Almeida, testa a Barcellona. Crono e sprint la via per un altro podio

08.08.2023
4 min
Salva

Un Giro d’Italia corso da protagonista, un campionato nazionale (a crono) vinto e una lunga estate per recuperare, riflettere e preparare la Vuelta. Joao Almeida a Roma era riuscito a guadagnare il suo primo podio in un grande Giro. Il che lo ha proiettato, se non proprio in una nuova dimensione, in uno stato di maggiore consapevolezza di se stesso.

In gruppo Joao è uno degli atleti più rispettati e in vista. E al Tour de Pologne abbiamo potuto osservare tutto ciò dal vivo per un’intera settimana. Si muoveva da leader. Il tutto senza considerare che è stato protagonista assoluto della corsa con Mohoric fino all’ultimo traguardo volante.

Almeida dopo la crono del Lussari al Giro. Ci eravamo lasciati così…
Almeida dopo la crono del Lussari al Giro. Ci eravamo lasciati così…

Con la Spagna in testa

Un vero spettacolo. Sui veloci arrivi polacchi Joao ha lottato con corridori più esplosivi ed è sembrato essere il “primo Almeida”, quello del Giro d’ottobre quando in maglia rosa sprintava con Ulissi a Monselice o staccava i rivali della generale a San Daniele del Friuli. Una brillantezza da finisseur ritrovata che potrebbe essere un’arma da non sottovalutare in chiave abbuoni alla Vuelta.

Lo avevamo lasciato con le gambe distese su una sedia dietro al podio del Lussari.

«Sto bene – ci ha detto il corridore della UAE Emirates – questa estate è filata secondo i programmi. Dopo il Giro ho fatto i campionati nazionali, sia su strada che a crono, e poi sono salito in altura, per preparare le prossime gare avendo la Vuelta come focus principale».

«In ritiro ho lavorato con regolarità. Nel senso che non ho cambiato nulla. Ho cercato di lavorare bene su ogni aspetto, soprattutto sulle salite dure. Mentre il Tour de Pologne è stato molto importante per ritrovare la brillantezza».

Almeida sfortunato a Glasgow. E’ caduto nel trasferimento picchiando polso e gamba sinistra (si notano i segni). Farà comunque la crono
Almeida sfortunato a Glasgow. E’ caduto nel trasferimento picchiando polso e gamba sinistra (si notano i segni). Farà comunque la crono

Ayuso, amico e rivale

Ma come spesso accade oggi dopo i ritiri, e come avevamo accennato, Almeida è parso subito in condizione. E’ venuto via dalla Polonia (anche lui diretto a Glasgow) con un secondo posto incoraggiante – pensate che dopo oltre mille chilometri di gara ha perso per un solo secondo – la sensazione è quella di un atleta che può fare molto. E che in qualche modo vuol mettere subito i puntini sulle “i”.

La concorrenza in Spagna è alta e in casa c’è un “rivale” mica da ridere: Juan Ayuso. Ma su questo aspetto Almeida appare forse più tranquillo di quello è.

«La convivenza con Juan? Io credo che andrà bene. Siamo amici e facciamo spesso l’altura insieme. Abbiamo passato anche questi ultimi giorni insieme ad Andorra (erano sull’Envalira, dove hanno affrontato diverse salite che ci saranno alla Vuelta, ndr). Partiamo alla pari e poi facciamo la nostra corsa. Io non dovevo andare forte al Polonia per poter dire di essere il leader in Spagna, ma per valutare le mie sensazioni, per fare la mia gara… e provare anche a vincere».

Il discorso della leadership e della fiducia era un aspetto che Almeida aveva già toccato dopo il Giro d’Italia. In particolare aveva parlato dell’importanza di aver vinto in salita battendo i rivali nel testa a testa, come aveva fatto sul Bondone, e dell’imparare ad essere il capitano della squadra. Aveva sottolineato come questa cosa non si apprendesse dalla sera alla mattina.

Joao crede molto nella crono iridata: un test fondamentale in vista della Vuelta. A fine giugno aveva vinto il titolo nazionale in questa specialità
Joao crede molto nella crono iridata: un test fondamentale in vista della Vuelta. A fine giugno aveva vinto il titolo nazionale in questa specialità

Crono, all-in

In Spagna sarà un po’ come rivivere il Giro d’Italia. A giocarsi la corsa ci saranno appunto Joao, Thomas, Roglic, Caruso… 

«E’ vero! Tutto uguale… Sarà un po’ come al Giro ma in una gara diversa. Una gara diversa per le sue frazioni più piccole e nervose, ma anche perché farà più caldo. Al caldo ti ci devi preparare bene… ma alla fine vince sempre il più forte».

Vince il più forte: lo abbiamo visto anche in questo mondiale. I più forti erano tutti lì davanti… nonostante un percorso altimetricamente non troppo selettivo. I primi nomi in ottica Vuelta che fa Almeida sono Remco e Roglic, i più temuti secondo lui. «Ma – va avanti – sono tanti i nomi forti che ci sono. Non sono facili da battere perché tutti vanno forte sia a crono che in salita. Qual è il segreto? Avere più gamba di loro!».

Proprio sulla crono il portoghese continua a fare leva non poco. Anche in Polonia i suoi tecnici ci hanno riferito che andrà al mondiale soprattutto per fare bene nella prova contro il tempo. Per lui i chilometri contro il tempo potrebbero essere il grimaldello per il podio di Madrid. Intanto si parte con la cronosquadre di Barcellona.

Niemiec ci mette il video e Majka le gambe

31.07.2023
5 min
Salva

DUSZNIKI ZDROJ – Finalmente il pubblico polacco può urlare a squarciagola il nome di un proprio beniamino. Ieri la voce ere rimasta strozzata in gola prima per Majka e poi per Kwiatkowski. Oggi lo stesso Rafal gli ha regalato questa gioia. Una gioia vera.

Al Tour de Pologne, tappa ancora una volta caratterizzata da una lunga fuga, dalla quale ne esce in maglia azzurra, re della montagna, Jacopo Mosca. Nel finale però entrano in scena i pesi massimi: la UAE Emirates  prima e poi la Ineos-Grendiers prendono in mano la situazione.

Rafal Majka vince la 3ª tappa, davanti a Mohoric (sulla destra) e Kwiatkowski
Rafal Majka vince la 3ª tappa, davanti a Mohoric (fuori dal taglio della foto sulla destra) e Kwiatkowski

Majka di forza

Una curva a gomito verso destra introduce nello strappo finale. E’ duro e lungo appena meno di un chilometro. La planimetria ricorda vagamente il finale della Coppa Sabatini, solo che la pendenza è nettamente più dura (al di sopra del 10 per cento) e ai lati ci sono gli abeti anziché le case di Peccioli. Si arriva in un centro di biathlon: siamo sulle colline bellissime della Slesia.

«Rafal – gli chiediamo – ma ti aspettavi di vincere su uno strappo così breve ed esplosivo?».

E lui: «No! Io di solito vado meglio sulle salite più lunghe. Ma sapete, quando si esce dal Tour de France con questa gamba puoi, e devi, fare una sola cosa: spingere forte».

Il polacco è il ritratto della felicità. Ai microfoni della tv nazionale parla con la scioltezza di chi per una volta corre in casa. Anche il linguaggio del corpo è chiaro e rivela sicurezza. 

«Vero, sono felice. Okay, forse non vincerò la classifica generale, ma ho vinto una tappa! Ed è quello che volevo. Per la classifica c’è Joao Almeida.

«Già ieri ci avevo provato – prosegue Majka – ma ero partito troppo presto. E forse anche oggi avevo anticipato un po’ troppo. I metri finali proprio non passavano più… però erano in piano! Ho sfruttato il lavoro dei miei compagni e anche quello della Ineos-Grenadiers.

«Che dire, dopo le vittorie di Tadej (Pogacar, ndr) e Adam (Yates) e il loro podio al Tour è un bel momento. Non vedevo l’ora di correre questa gara».

Ma quello è Niemec

Poco prima di andare sul podio Majka abbraccia una vecchia conoscenza del ciclismo italiano, Przemyslaw Niemiec, classe 1980 e 17 stagioni da pro’ tutte nel Belpaese, dove ha fatto anche il dilettante.

Przemysław, quanto tifo per Rafal! Non solo per Kwiatkowski…

Loro sono i numeri uno del ciclismo polacco. Senza andare a vedere cosa hanno vinto in passato, uno ha vinto recentemente una tappa al Tour e l’altro è stato nella squadra di Pogacar, quindi sempre nel vivo. Il pubblico li ama.

Majka ci ha detto che non si aspettava di vincere su uno strappo così esplosivo…

Vi racconto questa. Ieri a Rafal ho mandato il video dell’ultimo chilometro di oggi. L’avevo fatto la settimana scorsa mentre facevo le ricognizioni del percorso. Gli ho mandato questo file e si vede che lo ha studiato bene! Complimenti a lui… – nel frattempo arriva proprio Majka che gli sussurra qualcosa all’orecchio mentre i due si abbracciano – Ieri era un po’ deluso e così con il video si deve essere fatto bene i conti.

Przemyslaw, tu hai corso fino a pochi anni fa. Majka ci ha detto della gamba con cui è uscito dal Tour: ma davvero conta così tanto?

Sì, parecchio. Quando esci da un grande Giro con una gamba buona devi continuare a correre. E’ stato così anche nel 2014. Majka aveva vinto due tappe al Tour, la settimana dopo ha vinto anche al Polonia e la classifica generale di quell’edizione. Io feci quinto. E la stessa cosa ha fatto Mohoric ieri. All’ultima settimana del Tour Matej ha vinto una tappa, è venuto qui e ha alzato di nuovo le braccia al cielo. E’ una vecchia regola che vale anche in questo ciclismo: se non finisci un grande Giro stanco devi continuare. Puoi ottenere risultati buoni.

Le gambe di Majka: la condizione del Tour ha consentito a lui e Mohoric di vincere su arrivi non super congeniali a loro
Le gambe di Majka: la condizione del Tour ha consentito a lui e Mohoric di vincere su arrivi non super congeniali a loro
Tu con Majka hai anche corso? Siete passati entrambi per il gruppo Lampre, poi divenuto UAE Emirates…

No, per poco non ci siamo incontrati, perché lui era alla Tinkoff. Ho corso con lui ai mondiali insieme e altrimenti come avversari. Ma ci vedevamo spesso. Specie alla Vuelta. Però abitiamo abbastanza vicini, nei pressi di Cracovia. Ci conosciamo da tanto tempo e siamo buoni amici. 

E tu cosa fai nella vita? Ti vediamo ancora in forma…

Io ho smesso nel 2018. Mi occupo dei miei bambini perché ne ho quattro! Dunque sto con la famiglia. E lavoro per il Tour de Pologne e le altre gare che facciamo.

Quindi sei nella squadra di Czeslaw Lang?

Sì, sì… sono nel Lang Team. Per il Polonia ci lavoriamo quasi tutto l’anno. Non bisogna credere che siccome è una gara di una settimana basti poco. Vi dico solo che da gennaio ad oggi ho fatto 50.000 chilometri in macchina per vedere i percorsi, chiedere i permessi… 

Fino al 2027, MET al fianco di Pogacar

29.07.2023
3 min
Salva

Il Tour de France non è solo l’evento ciclistico più importante del mondo, capace per tre settimane di catalizzare l’attenzione di tutti gli appassionati di ciclismo. E’ anche l’occasione per team e sponsor tecnici di stringere nuovi accordi oppure di prolungare quelli già esistenti. E’ questo il caso dell’accordo fra MET Helmets e UAE Team Emirates. In occasione del secondo giorno di riposo, mentre il Tour entrava nella sua settimana decisiva, quella del trionfo di Vingegaard, MET Helmets ha annunciato il prolungamento fino al 2027 della propria partnership tecnica con il team che ha in Pogacar la sua punta di diamante (nella foto di apertura lo sloveno con Majka dopo la vittoria a Le Markstein).

Da sempre insieme

MET Helmets ha accompagnato fin dalla sua nascita il UAE Team Emirates. E’ infatti dal 2017 che gli atleti della formazione emiratina possono contare sulla qualità dei caschi MET. In tutti questi anni sono arrivati successi prestigiosi come i due Tour de France conquistati grazie a Tadej Pogacar e tante altre corse, anche classiche monumento, sempre firmate da Pogacar.

La collaborazione con il UAE Team Emirates ha portato all’azienda di Talamona, in provincia di Sondrio, non solo trofei, ma anche feedback importanti da parte degli atleti. Tutto ciò ha permesso di aggiungere ulteriore qualità a prodotti già altamente tecnici. A confermarlo è Achille Montanelli, Marketing Manager MET Helmets. 

«Siamo molto orgogliosi ed entusiasti per questo rinnovo», ha dichiarato. «Creare un’alchimia così forte tra uno sponsor e un team non è comune, ma con UAE Team Emirates tutto è avvenuto in modo molto naturale. Siamo con loro sin dal primo giorno e la collaborazione si evolve e progredisce continuamente. Questo rappresenta l’impegno che tutti coloro che stanno dietro al nostro marchio mettono per consentire ai nostri prodotti di migliorare sempre. Sicuramente ne seguiranno altri!».

Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar
Durante il periodo delle classiche era arrivato il successo al Fiandre, ad opera di Pogacar

La gioia del team

Da parte sua lo staff della UAE Team Emirates non ha mancato di manifestare la propria soddisfazione per il prolungamento dell’accordo con MET Helmets. A confermarlo è lo stesso Mauro Gianetti, CEO e Team Principal UAE.

«Siamo felici di andare avanti con MET – racconta – è stato un partner fedele in questi anni e siamo cresciuti insieme. MET ha saputo investire il successo ottenuto insieme in prodotti e strutture all’avanguardia, che saranno davvero utili anche per il team. Sento che avremo nuovi importanti traguardi da raggiungere insieme».

Alle parole di Gianetti hanno fatto eco quelle di Andrea Agostini, Chief Operating Officer UAE Team Emirates: «Le operazioni con MET sono sempre facili e questo ci ha permesso di costruire negli anni un forte rapporto. MET ha un posizionamento del marchio di alto livello, in linea con la nostra visione e la strategia degli sponsor, senza dimenticare che i loro prodotti sono tra i migliori al mondo in termini di prestazioni e sicurezza».

MET

EDITORIALE / Per Tadej è arrivato il tempo delle scelte?

24.07.2023
5 min
Salva

Difficile dire se Tadej Pogacar abbia trovato in Jonas Vinegaard la sua bestia nera. I segnali ci sono, ma lo sloveno scherzando ha raccomandato di non avere troppa fretta. Ha ragione, ma crediamo che nel suo team si dovrà fare un’attenta valutazione dei margini su cui intervenire per rendere lo sloveno ancora più incisivo.

Il 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativa
Il 27 luglio del 2014, Nibali vince il Tour. La preparazione fu perfetta, ma anche molto impegnativa

Come Nibali contro Sky

Pogacar è un talento straordinario, bello da veder correre, entusiasmante negli scatti e nelle volate, ma gli è arrivato fra le ruote un bel bastone nocchiuto e spesso. Un avversario che riesce a imporsi sacrifici quasi monacali, che ha numeri da grande scalatore e alle spalle una squadra che vive le sfide allo stesso modo. Per Pogacar non è semplice staccare in salita un corridore costruito nei dettagli come il danese. C’è bisogno di lavori specifici, probabilmente servirà scendere di peso, forse cambiando in parte le sue caratteristiche.

In qualche misura sembra di rivivere il dilemma di Nibali, quando decise di puntare con decisione sul Tour de France. Non che prima non lo avesse fatto, ma la legge di Sky era inesorabile. E quando nel 2012 Vincenzo arrivò terzo a quasi 7 minuti da Wiggins e Froome, si capì che per sfidarli sul loro terreno sarebbe stato necessario avere la loro stessa maniacalità. Il Tour del 2014 nacque in questo modo. Vincenzo si trasformò in una vera macchina da guerra. Non rinunciò alla sua imprevedibilità, ma è certo che si presentò al via tirato e allenato come mai fino a quel punto e come mai sarebbe tornato negli anni successivi.

Prima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diverse
Prima del Tour, Vingegaard e Pogacar si sono incontrati alla Parigi-Nizza, poi strade diverse

Obiettivi da scegliere

Non crediamo che il problema di Pogacar sia tanto nelle troppe corse di primavera. Conteggiando anche i giorni del Tour, Tadej ha 42 giorni di gara contro i 46 di Vinegaard. Tadej ha partecipato a 2 corse a tappe prima del Tour e le ha vinte entrambe. Vingegaard ne ha corse 4 e solo in una è finito secondo (dietro Pogacar alla Parigi-Nizza) e le altre le ha vinte.

Quel che c’è di diverso forse è il recupero fra una gara e l’altra e il tempo per costruire la forma del Tour. Quante giornate ha dedicato Vingegaard ai sopralluoghi delle tappe? Tante, a sentire i suoi racconti. Probabilmente più di quelli dedicati da Pogacar. E’ chiaro che il danese ha potuto farlo avendo nel Tour il suo obiettivo primario, un po’ come Froome a suo tempo, che vinceva le gare a tappe WorldTour (dal Catalunya al Delfinato), ma solo come passaggi verso il traguardo superiore.

Pogacar dovrà rinunciare a giocarsi il Fiandre e la Liegi? Questa è sicuramente la sfida che dovrà raccogliere e affrontare.

Quando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirare
Quando corre Pogacar, il resto della UAE Emirates può solo tirare

Un solo capitano

Il Tour è fatto di una costruzione maniacale. Se tutti seguissero lo stesso calendario, allora forse il talento sarebbe sufficiente per fare la differenza. Ma così non è e anche il talento immenso di Pogacar rischia di non bastare se messo al confronto con l’approccio metodico della Jumbo-Visma. E qui il discorso segue un’altra ansa.

Crediamo che anche Vingegaard potrebbe essere protagonista alla Liegi o alla Freccia Vallone, ne ha tutte le qualità. Però ha scelto (finora) di concentrarsi sul Tour e la squadra ha dirottato verso le classiche altri atleti che si chiamano Van Aert, Laporte, Benoot e a volte anche Roglic. Alla UAE Emirates invece questo non succede. I corridori ci sarebbero, ma quando corre Pogacar, agli altri tocca tirare. Lo sanno, lo accettano, difficilmente potrebbero fare altrimenti. Ma tutto questo va a favore di Pogacar?

Mentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altri
Mentre Vingegaard lavora per il Tour, alle classiche pensano Van Aert e gli altri

Strade diverse

Certo il suo palmares è da stella assoluta e può di certo bastargli. Ha vinto due Tour, il Fiandre, la Liegi, la Freccia Vallone. Ma gli sta bene arrivare secondo al Tour, dietro uno che nella Grande Boucle ha scelto di specializzarsi? La scelta da fare è questa e deve farla Pogacar, non certo i suoi capi. Anche perché, visto il suo approccio meraviglioso al ciclismo, viene da chiedersi se Tadej sarebbe effettivamente capace di imporsi quello stile di vita così schematico nel nome della grande conquista. O se invece questo finirebbe con il logorarlo.

Già pochi mesi fa, Tadej ammise che una carriera non può durare tanto correndo sempre al 100 per cento e questa è una considerazione applicabile più a lui che al rivale. I più esperti dicono che la fine dipenda più dall’usura mentale che dal logorio atletico. E se il rischio è che Tadej, svuotato del divertimento, molli improvvisamente tutto, allora vale la pena fare un supplemento di riflessione. Vale la pena snaturarsi per inseguire Vingegaard al Tour?

Forse no, ma diventa necessario se quello è l’obiettivo. Se invece l’obiettivo è dare spettacolo, divertirsi e far appassionare ancora più tifosi, allora qualcuno potrebbe proporgli strade alternative. Esistono anche il Giro d’Italia o la Vuelta, restando lontani dall’ossessione del Tour, che già troppi talenti ha stremato per amore di quel giallo così squillante.

Un paio di lezioni che Pogacar porta a casa dal Tour

24.07.2023
5 min
Salva

Non deve essere facile stare in piedi lì accanto per il secondo anno consecutivo. Ci sono corridori che potrebbero costruirsi la carriera su un secondo posto al Tour e due tappe vinte, se però ti chiami Tadej Pogacar, forse non basta. Perciò quando parla nell’ultima conferenza e nelle dichiarazioni spizzicate qua e là, sembra che torni a casa da un impegnativo viaggio di istruzione.

«Ovviamente il desiderio era vincere – dice – ma considerando tutto, penso che il secondo posto sia un risultato davvero straordinario per la squadra e anche per me. Quindi sì, sono super felice di essere di nuovo qui a Parigi, soprattutto sul podio. E per l’ultima volta in maglia bianca. Non sono più giovane… (sorride, ndr)».

La maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del Tour
La maglia bianca e quella a pois: una stretta di mano con Ciccone alla fine del Tour
Come te la sei cavata a gestire alti e bassi?

Sapevo che prima o poi sarebbero venuti giorni come quello di Courchevel e, se non giorni, magari dei momenti. Non credo che rimarrà l’ultima volta in cui qualcuno mi spingerà al limite. Credo di poter imparare qualcosa da quanto è successo. E se dovesse capitare ancora, saprò cosa aspettarmi.

Si sta parlando molto della tua rivalità con Vingegaard, che cosa si può dire di più?

Stiamo correndo in un ciclismo bellissimo e ci spingiamo l’un l’altro al limite. Penso che in questo momento possiamo essere tutti felici per come stiamo correndo. Al contempo, dobbiamo anche pensare che è solo una gara ciclistica e che dobbiamo goderci ogni momento che possiamo avere.

Sabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella scia
Sabato, verso Le Markstein, il primo giorno di sensazioni come nella prima settimana. Vingegaard nella scia
Parli bene, ma sei il primo a storcere il naso. Ieri hai ricevuto le congratulazioni per la vittoria di tappa, pensi di meritarle oggi per il secondo posto?

Nessuno dovrebbe congratularsi con me (ride, ndr), se non ne ha voglia. Sono molto contento di tutto ciò che questo Tour mi ha portato. Due vittorie di tappa, due di noi sul podio, il secondo posto per la squadra nella classifica finale e ancora la maglia bianca. Per me questo rimane un buon Tour e un’ottima stagione. Qualcosa di cui vado fiero, nonostante gli alti e bassi.

Che cosa c’è stato sabato di diverso, che ti ha permesso di vincere?

Mi sono sentito di nuovo me stesso, è stata questa la grande differenza. Non lo sono mai stato nell’ultima settimana e le persone più vicine se ne erano accorte. Sul Joux Plane e prima sul Grand Colombier, non avevo un bell’aspetto e infatti non mi sentivo benissimo. Giorno dopo giorno stavo peggiorando. Ma per quello che mi è successo sul Col de la Loze, davvero non ho spiegazioni.

Gianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gare
Gianetti ribadisce che Pogacar è il più forte al mondo perché lotta in tutte le gare
Come lo hai affrontato?

Tutti sperimentano qualcosa di simile ad un certo punto della loro carriera. Uno di quei giorni in cui ti senti inutile. Per questo sono felice di essermi ripreso a fine Tour. Sono andato in giro pallido per una settimana, ora sulla mia faccia c’è di nuovo colore.

Dopo quelle sconfitte, ti è venuto in mente di programmare diversamente la stagione?

Non so perché dovrei, mi piacciono le sfide. Quest’anno la mia grande sfida è stata vincere prima la Parigi-Nizza e poi fare del mio meglio nelle tre grandi classiche: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e Liegi-Bastogne-Liegi. Ho provato a vincerle tutte e tre. Faremo diversamente il prossimo anno? Adesso è troppo presto. Tutto quello che posso dire è che al 90 per cento tornerò al Tour e proverò a vincerlo di nuovo.

Nella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprint
Nella tappa di Parigi, Pogacar ha lavorato negli ultimi giri per tenere davanti i compagni allo sprint
Intanto Giannetti continua a definirti il miglior ciclista del mondo, perché fai tutte le gare.

Adoro il ciclismo e a primavera sono sempre in forma. Perché non usare quella forma per una gara come il Giro delle Fiandre? Ecco chi sono, cosa mi piace fare e ciò di cui sono orgoglioso. Posso competere in molte competizioni diverse, su tutti i terreni.

Hai imparato qualcosa da questo Tour?

Che quando mi sento super male, posso ancora soffrire: questa per me è la lezione più grande. Ho imparato anche che vale la pena continuare a mordere. Per questo voglio anche ringraziare tutti coloro che hanno continuato a motivarmi: la mia squadra, la famiglia, i fan, persino le persone sui social media… Devi sopravvivere al brutto momento e continuare a sperare in momenti migliori. Alla fine ne vale la pena.

La crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc Soler
La crisi di Courchevel è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo: con lui è rimasto Marc Soler
Verrai al Giro?

Il Giro è una delle mie corse preferite e non sono mai riuscito a farlo. Posso dire solo che è difficile. Il Tour resta il Tour, il più grande di tutti. E combinarli e fare per due volte la classifica generale, è quasi impossibile nel ciclismo moderno. Inoltre, la mia fame di vincere ancora il Tour dopo questi due secondi posti è solo aumentata.

Sarai ai mondiali?

Se me lo aveste chiesto due giorni fa, avrei sicuramente detto di no. Ora non lo so. Vedremo come mi sento quando torno a casa la prossima settimana e mi rilasso un po’. Il fatto è che il mondiale di quest’anno è complicato, arriva in un brutto momento. D’altra parte, mi è sempre piaciuto correrlo. Quindi non prometto niente, ma vorrei andarci.

Un urlo per due: Ciccone missione compiuta, Pogacar risorge

22.07.2023
5 min
Salva

«Quando all’auricolare mi hanno detto che se avessi preso i successivi punti al Gpm avrei vinto la maglia a pois, ho davvero capito che ce l’avrei fatta. E’ stato un momento molto bello», parole di Giulio Ciccone che poco dopo su quel Gpm, il Col de la Schlucht, transita per primo ed esulta. Urla come se fosse all’arrivo di una tappa. In qualche modo per lui il vero traguardo di giornata, ma potremmo dire di questo Tour de  France, era proprio quella linea a 1.136 metri sui Vosgi.

In quel momento l’abruzzese ha matematicamente conquistato la maglia a pois. Un primato ambito, prezioso, cercato, sudato… Dopo l’esultanza sul Gpm tanto spontanea quanto bella, Giulio spinge il bottoncino della radio per congratularsi con la squadra. Era stato lui stesso a Courchevel a dirci che ormai quella maglia, che già indossava, era un obiettivo per tutti.

Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui
Tadej Pogacar (classe 1998) esulta con forza a Le Markstein. E’ il secondo successo in questo Tour per lui

Urla Pogacar

A Le Markestein però ridono (quasi) tutti. Ride e urla anche Tadej Pogacar, che ha vinto la tappa e conquista una vittoria che probabilmente non sarà tra le sue più belle, ma che dà tanta speranza allo sloveno. 

Quello del corridore della UAE Emirates è un urlo di sfogo. Una liberazione. E fa quasi strano vederlo festeggiare così. Ma dopo certe batoste e momenti difficili, per uno che non ci è abituato, è comprensibile. Oggi è sembrato correre con la voglia e la cattiveria di è solito a fare certe azioni, ma anche la consapevolezza di poterle prendere. E allora quell’urlo si capisce e assume tutt’altro aspetto.

«Oggi – ha detto Pogacar – mi sono sentito di nuovo me stesso. Sono stato bene dall’inizio alla fine della tappa ed è stato bello rivivere certe sensazioni dopo diversi giorni di sofferenza. Sono molto felice».

Gioiscono (quasi) tutti

Gioisce Jonas Vingegaard che mette in cassaforte il suo secondo Tour de France. Gioisce Felix Gall perché ha capito di poter iniziare a competere con i grandi. E fanno festa anche in casa Yates: Adam per la vittoria di Tadej e Simon per aver agguantato la quarta piazza.

E forse gioisce persino Thibaut Pinot, che ha regalato ancora una grande emozione a sé stesso e ai suoi tantissimi tifosi di tutto il mondo. Mentre era in fuga, c’è chi tifava per lui… e chi mente, ammettiamolo! Il vecchio Thibaut correva in casa. Era alla sua ultima occasione per fare bene alla Grande Boucle e si è preso la giusta passerella.

L’unico che non ride è Carlos Rodriguez che perde una posizione nella generale. Passa dal quarto al quinto posto, a vantaggio appunto di Simon Yates. Seppur giovane, il talento della Ineos-Grenadiers annovera l’ennesima caduta in carriera. Si complica la vita da solo.

Lui lotta ce la mette tutta. E’ fortissimo, basta vedere in che condizioni ha concluso una tappa da oltre 3.000 metri di dislivello, ma certo deve mettere a punto qualcosina.

Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria
Giulio ha vinto la maglia a pois: 1° Ciccone 105 punti; 2° Gall 92; 3° Vingegaard 89. Domani un Gpm di 4ª categoria che non cambierà la graduatoria

Dopo Chiappucci

Ma in questo finale caotico, forse anche con qualche fuoco d’artificio in meno di quel che ci si attendeva, la notizia per gli italiani è la maglia a pois di Giulio Ciccone.

Il corridore della Lidl-Trek succede a Vingegaard – il danese lo scorso anno aveva vinto anche lquesta classifica – e per quanto riguarda gli italiani a Claudio Chiappucci. El Diablo siglò una doppietta tra il 1991 e il 1992.

Giulio aveva messo questa maglia tra gli obiettivi al via. A Bilbao si poteva pensare alla classifica, ad una tappa e al primato dei Gpm appunto. 

Lo scorso anno fu terzo e capì che tutto sommato si poteva fare. «E’ il gran giorno – aveva detto prima della tappa Ciccone – può essere uno dei più belli della mia vita, ma anche uno dei peggiori. Dovremmo stare davanti». E Cicco e la sua squadra sono stati dei cecchini. Attenti. Nelle prime posizioni sin dal chilometro zero.

«Penso che abbiano fatto qualcosa di incredibile oggi. Devo ringraziare tutta la squadra perché siamo partiti con un piano e hanno fatto tutto alla perfezione. Questa maglia è per loro. Hanno fatto più della metà del lavoro. Ora voglio godermela».

«L’obiettivo principale di questo Tour era vincere una tappa, ci sono andato vicino, ma non ci sono riuscito. Alla fine va benissimo così».

Test e verifiche: Carbon-Ti con la UAE nel giorno di riposo

22.07.2023
6 min
Salva

«E’ uno dei modi con cui otteniamo i famosi marginal gain – spiega Formolo, in procinto di rientrare al Tour de Pologne – in questo caso con corone e freni di Carbon-Ti. Parlo per esperienza, ma ogni volta che capito in un negozio di bici, mi chiedono proprio dei freni. Gli è bastato vedere le foto. Vanno bene, vanno veramente bene. E sono anche belli…».

La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante
La superficie del disco è tale da favorire il raffreddamento della pista frenante

Vero debutto al Giro

Abbiamo passato parecchio tempo a osservare i freni a disco X-Rotor SteelCarbon 3 di Carbon-Ti montati sulle Colnago del UAE Team Emirates, prima al Giro d’Italia e negli ultimi giorni al Tour ed è vero quel che dice Formolo: il colpo d’occhio seduce. Si parla del disco, composto dal corpo centrale in carbonio e la pista frenante in acciaio. Sono belli, ma funzionano? E quali vantaggi danno?

«Il fattore peso è importante per i grandi Giri – spiega Marco Monticone, product manager dell’azienda bresciana – tanto che l’utilizzo diffuso fra gli atleti di punta, Almeida per primo, è iniziato al Giro d’Italia. Lì ci siamo trovati in condizioni estreme, con temporali, piogge, discese molto lunghe fatte in condizioni estremamente critiche.

«Il vantaggio di peso è di circa 27 grammi, che per loro è un numero importante. Ci arriviamo grazie alla parte centrale in fibra di carbonio che nessun altro fa e ci consente di risparmiare peso, mantenendo le stesse caratteristiche di rigidezza necessarie per competizioni WorldTour».

Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti
Almeida al Giro ha usato i freni in carbonio e acciaio di Carbon-Ti

Segreto industriale

Dei materiali utilizzati e dei numeri relativi si riesce a sapere ben poco: il segreto industriale viene opposto alla domanda e c’è da capirlo. I test che hanno portato al prodotto finito sono andati avanti per anni: fra diversi tipi di carbonio con lo stesso spessore possono esserci delle grandi differenze, quindi la messa a punto del miglior composito si è rivelata un passaggio chiave. Si parla infatti di terza generazione di un prodotto nato quasi 15 anni fa.

L’osservazione di Formolo va avanti. Il veronese ha utilizzato i freni X-Rotor Steel Carbon 3 al Giro d’Italia, facendo parte della… guardia scelta di Almeida.

«Della leggerezza – dice – magari ti accorgi indirettamente. Quello che si nota è che frenano allo stesso modo anche dopo le discese più lunghe. Bagnato o asciutto. Anzi, a volte mi è capitato di arrivare in fondo e di chiedermi se con i freni tradizionali, me la sarei cavata altrettanto bene».

Pista frenante in acciaio

La confutazione da parte di Marco Monticone arriva puntuale ed entra nel dettaglio della costruzione stessa dei dischi.

«Risparmiando così tanto peso nel corpo centrale grazie al carbonio – dice – abbiamo potuto dedicare più materiale alla parte più importante per le performance del disco, quindi la pista frenante. Quella non l’abbiamo alleggerita. Ci sono dei dischi più leggeri dei nostri, ma il nostro prodotto ha una pista frenante studiata per avere delle performance elevate e un raffreddamento migliore su discese estremamente lunghe».

Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento
Covi ha riscontrato che la frenata è migliore quando si arriva al riscaldamento

Frenata a freddo

A questo punto gli facciamo notare un’osservazione fatta da Alessandro Covi, il piemontese che proprio in questi giorni si è spostato in Spagna per correre a Villafrance de Ordiza e poi San Sebastian e che i nuovi freni li ha usati anche lui al Giro.

«Frenano sempre bene – dice – magari c’è da pompare di più all’inizio della discesa, ma poi l’efficienza è sempre identica e di alto livello».

Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità
Il disegno della pista frenante, con spigoli arrotondati, è stato realizzato per consentire potenza e modularità

Sensazioni e abitudini

Monticone annota, fa una breve pausa e riferisce quanto ricevuto anche da parte di altri corridori della squadra emiratina.

«Quella è stata la segnalazione di qualche atleta – dice – secondo cui più i freni vengono sollecitati e più funzionano bene, che per loro è estremamente importante. Sull’efficienza inferiore a freddo, ho sempre avuto qualche dubbio. Però prendiamo sul serio tutte le loro indicazioni, ma non c’è alcun motivo per cui questo debba succedere, perché il disco si scalda in meno di un secondo. Forse è un fatto di sensazioni. Mi rendo conto che quando dai del materiale nuovo a un atleta che fa 30-40.000 chilometri all’anno, sicuramente troverà qualcosa di differente da quello che era abituato a utilizzare».

Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono
Al Tour il freno anteriore Carbon-Ti è stato usato anche all’anteriore della bici da crono

Disco semi-flottante

Rispetto a qualche disco che ha la costruzione a strati, quella che viene definita a wafer, i freni Carbon-Ti hanno la pista frenante ricavata da un pezzo unico, vincolato al corpo in carbonio da speciali rivetti in titanio. E questo crea un vantaggio.

«Questa costruzione – dice Monticone – fa sì che possiamo definire i freni semi-flottanti. Non si discostano di un millimetro come succede per quelli flottanti delle moto. In questo caso, la pista frenante è solidale col carbonio e non si avvertono movimenti. Però nel momento in cui subisce un surriscaldamento in frenata, il disco è libero di dilatarsi, con i rivetti che sono in grado di assorbire la dilatazione. Ecco perché è decisivo raggiungere il perfetto abbinamento fra rivetti, carbonio e acciaio».

Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)
Il team di Carbon-Ti ha raggiunto il Tour nel secondo riposo di Megeve per avere riscontri (foto Facebook)

La verifica al Tour

Il Tour de France è stato un momento di verifica. Lo staff di Carbon-Ti ha raggiunto il UAE Team Emirates nel secondo giorno di riposo a Megeve, dedicandosi all’approfondimento tecnico richiesto dalla squadra e per loro necessario e scoprendo che per la prima volta i propri dischi sono stati utilizzati anche all’anteriore sulla bici da cronometro.

«Lunedì scorso – racconta Monticone – siamo stati tutto il giorno con la squadra e abbiamo raccolto informazioni dagli atleti, dai meccanici e dal performance manager. Abbiamo indicato futuri nuovi prodotti che potrebbero interessare e concordato alcune cose. Abbiamo ricevuto i prodotti utilizzati al Giro, ad esempio i dischi di Almeida, in modo da fare le nostre verifiche».

A margine dell’attività del team di Pogacar, c’è un servizio che Carbon-Ti riserva ai clienti europei: la sostituzione della pista frenante usurata. Si parla di un vero e proprio “rebuild” del disco, che torna nuovo alla metà di quanto costerebbe comprarlo nuovo. Nulla di particolarmente interessante per corridori che sono abituati alle sostituzioni di parti usurate, un bel valore aggiunto per chi la bici è costretto a pagarla.

Pogacar, stavolta la resa è totale. Cosa è successo?

19.07.2023
5 min
Salva

COURCHEVEL – «Non lo so – dice Pogacar appena tagliato l’arrivo – è come se abbia cercato di mangiare il più possibile, ma niente andasse nelle mie gambe. Come se tutto rimanesse nel mio stomaco e dopo tre ore e mezza mi sia letteralmente svuotato. Ero davvero vuoto ai piedi della salita. Pensavo che avrei perso dell’altro terreno, ma ho continuato a lottare con Marc (Soler, ndr) fino al traguardo. Sono grato ai miei compagni di squadra e agli amici. Non sono andato male per la caduta, non fa così male. Oppure forse ha influenzato il mio corpo, non lo so. Penso che stavo meglio nella quinta tappa che oggi. E’ stato uno dei miei giorni peggiori sulla bici. Spero di riprendermi e di fare qualcosa di buono sabato prossimo. La squadra è stata fortissima, sarebbe comunque grandioso essere in due sul podio».

Il passivo dello sloveno è stato di 7’37” da Gall, 5’45” da Vingegaard
Il passivo dello sloveno è stato di 7’37” da Gall, 5’45” da Vingegaard

«Sono morto»

L’altiporto di Courchevel è un ribollire di giornalisti che spingono e inservienti che li allontanano. La fila dei tifosi sta riguadagnando la funivia verso valle, i corridori raggiungono il piazzale dei pullman.

C’è stato un momento a 14,5 chilometri dall’arrivo in cui Pogacar ha parlato con l’ammiraglia: «Devo mollare – ha detto – sono morto!». Il direttore sportivo ha capito e ha chiesto a Soler di restare con lui. A quel punto la resa è stata chiara per tutti.

«Abbiamo superato mille difficoltà – ha scritto qualche giorno fa il suo manager su Instagram – ballato con i coccodrilli per avere la speranza di correre il Tour. Adesso alla fine della seconda settimana sei andato oltre, stai lottando tappa dopo tappa per un nuovo grande traguardo. Le persone giudicano tutto in base ai risultati, ma dietro c’è molto di più».

La terza settimana ha calato la sua legge. Non è il tempo delle analisi, perché l’umore di Tadej è già abbastanza compromesso. Essere ancora qui a lottare dopo due mesi senza corse è già tanto, ma è chiaro che prima o poi si dovranno analizzare tutte le situazioni. E’ stato fatto davvero tutto il meglio? 

La crisi è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo, quando Tadej non ha più retto il passo del gruppo maglia gialla
La crisi è arrivata a 14,4 chilometri dall’arrivo, quando Tadej non ha più retto il passo del gruppo maglia gialla

Poteva correre prima?

La crono ha scavato in profondità nella psiche del campione. Se già lo scorso anno ci chiedemmo come avrebbe reagito Pogacar alla prima sconfitta, questa volta c’è da capire per quanto tempo se la porterà addosso. Va bene che Tadej sembra impermeabile a tutto, ma un uomo dello staff UAE Emirates stamattina ha raccontato che per la prima volta da quando lo conosce, ieri sera lo ha visto rassegnato.

Perché Pogacar non ha corso fra la Liegi e il Tour? Volendo considerare il tempo più ampio per la guarigione dello scafoide, due mesi sono un intervallo assolutamente enorme. Non sarebbe stato opportuno portarlo a correre, permettendogli di costruire una condizione meno effimera di quella messa insieme andando a Sierra Nevada con la compagna e poi con la squadra a Sestriere? Prepararsi per vincere un Tour richiede che non ci siano passaggi a vuoto, che non si tralasci nulla. Pogacar è un capitale dello sport mondiale, un beniamino del pubblico per il suo modo generoso di correre, ma la costruzione di un Tour è ben altra cosa.

Vingegaard ha scavato ancora di più il solco. E all’arrivo ha risposto con grande calma ad alcune domande scomode
Vingegaard ha scavato ancora di più il solco. E all’arrivo ha risposto con grande calma ad alcune domande scomode

E’ mancato qualcosa?

Il crollo di oggi forse è stato causato dal contraccolpo nervoso dopo la crono. E’ vero che la prova di Tadej è stata eccellente, ma ciò non toglie che negli ultimi 4 chilometri la sua pedalata sia stata di un’agilità meno produttiva del solito, come scontando una stanchezza inattesa.

Dal momento dell’incidente, sarebbe servito probabilmente un piano più severo fino al Tour. Correndo anche il Giro di Slovenia, ad esempio, pur subendo distacchi ogni giorno. Non si può arrivare al Tour, sapendo che l’ultima corsa a tappe di stagione sia stata la Parigi-Nizza fatta a marzo. E’ vero che l’attitudine alla fatica non si perde, ma la sensazione è che mentre Vingegaard lavorava sodo e i suoi tecnici accanto a lui, nel clan della UAE Emirates qualcosa non abbia funzionato alla perfezione. E se nel momento massimo della sfida, sai che ti manca qualcosa, ti viene più facile rialzarti che gettare l’anima sulla strada.

Matxin ha reso merito a Vingegaard e raccontato la serata difficile di Pogacar
Matxin ha reso merito a Vingegaard e raccontato la serata difficile di Pogacar

Il momento del bisogno

Al pullman della squadra c’è Matxin che ci mette la faccia e forse ha ragione lui a dire che basterebbe riconoscere merito al rivale e voltare pagina. 

«Quando uno va più forte – dice lo spagnolo – devi riconoscerlo. Nessuno ha detto che Tadej sia sul tetto del mondo del ciclismo. Ci sono altri corridori che si allenano, fanno sacrifici e che hanno anche loro due gambe. Vingegaard è stato più forte in questo Tour, non servono altre spiegazioni. Non ha sbagliato nulla, è stato su un altro livello.

«Tadej è un ragazzo realista. Dopo il passivo di ieri ed essendosi accorto di non stare tanto bene, sapeva che non sarebbe riuscito a spaccare le ossa a tutti. Ieri sono andato in camera sua a dargli un abbraccio e un bacio. Volevo sapesse che nei momenti difficili ha Matxin al suo fianco, pronto per difenderlo. Sono momenti in cui dobbiamo sapere quali sono le persone su cui contare. Negli altri momenti, tutti sono capaci di stargli accanto e chiedergli la foto».

Tadej accusa il colpo, ma non si arrende

18.07.2023
6 min
Salva

COMBLOUX – «Non è andato piano Tadej, è andato forte Vingegaard», è questa la sintesi di quanto raccolto nel clan della UAE Emirates pochi minuti dopo la cronometro individuale Passy-Combloux. Lo sloveno subisce forse la più importante sconfitta della sua carriera. Le altre (poche) volte in cui era stato battuto era stato lui a non essere al top, ma stavolta no.

Jonas Vingegaard gli rifila 1’38” e Tadej Pogacar a sua volta ne dà 1’14” a Wout Van Aert. Nessuno ipotizzava distacchi simili. Ieri Malori ci aveva parlato di circa 1” al chilometro, semmai il danese avesse guadagnato. E di una ventina di secondi ci aveva detto anche Contador questa mattina. Ma questo è davvero uno shock.

Ore 10:13, Tadej Pogacar arriva in zona bus per la ricognizione. Un breve salto sul bus e poi parte
Ore 10:13, Tadej Pogacar arriva in zona bus per la ricognizione. Un breve salto sul bus e poi parte

Preoccupazione caldo 

Tadej ormai lo abbiamo imparato a conoscere: se cade il mondo lui fa un passo di lato. Supera tutto con facilità, ma è sempre più probabile che c’è una cosa che turba la sua proverbiale serenità. E questa cosa si chiama caldo.

Questa mattina quando è arrivato in partenza per la ricognizione aveva detto ai suoi che nel pomeriggio non si sarebbe voluto scaldare sotto la tenda del bus. Aveva tirato su gli occhi, aveva visto dove avrebbe girato il sole e chiesto di fare i rulli da un’altra parte.

Il meccanico, Claudio Bosio tra i più saggi, aveva proposto il motorhome dei meccanici stessi. «Il nostro camion è tranquillo, c’è l’aria condizionata e lo abbiamo già liberato». A quel punto Andrej Hauptman, qui il primo diesse, aveva dato l’okay.

E in effetti il caldo c’è, ma non tanto per le temperature alte, quanto piuttosto per l’umidità.

Tadej parte. E va forte. «Ha siglato una delle sue prestazioni migliori di sempre», ci confida Matxin dopo l’arrivo. E forse questo è ancora più grave in ottica futura. Cosa può pensare il corridore? Fosse stato in giornata no, okay… ma così è difficile trovare appigli.

Hauptman ha parlato con noi. Ha allargato le braccia, ma senza nulla da rimproverare al suo atleta
Hauptman ha parlato con noi. Ha allargato le braccia, ma senza nulla da rimproverare al suo atleta

Onore a Vingegaard

«Incredibile – ha detto Hauptman – Jonas oggi ha fatto qualcosa di fantastico, ha anche guidato benissimo. Non possiamo non congratularci con lui. Il cambio bici? Non credo gli sia costato troppo o che abbia perso la crono lì. E comunque prima di fare certe scelte noi facciamo i nostri calcoli e avevamo visto che sulla bici da strada in salita Tadej riusciva ad esprimere più watt. Credo anche che abbiamo cambiato nel punto giusto, un punto ripido così da perdere meno tempo perché lì si va più piano».

«Cosa dire: domani è un altro giorno, ci aspetta una tappa molto dura. E lo stesso nella tappa venti. Da parte nostra continueremo a lottare per la maglia gialla. Intanto pensiamo a vincere la tappa».

Sentire un esponente del clan UAE Emirates che parla di tappa fa capire tante cose. E’ vero che sono parole raccolte a caldissimo, ma forse hanno visto che su certi valori proprio non ci sono, almeno se questo è il vero Vingegaard. Meglio dunque raccogliere quel che si può. Anche perché quando dicono di voler vincere la tappa bisogna considerare che Adam Yates è salito in terza posizione.

Pogacar ha già reagito una volta in questo Tour de France. E la speranza è che non si arrenda. La differenza però è che l’altra volta sui Pirenei era stato lui ad andare più piano. «Può starci che si demoralizzi, ma è un campione e saprà reagire», aggiunge Hauptman.

All’arrivo Tadej era stanco, ma non stremato. Forse era frastornato dalla prestazione di Vingegaard
All’arrivo Tadej era stanco, ma non stremato. Forse era frastornato dalla prestazione di Vingegaard

Ma quale resa…

«Un po’ sono deluso – ha detto Pogacar – se devo essere onesto non mi sono sentito al meglio nella seconda parte della crono, anche se comunque sono andato abbastanza bene. Ora però c’è un grande divario, speravo in un gap minore. Anzi, speravo di essere in giallo oggi. Spero oggi sia stata una tappa come quella del Marie Blanque e che domani possa avere gambe buone».

Tadej ha affrontato una crono difficile anche dal punto di vista del morale. Era prima felice per il vantaggio su Van Aert e poi ha saputo di perdere nei confronti di Vingegaard.

«E’ stato un piccolo shock – dice lo sloveno – ho cercato di limitare i danni e dare tutto».

Ma poi ecco le parole più belle: «Se domani piove posso promettervi che sarà una giornata interessante. Ci sono altre due tappe davvero difficili da affrontare. Può accadere qualsiasi cosa e chiunque può avere un passaggio a vuoto. Guadagnare due minuti non è facile, ma noi ci proviamo».

Sul podio per la maglia bianca il sorriso di Tadej non era il solito…
Sul podio per la maglia bianca il sorriso di Tadej non era il solito…

Questione di materiali?

Stasera riordineranno le idee, questo è certo. E tra coloro che avranno un bel da fare c’è Marco Marcato. Il direttore sportivo non era certo il volto della felicità, ma la sua disanima è stata più che mai lucida.

«Questo sicuramente era un test importante. Vingegaard è stato un gradino sopra agli altri oggi, ma ci sono ancora le tappe di domani e di sabato. Il ciclismo non è matematica. Nulla è scontato. Anche Vingegaard potrebbe pagare gli sforzi. Oggi tutti sono andati a tutta».

Con Marcato si parla anche di materiali. Sappiamo quanto ci lavorino in Jumbo-Visma. «Magari – spiega Marcato – delle differenze possono anche esserci, ma semmai ci fossero sarebbero nell’ordine dei secondi. Qui parliamo di quasi 1’40” in 22 chilometri e Pogacar stesso è andato più forte di molti di loro».

Lo sloveno ha siglato un’ottima prova, è il danese che è letteralmente volato. Ora in classifica ha un ritardo di 1’48”
Lo sloveno ha siglato un’ottima prova, è il danese che è letteralmente volato. Ora in classifica ha un ritardo di 1’48”

Non finisce qui

Marcato è stato un corridore e lo è stato fino a pochi anni fa. Certe sensazioni le ha ancora fresche e conosce questo ciclismo. Con lui si parla anche dell’aspetto psicologico.

Nelle tappe precedenti avevamo visto che ad un certo punto Tadej scattava e Jonas, seppur di poco, si staccava. L’ultima volta invece il danese non ha perso un centimetro e anzi ha rilanciato. Visto che sono sul filo certi dettagli possono fare la differenza? Possono insinuare qualche tarlo nella testa del corridore? Di Pogacar in questo caso…

«Probabilmente qualcosina avrà anche influito tutto ciò e un tarlo glielo avrà messo, però Tadej si è sempre rialzato. E’ un campione e secondo me ha ancora qualcosa da dare e da dire in questo Tour de France. Ne sono sicuro».