Giusto ieri, con Edward Ravasi avevamo parlato anche di Oliviero Troia, uno dei “quattro moschettieri” che la UAE si accaparrò qualche anno fa al termine del 2016. Con loro c’erano anche Filippo Ganna e Simone Consonni. Tre, chi prima e chi dopo, sono andati via da questo team, mentre Olly è rimasto. E rimarrà.
«Il rinnovo – spiega – è stato firmato ad ottobre. Volevamo incontrarci, ma alla fine con la situazione che c’è ho firmato da casa tramite il mio procuratore Mattia Galli. La prima volta che ci vedremo parleremo per bene, però di base l’accordo l’avevamo già trovato nel corso della stagione».
Scafoide a pezzi
Come per molti ragazzi italiani, anche Oliviero non ha vissuto un’annata fortunatissima, visto che si è conclusa anzitempo per una frattura allo scafoide.
«E’ stato un anno difficile – racconta il ligure – dovevo fare il Giro, ma al Matteotti mi sono rotto lo scafoide. E ho scoperto che è un osso molto difficile da far rimarginare in quanto in quella zona c’è poca irrorazione di sangue. Ho impiegato due mesi per chiudere la questione. Dopo un mese mi hanno fatto fare una risonanza e la frattura non si era ancora completata. Non riuscivo ad andare in bici. Anche fare i rulli era impossibile, così sono andato in palestra.
«Io volevo andare in Belgio per la classiche, ma ho visto che era davvero impossibile. A quel punto ho chiamato la squadra e gli ho detto: ci vediamo l’anno prossimo».
Gregario vero
Spesso i corridori come Oliviero passano inosservati. In una UAE che ha vinto il Tour, che si sta rinforzando sempre di più, che compra addirittura Majka per metterlo a tirare, un corridore come Troia rischia fortemente di passare in secondo piano.
«Il mio lavoro avviene molto spesso nella prima parte di corsa e per questo non mi vedo molto. Sembra quasi che non fai nulla, ma non è così ovviamente. Quest’anno alla Sanremo ho tirato fino alla Cipressa. E la squadra certe cose le nota. Conosce il mio impegno e la volontà di esserci sempre».
Le nota di sicuro se gli ha rinnovato il contratto per due anni! Una scelta che dà coraggio al gigante (Oliviero è alto 1,91 metri) di Bordighera.
Le corse più filanti sono quelle più adatte a lui e il direttore sportivo con cui è più a contatto, Simone Pedrazzini, lo sa bene. Non a caso lo ha inserito nel “gruppo Gaviria”, dove serve la cavalleria pesante.
«Eh già… spesso ero in camera con Fernando, c’è un bel rapporto tra noi. Devo dire che è anche uno dei capitani più esigenti, però questo è anche uno stimolo. Quest’anno alla Milano-Sanremo mi ha detto: Olly, tira fino alla Cipressa che così risparmiamo un uomo. Io l’ho fatto, ma era da Pavia che prendevo aria! Gli altri anni magari non ci riuscivo, ma quest’anno mi ci sono messo del tutto, ho tenuto duro quel pizzico in più e sono arrivato all’imbocco della salita. Poi lì, chiaramente mi sono spostato e sono entrati in gioco gli altri. Però è stato un bel lavoro e, come ripeto, anche uno stimolo».
Sognando il Nord
Il gregarione perfetto, insomma. Spirito di sacrificio, spirito di squadra e una grande passione nel mestiere che svolge. D’altra parte per chi è nato con la Sanremo che passa sotto il “balcone di casa” non può essere diversamente.
«Per me il ciclismo è tutto: vita, passione, lavoro, divertimento. E’ quel che voglio. Nel WorldTour è difficile entrare e restarci, per questo è importante trovare subito il proprio spazio e la propria dimensione. E io credo di averla trovata. Evidentemente il team ha fiducia in me. Poi, non nego di avere anche altre ambizioni. Mi piacerebbe arrivare davvero forte alle classiche del Nord e far bene lassù».
E da quelle parti in qualche modo già ha fatto bene. Era il 2016 e Troia vestiva i colori della Colpak. Stava coronando un sogno, quello di vincere la Parigi-Roubaix Espoirs, quella riservata ai dilettanti. Il colpaccio però si è concluso a quattro chilometri dal traguardo. «Da dietro mi hanno ripreso e a quel punto è partito Pippo e almeno l’ha vinta lui».
Magari cogliendo l’occasione, quel sogno potrà riprenderlo. Le pietre non si muovono, sono lassù che lo aspettano.