top 5
Fretin è stata una delle sorprese della prima parte di stagione: il velocista belga ha vinto tre corse e ottenuto molte top 5
Immaginiamo, appunto, quella tensione, quell’ansia…

E’ stato così, mesi di tensione. Mesi in cui c’era voglia di fare, ma eravamo in grande difficoltà. Poi va detto anche che per fare punti servono corridori buoni e in condizione. Anche per questo, a un certo punto, abbiamo puntato molto sulle gare minori. Al tempo stesso però, da squadra WorldTour quale eravamo, dovevamo rispettare il calendario e gli impegni in Coppa di Francia. Ma in certe corse va detto che non c’eravamo. Al Tour de France, e sapete quanto sia importante per una squadra francese, proprio non siamo esistiti. E’ stato il peggiore dei nostri tre Grandi Giri.

Tu, Roberto, prima hai parlato di analisi fatte: cosa ne è emerso? Cosa non ha funzionato nel concreto?

Per quanto riguarda l’analisi, questa è stata fatta con il team manager, il gruppo performance, i medici, i direttori sportivi e l’alta dirigenza. E’ stata un’analisi a 360 gradi. Tutti noi – e quando dico tutti, intendo dai corridori ai massaggiatori, dai meccanici ai direttori sportivi – potevamo e dovevamo fare di più. Tuttavia, di fronte a una stagione non in linea con le aspettative, ci tengo a dire che Cofidis non si è tirata indietro, anzi… Ci ha rinnovato la fiducia fino al 2028 per una ripartenza decisa. Una fiducia totale.

E non è poco…

Stavo dicendo proprio quello. Non è poco in un periodo in cui vedi squadre che chiudono, altre che si fondono. Perché poi uno pensa ai corridori, ma c’è tanta gente che resta a casa. Si parla di professionismo, di aziende. E per chi non è corridore, che guadagna meno, la cosa è ancora più pesante. Cofidis invece ci ha detto: «Okay, non è andata bene, così non va, ma rimbocchiamoci le maniche e tiriamoci fuori da questa situazione tutti insieme».

Emanuel Buchmann , Team Cofidis, Tour de France
Emanuel Buchmann era il leader della Cofidis al Tour: è giunto 30° nella generale
Emanuel Buchmann , Team Cofidis, Tour de France
Emanuel Buchmann era il leader della Cofidis al Tour: è giunto 30° nella generale
Hai parlato con Jeune?

Certamente. Raphael, nel finale di stagione, è venuto a seguire le corse in Italia. Ha parlato con i corridori, con lo staff, si è presentato. Lui era il responsabile di Look per i rapporti con la squadra. Adesso è il general manager. C’è stato sin da subito un rispetto totale dei ruoli. Il confronto, come dicevo prima, c’è stato con i vari distretti: direttori sportivi, gruppo performance, medici…

Ecco, gruppo performance: immaginiamo che molte cose cambieranno sotto questo aspetto. Di solito alla fine sono loro ritenuti i maggiori responsabili, è così?

Non li ritengo i maggiori responsabili, ma tra i responsabili sì. Come ho detto prima, la responsabilità è di tutti. Quali problematiche possono esserci? Penso, per esempio, al referente dei coach, Mattia Michelusi, che ha dovuto cambiare lingua. E già passare dall’italiano o dall’inglese al francese, magari all’inizio può essere un limite: certe cose possono non arrivare allo stesso modo. Si dice sempre che se il corridore non va, la responsabilità è del preparatore: non è così. Potrei dire che anche il direttore sportivo ci può mettere del suo.

Cioè?

Anche noi potevamo fare scelte diverse di calendario, più oculate, in base alla nostra rosa e al vero valore degli atleti. E qui do una frecciatina: abbiamo ritenuto leader gente che non sa neanche cosa significhi questa parola, sia dal punto di vista atletico che gestionale in corsa. Quanti punti avevamo previsto con queste persone che poi non sono arrivati? Tanti… Capite perché torno a dire che la responsabilità è di tutti?

Edoardo Zamperini, campione italiano U23 nel 2024 ha firmato un contratto biennale con la Cofidis (foto Tomasz Smietana)
Edoardo Zamperini, campione italiano U23 nel 2024 ha firmato un contratto biennale con la Cofidis (foto Tomasz Smietana)
Insomma, si va verso una nuova stagione con fiducia rinnovata ed errori da non ripetere. Però ci sono anche buone notizie: avete preso un italiano, Edoardo Zamperini. Cosa ci dici di lui? E’ giovane, ma oggi non è più ritenuto giovanissimo…

No, no, non scherziamo: Zamperini è un giovane. Questo è un aspetto del tutto soggettivo. C’è chi è maturo a 20 anni e chi forse non lo diventa mai, anche a 25. Devo ammettere che conosco molto poco Edoardo e non vedo l’ora di conoscerlo meglio.

Come è andata la trattativa?

E’ stato proposto a Jeune dal direttore sportivo dell’Arkea, Sebastien Hinault. A noi mancava una “bandierina italiana” da inserire in rosa e abbiamo colto l’occasione. Per quanto riguarda i numeri, i valori bisognerebbe chiedere a Michelusi, che sicuramente ora lo conosce più di me. Vorrei però sottolineare una cosa.

Prego…

Vorrei ringraziare la General Store-Essegibi, che nonostante lo avesse preso quando era rimasto senza squadra, è stata disponibile a cederlo quando è arrivata questa occasione. Rosola e il presidente Calosso sono stati dei veri signori: lo hanno lasciato andare quando hanno capito che poteva ambire a un livello superiore. Ci hanno detto: «Farebbe piacere anche a noi vederlo al Tour il prossimo anno».

Il progetto World Tour di Miche, ben oltre la sponsorizzazione

18.01.2025
7 min
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Miche è diventata ufficialmente partner e fornitore tecnico del Team Groupama-Fdj, di fatto sostituendo una parte della sponsorizzazione (e collaborazione tecnica) Shimano che durava da oltre un ventennio (dal 1997). Un aspetto quest’ultimo tutt’altro che banale.

Se è vero che Miche e Wilier fanno parte della stessa famiglia, è altrettanto vero che le due aziende hanno due anime distinte, separate, indipendenti. Anche per questi motivi entriamo nel dettaglio dell’intervista fatta a Gregory Girard, Amministratore Delegato di Miche e madrelingua francese, che ci spiega i dettagli principali del progetto World Tour. Vogliamo toccare anche alcuni aspetti tecnici della fornitura dei materiali, grazie al contributo di Paolo Bisceglia, Product Manager di Miche.

Una crescita del team, non solo tecnica

«Passano i giorni e le settimane – racconta Girard – e ci rendiamo conto che siamo entrati in un team che ha, oltre al resto, anche l’obiettivo di internazionalizzarsi. Groupama-Fdj Cycling Team vuole scrollarsi di dosso quell’etichetta di team marcatamente francese. Pur essendo di madrelingua, il francese tra me ed i referenti della squadra è stato utilizzato in rare occasioni. La maggior parte degli incontri e le discussioni sono state fatte in inglese. Anche se sono francese l’accordo tra Miche ed il team avrebbe preso forma in ogni caso. Diciamo che più che la mia persona ha avuto un valore importante il rapporto che è stato instaurato con Wilier».

La squadra è all’opera con i nuovi materiali (foto Groupama-FDJ)
La squadra è all’opera con i nuovi materiali (foto Groupama-FDJ)

Alzare l’asticella e mantenere l’identità

«Il progetto World Tour di Miche – prosegue Girard – era una cosa che andava fatta. Il motivo principale è quello che voler alzare ulteriormente la qualità e la resa tecnica di tutti i prodotti Miche ed essere al fianco di un team World Tour è il massimo. E’ molto dispendioso, ma è anche una risorsa alla quale attingere, per conoscenze e sviluppo. Inoltre è fondamentale per aiutare il grande pubblico a cambiare la percezione che ha del marchio.

«Essere parte del gruppo Wilier significa condividere informazioni, creare sinergie – argomenta Girard – Miche è una cosa e Wilier è un’altra, le identità dell’una e dell’altra parte non sono in discussione».

Fornitura enorme, questo è il World Tour

La sponsorizzazione e la fornitura tecnica per una compagine World Tour sono un impegno enorme. Sono inclusi anche il devo team e quello juniores

«In più – prosegue Girard – c’è lo sviluppo dei prodotti del futuro e abbiamo dato la massima disponibilità anche per eventuali personalizzazioni e richieste nel corso della stagione. Il contratto è di tre anni e come fornitura per il 2025 si contano 350 coppie di ruote da strada, alle quali si aggiungono 50 coppie da crono. E’ molto, ma non sono numeri estremi, ci sono squadre che chiedono molto di più. Le ruote occupano il ruolo principale, poi ci sono alcuni componenti che stiamo sviluppando con loro, senza dimenticare le corone Miche da crono».

Galleria del vento protagonista per Miche e per il team francese (foto Miche)
Galleria del vento protagonista per Miche e per il team francese (foto Miche)

L’ufficio tecnico Miche sotto pressione

Miche conta 42 dipendenti e l’ufficio tecnico ne ha 3, che si occupano dei progetti e si interfacciano con i tecnici del team e ultimamente è parecchio sotto pressione.

«I pensieri maggiori, quelli da mal di testa in fase di trattativa – conclude Girard – non arrivano dal contratto di sponsorizzazione, non sono legati agli aspetti finanziari, ma proprio alle richieste tecniche e dalla fornitura dei materiali da prevedere in tempi brevissimi. Groupama-Fdj adesso è la punta della piramide e poi c’è il resto, la mtb ed il gravel, la pista, non in ultimo il mercato dei normali utilizzatori».

Livrea nera con i dettagli argento per le ruote del team (foto Miche)
Livrea nera con i dettagli argento per le ruote del team (foto Miche)

La valutazione dei prodotti

La prima fornitura risale a fine 2023. Miche ha fornito le ruote da 50 e 62 millimetri, mentre il team continuava la sua attività con la fornitura completa da parte di Shimano.

«Prima di passare a prodotti Miche – spiega Paolo Bisceglia, product manager di Miche – lo staff tecnico francese ha voluto analizzare i dati nella galleria del vento e poi dare a soli due corridori le ruote da usare, da testare a fondo. Sono stati eseguite anche diverse prove comparative con i materiali che già utilizzavano. L’obiettivo era quello di misurare le performance, un lavoro estremamente utile anche per noi».

Gli stessi materiali in commercio

Non ci sono segreti. Le ruote da 36, 50 e 62, ovvero le Kleos RD in dotazione alla squadra, sono le medesime che può acquistare un normalissimo utente, come prevede il regolamento tecnico UCI.

«Oltre alle ruote da strada – prosegue Bisceglia – Miche fornisce i perni passanti alleggeriti, le corone da crono, compreso il sistema monocorona X1RD. Ovviamente le ruote da crono, la lenticolare e la nuovissima tre razze. Quest’ultima è il primo strumento super performante e super tecnologico che prende forma grazie alla collaborazione tra Miche, Groupama-Fdj e la galleria del vento di Silverstone e la GST usata per analizzare le forme degli Airbus. E’ stata creata in circa sei mesi, un lasso temporale ridottissimo. Ci sono poi una serie di componenti che stiamo facendo testare e analizzare, tra questi un movimento centrale che annovera dei materiali mai utilizzati in precedenza in questo segmento».

Puntigliosi e precisi: un grande stimolo

«L’impegno è enorme – chiosa Bisceglia – non si può nascondere, quando si entra in contatto con il World Tour tutto si amplifica. Le giornate dovrebbero essere di 30 ore e forse non basterebbero. E devo dire che per ora non sono arrivate richieste particolari, ma arriveranno quando ci saranno da sviluppare altri componenti e quando i materiali saranno portati sul pavé. D’altronde il loro ed il nostro obiettivo è migliorare e non dimentichiamo che tutti i prodotti Miche di ultima generazione sono per la prima volta al servizio del World Tour.

«Come staff tecnico – conclude Bisceglia – abbiamo una persona totalmente dedicata a loro e più in generale faremo una serie di affiancamenti durante i training camp e le prime corse in Europa. Gli stessi affiancamenti prevedono sessioni di lavoro con lo staff tecnico della squadra, i meccanici e gli stessi corridori».

Il valore di una sponsorizzazione World Tour? Risponde Limar

30.01.2024
4 min
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PAAL BERINGEN (Belgio) – Due chiacchiere con Giovanni Caporali di Limar non sono mai banali e gli argomenti che si possono affrontare sono tanti, sempre interessanti. Caporali in passato ha ricorpeto il ruolo di Amministratore Delegato dell’azienda lombarda, ora è il riferimento marketing e del prodotto.

Con lui abbiamo affrontato l’argomento delle sponsorizzazioni e l’impegno che oggi è richiesto per essere presenti nel World Tour.

L’incontro con Giovanni Caporali (Limar) nella sede di Ridley in Belgio
L’incontro con Giovanni Caporali (Limar) nella sede di Ridley in Belgio
Limar è al fianco di un solo team nel WorldTour, è corretto?

Siamo un partner, ormai di lunga data, del Team Astana-Qazaqstan in ambito World Tour maschile e della compagine femminile Roland (ex Israel-ndr). E’ un impegno importante, sotto il profilo dei costi e di tutto quello che è necessario fare per sviluppare i prodotti. Nel 2024, complessivamente siamo sponsor di 14 team nelle diverse discipline, compagini maschili e femminili.

Quanto costa essere nella Champions League del ciclismo per un’azienda che produce caschi?

Un team World Tour in generale non è sotto ai 500.000, anche se ormai il plateau è di un milione di euro. Solo per essere sponsor dei caschi. Queste cifre sono al netto di premi e materiali forniti nel corso della stagione.

Una parte del team kazako in azione in Australia
Una parte del team kazako in azione in Australia
E’ così importante essere nel World Tour?

E’ fondamentale per un’azienda che punta ad essere presente nel mondo, che ha bisogno di una visibilità costante. Eppure non è solo questo, perché un TeamWorld Tour di oggi è di fatto un’azienda e un banco di prova. Ti aiuta a sviluppare il prodotto e le tecnologie dietro le quinte. Non si tratta solo di caschi e materiali in genere. Quello che si vede, quello che indossano i corridori è il risultato di un percorso e di tante ricerche.

Le cifre che hai menzionato influiscono sul prezzo del prodotto che troviamo sul mercato?

Influiscono in modo esponenziale. E’ difficile quantificare in modo preciso, ma se un brand, un’azienda, un marchio, vuole rimanere sulla cresta dell’onda non può farne a meno. Se non si investe in quella direzione, quella delle sponsorizzazioni di alto livello, nessuno ti vede e il rischio di sparire è più che reale. Al tempo stesso è fondamentale avere un prodotto di eccellenza.

Prosegue la collaborazione con il Team Astana (foto Team Astana)
Prosegue la collaborazione con il Team Astana (foto Team Astana)
Dai professionisti, a cascata le tecnologie diventano alla portata di tutti!

Quello che indossano gli atleti professionisti è il medesimo prodotto usato dagli amatori. I dettagli, le piccole modifiche che apportiamo passo dopo passo, vengono traslate di conseguenza.

Quanti caschi sono forniti ad un team World Tour?

Limar fornisce 3 modelli per ogni corridore: due da strada e uno da crono. Nel 2023 abbiamo dato al Team Astana Qazaqstan circa 400 caschi. Tra questi c’è anche l’Air Atlas, sviluppato con la collaborazione del team. In questa cifra non rientrano i prodotti in fase di sviluppo e test.

I test al Politecnico di Milano con Nibali ancora in attività e Wilier (foto Wilier)
I test al Politecnico di Milano con Nibali ancora in attività e Wilier (foto Wilier)
Quale è la parte più costosa quando si sviluppa un casco?

L’aerodinamica, tutta la ricerca che è alle sue spalle e lo sviluppo stesso dei caschi da crono. Consideriamo inoltre che i caschi da cronometro hanno un ritorno che è pari a zero, perché il numero degli esemplari venduti è irrisorio. Ribadisco il concetto che la ricerca è fondamentale e arricchisce, non poco, il brand.

Conoscenze, ergonomia e aerodinamica. C’è altro dietro un casco?

I due fattori principali della categoria sono il peso, inteso come valore alla bilancia e l’aerodinamica. I caschi di oggi devono essere efficienti, ma anche leggeri, ben ventilati e a mio parere devono anche essere belli da vedere una volta indossati. Il design e l’impatto estetico ti permettono di vendere e di creare appeal.

Da Alaphilippe a Sagan, ecco le Specialized dei team

30.01.2023
5 min
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Come per la stagione 2022, Specialized ha confermato un grande impegno nei termini di sponsorizzazione tecnica. Due team World Tour, Soudal-Quick Step e Bora-Hansgrohe, ai quali si aggiunge l’equipe di Sagan (la TotalEnergies) che però ha licenza professional.

Tutte le squadre avranno in dotazione il modello Tarmac SL7, una conferma (in attesa della nuova versione?) dove spiccano alcuni nuovi componenti e la conferma dei tubeless, categoria dove il 28 sta diventando una sorta di standard.

Nuovo manubrio integrato?

Oltre a quello che si è gia visto sulla bici di Jakobsen, su alcuni modelli di Tarmac in dotazione alle donne, fa bella mostra di se un “nuovo” Roval full carbon e integrato. Non ci sono conferme e neppure smentite, ma con tutta probabilità e come accade in questi casi, sono stati forniti alcuni manubri di prima produzione da far testare ai team. Il nostro approfondimento prosegue con l’aiuto di Giampaolo Mondini.

Quali sono le novità principali?

In questa primissima parte di stagione, dove includiamo anche i ritiri dei team non ci sono grosse novità da segnalare, o meglio, possiamo dire che tutti i team hanno i modelli Tarmac che abbiamo già visto nel 2022. Dettagli a parte ovviamente.

Uno dei nuovi importanti ingressi nella famiglia Specialized, Tim Merlier, ha fatto delle richieste particolari?

Mi dicono dallo staff Soudal-Quick-Step di un corridore molto pignolo, piuttosto preciso e al quale piace provare soluzioni diverse. Dal suo ingresso ad oggi ha provato tre diverse tipologie di selle. L’ultima è una versione Mirror. Ha chiesto dei piccoli cambiamenti sulle calzature.

Aumentano le preferenze anche verso le selle Mirror (foto Specialized)
Aumentano le preferenze anche verso le selle Mirror (foto Specialized)
E per quanto concerne le selle 3D con tecnologia Mirror, cosa ci puoi dire?

Oltre il 70 per cento dei nostri corridori utilizza questa categoria di prodotti nelle tre versioni, Romin, Phenom e Power, quindi tra selle corte e tradizionali. E’ un successo, considerando che la tecnologia 3D applicata alle selle è una chicca.

Possiamo inoltre parlare della conferma dei tubeless per tutti i livelli di corridori e di un 28 che è quasi uno standard?

Decisamente si, il tubeless trova delle conferme e riscuote sempre maggiori consensi, considerando che i nostri atleti possono usare anche i copertoncini con le camere d’aria. Si, il 28 è una sorta di standard, ma qui entra in gioco anche la scelta dell’atleta stesso. Ad esempio gli scalatori e i corridori più leggeri, oppure per gli arrivi in salita più importanti, vedremo anche tanti pneumatici da 26.

Guardando le bici della TotalEnergies vediamo ancora le trasmissioni ad 11 velocità. Come mai?

Si potrebbe scrivere di una scelta obbligata. Il team di Sagan e compagni non rientra nella sponsorizzazione diretta di Shimano, anche se come è facile immaginare c’è una stretta collaborazione. Si tratta anche di una fornitura della quale non si occupa direttamente Specialized. Per via dei ritardi generalizzati, Shimano ha garantito il pieno supporto anche con l’utilizzo delle vecchie trasmissioni Dura-Ace a 11 rapporti ed ecco la scelta delle vecchie trasmissioni.

Invariato il modello Shiv TT (foto Specialized)
Invariato il modello Shiv TT (foto Specialized)
Per quanto riguarda la bici da crono Shiv, ci sono dei cambiamenti?

Anche la crono Shiv è un modello uguale a quello del 2022, non è stata fatta nessuna variazione. Ne forniamo due/tre per gli specialisti, generalmente una per chi non punta alle prove contro il tempo.

Finale di stagione da urlo, torna il Tour de Langkawi

26.08.2022
4 min
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Per certi versi è una sorpresa: a ottobre il calendario internazionale ritrova una vecchia conoscenza, il Tour de Langkawi, riportando il grande ciclismo in Malesia. La corsa a tappe asiatica, assente dal calendario da oltre due anni (l’ultima edizione fu una delle ultime gare del panorama ciclistico che si disputò prima dell’esplosione del Covid), riannoda la sua storia dal prossimo 11 ottobre, in una collocazione nuova seppur antica, perché fino a qualche anno fa il periodo autunnale era quello nel quale si svolgeva il corrispettivo della manifestazione dedicato alla mtb, andato poi cancellato definitivamente dal panorama delle ruote grasse.

Un corposo contributo alla riproposizione del Tour de Langkawi lo si deve a Jean François Quenet, giornalista francese che ha collaborato in maniera continuativa con gli organizzatori locali per allestire la prova.

«Ho cercato di dare consigli utili – dice – per riportare il ciclismo in un Paese dove la bici è molto amata e la cancellazione del Tour era stata sentita come un forte prezzo pagato alla diffusione del virus. Cambia il periodo, forse anche le prospettive della cosa, ma non cambia la passione».

Langkawi programma 2022
Il programma del Tour de Langkawi 2022, che scatterà l’11 ottobre per concludersi il 18
Langkawi programma 2022
Il programma del Tour de Langkawi 2022, che scatterà l’11 ottobre per concludersi il 18
Che situazione troveranno le squadre che parteciperanno alla corsa malese?

Un Paese tornato progressivamente alla normalità, anche se, rispetto a quello che si vede in Europa, la paura per il ritorno del Covid è forse maggiore. L’uso delle mascherine è raccomandato al chiuso e la gente tende a continuare a utilizzarle, soprattutto nei luoghi pubblici e nei centri commerciali. Per le squadre le regole saranno le stesse che nelle altre gare, bisognerà quindi dimostrare di essere vaccinati.

Rispetto al passato la gara, a parte il periodo di effettuazione, quanto è cambiata?

Non molto direi. La principale novità, che ho personalmente voluto e consigliato, è l’introduzione di una lunga e aspra salita nella tappa conclusiva, che diventerà una sorta di apoteosi del Tour. Il giro si svilupperà in 8 tappe, partendo dalla capitale Kuala Lumpur per poi raggiungere la penisola di Langkawi. Ci sarà un’altra tappa ondulata, diciamo che nel complesso sarà una corsa un po’ più dura che nel passato, ma a ben guardare i cambiamenti non sono stati poi tanti.

Langkawi 2020
Il podio dell’edizione 2020 con vittoria per l’abruzzese Danilo Celano davanti a Fedorov (KAZ) e Ovechkin (RUS)
Langkawi 2020
Il podio dell’edizione 2020 con vittoria per l’abruzzese Danilo Celano davanti a Fedorov (KAZ) e Ovechkin (RUS)
Che accoglienza ha avuto il ritorno del Tour de Langkawi fra i team?

Direi molto positiva, abbiamo avuto un buon supporto al nostro lavoro, anche dopo che era chiaro che non si poteva riproporre la gara nella sua data tradizionale. A dir la verità eravamo già pronti a allestire il Tour a giugno, ma l’Uci ha sconsigliato caldamente la sua introduzione considerando quanto il calendario fosse già affollato. A ottobre c’è più spazio e questo favorirà anche la partecipazione di molte formazioni, considerando anche che il Tour de Langkawi fa parte dell’Asia Tour che raggruppa le principali prove del Continente.

Che clima troveranno i corridori?

Quello tipico tropicale, con temperature intorno ai 30 gradi, ma tanta umidità. Può piovere ogni giorno da quelle parti, non sai mai che cosa ti aspetta…

Aquila Langkawi 2020
Lo start della tappa davanti all’Aquila Grande, simbolo di Langkawi
Aquila Langkawi 2020
Lo start della tappa davanti all’Aquila Grande, simbolo di Langkawi
Che riscontri avete avuto da parte della popolazione locale?

L’attesa è tantissima, questo è poco ma sicuro. In tanti chiedevano il ritorno del Tour, sin dallo scorso anno, quando la situazione sanitaria non era ancora sufficientemente sicura per allestire l’evento. La Malesia è un Paese dove esiste una forte cultura della bicicletta, a Kuala Lumpur la diffusione dell’utilizzo della bici come mezzo di spostamento è pari a quella delle principali città europee e il ciclismo è uno degli sport più seguiti.

Il Tour de Langkawi ha sempre attirato tanta folla. L’attesa per il ritorno è tantissima
Il Tour de Langkawi ha sempre attirato tanta folla. L’attesa per il ritorno è tantissima
A poco più di un mese dall’effettuazione della gara, che risposte avete avuto da parte dei team?

L’interesse è molto alto. Saremo ormai agli sgoccioli della stagione e le squadre ancora coinvolte nella lotta per la retrocessione dal World Tour saranno tutte impegnate, questo è sicuro, a cominciare dalla Movistar che ha già dato la adesione. Ci saranno le formazioni asiatiche come Uae Team Emirates e Astana proprio perché il Tour de Langkawi fa parte dell’Asia Tour, inoltre ci sarà il Terrenganu Polygon, la principale squadra multinazionale malese, poi il China Glory (squadra che dal primo agosto ha tesserato Matteo Malucelli, ndr), e dovrebbe essere della partita anche la Drone Hopper, Savio ci ha detto che avrebbe aderito anche se si gareggiava a giugno.

Che cosa ci si potrà attendere allora?

Un grande spettacolo, come sempre. Io l’ho seguito sin dal 1996, dalla sua prima edizione saltandone solamente una, posso dire di conoscerlo anche meglio degli stessi organizzatori…

Cofidis e la “lotta salvezza”: Damiani tira le somme

04.08.2022
5 min
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Il Tour de Pologne è una corsa che ha tanti volti al suo interno, una gara poliedrica, potremmo definirla. Ogni corridore ed ogni squadra passa da qui con obiettivi ed ambizioni diversi. Uno dei team che affronta la corsa con particolare attenzione a quello che è successo e a quello che succederà è la Cofidis. Nella quale militano Consonni, Cimolai e Villella.

La squadra francese si trova nelle ultime zone della classifica delle squadre WolrdTour, è una di quelle che si sta giocando la “lotta salvezza” se volessimo esprimere il tutto in termini calcistici. 

«E lo è ancora – dice subito Roberto Damiani, diesse del team (nella foto di apertura a sinistra, ndr) – La situazione è chiara. Ci sono più squadre che stanno lottando in questa classifica che si è stilata nel corso delle ultime tre stagioni». 

Un buon inizio

La Cofidis aveva iniziato la stagione molto bene, con qualche vittoria e qualche certezza in più, soprattutto grazie alle volate di Thomas e Coquard. Poi però nel corso della stagione si è un po’ persa, ed ora cerca di ritrovare il bandolo della matassa.

«Come detto – prosegue Damiani – abbiamo iniziato bene, con qualche vittoria e dei bei piazzamenti. Poi siamo stati meno presenti a livello punti sui grandi Giri, fino ad ora. Questo la dice lunga su quanto sia importante il tipo di distribuzione dei punti che viene fatta nelle varie corse. C’è una seconda parte di stagione estremamente importante, abbiamo recuperato tantissimo. Ad inizio anno eravamo diciannovesimi, ora siamo sedicesimi a 5 punti dalla EF Easy Post. E’ veramente una lotta punto a punto, come in un campionato di calcio».

Consonni con Cimolai (di spalle) al Tour de Pologne, corsa di rientro per entrambi dopo un periodo di recupero
Consonni con Cimolai (di spalle) al Tour de Pologne, corsa di rientro per entrambi

Velocisti = punti

Sono i velocisti coloro che hanno maggiori possibilità di raccogliere punti. Da questo punto di vista i francesi (Thomas e Coquard) hanno dato qualcosa in più dei nostri Consonni e Cimolai. 

«Se parliamo di “Cimo” non ha raccolto in termini di quantità – riprende con voce profonda Roberto – però gli è stato chiesto di fare un certo lavoro come ultimo uomo. Di conseguenza o porti punti o fai un certo tipo di lavoro. Per quanto riguarda Consonni, in effetti, è mancata la vittoria, perché il miglior piazzamento è un secondo posto. Da questo punto di vista ne risente un po’ moralmente. Lui è arrivato da noi come “pesce pilota” di Viviani ed ora si è preso delle responsabilità e questo gli fa onore. Quando uno fa questo lavoro per passione e voglia di fare bene, sente anche una pressione interna, che da un lato dobbiamo smorzare e dall’altro incentivare nel senso positivo del termine».

Simon Geschke ha corso un buon Tour. Lottando per la maglia a pois è stato spesso in fuga: molta visibilità, ma pochi punti UCI
Simon Geschke ha corso un buon Tour. Lottando per la maglia a pois è stato spesso in fuga: molta visibilità, ma pochi punti UCI

I Grandi Giri

Nelle grandi corse a tappe la Cofidis ha avuto un po’ di luci e ombre. A volte anche la sfortuna si è messa di mezzo, e quando lotti punto a punto anche il caso gioca la sua parte.

«Nei grandi Giri abbiamo avuto due facce della stessa medaglia. Al Giro siamo anche andati bene, Consonni si è mosso bene per quel che doveva fare. Da un’altra parte Guillaume Martin ha avuto un Giro tra luci e ombre, sicuramente non è stata un’edizione facile.

«Al Tour direi che il Covid ci ha fortemente penalizzato, prima la positività di Coquard e poi quella di Martin ci hanno azzoppato. C’è stata una bellissima situazione di Geschke che ha preso la maglia a pois e ha cercato di difenderla in tutti i modi. Però in termine di punti non abbiamo raccolto molto. Ecco che però mi sento di fare un appunto, le maglie intermedie sono importanti, anche per lo spettacolo, allora si dovrebbero dare punti anche per queste cose. C’è da fare un ragionamento fondamentale sulle classifiche, per esempio: vincere una tappa al Giro ti fa prendere meno punti di una corsa 1.1 (argomento di discussione che abbiamo già trattato, ndr)».

Axel Zingle, classe 1998, è uno dei giovani che Cofidis sta facendo crescere (foto Cofidis)
Axel Zingle, classe 1998, è uno dei giovani che Cofidis sta facendo crescere (foto Cofidis)

Una gestione difficile

Conciliare le esigenze del team e quelle dei corridori è difficile ma è anche l’arduo compito del diesse. Certo che, quando si ha a che fare con i punti, la matematica purtroppo la fa da padrona. 

«I corridori fanno i corridori e noi facciamo i direttori sportivi ed è giusto che sia così – dice Damiani – però capiscono quel che sta succedendo. Tante volte vedi delle squadre che fanno risultati molto buoni con corridori che non sono nei dieci e quindi questi punti vengono persi. Io continuerò a dire che è molto meglio correre per vincere, in questo modo si fanno anche i punti.

«D’altra parte mi rendo conto che a volte è meglio fare un secondo o un terzo posto con corridori che hanno punti e non vincere con un ragazzo che non ne ha: è pazzesco dirlo ma è così. Non che i corridori non riescano ad emergere, noi abbiamo un neo professionista come Zingle che ha fatto bene, ha vinto qualche corsa ed è entrato trai i primi dieci».

Assos Myth Within, la maglia che inneggia alla perfezione

02.06.2022
3 min
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Assos presenta la sua nuova edizione limitata, Myth Within Jersey. Una maglia che fa del suo design la caratteristica che la rende riconoscibile in mezzo alla moda di tutti i giorni. Un capo che diventa portatore semantico della filosofia fondante del brand svizzero. Assos infatti, in greco significa “asso” simbolo di impegno e ricerca della perfezione. Una parola che sottolinea la volontà di primeggiare e di rendersi unici facendo poker contro la noia del design industriale. 

Nella foto Fabio Aru, brand ambassador per Assos
Nella foto Fabio Aru, brand ambassador per Assos

Omaggio e simbolo

Oltre a rappresentare i significati della parola “asso” su tessuto, la maglia in edizione limitata è caratterizzata dall’iconica vestibilità da corsa. Le grafiche in bianco e nero che avvolgono il ciclista sono composte da lettere dell’alfabeto greco che compongono la parola ASSOS. Un omaggio all’origine del brand e al nome scelto dalla moglie del fondatore Toni Maier, di origine greca. 

Il design minimale è un elemento caratterizzante della maglia e ne eleva le tecnicità
Il design minimale è un elemento caratterizzante della maglia e ne eleva le tecnicità

Velocità pura

La costruzione della maglia Myth Within si ispira al taglio da corsa utilizzato dai professionisti del WorldTour. Un fit che segue le linee del corpo come una seconda pelle, dalle posizioni più confortevoli a quelle più aggressive. Il Minicheck Tex è il tessuto utilizzato, perché ultraleggero a maglia 3D, con un asciugatura rapida, massima traspirabilità ed elasticità. Per le maniche e le tasche invece è stato scelto il Push Full, un tessuto altamente elasticizzato per il massimo comfort nelle posizioni più impegnative.

Nella parte posteriore sono presenti comode tasche per riporre oggetti personali
Nella parte posteriore sono presenti comode tasche per riporre oggetti personali

Protezione con stile

Le maniche a taglio vivo garantiscono aerodinamicità e una pressione alleggerita nella compressione delle parti sensibili. Nella parte posteriore la fascia centrale garantisce un’elasticità verticale limitata, impedendo che le tasche si deformino verso il basso. La maglia vanta una protezione solare UPF che va dai 25 ai 50+ a seconda delle zone d’interesse e di delicatezza. Protezione e aerazione ne permettono un utilizzo spensierato durante tutta la stagione estiva, con uno stile esclusivo e audace. La maglia Myth Within è l’asso(s) nella manica per chi vuole distinguersi indossando eleganza e tecnicità.

Il prezzo consultabile sul sito è di 200 euro.

Assos

La Parigi-Roubaix vissuta dai meccanici dei team

15.04.2022
7 min
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La Parigi-Roubaix chiude ufficialmente la campagna del pavé. E’ la classica delle pietre per eccellenza e insieme al Fiandre è una delle corse più amate. Per giocarsi la vittoria non contano solo le gambe, ma una serie di fattori che includono anche la preparazione tecnica della bicicletta.

Abbiamo chiesto a quattro meccanici storici del World Tour di descriverci le soluzioni in grado di fare la differenza, con qualche richiamo al passato. La parola a Matteo Cornacchione del Team Ineos-Grenadiers, Giuseppe Archetti del Team UAE EMIRATES, Mauro Adobati del Team Trek-Segafredo e Fausto Oppici in forza al Team Bikexchange-Jayco.

Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)
Le ruote alte, uno dei leitmotiv tecnici moderni anche per il pavé (foto GreenEdge Cycling)

La Roubaix di Cornacchione (Ineos)

«Le analogie con il passato, in fatto di tecnica, sono davvero poche. E’ cambiato tutto. Di sicuro vedremo una Roubaix corsa con la combinazione ruote ad alto profilo e tubeless, scelta che ormai è fatta dal 90% dei corridori e non è solo una questione di sponsor. Molti atleti che hanno avuto il modo di lavorare con questi pneumatici si trovano bene. Ricordo circa 20 anni fa, era il 2004 per la precisione, c‘erano ancora le ruote basse e fatte a mano, con i cerchi in alluminio, una cosa che ora non esiste più. In quell’epoca, io ero meccanico alla Fassa Bortolo, Petito fu uno dei primi ad usare le Bora in carbonio con il profilo da 50. Erano gommate con i tubolari da 28, ma un alto profilo in quella corsa non si era mai visto.

«Oggi le ruote da 50/60 millimetri sono la normalità. Tornando al tubeless: a mio parere è una scelta tecnica che può fare la differenza, perché è vantaggioso contro le forature e anche per una migliore gestione della foratura stessa quando l’ammiraglia è lontana. A meno che non ci sia un danno importante allo pneumatico, un tubeless si sgonfia in un lasso di tempo dilatato, permette di proseguire la marcia e offre delle tolleranze eccellenti alle pressioni più basse. Ovviamente c’è tutto il pacchetto delle biciclette con i freni a disco in caso di maltempo e fango, l’edizione del 2021 ne è un esempio».

Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina
Matteo Cornacchione all’opera nel camion officina

«Un altro particolare che mi piace considerare – prosegue Cornacchione – è il manubrio. Molti corridori preferiscono usare quello tutto in carbonio, rigido e leggero, lo stesso che utilizzano nel corso della stagione. Una volta si toglieva il carbonio oppure quello in alluminio superleggero e si usava il manubrio in lega più robusto. Rispetto al passato stanno scomparendo anche le modifiche ai nastri manubrio, perché buona parte di quelli che usiamo oggi prevedono un inserto in gel e comunque sono parecchio smorzanti. Ma come i guanti che indossano gli atleti, che sono tutt’altra cosa se messi a confronto con quelli di 20 anni fa.

«E poi il fattore più importante, ovvero la ricognizione del giovedì e in parte quella corta del sabato. Lì verranno definiti gli pneumatici, sezioni e pressioni di gonfiaggio e gli ultimi dettagli. In quell’occasione anche noi meccanici dovremo essere bravi a capire le esigenze del corridore. Gli atleti dovranno essere in grado di adottare il giusto compromesso, limitando il cambio delle biciclette a metà percorso. I materiali contano parecchio e possono fare la differenza».

Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)
Gli ultimi controlli prima delle ricognizioni (@Team UAE-EMIRATES)

La Roubaix di Archetti (UAE)

«Una volta una corsa come la Roubaix la vedevi e la vivevi di più come meccanico. Il lavoro che comportava una corsa come questa era enorme. Il mondo della bicicletta e della tecnica legata al mezzo meccanico è cambiato completamente. Ora si lavora con una tecnologia che al pari della F1 e rispetto al passato, neppure troppo lontano, tutto è stato stravolto. La meccanica e il modo di operare di noi meccanici sono tutt’altra cosa. Ci sono i freni a disco, con tutte le variabili che comportano.

«Per le vecchie Roubaix, la doppia leva del freno, quella posizionata sulla parte orizzontale del manubrio, era una sorta di obbligo. Oggi non esiste più. C’erano le ruote basse e fatte a mano da noi meccanici. Erano quelle con 32 raggi, si arrivava fino a 36 e incroci in quarta, per conferire una grande capacità di smorzare le vibrazioni e di essere affidabili anche in caso di rottura di uno o due raggi. Ricordo perfettamente il secondo posto di Dario Pieri, proprio con delle ruote a 36 raggi.

«Fare le ruote, essere in grado di raggiare e di fare le tensioni dei raggi era una delle prime cose che ti veniva chiesta quando facevi il provino per fare il meccanico. Si usavano i tubolari da 25, 26, qualcuno provava i 28 e sembravano enormi. Oggi si usano le ruote ad alto profilo in carbonio con i tubeless anche da 32 millimetri di sezione.

«Sono del parere che oggi, proprio la tecnologia tubeless per le gomme da strada, ha raggiunto un livello ottimale. Vedremo una Roubaix corsa con i tubeless da oltre il 90% dei corridori e proprio questo equipaggiamento sarà in grado di fare la differenza. I ricorsi storici mi portano a menzionare anche le sospensioni montate sulle bici e qualche forma strana del telaio. In un certo senso quella via è stata abbandonata. Si è tornati su disegni tradizionali, lavorando sulla tipologia di carbonio e penso che il processo di evoluzione non sia terminato, anzi».

Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)
Mauro Adobati all’opera (foto Trek-Segafredo)

La Roubaix di Adobati (Trek)

«Le biciclette per la Roubaix e la scelta dell’equipaggiamento tecnico in genere, possono fare una grande differenza. Poi è necessario considerare anche la fornitura che i vari team hanno disponibile. Qualcuno come noi ha la bici specifica per questi terreni, altri utilizzeranno la bicicletta standard opportunamente equipaggiata. Ecco che la preparazione, le scelte e l’insieme dei dettagli, giocano un ruolo fondamentale. Chi avrà la possibilità di sfruttare biciclette con delle geometrie più morbide, con degli angoli anteriori aperti e dei passaggi ruota maggiorati, lo farà e in caso di maltempo avrà qualche vantaggio. Ma anche se la corsa verrà condotta a velocità esasperata fin da subito.

«Le bici specifiche per il pavé si usavano anche in passato, quando si usavano ancora l’acciaio e l’alluminio. Carri posteriori allungati e passo totale maggiore, rispetto ad una bicicletta standard, forcella aperta in avanti. I concetti delle geometrie sono rimasti più o meno quelli, ma i materiali e buona parte della componentistica sono cambiati completamente.

«Guardandola in chiave moderna, di sicuro la scelta degli pneumatici tubeless potrà fare la differenza. Con tutta probabilità i nostri corridori useranno delle gomme con sezione da 30 millimetri e ruote con profilo da 37. Ad oggi hanno ancora la possibilità di scegliere tra tubeless e tubolare. La maggioranza degli atleti adotterà il medesimo setting che utilizza per le altre gare, con variazioni minime, spesso legate alla sicurezza e votate al mantenere l’equilibrio ottimale sul pavé. Da appassionato della tecnica della bicicletta, mi colpisce positivamente l’apertura alle innovazioni di oggi, in un mondo rimasto chiuso per troppo tempo».

Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale
Fausto Oppici a destra, Giuseppe Archetti a sinistra, con i colori della nazionale

La Roubaix di Oppici (BikeExchange)

«Molto è cambiato, nelle biciclette e nella componentistica. Personalmente partirei dalle gomme, considerando che anche solo qualche anno fa, era impensabile arrivare alle dimensioni attuali di 30/32 millimetri per corse come la Roubaix, quando lo standard era 25 ed era già visto come abbondante. C’era la convinzione che gli pneumatici grandi fossero meno scorrevoli e controproducenti. Ora invece è tutto l’opposto.

«Ci sono i tubeless e la crescita di questa categoria di prodotti. I corridori oggi li chiedono, al di là della fornitura legata agli sponsor. I tubeless offrono dei vantaggi anche nella sfruttabilità delle ruote in carbonio e ad alto profilo. Le ruote fatte a mano e saldate non esistono più. Tra ruote e tubeless ci sono da considerare la soggettività dell’atleta, la sua predisposizione e anche il suo storico. I nostri potranno scegliere tra tubolari e tubeless con ruote hookless, scelta che viene fatta dopo le ricognizioni.

«E poi la bicicletta, che corrisponde allo stesso modello usato per le gare normali. Ci sono aziende che forniscono biciclette specifiche, fattore che una volta era un must e che oggi è meno ricercato. Ovviamente ci sono i freni a disco, che coinvolgono tutta la bicicletta e non solo l’impianto frenante, perché entra in gioco proprio la possibilità di sfruttare le gomme e le ruote in modo differente. Proprio le bici con i dischi hanno anche permesso di aumentare la luce tra telaio, forcella e pneumatici, con enormi vantaggi in caso di fango».

Faizanè, un sogno chiamato Tour de France

04.04.2022
5 min
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«A Tonelli devo fare un monumento! Sette ore di diretta televisiva, 285 chilometri di fuga alla Milano-Sanremo col nostro marchio sempre ben in vista. Per noi vale più di una vittoria». Musica e parole di Martino Dal Santo (in apertura con Zana, Modolo, Visconti e Fiorelli), patron della Faizanè, azienda vicentina di Zanè che opera nella rivendita di articoli industriali e nella lavorazione di materie plastiche e gomme. Nonché sponsor (e terzo nome) della Bardiani-Csf-Faizanè, appunto.

La ditta veneta è nata nel 1968 ed ha legato il proprio nome al mondo dello sport a partire dal 1980, quando Pietro Dal Santo, il fondatore e padre di Martino, ha iniziato a sponsorizzare il Veloce Club Schio (società ciclistica nata ad inizio del Novecento). L’accordo è durato circa dieci anni, dopo di che la Faizanè (che in origine si chiamava solo F.A.I. come acronimo di Forniture Articoli Industriali) ha collaborato con società di volley, atletica, hockey su pista e calcio prima di tornare in modo graduale nel ciclismo.

Tonelli alla Milano-Sanremo è stato in fuga per 285 chilometri
Tonelli alla Milano-Sanremo è stato in fuga per 285 chilometri

Nel mondo del web

Le lunghe fughe, portate a termine o meno, hanno sempre fatto la storia del ciclismo, ma anche dei marchi degli sponsor. Figurarsi ora poi che il modo di comunicare e mostrarsi al mondo si è allargato con l’avvento di internet, social network ed altre piattaforme. Per questo motivo con Martino Dal Santo abbiamo voluto trattare l’argomento.

Come mai siete tornati al ciclismo?

Piccola premessa. Nel 2017 eravamo sponsor nel retro delle maglie del Vicenza Calcio in serie B. A fine stagione sono retrocessi in C, ma noi volevamo fare qualcosa in grande nel 2018 per i cinquant’anni di attività della azienda e la categoria non ci soddisfaceva. Così, visto che qui in Veneto il ciclismo è pane quotidiano ed io sono molto appassionato, siamo entrati in contatto con la Nippo-Vini Fantini. Abbiamo messo solo il nostro marchio sulle divise. Siccome che ci eravamo trovati bene, abbiamo aumentato il budget l’anno successivo, diventando il terzo nome della squadra. L’incredibile vittoria di Damiano Cima al Giro a Santa Maria di Sala, praticamente vicino a casa nostra, ci aveva ripagato subito.

Nel 2020 siete passati con la Bardiani-Csf.

Sì, siamo stati costretti perché la Nippo ha chiuso. Peccato, c’erano dei progetti. Ma non è stato un problema. Mi sono fatto avanti con i Reverberi, con i quali mi trovo benissimo, e abbiamo trovato l’accordo. Abbiamo anche modificato i colori delle maglie per dare un tocco di rinnovamento. Fino al 2023 saremo con loro, ma da quest’anno abbiamo una collaborazione in più.

Di cosa si tratta?

Abbiamo siglato una sponsorizzazione col Sandrigo Bike Sport Team, formazione che fa attività dai giovanissimi agli junior. Sono molto orgoglioso di questo accordo perché il ciclismo giovanile è fondamentale ed è bello poterlo sostenere. Organizzeremo anche una gara per giovanissimi.

Dopo il 2023 che propositi avete? Potremmo vedervi nell’orbita del WorldTour?

Ho due obiettivi. Il primo è che la nostra azienda cresca e aumenti il fatturato, come normale che sia per un titolare. Infatti stiamo già operando un ampliamento. Il secondo è che voglio fare il Tour de France. Non nascondo che vorrei entrare nella massima serie del ciclismo professionistico, ma capendo prima come procedere. Già nel 2020 avevo avuto un ammiccamento con una squadra WT, ma decisi di non andare fino in fondo. Mi è spiaciuto, forse magari ho fatto un errore però in quel momento dovevo guardare ciò che conveniva di più alla mia azienda.

Quanto vi sta aiutando il ciclismo in termini di visibilità?

Tantissimo. Per la verità dovremmo vincere un po’ di più o comunque fare più risultati. Però con le fughe ci guadagniamo sempre tanto spazio in televisione. Abbiamo un’agenzia di marketing e comunicazione di Torino che ne capisce di ciclismo e ci aiuta a realizzare contenuti sui nostri canali social per ogni gara che facciamo. E’ importante avere un ufficio che sappia ottimizzare il tutto anche quando vinci poco. Ed in questo devo rendere merito e grazie a Francesco Pelosi (ex general manager della Nippo, ndr) che con la sua agenzia ci aveva fatto fare il salto di qualità, ridisegnando anche la grafica del nostro logo.

E’ convinto di aver scelto lo sport giusto con la sua azienda?

Assolutamente sì. Anzi lo suggerisco sempre anche ad amici o colleghi che vogliono investire nello sport con la loro attività. Il ciclismo può dare tanto. Guardate ad esempio Mapei o Lampre, che prima di entrare nel ciclismo le conoscevano in pochi e poi hanno unito il loro nome a grandi successi, sia sportivi che aziendali.

Nei mesi scorsi si vociferava che Cassani e i Reverberi volessero fare una WorldTour italiana. Ci sareste anche voi dietro quel progetto?

C’è stata qualche chiacchierata fra loro, ma io non ho mai partecipato. Personalmente ritengo che fare il salto diretto nel World Tour così presto sia ancora prematuro. L’ideale sarebbe seguire l’esempio della Alpecin-Fenix. Restare professional con un paio di corridori forti che ti garantiscano sempre la partecipazione. Non è semplice da realizzare questa cosa, ma anche così potrei andare al Tour.