Una furia sul traguardo, ora Pogacar inizia la rimonta

08.03.2023
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Con l’insolita cronosquadre alle spalle, in cui ha piazzato una stoccata finale terrificante, Tadej Pogacar entra nel vivo della Parigi-Nizza, che ha deciso di correre per la prima volta. Nei giorni di Siena alla Strade Bianche, si è parlato spesso della sua assenza e del fatto che il calendario internazionale non sia ben congegnato. Se la corsa francese fosse partita di lunedì come la Tirreno-Adriatico, Pogacar avrebbe corso sugli sterrati toscani e sfidato Pidcock. Ma evidentemente ASO ha voluto i due weekend di gara e l’UCI l’ha accontentata.

Wellens ha raggiunto Pogacar alla Parigi-Nizza dopo la Strade Bianche: per il belga un programma di classiche
Wellens ha raggiunto Pogacar alla Parigi-Nizza dopo la Strade Bianche: per il belga un programma di classiche
Perché non hai corso la Strade Bianche? Wellens l’ha fatto poi ti ha raggiunto in Francia…

Ho pensato che fosse una bella sfida farlo, ma alla fine la Parigi-Nizza è stata una scelta più sicura. Sarebbe stata davvero dura finire con un buon risultato in entrambe le corse. Non si sa in anticipo, ma se alle Strade ci fosse stato tempo cattivo, sarebbe servito qualche giorno per riprendersi da quel tipo di percorso e non avrei potuto permettermelo, dovendo correre la Parigi-Nizza. Wellens qui non deve preoccuparsi della classifica, c’è una bella differenza.

Perché fare la Parigi-Nizza e non la Tirreno?

Ho già fatto due volte la Tirreno e l’ho vinta. Era arrivato il momento di ravvivare il mio programma e cambiarlo un po’. Non avevo mai corso la Parigi-Nizza, non mi sembra tanto male. I primi giorni sono stati un po’ frenetici, la cronosquadra ha fatto un po’ ordine, ma sta venendo fuori una settimana veloce. Dopo la Ruta del Sol, mi sono allenato bene a Monaco, dove era più caldo che qui.

Pogacar ha vinto le ultime due edizioni della Tirreno-Adriatico (qui nel 2022 sul Carpegna), ma non aveva mai corso la Parigi-Nizza
Pogacar ha vinto le ultime due edizioni della Tirreno-Adriatico, ma non aveva mai corso la Parigi-Nizza
La Parigi-Nizza è anche il primo incontro/scontro con Vingegaard dai giorni del Tour…

E non nascondo che questo abbia messo del sale nella storia. Non vedo l’ora di sfidarlo in salita. Lui è in forma, penso di esserlo anch’io. Sarà una corsa divertente. Anche se non c’è solo lui.

Pensi che la sfida con Jonas sarà il sale della sfida?

Non credo. Mi avevano detto e mi sto rendendo conto che è una delle gare più dure della stagione. Tanti tifosi, maltempo, tante scalate, strade veloci e insidiose. Il vero test è con me stesso. Se vinco, è un bonus per la fiducia, ma non aggiungerà nulla sul Tour, che è ancora molto lontano. Sarebbe una grande gara che aggiungo al mio palmares.

Pogacar e Vingegaard si sono reincontrati per la prima in gara volta dopo il Tour: marcatura stretta fra squadre
Pogacar e Vingegaard si sono reincontrati per la prima in gara volta dopo il Tour: marcatura stretta fra squadre
Sono passate tre tappe, chi pensi sia il favorito?

Vingegaard in primis. Ha dimostrato al Gran Camino di essere davvero in forma. Poi c’è Simon Yates, che ha dimostrato più volte di poter vincere questa corsa. L’anno scorso fu davvero impressionante nell’ultima tappa, che si ripete identica quest’anno (il britannico arrivò a Nizza da solo, staccando Van Aert e Roglic, ndr). Quasi tutte le squadre hanno un corridore forte che punta alla classifica, sarà davvero imprevedibile.

Dove si decide la corsa?

Sulla carta, le ultime due tappe sono le più dure. La cronometro a squadre è stata importante. Ma tenendo conto anche del vento delle prime tappe, si deve essere concentrati ogni giorno.

Pogacar ha tenuto la maglia bianca dei giovani nelle prime due tappe: ora è passata a O’Brien
Pogacar ha tenuto la maglia bianca dei giovani nelle prime due tappe: ora è passata a O’Brien
Che cosa ti è sembrato di questa strana cronosquadre?

Le tattiche sono rimaste praticamente le stesse, con la differenza che gli ultimi chilometri sono stati un po’ diversi. Solo il finale mi è parso leggermente anomalo, ma in ogni caso per andare veloci serviva avere attorno i compagni.

Cosa sai dell’arrivo di oggi a La Loge des Gardes e quello di sabato al Col de la Couillole?

Conosco la tappa di domenica, perché vivendo a Monaco in qualche modo è una corsa di casa. So com’è la salita di sabato, ma perché l’ho vista su Google Earth e Veloviewer. Comunque, una salita è una salita. Che tu la conosca o meno, devi pedalare ed esprimere quanta più potenza possibile.

Pogacar ha debuttato al Fiandre lo scorso anno, tenendo subito testa a Van der Poel sui muri
Pogacar ha debuttato al Fiandre lo scorso anno, tenendo subito testa a Van der Poel sui muri
Pensi che la Parigi-Nizza ti servirà in vista delle classiche di primavera?

Penso che aiuterà. Se corri per vincere, devi essere al top della forma ogni giorno e io sono qui per la vittoria finale. Mi sento già bene, ma mi manca ancora un po’ di forma fisica. La Parigi-Nizza mi darà una spinta per i prossimi mesi.

Philippe Gilbert sostiene che puoi vincere tutti e cinque i monumenti. A lui manca la Milano-Sanremo. Vincerli tutti può essere un tuo obiettivo?

E’ una grande sfida. Ne ho già due, i due che meglio si adattano al mio profilo di corridore: la Liegi e il Lombardia. Ce ne sono altri tre che mi piacciono meno. Non è qualcosa per cui mi dannerò l’anima, vedremo dove andrò a finire. Prendiamo la Sanremo. Ogni anno ci arrivo più vicino, ma vincere è ancora molto difficile. Dopo 300 chilometri devi fare le cose alla perfezione sul Poggio, una salita molto corta. Proverò di nuovo, ho ancora molti anni davanti a me. Abito vicino a Sanremo, ci vado spesso in bicicletta. Ho già immaginato diversi scenari per quel giorno.

Pogacar è arrivato alla Parigi-Nizza per puntare alla generale e per questo ha saltato la Strade Bianche
La UAE Emirates ha chiuso la cronosquadre al 5° posto, a 23″ dalla Jumbo Visma
Vingegaard al confronto ha un programma più mirato sul Tour. Non pensi di correre troppo?

Penso che sarebbe noioso se ogni anno mi concentrassi solo sul Tour. Mi piace soprattutto scoprire altre cose di questo sport e vedere fin dove posso arrivare. Cerco nuove sfide e cerco di ricordarmi che il ciclismo, oltre ad essere il mio lavoro, è anche il mio hobby. Mi parlano di Merckx, paragone impossibile. Però anche a lui piaceva il suo sport e si poneva sempre nuove sfide.

Perché ti piace tanto il Fiandre?

Non lo so. Ce l’ho in testa dai mondiali di Leuven 2021. Sono rimasto sorpreso da quell’atmosfera speciale. E poi ho avuto la fortuna di partecipare ed è stato semplicemente spettacolare. Mi sono divertito come un bambino, dando tutto sino alla fine. Il Fiandre è stato una delle migliori gare che abbia mai fatto.

EDITORIALE / Caro Pogacar, sei cannibale o kamikaze?

20.02.2023
5 min
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Anche se nel Tour dello scorso anno è finito allo spiedo, la sensazione che Tadej Pogacar sia la lepre e gli altri inseguano si fa ogni giorno più forte, pur con alcune variabili su cui ragionare.

Quando incontrammo lo sloveno a Benidorm nel primo ritiro del UAE Team Emirates, si disse con una certa chiarezza che Tadej avrebbe vissuto un avvio di stagione meno pressante. Per questo pensammo che la scoppola del Tour lo avesse indotto a una maggior cautela, volendo fermamente vincere il terzo.

Vingegaard è stato a lungo in ritiro e debutterà il 23 febbraio al Gran Camino (foto Instagram)
Vingegaard è stato a lungo in ritiro e debutterà il 23 febbraio al Gran Camino (foto Instagram)

La logica (non) condivisa

C’era una logica. La stessa che guida la preparazione degli atleti della Jumbo-Visma e, come emerge dall’intervista di stamattina con Paolo Artuso, anche quelli della Bora-Hansgrohe. Una logica non necessariamente condivisibile, ma capace di spostare gli equilibri. Le corse sono tutte a livelli altissimi: meglio arrivarci freschi piuttosto che rischiare di spendere troppo prima.

Se i più forti seguono una linea, gli altri copiano per non farsi trovare impreparati. Lo schema è identico per tutti. Altura e corsa, altura e corsa. Per tutti, ma in apparenza non per Pogacar.

In barba alla partenza più tranquilla, lo sloveno ha debuttato il 13 febbraio alla Jaén Paraiso Interior e ha vinto. Poi si è schierato al via della Vuelta a Andalucia, vincendo tre tappe e la classifica. Ora è atteso alla Strade Bianche e di lì probabilmente alla Parigi-Nizza, la Sanremo e le classiche del Nord dal Fiandre alla Liegi. E correrà per vincere.

Dopo il debutto alla Vuelta a San Juan, Evenepoel è da oggi in corsa al UAE Tour con grandi ambizioni
Dopo il debutto alla Vuelta a San Juan, Evenepoel è da oggi in corsa al UAE Tour con grandi ambizioni

Cannibale o kamikaze

Nelle prime corse della stagione, Pogacar si è comportato come lo scorso anno. Nel 2022 infatti arrivò al Tour con 10 vittorie e, una volta in Francia, iniziò a sprintare, attaccare, scattare e dare spettacolo. Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse capitato a un certo punto il buco nero del Granon. La squadra ha sempre detto di volerne capire la causa, senza però venirne a capo. Almeno non ufficialmente.

Non si è mai capito se sia stata una crisi di fame o se Pogacar, come si pensò allora, abbia avuto altro, forse anche un blando Covid come alcuni compagni di squadra. Sta di fatto che quel giorno si spense la luce e si cominciò a ragionare sul suo correre dispendioso dei mesi e dei giorni precedenti.

Il 2023 è iniziato allo stesso modo, con il piglio sbarazzino che fa di Tadej una sorta di novello cannibale, al cospetto di avversari che si nascondono ancora.

L’interpretazione è doppia. Si può pensare che Pogacar sappia esattamente quale sia stato il problema del Granon e quindi corra come sempre all’attacco. Oppure semplicemente, vivendo il ciclismo con leggerezza invidiabile, abbia deciso di godersela ogni giorno, cogliendo l’attimo.

Van Aert e Van der Poel, come Pogacar ed Evenepoel, sono i profeti di questo nuovo modo di correre
Van Aert e Van der Poel, come Pogacar ed Evenepoel, sono i profeti di questo nuovo modo di correre

Il nuovo corso

Qual che ne sia la spiegazione, Pogacar ha già vinto. Non è per caso che, dovendo comporre un ipotetico dream team del ciclismo, i posti già occupati siano quelli di Van der Poel, Van Aert, Pogacar ed Evenepoel. Gli altri entreranno magari a farne parte, da Vingegaard a Roglic passando per Sagan e Bernal, ma dopo una selezione in cui per varie ragioni si potrebbe persino ragionare di escluderli.

In questi giorni sui vari social non sono mancati gli scambi fra lo sloveno e alcuni dei rivali. Il primo con Evenepoel, nel giorno dell’ennesima vittoria in Andalucia. Remco lo ha pregato di non vincere più e l’altro gli ha risposto che adesso tocca a lui. Poi con Geraint Thomas, che si è fotografato con un ciuffo di capelli fuori dal casco, chiedendo a Pogacar se così andasse bene. E l’altro gli ha risposto che in quel modo risparmierà almeno 10 watt.

Alla Valenciana, si è registrata la vittoria di Ciccone sull’Alto de Pinos, dopo un inverno redditizio
Alla Valenciana, si è registrata la vittoria di Ciccone sull’Alto de Pinos, dopo un inverno redditizio

Rinascimento italiano

Questa leggerezza sta scavando il solco e cambiando le abitudini del gruppo, quanto a interpretazioni di corsa, e costringendo le persone normali a fare gli straordinari per reggere il livello. Una leggerezza che fa capire insieme quanto sia cambiato il mondo del ciclismo, libero da logiche di spartizioni che non troppi anni fa fecero puntare il dito verso chi, come Pantani, vinceva ogni volta che ne aveva l’occasione. Qualcuno borbotta davanti allo strapotere di Pogacar, ma nessuno pensa che quel che fa sia sbagliato. E’ il nuovo corso del ciclismo degli squadroni, in cui la molla non è più l’invidia dei grandi verso i piccoli.

E in questo scacchiere di campioni, piace far notare che gli italiani hanno iniziato l’anno con il piede giusto. Con vittorie e ottimi piazzamenti. Se finalmente riusciremo a lasciarci dietro i disagi e le conseguenze rimediabili del Covid, forse ci accorgeremo che le nostre mamme sono ancora capaci di generare campioni.

Scatta il UAE Tour, ma lui non c’è. Le carte con Marzano

19.02.2023
5 min
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Domani prenderà il via UAE Tour, ormai una classica delle corse a tappe d’inizio stagione. E la prima notizia, che ormai notizia non è più, ma forse torna ad esserlo dopo i successi che sta cogliendo, è che quest’anno non ci sarà Tadej Pogacar, re delle ultime due edizioni. Lo sloveno laggiù è un idolo. Corre “in casa” e la UAE Emirates non può non figurare bene… chiaramente. Tutto ciò lo sa bene Marco Marzano, direttore sportivo del team arabo: «Per noi – dice – è un obiettivo importantissimo. E lo si vede anche dalle formazioni che schieriamo».

Marco era in ammiraglia lo scorso anno al UAE Tour e ci sarà anche quest’anno. Con lui facciamo un’analisi a 360° di questa competizione. Come ci arriva la sua squadra. Che tipo di gara è. Come va affrontata. E perché non c’è Tadej.

Marco Marzano (classe 1980) ha corso fino al 2012 e dal 2014 è uno dei diesse della UAE Emirates
Marco Marzano (classe 1980) ha corso fino al 2012 e dal 2014 è uno dei diesse della UAE Emirates
Marco, ormai questa corsa sta assumendo sempre maggiore importanza.

Vista dalla tv sembra una corsa facile invece è molto combattuta, specie per noi della UAE Emirates. Altre squadre vengono “per allenarsi”, per loro è quasi una rifinitura della condizione. Per noi è un appuntamento clou.

Perché dici che sembra facile?

Perché si passa tanto tempo su strade veramente grandi, magari dritte o su grandi spazi aperti e il gruppo sembra “appallato”, che va piano. Ma è un inganno. Magari i corridori stanno andando a 60 all’ora e c’è una grande lotta. Oppure c’è vento. E si vive un grande stress. Da quel che ho visto io, i corridori quando terminano le tappe, sono sfiniti, stressati. E poi i primi se la giocano sempre per una questione di secondi, anche quando ci sono state le crono. E questo aumenta lo stress appunto. Si lotta per prendere davanti il punto in cui si sa che cambia il vento. Insomma inizia ad esserci pressione, soprattutto per chi come noi lotta per la generale.

Alla luce di questa tensione c’è stato un “momento no” per Pogacar lo scorso anno?

Un vero “momento no” non c’è stato. Tutto è sempre rimasto sotto controllo, soprattutto in salita. Abbiamo gestito bene le situazioni con la squadra, tanto che abbiamo vinto poi anche la classifica per team. Sapevamo però che c’è l’insidia della tappa del vento, quella di Abu Dabi, ma passata quella nessun problema.

Come diceva Marzano, il gruppo è “appallato” anche se le velocità sono alte. Discorso che valeva anche al UAE Tour Women
Come diceva Marzano, il gruppo è “appallato” anche se le velocità sono alte. Discorso che valeva anche al UAE Tour Women
Però quest’anno Tadej non ci sarà, nonostante stia vincendo tutto: come mai?

Alla fine anche lui ha bisogno di stimoli nuovi e questi passano anche attraverso un nuovo approccio alla stagione. Altre gare insomma. E non a caso abbiamo preso un signor corridore che risponde al nome di Adam Yates (che nel 2020 ha vinto il UAE Tour, precedendo proprio Pogacar nell’albo d’oro, ndr). Sarà lui il nostro leader. Matxin ha parlato con i corridori e ha pianificato questo calendario. Sì, Pogacar è importantissimo per gli sponsor, ma ci presentiamo con altri ottimi corridori.

Tadej aveva detto di voler partire più piano, ma sta dimostrando il contrario. Se non fosse stato al top okay: è la condanna del super campione, non può fare secondo. Ma visto come sta andando…

Eh già, Tadej ci aveva abituato troppo bene. Chi ha corso in bici sa cosa significa fare risultato ed essere costretto a vincere. Ho sentito gente parlare di fallimento per un secondo posto al Tour de France! Questa scelta di iniziare in questo modo la stagione fa parte del suo programma.

E Ayuso?

Per lui è previsto un calendario diverso. Un calendario più “spagnolo”.

Torniamo al tuo lavoro e alla tipologia di corsa che è il UAE Tour. Come vi organizzate per le riunioni, la strategia sul campo?

Solitamente laggiù, non avendo il nostro pullman, facciamo le riunioni la sera dopo cena. Iniziamo con l’analisi della tappa che si è conclusa nel pomeriggio e poi passiamo a quella successiva. Il mattino successivo facciamo un check con i ragazzi per capire come stanno, se hanno dormito bene… E se tutto è regolare confermiamo la tattica della sera prima.

Adam Yates sarà leader della UAE negli Emirati Arabi Uniti (foto Instagram)
Adam Yates sarà leader della UAE negli Emirati Arabi Uniti (foto Instagram)
Dicevi di un percorso facile in apparenza, come si fa la tattica in questo caso?

Per prima cosa analizziamo gli avversari e la loro compattezza. Cioè chi può fare delle azioni, sostanzialmente chi può aprire dei ventagli… In più, noi facendo dei ritiri spesso da quelle parti ormai conosciamo abbastanza bene strade e zone. Poi bisogna pensare che noi siamo focalizzati, chiaramente, soprattutto sulla classifica generale. Sì, in passato ci siamo presentati con dei velocisti. Vedi Gaviria, Kristoff, quest’anno Molano… ma anche se le tappe sono quasi tutte per le ruote veloci ce ne sono due di salita, o comunque più impegnative, che decidono la corsa. E quindi anche il Molano della situazione sa che se si apre un ventaglio non può aspettare, ma deve lavorare con gli altri per chiudere o per scappare pensando al leader. Insomma non può restare a ruota.

E con i materiali? O i rifornimenti da terra per esempio? Anche in questo caso avete qualche strategia particolare?

Portiamo due profili di ruote: uno medio-medio alto e uno più alto. E vediamo, tappa per tappa in base al vento, quale mettere. Io per esempio stavo proprio organizzando il “piano borracce”. Rcs ci mette a disposizione due auto a noleggio. Io sono sulla seconda ammiraglia e ho la possibilità di tagliare o anticipare il gruppo per qualche extra feed zone.

Nuove corse, la stessa magia: Pogacar riparte alla grande

14.02.2023
5 min
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Buona la prima. Tadej Pogacar inizia la sua stagione vincendo… Dal Giro di Lombardia alla Clasica Jaen Paraiso Interior sono passati 128 giorni, ma il risultato non è cambiato.

Un po’ a sorpresa il campione sloveno aveva rinunciato al UAE Tour, corsa che per la sua squadra equivale quasi al Tour de France. E questo lasciava pensare che non fosse al top.

Dalla UAE Emirates ci avevano parlato del bisogno di cercare nuovi stimoli, di prendere parte a nuove gare… insomma di variare un po’ la preparazione. E lo stesso Tadej nel ritiro di dicembre aveva annunciato che sarebbe partito un po’ più piano proprio perché voleva concentrasi al meglio sul Tour. “Alla faccia del bicarbonato di sodio”, avrebbe detto Totò di fronte a questo debutto!

Dopo 128 giorni dal Giro di Lombardia (sua ultima gara del 2022), Pogacar è tornato a correre… e ha subito vinto
Dopo 128 giorni dal Giro di Lombardia (sua ultima gara del 2022), Pogacar è tornato a correre… e ha subito vinto

Vittoria alla Pogacar

Pogacar ha vinto a modo suo: divertendosi e dando spettacolo. Alla Clásica Jaén Paraìso Interior è stato autore di un attacco spettacolare, imprevisto (almeno per chi non era della UAE Emirates), solitario: circa 42 chilometri di fuga tra gli sterrati e gli uliveti di Ubeda. 

«Finora – ha detto Pogacar sorridente dopo la gara – sta andando tutto bene. Non potevo iniziare la stagione meglio di così. Sono molto contento anche perché la squadra ha lavorato bene oggi. E lo dimostra Tim Wellens. È fantastico finire con un primo e un terzo posto».

Per carità, è solo la prima corsa dell’anno ed è anche una “piccola corsa”, ma il Pogacar visto ieri è sembrato quello brillante dei tempi migliori, quando con la sua “innocente sfacciataggine” attaccava, staccava tutti e con apparente semplicità vinceva. Non era certo quello che si doveva dannare l’anima alla terza settimana del Tour per staccare Vingegaard o, peggio, per cercare di non prenderne troppe dallo stesso danese.

E quando hai addosso questa aurea di ottimismo non ti ferma neanche una foratura. Non ti ferma perché hai un bel vantaggio. Perché l’ammiraglia è pronta ad intervenire. E perché resti tranquillo.

«Forare – ha detto Tadej – fa sempre un po’ paura, ma sono stato fortunato ad avere la macchina proprio dietro di me e quindi non è stato poi così stressante».

Lo sloveno ha forato, ma è rimasto tranquillo. Una buona condizione si denota anche dalla lucidità con cui vengono gestite situazioni simili
Lo sloveno ha forato, ma è rimasto tranquillo. Una buona condizione si denota anche dalla lucidità con cui vengono gestite situazioni simili

Questione di stimoli

Dicevamo degli stimoli. Questo non è un aspetto banale per un campione come Pogacar. Lo scorso anno ha assaggiato anche lui la “sconfitta”, anche se dobbiamo ammettere che parlare in questi termini sembra esagerato. Ma resta il fatto che per la prima volta in carriera Tadej non ha vinto. Si è trovato di fronte alla sua prima vera difficoltà.

Era normale che prima o poi il momento tosto arrivasse. Pertanto ci sta, eccome, che voglia prendere le sue contromisure. Anzi, è bello. E’ segno che ci tiene, che semmai è pronto ad impegnarsi ancora di più.

E allora torna il fatto che non sia andato al UAE Tour, dove era praticamente “costretto a vincere”. Torna il fatto che voglia partire più piano. E torna il fatto che voglia provare nuovi calendari. In due parole: nuovi stimoli.

Giusto un paio di giorni fa l’Equipe aveva detto che Tadej volesse cambiare ancora. Che dopo la Strade Bianche, corsa che ha vinto lo scorso anno e che adora, volesse volare direttamente a La Verrière per la partenza della Parigi-Nizza. Quindi niente Tirreno-Adriatico.

Non è ufficiale, e forse non accadrà: anche per questioni di equilibri non direbbe di no ad un’altra corsa Rcs, visto che non farà il Giro a vantaggio del Tour. Ma è anche vero che a certi livelli e con certi campioni si va oltre.

Quinto settore di sterrato, su uno strappo Tadej affonda il colpo. Lo tiene solo Samitier, poi 40 chilometri di cavalcata solitaria
Quinto settore di sterrato, su uno strappo Tadej attacca. Lo tiene solo Samitier, poi 40 chilometri di cavalcata solitaria

Gambe e ottimismo

Procedendo per passi, da mercoledì Pogacar sarà di scena alla Vuelta a Andalucia, corsa a tappe di buon livello. C’è da giurare che vorrà dare ancora spettacolo. Come ha detto recentemente alla Gazzetta dello Sport, per lui il ciclismo è un gioco, è divertimento e per questo vuole sempre vincere.

«Alla Vuelta a Andalucia – ha detto Pogacar – ci saranno corridori molto bravi, tappe belle e toste. Mi aspettano cinque giorni difficili di corsa».

E sempre procedendo per passi, dopo l’Andalucia ecco gli sterrati della Strade Bianche per l’asso sloveno. Sterrati che ha incontrato anche ieri alla Clásica Jaén Paraìso Interior. Ma forse Siena e Ubeda hanno poco in comune e lo stesso Pogacar ha voluto mettere i puntini sulle “i”.

«Non metterei a confronto queste due gare – ha detto lo sloveno – sono diverse. Sono differenti il tipo di sterrato, le salite e persino i tratti che ci sono nel mezzo».

In effetti la corsa spagnola è molto più filante, sia nell’altimetria che nei segmenti di strada bianca stessi: molto più ampi e battuti in Spagna.

Infine Tadej ha aggiunto una frase che forse è meno banale di quel che possa sembrare. Una frase che forse un anno fa di questi tempi non avrebbe detto: «Per me è molto importante iniziare così. Le gambe ci sono e questo mi dà fiducia per il prosieguo della stagione». Insomma, anche Tadej ha bisogno di certezze. Anche Tadej è umano. Forse…

Chi si rivede: il Saudi Tour rilancia Formolo

09.02.2023
4 min
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La messe di vittorie italiane, arrivate in serie la scorsa settimana, ha fatto passare un po’ in second’ordine un grande risultato conseguito da un altro portacolori del ciclismo nostrano. Al Saudi Tour Davide Formolo ha conquistato la seconda piazza nella classifica generale, dopo un’altra piazza d’onore nella quarta tappa e un altro posizionamento nei primi 10. Risultati di spicco che per il veneto suonano come una boccata d’aria fresca, dopo un 2022 difficile.

Formolo è ripartito esattamente da dove aveva finito, con il 2° posto al Veneto Classic dietro il compagno di colori Marc Hirschi. Di mezzo un inverno di lavoro, una fase particolarmente delicata per lui.

«Era qualche anno che non vivevo un inverno così tranquillo, da dedicare interamente alla preparazione curando anche i dettagli. Ho sempre avuto qualche acciacco, inutile star qui a ripetere tutte le traversie dello scorso anno: praticamente ho cominciato a correre come volevo io quando la stagione stava finendo… I risultati in Arabia mi danno fiducia perché significa che il lavoro già dà buoni frutti».

Quarta tappa, in volata Guerreiro (a sinistra) beffa Formolo, ipotecando la generale
Quarta tappa, in volata Guerreiro (a sinistra, fuori immagine) beffa Formolo, ipotecando la generale
Rispetto alla seconda piazza di fine stagione c’è una differenza sostanziale: qui si parla di una corsa a tappe…

Per carità, non è certo il Tour de France, ma era una bella gara, con corridori forti al via che avevano ambizioni. E potermela giocare alla pari mi ha rinfrancato. Alla vigilia erano partiti con me e Grosschartner come uomini da classifica, ma Felix all’inizio non stava bene e ha perso terreno, così tutta la squadra ha lavorato per me e questo mi ha fatto sentire bene: non accadeva da tempo…

Che cosa ti è rimasto delle disavventure di cui accennavi prima?

La sensazione che devi prestare attenzione sempre, ad ogni cosa. Basta un attimo perché tutto il lavoro vada in frantumi. Ti racconto un piccolo aneddoto: lo scorso anno, quando mi sono rotto la mano nell’attraversamento del cinghiale, ero in discesa dopo aver fatto un test di 20 minuti. Beh, non avevo mai avuto i valori che ho riscontrato in quel test, per questo quell’infortunio mi ha fatto ancora più rabbia.

Formolo sul podio con il portoghese e Buitrago. Per il veneto è un podio beneaugurante
Formolo sul podio con il portoghese. Per il veneto è comunque un podio beneaugurante
Ora neanche il tempo di disfare le valigie e si ritorna nella penisola araba…

Sì, ci attende il Tour dell’Oman, che rispetto all’altra gara è un po’ più duro, ma a me non dispiace, perché troveremo tappe leggermente più lunghe e impegnative e a me sono sempre piaciute le prove di fondo, ho più possibilità per giocarmi le mie carte. Nel team entrerà Ulissi, che so essere già in buona forma. Vedremo come si metterà la corsa, quel che è certo è che partiamo per portare qualcosa a casa.

Hai cambiato qualcosa nella preparazione?

Nulla di rilevante, diciamo che in accordo con il team, visto che seguo direttamente quel che è previsto dai preparatori interni, lavoriamo su quelle caratteristiche ormai consolidate in quasi 10 anni di attività ai massimi livelli. C’è poco da cambiare, bisogna curare soprattutto i dettagli.

Formolo con Hirschi, secondo e primo alla Veneto Classic di fine stagione 2022
Formolo con Hirschi, secondo e primo alla Veneto Classic di fine stagione 2022
Hai parlato da leader, una posizione alla quale sembravi un po’ disabituato dopo le ultime stagioni lavorando soprattutto al servizio di Pogacar.

Sto ritrovando piano piano la mia dimensione. E’ chiaro che quando Tadej è in squadra, il capitano è lui. A me queste gare servono per rafforzare la convinzione che dietro ai big, a gente come Tadej ma anche Evenepoel, Vingegaard, Van Aert ossia campioni che sono destinati a contrassegnare un’epoca, c’’è un gruppo di corridori validi dei quali posso far parte anch’io. A proposito del lavoro con Pogacar c’è poi un’altra considerazione da fare.

Quale?

Io non sono veloce. Non avendo la volata è più difficile mettermi in mostra, ma posso essere molto utile con le mie caratteristiche nello scortare Tadej o nello svolgere specifici compiti. Ciò non toglie però che durante la stagione capitano anche le occasioni dove emergere, se il mio livello di forma è buono. Ma le occasioni vanno anche cercate, essere sempre attenti a come si mette la corsa, perché ogni giorno può essere il tuo.

Il veneto davanti a Grosschartner: i due erano i capitani della Uae nell’occasione
Il veneto davanti a Grosschartner: i due erano i capitani della Uae nell’occasione
Dì la verità: aver chiuso a 8” dal portoghese Guerreiro non ti ha fatto un po’ rabbia?

Un po’ sì: nella quarta tappa c’era uno strappetto dove si poteva provare a fare qualcosa per poter vincere, probabilmente col senno di poi poteva essere impostato diversamente. Anche nella tappa conclusiva c’era l’ultima salita che poteva essere affrontata in progressione cercando di fare selezione. Alla fine quando arrivi secondo è stata una bella avventura, ma negli annali ci resta chi vince. Avere però il dente avvelenato è un’arma in più quando devi tornare a correre…

Su Vine lo sguardo di Covi, maestro di gara

06.02.2023
5 min
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Facciamo un salto indietro in queste settimane di attività subito frenetica e torniamo alla trasferta australiana, dalla quale tutto è cominciato. Il ritorno del Santos Tour Down Under ha regalato soddisfazioni anche al ciclismo italiano, ma ha visto primeggiare Jay Vine, il nuovo acquisto del Uae Team Emirates. Parlare di lui come di un corridore saltato fuori dall’ormai famoso concorso Zwift è a questo punto pleonastico, stiamo parlando di uno scalatore fatto e finito che in pochi giorni ha portato a casa il titolo nazionale a cronometro e la prima corsa a tappe WorldTour.

Qualche giorno fa il suo diesse Marco Marcato aveva parlato di come Alessandro Covi lo avesse protetto in alcuni frangenti della corsa, soprattutto quand’era in gruppo insegnandogli a “limare”: uno degli aspetti tecnici sui quali l’australiano deve ancora lavorare. Era quindi giusto sentire il corridore italiano su come ha visto il suo compagno di squadra.

«Era la prima volta che correvamo insieme da compagni di squadra – racconta Covi – ma avevo avuto già occasione di conoscerlo lo scorso anno. Si è integrato subito nell’ambiente, non avrà problemi».

Jay Vine ha vinto il titolo nazionale a cronometro, davanti a Durbridge e O’Brien, entrambi Jayco
Jay Vine ha vinto il titolo nazionale a cronometro, davanti a Durbridge e O’Brien, entrambi Jayco
Dal punto di vista caratteriale che tipo è?

Ci sono due aggettivi che secondo me lo definiscono per quel che ho visto: tranquillo e umile. E’ uno che lavora bene, è sempre molto concentrato, si vedeva che volesse far bene nella gara di casa. Nelle gerarchie iniziali il capitano dovevo essere io, ma la caduta nel prologo mi ha subito tolto di classifica così abbiamo lavorato tutti per lui. Era d’altronde già in condizioni di forma notevoli, ha fatto la differenza.

Si è parlato molto del tuo apporto come suo luogotenente, soprattutto in gruppo. Ha davvero ancora qualche difficoltà a limare?

Io dico che in gruppo ci sa già stare. Basti vedere il fatto che sa interpretare bene i ventagli, si fa trovare sempre nelle prime posizioni, ha un ottimo controllo della corsa. E’ chiaro che con il passare dei giorni e delle settimane andrà sempre meglio. Forse deve ancora trovare la giusta serenità in gruppo. C’è un episodio al riguardo che mi è rimasto impresso…

Vine protetto dai compagni. L’australiano ha ancora qualche difficoltà nello stare in gruppo
Vine protetto dai compagni. L’australiano ha ancora qualche difficoltà nello stare in gruppo
Racconta…

In una tappa c’erano da prendere le borracce per la squadra e, vista la mia situazione di classifica, mi sono prestato volentieri per il compito. Quando l’ho portata a lui, era molto timoroso per la situazione del gruppo e non mi ha neanche guardato per non perdere di vista gli altri. E’ una piccola cosa, ma fa capire come stia attento a non sbagliare nulla e questo è l’atteggiamento giusto.

Molti sottolineano il fatto che venga da un percorso professionalmente diverso e questo lo penalizzi.

Secondo me invece si vede che ha esperienza giovanile dalla sua, sa andare in bici, è nuovo nel WorldTour, ma sa già come porsi. Tra l’altro ringrazia sempre, in squadra si è ben integrato anche per questo. Ovvio che in alcuni frangenti chi è più capace può aiutarlo, ma si è visto anche nella tappa dove ha chiuso terzo e che gli ha dato la vittoria finale che sa già cavarsela anche da solo.

Per Covi buone sensazioni in Australia, con il 4° posto nella prima tappa
Per Covi buone sensazioni in Australia, con il 4° posto nella prima tappa
Veniamo a te: come esci dall’Australia?

Abbastanza soddisfatto, la condizione è in crescita. Sapevo di dover lavorare ancora molto e correre per Jay è servito anche a me, poi quando si vince va tutto bene.

Molti si aspettavano da te un acuto. Sui social spesso si parla del ruolo marginale riservato ai corridori italiani, anche Tiberi ha detto la sua parlando di carattere e carisma da mostrare in gara. Tu cosa ne pensi?

Io credo che il primo fatto che fa la differenza siano sempre le gambe. La corsa la fa chi è più adatto e il caso di Vine ne è la conferma, era il più in condizione ed era giusto correre per lui. Certamente quando militi in una squadra forte, con tanti corridori vincenti, trovare spazio non è facile, devi essere davvero al massimo, ma l’occasione capita e devi farti trovare pronto.

Covi ora punta sulle gare spagnole e poi preparerà il Giro, da correre da protagonista
Covi ora punta sulle gare spagnole e poi preparerà il Giro, da correre da protagonista
Secondo te però c’è da parte dei team una certa preferenza per il corridore di casa?

Quel che conta è che il team vinca, quindi si corre per chi può arrivare al risultato, non si guarda certo la carta d’identità… E’ chiaro che anche il carattere conta, saper stare nel gruppo: se aiuti e lavori, quando sarà il tuo turno stai sicuro che gli altri lavoreranno per te…

Ora che cosa ti aspetta?

Gareggerò in Spagna a Murcia e Andalucia, dove sono stato protagonista lo scorso anno, poi farò le gare italiane e dopo la Sanremo comincerò a preparare il Giro d’Italia. Per me quest’anno niente classiche del Nord, in quel periodo sarò in altura, proprio perché voglio preparare bene la corsa rosa.

Marcato e le capacità di adattamento di Vine

30.01.2023
4 min
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Jay Vine non smette di stupire e di vincere. E’ già una storia il suo passaggio avvenuto non dalle categorie, ma tramite Zwift. Sono ancora fresche le sue imprese alla Vuelta. Ma quel che colpisce è come si pone di fronte alle novità. Jay viene, osserva, vince. Cambia squadra e alla prima gara… vince di nuovo.

Marco Marcato, diesse della UAE Emirates, ha guidato l’australiano al Tour Down Under e ci aiuta a scavare questa caratteristica di Vine, la sua capacità di adattamento e, chiaramente, le sue qualità.

Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco, dicevamo delle capacità di adattamento di Vine. Cosa ne pensi?

E’ stata una piacevole sorpresa. Sapevamo delle sue qualità ma da qui a pensare che potesse vincere subito una gara WorldTour con la nuova squadra ce ne vuole. Tanto più su un percorso così filante come quello del Down Under. C’erano salite brevi, mentre lui è più da salite lunghe. Ripeto: è stata una piacevole sorpresa.

Segno ulteriore che Vine si sa adattare e anche che stava bene…

Quello sicuro. Jay ha passato l’inverno in Australia al caldo. Era abituato dunque a certe temperature e rispetto agli altri corridori non ha dovuto adattarsi o far fronte al fuso orario. Sapevamo che poteva fare bene.

E non a caso lo avete messo in testa alla lista. Lui aveva il numero 1 finale sul dorso, quello che di solito spetta al capitano…

Beh, correva in casa, aveva appena vinto il titolo nazionale a crono, aveva buone sensazioni e così abbiamo deciso di puntare su di lui. Anche se Hirschi e Covi potevano fare bene. Ma Alessandro è caduto nel prologo ed è subito uscito di classifica. Poi quando nel finale della tappa decisiva davanti c’era anche lo svizzero, abbiamo deciso il tutto e per tutto puntando su lui.

Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Come ti è sembrato con le responsabilità da leader? 

Conoscevamo le sue qualità come detto. Sapevamo i suoi numeri, ma una corsa in bici non è fatta solo di valori fisici, ci sono altri fattori. Molti altri fattori. Lui è stato bravo ad integrarsi subito e a sfruttare al massimo le possibilità che si sono create strada facendo. Poi magari lo ha aiutato il fatto di correre in casa. Senza un Tadej (Pogacar, ndr) o un Almeida ci stava che potesse essere il leader. Io sono convinto che adesso prenderà più consapevolezza e correrà ancora di più da protagonista.

Marco, hai detto giustamente che in corsa non ci sono solo i numeri del fisico, ma anche altri fattori: ebbene, come si muove Vine tra questi “altri fattori”?

Lo conosco da poco. La prima volta che l’ho avuto tra le mani è stato a dicembre, ma da quel che ho visto mi è sembrato un ragazzo metodico, professionale al massimo. Per esempio, mi ha chiesto di vedere il finale della tappa di Campbelltown. L’ha visionata quattro volte. E non tanto per la salita, quanto per la discesa. E questo approccio mi è piaciuto parecchio. Essere professionali al 100% nel ciclismo moderno è importante. Fa la differenza fra l’arrivare davanti e il vincere. Il ragazzo ha testa.

Quindi il leader lo sa fare?

Sì, ha carisma. Ringrazia sempre, si è mosso da leader. E anche nelle interviste rilasciate mi è sembrato consapevole di questo suo ruolo, senza mai mettere in secondo piano la squadra. Sa che ne ha bisogno.

L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
Vine è uno scalatore o c’è di più? Al netto che ha vinto il campionato australiano a crono…

Si sta scoprendo. Non ha tantissima esperienza e forse neanche lui conosce i suoi limiti. Per esempio proprio a cronometro con noi è migliorato tantissimo nella posizione. Ha dimostrato anche in questo caso che sa evolversi, che sa adattarsi. In gruppo invece spreca ancora un bel po’.

E gli avevi affidato un uomo?

Un uomo specifico no, ma la squadra gli è stata vicino e lui si è fidato della squadra. Covi e Bax, i più limatori che avevamo in Australia, li seguiva da vicino. E non è così scontato. Ci sono molti ragazzi che non sono limatori, ma non si fidano dei compagni più scaltri. Jay si fida e questo è un vantaggio per lui.

Alla luce di queste prestazioni cambierà il suo calendario?

Non cambiamo programma (Vine dovrebbe fare il Giro, ndr). E’ importante rispettare le direttrici e i calendari, anche perché se poi lo cambi ad uno, per forza devi intervenire anche su quello di altri. Se poi ci sono delle necessità diverse, degli infortuni… è un altro discorso. Ma seguire e fidarsi di una programmazione a lungo termine è importante. 

Giovani corridori e aspettative: come si lavora?

24.01.2023
7 min
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Nel guardare le varie statistiche sui siti di riferimento ci ha colpito la grande differenza che si trova nei giorni di corsa tra i neoprofessionisti: ragazzi giovani che si affacciano al mondo dei grandi. Così abbiamo voluto indagare tra le varie squadre per capire come gestiscono i loro ragazzi. Tra i team selezionati sono rientrati due professional e due WorldTour. 

Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita
Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita

Per la UAE parla Baldato

La prima persona interrogata su questo delicato tema è Fabio Baldato, diesse della squadra degli Emirati. Tra i ragazzi visti dal veneto spicca il nome di Ayuso, spagnolo classe 2002 che alla prima partecipazione alla Vuelta ha chiuso al terzo posto nella classifica generale. 

«Prima di tutto – inizia Baldato – è tutto molto soggettivo, ci sono giovani che hanno bisogno di un ambientamento più lungo. Altri, invece, vedi che sono già pronti, ma anche in questi casi il lavoro da fare è delicato. Ayuso lo abbiamo “rallentato” cercando di tenere la sua esuberanza a bada. Non è il primo corridore già maturo che mi capita tra le mani, in BMC ho avuto Kung e Dillier che erano già pronti. In questi caso noi diesse dobbiamo essere bravi a valutare, non bisogna mai esagerare, spesso i ragazzi giovani non si pongono limiti. Sono più spavaldi, si vede dall’atteggiamento in corsa. Ti ascoltano fino ad un certo punto, predicare va bene ma poi bisogna mettersi nei loro panni. Sono consapevole del fatto che noi diesse possiamo insegnare qualcosa ma quello che rimane è la “batosta”. Ayuso stesso ad inizio 2022 ne ha prese alcune ed è cresciuto».

«Poi ci sono i corridori normali, uno che abbiamo in UAE è Felix Gross. Lui ha fatto lo stagista nel 2021 con dei buoni dati ma senza cogliere risultati. La scorsa stagione ha avuto più continuità ed ha ottenuto un bel quarto posto in una tappa al Giro di Germania. I corridori così vanno sostenuti, anche mentalmente perché devono capire che la loro crescita deve essere graduale e passa prima da corse minori dove imparano ad essere competitivi».

Lato Intermarché

L’Intermarché Circus Wanty ha un progetto di crescita solido da molti anni, al quale ha affiancato anche la nascita del Development team. Valerio Piva, diesse della squadra belga ci racconta anche che relazione hanno tra di loro le due squadre

«La squadra development ha una struttura a parte – spiega – l’obiettivo è prendere ragazzi giovani e far nascere dei corridori. Lo scambio tra una squadra e l’altra ci sarà, lo stesso Busatto farà qualche gara con noi. Per quanto riguarda il team WorldTour l’obiettivo è diverso, i ragazzi giovani che prendiamo arrivano da team professional o continental. Non crediamo nel “salto di categoria” da junior a professionisti, i ragazzi devono fare uno step intermedio: gli under 23. I ragazzi devono imparare a gestire l’impatto della corsa e le diverse tipologie di allenamento. In un ciclismo che viaggia sempre più rapido è bene ricordare che i margini di errore sono al minimo e si rischia di bruciare l’atleta pretendendo qualcosa che non può fare. I giovani che abbiamo nella squadra WorldTour li inseriamo gradualmente, non li vedrete mai partecipare a corse di primo livello». 

«In questa stagione la squadra ha fatto una rivoluzione – continua Piva – prendendo tanti giovani e perdendo corridori di esperienza come Kristoff. Non è che non credessimo in lui, ma abbiamo preferito un progetto più a lungo termine. Non vinceremo tante corse come lo scorso anno ma è una cosa che abbiamo preventivato, fa parte di quello che è il ricambio generazionale. Gerben Thijssen, è un corridore sul quale nel 2022 abbiamo speso molto in termini di uomini e di occasioni. Ha dimostrato qualcosa di buono e quest’anno è chiamato al salto di qualità, ma è stato tutto graduale. Per il suo bene e quello del team».

La visione delle professional

La Green Project Bardiani è la squadra professional che ha un progetto diverso dalle altre, i giovani vengono presi e diventano subito professionisti. Almeno a livello di contratto, poi però all’interno del team si opera una distinzione, creando praticamente due squadre distinte. Rossato diesse di riferimento per questi ragazzi ci spiega il metodo di lavoro e le sue “criticità”. 

«La prima cosa – racconta dalla Vuelta a San Juan – è cercare di non stressare troppo i ragazzi. Quelli che arrivano dall’ultimo anno di juniores hanno la scuola e per loro deve essere una priorità. L’anno scorso a Pinarello e Pellizzari abbiamo costruito un programma idoneo. A livello di ambientamento per loro è un sogno: avere uno staff dedicato ed essere seguiti in questo modo è una bella cosa. Non dimentichiamo che gli juniores l’anno scorso avevano ancora i rapporti bloccati, una volta con noi abbiamo dovuto insegnargli anche a gestire questa cosa. Si è lavorato anche tanto sull’alimentazione, sul peso e l’allenamento. Dettagli che quando sei professionista fanno la differenza. Dai giovani dell’anno scorso abbiamo ottenuto dei bei risultati. Pellizzari e Pinarello, a fine stagione, hanno corso con i professionisti il Giro di Slovacchia e la Tre Valli. Siamo stati molto contenti della loro risposta».

«Chi arriva da noi che ha già fatto qualche stagione da under 23 fa un programma più intenso. Sempre ponderato alle qualità ed al fatto che sono alla prima esperienza con i professionisti. I corridori che possono correre anche da under fanno calendari misti con diverse esperienze. Marcellusi prima di vincere il Piva ha corso in Turchia e la Milano-Torino, due belle palestre per crescere. Tolio è un altro che ha corso molto tra gli under 23 ed i professionisti, aggiungendo al suo calendario corse importanti come Strade Bianche e Lombardia. Sono corse che un ragazzo giovane può guadagnarsi, sono come un premio che arriva alla fine di un bel percorso di crescita».

Ultima parola alla Eolo

La Eolo Kometa ha nella sua idea di team una visione diversa, con due squadre divise: la professional e la under 23. Stefano Zanatta ha lavorato per tanti anni con i giovani e di cose ne ha viste.

«Le nostre due squadre sono direttamente collegate – apre il discorso Zanatta – vedi da subito i ragazzi giovani e ne segui la crescita. Questo perché una volta che passano in prima squadra hai già un’idea di che corridore ti trovi davanti. Io credo che anche i grandi campioni abbiano bisogno di un anno tra gli under 23. Anche in Liquigas, dove avevamo corridori come Kreuziger e Sagan, abbiamo tenuto la stessa ideologia. Prima almeno un anno di esperienza nella categoria giovanile. I corridori possono anche aver talento ma hanno bisogno di una crescita umana e fisica. Anche i nostri giovani che arrivano dalla squadra under 23 avranno bisogno di adattarsi alle corse. Non vogliamo caricarli di pressioni o aspettative troppo alte».

«Il percorso per i ragazzi che arrivano da noi – continua il diesse della Eolo – è di partire da corse più semplici. Poi si passa a quelle di qualità superiore e si prova a vedere come reagisce un ragazzo nel correre da protagonista. Dalla mia esperienza posso dire che un ragazzo arriva ad avere risultati tra i 24 e i 25 anni. Nibali stesso ha fatto tanta esperienza maturando, successivamente ha ottenuto i risultati che tutti conosciamo. Serve un’attività continua ma equilibrata: una cinquantina di giorni di corsa sono giusti. La cosa migliore è dare ai ragazzi delle pause e farli recuperare, senza creare buchi troppo grandi nel calendario, altrimenti si perde il lavoro fatto. Ora ai giovani è concesso meno sbagliare, non è corretto nei loro confronti perché li si sottopone a pressioni maggiori. Forse devi essere più forte mentalmente per fare il corridore ora».

Cronoscalata a fine Giro: Baldato, come si fa?

20.01.2023
6 min
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La tappa numero venti del Giro d’Italia di quest’anno sarà una cronoscalata, con partenza da Tarvisio ed arrivo in cima al Monte Lussari. Una frazione divisa in due parti: la prima prevede undici chilometri mossi prima di arrivare all’attacco della salita finale, che misura sette chilometri e fa venire il mal di gambe solo leggendo i numeri. Pendenze attorno al 12 per cento di media con i primi cinque chilometri al 15. Fu proprio una tappa simile a stravolgere il Tour de France del 2020 e a regalare a Pogacar la prima delle due maglie gialle conquistate finora. 

Memori di quell’impresa avvenuta sulla salita della Planche des Belles Filles ci siamo fatti raccontare come si prepara e si gestisce una tappa del genere. Soprattutto se la si colloca all’interno di una corsa dura come il Giro d’Italia. 

Il ricordo di Baldato

Fabio Baldato, diesse della UAE Emirates, ci racconta come si approccia ad una corsa del genere e come si gestiscono tutte le varie situazioni che si vengono a creare, o per lo meno, come si cerca di farlo

«Personalmente – racconta Baldato da casa – una situazione abbastanza simile l’ho vissuta sempre al Tour ma nel 2011, quando ero secondo diesse alla BMC. L’ultima tappa di quella Grande Boucle era una cronometro di 42 chilometri con partenza ed arrivo a Grenoble, con due salitelle impegnative. Evans si giocava la maglia gialla con Andy Schleck, nelle tappe precedenti il lussemburghese aveva guadagnato molto in salita. Arrivarono all’ultima tappa con un distacco di un minuto e mezzo in favore di Schleck, Evans nella cronometro gli rifilò tre minuti e vinse il Tour».

Baldato inizierà la stagione in ammiraglia dal Saudi Tour
Baldato inizierà la stagione in ammiraglia dal Saudi Tour

E’ tutto un equilibrio

Nel ciclismo ogni secondo conta ed ogni goccia di energia risparmiata può essere utile. Ma quando si corre in un Grande Giro è sempre difficile calcolare tutto: capire quando attaccare oppure risparmiare qualcosa in vista di un momento migliore. 

«Durante una corsa a tappe come il Giro – continua il diesse della UAE – è molto difficile andare al risparmio, devi calibrare sempre il modo di correre ma non puoi gettare al vento certe occasioni. E’ tutto un carpe diem. Pensate alla Bora al Giro d’Italia dello scorso anno, nella tappa di Torino fece saltare il banco, o comunque iniziò a minare le certezze degli avversari. Tolsero di mezzo molti avversari e tante formazioni che avevano due o tre punte si trovarono con un solo uomo, gestire la situazione in questi casi è più semplice».

20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6
20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6

La cronoscalata

La tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia sarà una grande occasione per ribaltare la classifica. Ma come si prepara? Dove si possono andare a limare i secondi necessari?

«Queste – racconta Baldato – sono cronometro particolari, che bisogna provare e preparare al meglio. Molte squadre sono andate a vedere la salita. Sarà sicuramente previsto un cambio di bici perché prima c’è tanta pianura dove i passisti possono spingere molto. Un dettaglio da non sottovalutare, e nel quale fu molto bravo Pogacar al Tour del 2020, è il cambio di bici. In breve tempo si modifica la posizione in sella e bisogna tornare a spingere al massimo. Uno dei motivi che hanno contribuito al crollo di Roglic potrebbe essere proprio questo. Sembra una sciocchezza, ma è un dettaglio da curare ed allenare, in preparazione al Giro ci saranno un paio di giornate dedicate a questo. Dovete considerare che un corridore arriva dal tratto in pianura già alla massima capacità aerobica e quando sali sulla bici da strada rischi di sentirti imballato e di faticare a riprendere quell’intensità di sforzo».

La costanza di Almeida potrà essere una qualità su cui puntare durante la cronometro da Tarvisio alla cima del Monte Lussari
La costanza di Almeida potrà essere una qualità su cui puntare durante la cronometro da Tarvisio alla cima del Monte Lussari

Lo studio dei file

Abbiamo capito che per una tappa del genere bisogna prepararsi atleticamente e fisicamente, ma non bisogna escludere gli aspetti mentali. Quanto conta provare la salita in questione, avere dimestichezza con le curve e le pendenze?

«E’ importante ma non fondamentale – dice sicuro Baldato – con la tecnologia è facile replicare sui computerini tutti i dati e studiare la salita dai dispositivi elettronici. La cima del Monte Lussari ora è sommersa di neve e fino a marzo rischia di rimanere così. La finestra per provare una salita del genere è ad aprile. Tuttavia penso che non sia importante conoscerla, la differenza la si fa solamente se è una salita che affronti tutto l’anno, anche in allenamento, allora sì che le cose possono cambiare. 

Per Baldato anche Evenepoel potrà essere uno da temere, grande cronoman ed un “martello” in salita
Per Baldato anche Evenepoel potrà essere uno da temere, grande cronoman ed un “martello” in salita

La preparazione

La solitudine su una salita del genere in una cronoscalata rischia di essere un fattore chiave. Ogni corridore reagisce in maniera differente a questa situazione e non è facile cambiare le proprie caratteristiche, anzi…

«Dal nostro punto di vista siamo contenti – spiega il diesse guardando allo rosa del team che farà il Giro – Almeida è un corridore che fa della costanza la sua qualità e in questo caso potrà davvero tornargli utile. L’anno scorso sul Blockhaus si era staccato quasi subito ma ha mantenuto il suo passo tornando sui primi e arrivando quinto. Joao preferisce un ritmo costante e questo gli dà qualcosa in più, perché quando sei da solo devi avere la forza mentale di spingere sempre allo stesso modo metro dopo metro. Devi essere metodico, ti metti sui tuoi watt, trovi la giusta cadenza e vai. Questa cosa si può allenare in vista del Giro: watt costanti e cadenza alta anche quando la strada spiana. Almeida è in grado di tenere una soglia della fatica altissima e per tanto tempo, ed in più la parte pianeggiante si addice a corridori come lui. Anche Evenepoel sarà uno dei favoriti della tappa. Gli scalatori puri potrebbero perdere qualcosa in pianura ma recuperare in salita. E’ uno scenario molto aperto, ma una grande differenza la farà il cambio bici, ne sono sicuro».