La querelle del Galibier. Martinelli, tu come la vedi?

04.07.2024
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Prima che il Tour esplodesse di gioia per il record di Mark Cavendish, in Francia a tenere banco gli argomenti era due: l’impresa di Pogacar e la “querelle del Galibier”, che ha visto protagonisti Joao Almeida e Juan Ayuso.

Ai 2.642 metri del celebre valico, cuore della quarta tappa, sembra che il talento spagnolo abbia fatto un po’ melina, diciamo così. Non ha rispettato del tutto le consegne che erano state date. Tadej Pogacar ha detto che non ha attaccato prima per colpa del vento, invece sembra che questo suo tardivo attacco sia figlio anche di un gestione imprevista del finale della UAE Emirates.

Il fatto

Ma andiamo con ordine. La UAE Emirates affronta il Lautaret e il Galibier davvero forte. Ogni volta che passa un altro uomo in testa il ritmo aumenta e il gruppo si sgretola. Quando svoltano per gli 8,3 chilometri finali del Galibier, i più duri, nell’ordine entrano in scena: Sivakov, Adam Yates, quindi Almeida e Ayuso. Questi ultimi due, visto il vento devono alternarsi fino ai -3 chilometri (o poco meno) dalla vetta. Peccato che a tirare sia solo Joao Almeida, mentre Ayuso è addirittura a ruota del capitano Pogacar.

Da qui il gesto plateale di Almeida che invita Ayuso a venire in testa. Morale: il ritmo cala, prova né è il fatto che Roglic, il quale si stava staccando, si salva. Non solo, ma Pogacar che si aspettava una determinata tattica ritarda l’affondo, scatta a un chilometro dal Galibier e alla fine in cima guadagna “solo” 10 secondi. Lui stesso ha detto che avrebbe voluto attaccare prima, attribuendo però la colpa al vento.

Martinelli (classe 1955) è stato anche diesse di Pantani, il quale richiamava all’ordine i suoi se qualcuno disattendeva gli ordini
Martinelli (classe 1955) è stato anche diesse di Pantani, il quale richiamava all’ordine i suoi se qualcuno disattendeva gli ordini

Il parere di Martinelli

Cosa sarebbe potuto succedere se lo sloveno fosse scattato prima? Avrebbe guadagnato di più? Vingegaard sarebbe andato di più in acido lattico senza quel “rallentamento”? E come si amministrano certe situazioni in squadra?

E’ noto che Ayuso non sia un carattere facile. E’ campione nel Dna e il ruolo di gregario forse non riesce neanche a concepirlo del tutto. E per questo il suo atteggiamento magari non è neanche del tutto voluto .

Di tutto ciò abbiamo parlato con Giuseppe Martinelli, uno dei direttori sportivi più esperti. Se non il più esperto in assoluto.

Come dice Martinelli, la UAE Emirates in questo momento è fortissima: eccola in azione sul Galibier
Come dice Martinelli, la UAE Emirates in questo momento è fortissima: eccola in azione sul Galibier
Giuseppe, cosa ne pensi della situazione di martedì?

Quando hai una squadra forte come adesso la UAE Emirates, una situazione simile può succedere. Erano a tutta e ad Almeida è scappato quel gesto di scatto. Può capitare. E poi non dimentichiamo che neanche lui è un gregario vero e proprio. E’ un ottimo corridore che sta facendo il gregario. Pertanto ci sta che voltandosi e vedendo il “ragazzino” tranquillo a ruota si sia arrabbiato. Non è bello, ma può succedere.

Però quando poi è passato Ayuso, il ritmo è un po’ calato. Almeno così è parso…

Quello sì. Si è visto che tirava con mezza gamba e non con due. Ma io voglio spezzare non dico una lancia a suo favore, ma almeno dargli un’attenuante. Juan Ayuso è un talento vero e anche per lui non è facile mettersi a disposizione. Lo hanno portato al Tour per imparare… ma imparare bene. Secondo me dalla prossima giornata in salita lo vedremo al suo posto. Tra l’altro, ma sono solo voci sia chiaro, si sente dire che vorrebbe cambiare squadra. I credo che se c’è qualcosa, il modo di mettere a posto tutto lo trova o lo ha già trovato, colui che porta la maglia gialla.

Dopo l’arrivo Matxin, mago nel tessere buoni rapporti, ha elogiati Almeida e Ayuso
Dopo l’arrivo Matxin, mago nel tessere buoni rapporti, ha elogiati Almeida e Ayuso
Dici che Pogacar gli ha detto qualcosa dopo la tappa del Galibier?

Per me sì. Gli fa capire che tutti devono lavorare allo stesso modo. Che sono una squadra. Le sue parole contano tantissimo. Però ripeto, queste sono cose che succedono. Magari hanno già rimesso le cose in ordine. Quando si fanno le strategie, poi magari le cose possono variare. Io per esempio ho notato che Adam Yates prima di passare a tirare ha parlato due volte alla radio. Per me ha detto ai compagni: «Fatemi tirare adesso, perché non sono super». Quindi qualcosa nelle tattiche varia sempre. Così si è invertito con Almeida che è entrato in azione dopo. Solo che poi quando il portoghese si è voltato e ha visto che l’altro non c’era, si è risentito.

Magari Ayuso non ne aveva…

Però è arrivato con i primi. Se hai fatto davvero il tuo lavoro non ci arrivi così avanti. Neanche il miglior Kwiatkowski, neanche Van Aert dopo aver fatto quello che dovevano fare restavano con i migliori. E non credo che lui sia ancora più forte di questi nomi giganteschi.

Come abbiamo detto, sembra, il condizionale è d’obbligo, che Pogacar dovesse partire ai 3 chilometri dalla vetta, dove c’è un tratto molto duro…

E ci sta. Io conosco molto bene quella salita e in effetti c’è un tratto di 500 metri molto duro. Non so… forse col senno del poi gli è andata meglio così.

A Valloire Pogacar in mix zone aveva parlato dell’armonia del bus e del team a cena (foto @fizzaazzif)
A Valloire Pogacar in mix zone aveva parlato dell’armonia del bus e del team a cena (foto @fizzaazzif)
Cioè, cosa vuoi dire?

Se Pogacar fosse partito prima lo avrebbe fatto con meno violenza forse e magari Vingegaard gli si sarebbe messo a ruota e non lo avrebbe staccato più. Invece ha capito che gli deve dare una botta secca e non farlo attaccare alla sua ruota. In quelle due tappe, tra Galibier e San Luca, lo ha capito e ci ha provato. Anche perché così lo manda fuorigiri, gli fa fare fatica… Perché attenzione: Vingegaard ha un recupero impressionante e se va in crescendo nella terza settimana magari diventa il più forte. Così invece lo ha un po’ rimesso al suo posto.

Chiaro…

Non so che numeri abbia fatto Tadej, sicuramente saranno stati incredibili, ma quella del Galibier è un’impresa pazzesca. Io forte così Pogacar non l’ho mai visto. E secondo me anche a crono i distacchi dell’anno scorso tra i due non saranno così ampi. Anzi, per me Pogacar può anche vincerla la crono. Magari lo farà Remco, altro fenomeno, ma saranno tutti vicini.

Ultima domanda, “Martino”: se tu fossi il direttore sportivo della UAE cosa avresti detto ai tuoi ragazzi?

Li avrei riuniti al tavolo e avrei detto ad Ayuso: «Ragazzo, fai quello che ti abbiamo detto di fare. Hai un compito. Se tutti hanno un chilometro da fare, quel chilometro tocca anche a te».

Miche con Astana: qualità e visibilità sulle strade del Tour

03.07.2024
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La 111ª edizione del Tour de France, partita quest’anno dall’Italia, sta entrando nel vivo. Miche, storico produttore italiano di componenti, si conferma ancora al fianco del team WorldTour Astana Qazaqstan. Fondata da Aleksandr Vinokurov, la squadra è da tempo un punto di riferimento sul palcoscenico del ciclismo mondiale, è in corsa alla Grand Boucle con gli ingranaggi Miche UTG R92, compatibili con il gruppo di trasmissione Shimano Dura-Ace 9200. Questi ingranaggi, con sei elementi esterni e cinque interni, offrono ai corridori una vasta gamma di combinazioni per affrontare ogni tipologia di tappa.

Partnership di successo

La collaborazione tra Miche e Astana-Qazaqstan Team è frutto di una perfetta sinergia tra il reparto tecnico dell’azienda e gli atleti professionisti in organico del team.

«Grazie a questa profonda collaborazione – ha dichiarato Gregory Girard, il nuovo Amministratore Delegato di Miche – la nostra realtà è in grado di mantenere un filo diretto con il ciclismo professionistico su strada. Il Tour de France è la gara più importante della stagione, con i migliori corridori al mondo al via. Per noi è un’ulteriore occasione di confronto diretto con il team. Le condizioni di corsa sono le più estreme, e non c’è momento migliore per raccogliere feedback preziosi e conferme sulla qualità dei nostri prodotti».

Astana-Qazaqstan Team partecipa al Tour de France 2024 con un grande obiettivo: portare Mark Cavendish a vincere la propria trentacinquesima tappa: un record attualmente condiviso con uno dei più grandi corridori del passato, Eddy Merckx. Questo traguardo ambizioso testimonia l’alta competenza e determinazione della squadra e il supporto tecnico offerto da Miche.

L’ingresso dello “showroom” aziendale nella sede di San Vendemiano
L’ingresso dello “showroom” aziendale nella sede di San Vendemiano

Storia e innovazione

Da oltre un secolo, Miche disegna, sviluppa e realizza componenti ad alte prestazioni per il ciclismo su strada, pista, Mtb ed e-bike presso il proprio stabilimento di San Vendemiano, in provincia di Treviso. L’azienda, fondata nel 1919, grazie alla sua lunga storia di dedizione, affidabilità e continua spinta verso l’innovazione, è diventata nel tempo un marchio rispettato e riconosciuto a livello globale.

La missione aziendale di Miche è realizzare prodotti di qualità, certificati quotidianamente dai test rigorosi condotti nei propri laboratori. Ogni singolo prodotto viene sviluppato utilizzando avanzati programmi CAD, prende forma su stampanti 3D e, una volta realizzato, deve superare ripetuti test di collaudo nelle condizioni di utilizzo più gravose. Questo processo assicura che ogni componente non solo soddisfi, ma superi, gli standard di qualità prescritti dal sistema qualità Miche. I prodotti Miche, dopo essere usciti dalle linee di produzione, vengono commercializzati in ogni Continente, portando con sé una storia di qualità e ingegno italiano. L’azienda continua a essere un “player” importante nel settore del ciclismo grazie alla propria dedizione alla perfezione tecnica e all’innovazione continua.

La collaborazione tra Miche e Astana Qazaqstan Team è anche una dimostrazione dell’impegno di Miche nell’offrire componenti di altissima qualità. Questo impegno permette ai corridori di competere ai massimi livelli e raggiungere obiettivi ambiziosi, come appunto quello di Mark Cavendish.

Miche

Il Tour di Miguel Soro, l’artista che reinterpreta i campioni

03.07.2024
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RICCIONE – Spesso scriviamo delle pennellate che i campioni lasciano sulle strade del ciclismo. C’è chi però questa missione l’ha presa sul serio e, dopo aver svestito i panni di corridore professionista, il pennello l’ha impugnato per davvero e ha cominciato a mettere quelle emozioni su tela. Tra i tanti personaggi che la storica Grand Depart italiana ci sta dando l’opportunità di incontrare, oggi vi presentiamo Miguel Soro Garcia. Spagnolo, classe 1976, tre anni da pro’ tra il 2001 e il 2003, anticamera dell’incredibile carriera artistica attuale.

«Ho corso per due anni in una squadra portoghese, la Matesica e poi ho finito nella toscana Miche, per cui a Firenze mi sento a casa», comincia a raccontare in un ottimo italiano, accompagnato dalla moglie Patricia e dalla curiosissima figlia Alejandra. «Ero un velocista, ogni tanto riuscivo a vincere qualche volata e ricordo che sprintavo con rivali come il vostro Traversoni o il portoghese Candido Barbosa».

Poi, scava ancora nel cassetto dei ricordi e aggiunge: «In pratica, ho fatto il corridore dal 1985 al 2003. I momenti più belli, che porto nel cuore, sono quelli nelle categorie giovanili. Nel 1994, ho corso i mondiali in Ecuador con la maglia della Nazionale e quello è stato il primo titolo juniores della storia spagnola grazie al successo del mio compagno Miguel Morras».

Dalle biciclette ai dipinti

Dalle biciclette ai dipinti, il passaggio è stato davvero poetico: «C’è un momento in cui ti accorgi che devi cambiare vita e a me è successo così quando mi sono accorto che stava finendo la carriera ciclistica. La pittura, in realtà, era un qualcosa di innato perché a Xàtiva (piccola località della Comunità Valenciana, ndr) è tradizione. Correre è quasi sempre stato un hobby, perché quando potevo scappavo a dipingere all’aperto. Ho cominciato coi paesaggi poi, subito dopo che ho smesso, sono passato ai ritratti dei ciclisti».

La Grand Depart è stato un bel tour de force per l’artista spagnolo, che giovedì mattina era a Ponte a Ema, al Museo Bartali (dove è possibile vedere 8 opere dedicate al mito toscano fino a fine agosto). Nel pomeriggio invece si è spostato nel cuore di Firenze, in piazza Santa Croce, dipingendo ancora Ginettaccio.

«I primi ritratti sono stati ispirati dal ciclismo classico, quello in bianco e nero, dove fatica ed eroicità erano all’ordine del giorno. Io provo a trasmetterla con le mie opere e, con il tempo, mi sono dedicato anche ai campioni del presente».

Il dipinto raffigurante Tadej Pogacar, completato a Bassano del Grappa durante la penultima tappa
Il dipinto raffigurante Tadej Pogacar, completato a Bassano del Grappa durante la penultima tappa

Il gusto dei dettagli

Come all’ultimo Giro d’Italia quando, durante la penultima tappa, aveva celebrato con un quadro Tadej Pogacar e la sua apoteosi rosa.

«Avevamo allestito una mostra temporanea al Garage Nardini – spiega – una distilleria storica di fine Settecento, che si trovava a pochi metri dal traguardo. Ho fatto uno studio precedente e ho recuperato un po’ di immagini del passato di quando il Giro era passato a Bassano. Compresa la vittoria di Merckx da quelle parti, oppure il ponte in rosa che era stato illuminato 100 giorni prima del via della Corsa Rosa. Oltre a dipingere il protagonista, mi diverto a fare un collage di immagini, come ritagli di giornale. In quel caso ho anche omaggiato il posto in cui ero, ovvero il Garage Nardini. Ad esempio, ho fatto finta che nella sua borraccia ci fosse il Mezzo e Mezzo, un loro liquore. E’ un po’ un gioco, chi vede la mia opera da lontano nota solo il corridore raffigurato ma poi, avvicinandosi, si perde negli svariati dettagli».

I fratelli Fausto e Serse Coppi esposti all’Hotel Gambrinus

L’autografo di Milan

Venerdì sera, l’ufficio itinerante di Soro si è spostato al Trek Store, non lontano dal Parco delle Cascine. In quest’occasione, oltre a omaggiare la Lidl-Trek con opere raffiguranti ad esempio una Elisa Longo Borghini nel velodromo di Roubaix, ha ricevuto un autografo speciale come quello dell’olimpionico Jonathan Milan, che ha firmato l’opera che raffigurava uno dei suoi trionfi al Giro d’Italia in maglia ciclamino.

«E’ stato un incontro davvero emozionante e intenso. Jonathan mi ha stupito perché ha detto che mi conosceva già – racconta Soro – dato che sei anni fa aveva ricevuto una litografia di un mio dipinto come premio durante la Vuelta Valenciana. Mi ha fatto un regalo splendido con la sua firma ed è stato bello riceverlo da uno sprinter molto più vincente di me».

Sorride Miguel, prima di chiedere una foto ricordo anche a un altro ospite speciale della serata: il Pallone d’Oro Fabio Cannavaro, grande amante della bicicletta.

Da Ganna a Pantani

Dalla Toscana alla Romagna, nella serata di sabato Miguel ci ha portato a scoprire la sua collezione permanente, custodita gelosamente nei corridoi dell’Hotel Gambrinus di Riccione. I ritratti di Fausto e Serse Coppi, il Pirata Marco Pantani e Filippo Ganna che sfreccia sul suo Bolide d’iride vestito. Quest’ultima opera non sfugge allo sguardo di alcuni ospiti speciali dell’albergo di Maria Grazia Nicoletti, ovvero i componenti delle famiglie Ganna e Sobrero, venuti a fare il tifo per il giovane talento cuneese della Red Bull-Bora-Hansgrohe: Matteo Sobrero. Una foto di gruppo e poi tutti a riposare in vista della prossima avventura.  

Il Tour d’Italia di Miguel Soro non poteva non concludersi con la partenza da Cesenatico, il paese natale del compianto Pirata. Pantani è uno dei soggetti che il pittore valenciano raffigura più spesso, trasmettendo quelle emozioni che Marco sapeva infonderci nell’animo. Il suo ritratto grintoso e arrembante in giallo resta sempre scolpito nei nostri cuori e, ora, anche su tela.

Il volo del campione. Pogacar domina il Galibier

02.07.2024
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VALLOIRE (Francia) – Il Col du Galibier si conferma terra per artisti. Come Pantani 26 anni fa, anche Tadej Pogacar ha dipinto un capolavoro che resterà indelebile nella storia del ciclismo. Ha dipinto le curve in discesa e aggredito in tornanti in salita. Ha demolito l’avversario. Il risultato è un quadro. Tappa, maglia e l’orgoglio di essere riuscito finalmente a vincere una battaglia dopo tante sconfitte.

L’avversario chiaramente è Jonas Vingegaard. Ma come detto questa era “solo” una battaglia. La guerra è lontana dal finire. Una guerra bella… questa. Sportiva sia chiaro. Gli occhi di Pogacar visti oggi in mix zone facevano paura. Felicità certo, ma anche una consapevolezza sconcertante.

Pogacar taglia il traguardo. Stoppa il computerino. Ha fatto 19,3 km di fuga solitaria
Pogacar taglia il traguardo. Stoppa il computerino. Ha fatto 19,3 km di fuga solitaria

Quadro Galibier

L’opera d’arte della UAE Emirates, prende corpo sul Lautaret, lungo colle che porta poi al Galibier. Il vento contrario complica i piani ai ragazzi di Matxin. Tra pendenze dolci e appunto vento contro, a ruota non si stava bene, ma benissimo. Però è un ritmo che fa male. Che logora. E’ un ritmo che se non sei al top ti fa consumare tanto.

Dopo la svolta per il mitico Colle, ecco l’affondo tambureggiante della UAE. Prima Pavel Sivakov, poi Adam Yates. Poi ancora il balletto Joao Almeida e Juan Ayuso. Il gruppo si sgretola. Restano i giganti.

A 1.200 metri ecco lo scatto. Pogacar a destra, Vingegaard a sinistra. Sembra di rivedere il San Luca. Solo che si apre una breccia. Un metro, due. Un tornante e il rilancio violento dello sloveno. Dopo due anni di cazzotti incassati stavolta è lui a portare a segno il colpo.

Il resto è una planata che lascia tutti col fiato sospeso. Un arrivo quasi rabbioso con pedalate piene fino ad un metro dopo il traguardo.

Galibier. Lo sloveno è partito da pochi istanti. Vingegaard si appena staccato. Qui il buco è ancora di pochissimi metri
Galibier. Lo sloveno è partito da pochi istanti. Vingegaard si appena staccato. Qui il buco è ancora di pochissimi metri

Tappa e maglia

Il re del Giro d’Italia taglia il traguardo. E’ stanco e si vede. Ma lucidissimo. La cassa toracica si gonfia e si sgonfia in modo impressionante. Lui spegne il computerino. Qualche istante e ha già recuperato. 

«Il mio piano – ha detto Pogacar – è stato un po’ rovinato dal forte vento. Se non ci fosse stato avremmo potuto fare ancora di più, ma sono orgoglioso dell’azione e della squadra. E per me conta molto aver vinto da squadra.

«Dobbiamo continuare così. Dobbiamo avere in corsa la stessa atmosfera che abbiamo a cena, nel bus, alla mattina. E dobbiamo mantenere questo spirito di combattimento fino alla fine. La strada è ancora molto lunga».

Pogacar famelico

Sarà che lo abbiamo seguito giorno dopo giorno al Giro d’Italia, ma Pogacar sembra davvero un altro. In Italia dominava senza problemi. Qui si sapeva che gli avversari sarebbero stati diversi. Ma in tanti anni non lo avevamo mai visto così feroce.

«Sapevo – riprende il campione sloveno – che con il vento contro restare davanti da solo sarebbe stato difficile. Avrei voluto attaccare prima, così ho aspettato gli ultimi chilometri, i più difficili. Avevo davvero buone gambe e per questo ho dato tutto per creare un po’ di spazio prima della cima».

E poi, insaziabile ha aggiunto: «Non è stato il mio finale migliore, perché faceva anche freddo e alcune curve erano bagnate, ma quei 35”-37” mi rendono orgoglioso».

In effetti qualche curva Tadej non l’ha tirata benissimo, ma è normale quando si è al limite. Tra l’altro la scelta di attaccare in discesa è figlia anche di un momentaneo punto debole di Vingegaard quando la strada scende. Non dimentichiamoci che Jonas viene da una caduta in discesa e ci sta che anche psicologicamente avesse un filo di “incertezza”. 

Insomma in questa guerra a livelli siderali ogni minima crepa diventa un appiglio per aprire una breccia.

Almeida e Ayuso si sono alternati nel tratto finale del Galibier a causa del forte vento
Almeida e Ayuso si sono alternati nel tratto finale del Galibier a causa del forte vento

Applausi UAE

Per questo, in quei pochi metri che si sono aperti tra Pogacar e Vingegaard sul Galibier c’è di mezzo un mondo. Forse l’intero Tour de France. Tutto è in divenire ma per ora uno è davanti e l’altro insegue.

«Io – riprende Pogacar – credo che Jonas stia molto bene, ma in tre settimane qualcosa può cambiare. Vedremo come andranno le cose nelle prossime tappe e anche nella crono».

Ma c’è un altro aspetto che va preso in grande considerazione: oggi Vingegaard è rimasto solo. Se gli altri anni i Visma-Lease a Bike dominavano, oggi nei primi otto c’era solo il danese. E questo forse è l’aspetto che più ha reso felice Pogacar. «La squadra conterà di sicuro da qui in poi. E noi oggi abbiamo dimostrato di avere uno dei team più forti».

Ancora Ayuso e Almeida: i due si sono parlati dopo il traguardo
Ancora Ayuso e Almeida: i due si sono parlati dopo il traguardo

Ayuso e Almeida

Una bella atmosfera ha detto Tadej. E in effetti oggi la UAE Emirates ha lavorato alla grandissima. Ha mostrato compattezza, nonostante un piccolo episodio riguardante Ayuso proprio nel finale del Galibier.

Un momento su cui anche Pogacar è intervenuto. «Magari è sembrato un gesto plateale, ma quando sei a 200 battiti è difficile parlarsi. Joao non era arrabbiato».

«Tutto è andato come volevamo – ha detto un freschissimo Almeida dopo il traguardo – siamo stati perfetti. La mia gamba è buona e di sicuro da qui alla fine sarà ancora meglio. Siamo felici, ma sappiamo che c’è ancora molto da fare».

Come dicevamo solo un piccolo “caso”, quando Ayuso era in quinta ruota, quindi dietro a Pogacar, e Almeida era in testa. Il portoghese gli aveva fatto quel gesto invitandolo a venire avanti. «Quel gesto con Ayuso? Non mi ricordo bene ora», glissa Joao.

In pratica, secondo Matxin, visto il vento forte che c’era e il ritmo alto che dovevano imprimere, anziché dare una lunga trenata ciascuno, i due dovevano alternarsi. Ma Ayuso era rimasto un po’ troppo nascosto. Tanto è vero che poi quando è passato il ritmo è un po’ calato. Il dubbio dunque è che Ayuso abbia fatto il furbo. L’ambizione personale dello spagnolo è nota… Ma ci sta anche che i ritmi siderali lo abbiano reso un filo meno lucido.

All’arrivo comunque i due si sono abbracciati. Almeida gli ha sussurrato qualche breve parola all’orecchio e poi si sono scambiati il cinque. Ma per il resto davvero tattica ineccepibile. E grandi sorrisi. D’altra parte come potrebbe essere diversamente di fronte ad una simile opera d’arte?

Vingegaard incassa, ma un colpo così non l’aveva mai preso

02.07.2024
6 min
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VALLOIRE (Francia) – Se lo aspettavano che Pogacar avrebbe attaccato in quel punto. Così quando lo sloveno è partito, Vingegaard ha fatto quello che tutti si aspettavano da lui: rispondergli. E’ sembrato di rivedere la scena del San Luca e di tante salite dello scorso anno, solo che questa volta il danese è parso meno brillante. Lo ha tenuto lì, ma è bastato che fra le loro ruote si aprisse una crepa, perché Pogacar prendesse il largo e Jonas iniziasse a pensare come limitare i danni.

Evenepoel è arrivato a Valloire al secondo posto ed è secondo anche nella generale
Evenepoel è arrivato a Valloire al secondo posto ed è secondo anche nella generale

Una bomba a orologeria

Come siano andate le cose lo spiega molto bene Remco Evenepoel, secondo all’arrivo dopo una discesa prodigiosa e secondo anche nella classifica generale.

«Ero vicino a Tadej – sorride – ed era come una bomba a orologeria che sta ticchettando. Aspettavo che andasse e l’ho visto partire. Penso che fosse abbastanza chiaro che si sarebbe mosso nell’ultimo chilometro, perché c’era un po’ di vento a favore ed era anche il tratto più ripido. E soprattutto con gli abbuoni sulla cima, penso che sia stato un attacco molto intelligente. Ha mostrato ancora una volta le sue qualità: ritmo elevato e attacco brutale. Penso sia chiaro che è lui il più forte in campo.

«Per un momento ho pensato di seguirlo anch’io, ma poi mi sono detto che sarebbe stato meglio aspettare e non esplodere. I suoi attacchi sono così esplosivi, che è piuttosto difficile prendergli la ruota. Se non lo fai subito, lui va via. Ma penso che arrivare secondo in una grande tappa di montagna di un grande Giro ed essere secondo nella generale, non è così male».

Vingegaard ha meno tifosi di Pogacar, ma i suoi sostenitori si fanno sentire e notare
Vingegaard ha meno tifosi di Pogacar, ma i suoi sostenitori si fanno sentire e notare

Salvare la pelle

La partenza da Pinerolo, nel giorno in cui il Tour ha lasciato l’Italia, per Vingegaard è stata nel segno della grande cautela. La risposta del San Luca è parsa abbastanza pronta, ma l’arrivo di Valloire avrebbe proposto per la prima volta delle grandi salite. Quale sarebbe stata oggi la risposta del danese? Vingegaard ha ricevuto la visita di Nathan Van Hooydonck e poi si è avviato alla partenza sapendo che avrebbe dovuto cercare di limitare i danni.

Così quando lo troviamo al pullman, per la prima volta sconfitto in modo significativo, la sua reazione è di grande calma. Sapeva che avrebbe avuto delle difficoltà. E se è vero tutto quello che ha passato, essere riuscito a duellare sopra i 2.500 metri con Pogacar è stato davvero un gesto da campione.

Vingegaard ha tagliato il traguardo a 37 secondi con Carlos Rodriguez
Vingegaard ha tagliato il traguardo a 37 secondi con Carlos Rodriguez
Cosa ti sembra dei 37 secondi che hai perso oggi?

Penso, ovviamente, che sia un peccato essere indietro. Ma ad essere onesti, ci aspettavamo di essere dietro dopo queste prime quattro tappe, di perdere tempo quasi ogni giorno. Quindi essere stati in difficoltà oggi per la prima volta è qualcosa che potrebbe anche soddisfarmi. In più la maggior parte del tempo perso oggi è venuto nella seconda parte della discesa, dove il peso conta un po’ di più.

Cosa ti è mancato in discesa?

La differenza in vetta era di 10 secondi e al traguardo è stata di 37. La discesa è andata abbastanza bene sino alla fine del tratto con più curve. Lo tenevo davanti a 10 secondi, poi quando la strada è diventata dritta, la gravità ha fatto la sua parte e ho perso terreno. Devo accettarlo.

La discesa è stata un accumulo di acido lattico: Vingegaard ha pagato proprio nel finale
La discesa è stata un accumulo di acido lattico: Vingegaard ha pagato proprio nel finale
Devi accettare anche il fatto che sul Galibier sei rimasto presto da solo?

Aiuta sempre avere qualcuno accanto in salita, forse lo avrei messo davanti. Ma oggi è andata così e non cambia la stima che ho nei confronti di Jorgenson e Kelderman. So quello che possono fare e so che lo faranno. Pensavo che sarebbero rimasti davanti più a lungo, ma ormai è cosa fatta.

Hai detto di voler aspettare il passare dei giorni. Credi di poter crescere?

Sì, di sicuro. Ci aspettavamo a questo punto di essere 50 secondi indietro, quindi penso che sia una piccola vittoria. Ora mi trovo in una situazione nuova, ma sappiamo cosa fare e certo non lo dirò qui. Negli ultimi due anni abbiamo creduto nel nostro piano e ci crediamo anche oggi. Quindi vedremo come andranno le cose alla fine del Tour.

In casa Visma temevano di avere già un passivo superiore, invece tappe come Bologna hanno detto che Vingegaard c’è
In casa Visma temevano di avere già un passivo superiore, invece tappe come Bologna hanno detto che Vingegaard c’è

Il piano della Visma

Il piano dello scorso anno consisteva nel far sfogare Pogacar nelle prime tappe e di… cucinarlo poi nel finale, come era stato anche nel 2022 con l’attacco sul Granon. La grande differenza la fa il punto di partenza. Lo scorso anno lo sloveno usciva da un infortunio e non aveva una squadra di superstar. Quest’anno l’infortunio è toccato a Vingegaard e la sua Visma-Lease a Bike non è nemmeno parente di quella che lo scorso anno vinse Giro, Tour e Vuelta. Mentre il UAE Team Emirates ha fatto un altro deciso salto di qualità.

«Speravamo che Jonas potesse tenere Pogacar sul Galibier – dice Grischa Niermann, diesse del team olandese – ma non è stato così. Abbiamo perso un po’ di tempo in discesa e anche questo era fra le possibilità. Ora abbiamo 50 secondi di ritardo da Pogacar, ma se me lo aveste proposto venerdì prima della partenza del Tour, avrei firmato subito. Oggi è stato il primo, grande test in montagna e Jonas è stato bravo: oggi come nei primi giorni. In una tappa come questa c’è solo un corridore che può staccarlo ed è Tadej Pogacar, quindi non sono assolutamente preoccupato del fatto che Jonas non sia all’altezza».

Vingegaard ha perso abbastanza presto l’appoggio di Jorgenson, con 2’42” all’arrivo
Vingegaard ha perso abbastanza presto l’appoggio di Jorgenson, con 2’42” all’arrivo

«Ora Tadej dovrà difendere la maglia – conclude Nierman – ma ha una squadra molto forte, soprattutto in salita, quindi sarà in grado di farlo. Per noi potrebbe essere un vantaggio, ma credo sia sempre meglio essere in vantaggio che dover inseguire. Semmai, parlando di noi, sapevamo che Jonas non avrebbe avuto gregari in cima alla salita. Il nostro miglior scalatore è Sepp Kuss e non è qui.

«Quindi quando Pogacar accelera e in testa restano appena 3-4 corridori, sappiamo che Jonas dovrà cavarsela da solo. Mentre Yates, Ayuso, Almeida e Pogacar sono fra i 4-5 migliori scalatori al mondo. Noi dobbiamo solo aspettare che le cose migliorino. E in questo abbiamo molta fiducia».

Cavendish al Tour con una Wilier Filante SLR… capolavoro

02.07.2024
3 min
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Mark Cavendish è in corsa al Tour de France con una bici davvero speciale. Meglio, una Wilier Filante SLR con una verniciatura speciale…

Al velocista britannico manca appena una vittoria alla Grande Boucle per arrivare dove mai nessuno è arrivato prima. Mark Cavendish è difatti in caccia quest’anno della trentacinquesima vittoria di tappa al Tour de France, un successo che gli consentirebbe di infrangere l’attuale record di trentaquattro vittorie condiviso con uno dei più grandi corridori della storia del ciclismo: Eddy Merckx. 

L’ispirazione in sede

Cavendish insegue il prestigioso record in sella ad una Wilier Filante SLR in edizione speciale nata proprio durante una visita dello stesso corridore presso la sede di Wilier Triestina di Rossano Veneto. 

«Filante SLR è la bici perfetta per me – ha dichiarato Mark Cavendish – ma per quest’anno al Tour ho chiesto di poter avere qualcosa di più. Ognuno ha i propri gusti, e proprio per questo amo dare un tocco del mio stile alle biciclette che pedalo che inevitabilmente sono diventate una parte indissolubile della mia vita da corridore professionista da ormai vent’anni. Nella mia ultima visita in Wilier Triestina, il mese era quello di marzo, passeggiando per l’azienda ho visto un’immagine che mi ha colpito. Ho chiesto se fosse possibile traslarla sul fronte della mia Filante SLR, lasciando il carro di colore nero. Dopo un paio di mesi mi sono ritrovato tra le mani un telaio a dir poco… spettacolare, perfettamente in linea con quelle che erano le mie aspettative. Un grande lavoro di squadra, quello effettuato da Wilier, che mi dà un’extra motivazione per il mio Tour de France. Il Tour nel corso del quale andrò in caccia di un sogno».

Un telaio nuovo, leggero e reattivo per tentare insieme a “Cannonball” il record di vittorie di tappa al Tour
Un telaio nuovo, leggero e reattivo per tentare insieme a “Cannonball” il record di vittorie di tappa al Tour

Telaio vincente

Da un punto di vista prettamente cromatico, il verde sul telaio richiama la maglia dedicata alla classifica a punti del Tour de France, simbolo del miglior sprinter. Il giallo intenso rappresenta invece il prestigio della Maglia Gialla, simbolo della leadership al Tour de France, rendendo omaggio alle vittorie di Cavendish alla Grande Boucle. Il blu, il rosso e il nero completano poi la livrea, richiamando i colori dell’iride e il titolo di Campione del Mondo su strada conquistato dal britannico nel 2011 sul circuito di Copenhagen. 

Questa speciale Wilier Filante SLR sarà disponibile per l’acquisto fino al prossimo 31 dicembre. 

Wilier Triestina

Anche Gaviria rivede la luce. Prima il Tour, poi Parigi (su pista)

01.07.2024
4 min
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TORINO – Gaviria arriva che tutti i compagni sono già sul pullman. Sorride. Non sorride. Dice che è contento. Dice di no. Arrivare secondo per un velocista di razza è difficile da accettare. Anche se a ben vedere è da tanto che Fernando non alza le braccia. L’ultima volta fu a Duitama, prima corsa di stagione, nel Giro del suo Paese. Poi tanti piazzamenti nei dieci, con il quarto posto nella tappa di Roma del Giro come miglior risultato di primavera e il secondo di oggi a Torino alle spalle di Biniam Girmay.

«Non è vero che è mancato poco – dice – non abbiamo dimostrato nulla. Se avessi avuto le gambe migliori, avrei vinto. Però ci abbiamo provato. La squadra ha fatto un lavoro molto buono, è un peccato non aver ottenuto la vittoria».

Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero
Una volta che Girmay ha preso la testa, per Gaviria non c’è stato margine di recupero

Scalatori contro giganti

Max Sciandri passa per un saluto. Stasera il toscano tornerà a casa e scherzando dice di aver avviato la squadra sulla strada giusta. Intanto attorno al corridore del Movistar Team arrivato secondo si concentrano anche le telecamere colombiane. Lui tiene gli occhiali e il casco giallo perché la Movistar è in testa alla classifica. Parla calmo e continua a spiegare.

«Sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto – dice – la squadra mi ha aiutato molto. Vedere compagni come Nelson Oliveira e Alex Aranburu davanti a me, che mi sostenevano e mi stavano accanto, è stato importante. Perché alla fine qui ci sono corridori di 90 chili che ti toccano e scalatori che ne pesano 50, quindi il lavoro che hanno fatto per me è da ammirare. Eravamo così concentrati che nemmeno mi sono reso conto della caduta. Oggi volevo fare bene. Ho sentito che era successo qualcosa. Ho sentito che parlavano alla radio, ma ero in un altro mondo».

Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon
Al Giro assieme a Consonni, suo buon amico: Gaviria arriva così sul Brocon

Tra il dire e il fare…

Questa prima tappa, che si pensava sarebbe stata il terreno del primo assalto di Cavendish si è trasformata nel ritorno di Girmay, che a sua volta non vinceva dalla fine di gennaio. Non è più il Tour di una volta che nelle prime settimane proponeva volate su volate. Dopo le prime due tappe piene di dislivello, domani il Galibier sarà un alto ostacolo da scavalcare per poter puntare ad altre volate successive.

«Speriamo di vincerne una – risponde laconico – non so se lo sapete, ma noi corridori vinciamo tante tappe in anticipo e poi alla fine dobbiamo fare i conti con la realtà. Difficile dire se oggi io abbia capito di poter vincere. E’ difficile, perché ogni giorno lo sprint è diverso. Oggi puoi finire secondo, la prossima volta magari avrai le gambe migliori e ugualmente finisci ventesimo. E’ molto difficile sapere come andrà a finire ogni tappa, ma alla fine cercherò di fare ogni giorno del mio meglio».

L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium
L’ultima apparizione olimpica di Gaviria in pista fu a Rio 2016, quarto nell’Omnium

Da Nizza a Parigi

La sua strada porta a Nizza attraverso le montagne e le volate. Poi però da Nizza porterà a Parigi. Nonostante le polemiche, Gaviria correrà infatti le Olimpiadi dell’omnium in pista, tornando a sfidare Viviani davanti cui si inchinò nel 2016 a Rio.

«Però adesso la priorità è il Tour de France – dice – come per tutti i corridori. E’ una delle corse più importanti del mondo ed è una priorità. Più tardi penseremo ai Giochi Olimpici. Forse la preparazione che ho fatto è più adatta a quell’obiettivo, ma in questo momento sono concentrato sul Tour, cercando di fare il meglio che posso. Quando mi hanno detto che sarei andato a Parigi, le sensazioni sono state molto buone.

«Alla fine dello scorso anno ero tornato ad allenarmi in pista e ho fatto il campionato Panamericano. Quest’anno ho ricominciato ad allenarmi in velodromo e nell’ultimo mese ho fatto ancora di più. Quindi mi sento abbastanza bene e motivato da questi nuovi obiettivi che ci siamo prefissati, sia con la squadra che con il Comitato Olimpico. Hanno preso questa decisione e sono contento di rappresentare nuovamente il Paese ai Giochi Olimpici. Perciò innanzitutto speriamo di non superare il tempo massimo di domani sul Galibier. E poi avremo il tempo per pensare a cosa verrà dopo…».

Primo eritreo al Tour. Girmay colpo storico a Torino

01.07.2024
5 min
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TORINO – «Bi-ni, Bi-ni, Bi-ni». Corso Galileo Ferraris si trasforma nella Curva Maratona dello Stadio del Toro che è proprio qui a fianco. E’ una bolgia quella degli eritrei che, incredibilmente, spuntano all’improvviso ovunque si corra. Dal Sud della Spagna al Nord del Belgio. Dall’Italia alla Francia. Loro ci sono sempre e sono anche felicemente rumorosi.

La terza tappa di questo Tour de France va a Biniam Girmay e ci va anche con margine. Il corridore della Intermarché-Wanty è autore di uno sprint di personalità. Preso in testa con la squadra, dominato e senza nessuno che sia stato in grado di affiancarlo nel lungo rettilineo finale.

Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali
Biniam Girmay (classe 2000) festeggiato a gran voce dai suoi connazionali

Sprint perfetto

E’ festa grande. I giornalisti, i fotografi, i compagni… tutti lo assalgono. Le Cube sono appoggiate ad una transenna, mentre i corridori si abbracciano. Girmay si mette la faccia tra le mani. Quasi non ci crede dopo l’anno (e mezzo) difficile che ha passato. Di fatto era dalla tappa del Giro, finita con il tappo di spumante nell’occhio, che Bini non andava tanto forte.

Okay il recente titolo nazionale, ma qualche certezza iniziava a schricciolare. Sono bastati 300 metri fatti alla grande per cancellare tutto.

«E’ stato uno sprint molto duro, fisico – racconta Girmay – i miei compagni hanno aiutato moltissimo. Ma lo hanno fatto anche nei primi due giorni. Hanno cercato di mettermi nelle migliori condizioni possibili.

«E’ stato uno sprint nervoso. Negli ultimi chilometri avevo perso i mei compagni e ho dovuto fare uno sprint per riprenderli e ritrovarli. Poi siamo stati uniti. Mi hanno portato fuori benissimo (all’ingresso del rettilineo finale erano in tre, ndr). Devo ringraziarli tantissimo.

«Sapevo che sul lato sinistro c’era più vento e quindi mi sono tenuto sul lato opposto, molto stretto alle transenne. E lì ho passato Mads Pedersen».

Un africano a Torino

A Torino si è fatta la storia? Quando Girmay iniziò a seguire il ciclismo i vincenti erano Sagan e Cavendish. In Eritrea si corre o si gioca a pallone. Il ciclismo però rispetto a molti altri Stati limitrofi la bici ha un certo peso specifico. 

«Un africano nero che vince una tappa al Tour è incredibile – dice Girmay – Abbiamo il ciclismo nel sangue. Ciò che è che è successo oggi è formidabile. Questa vittoria è importante per me e per il mio continente. Gli africani conoscono il Tour. Per il ciclismo eritreo è un grande momento.

«Mio padre guardava il Tour dopo pranzo e mi sedevo con lui. Mi diceva che il ciclismo era uno sport difficilissimo. Era il 2011. Poi vennero Merhawi Kudus e Daniel Teklehaimanot. La svolta vera c’è stata quando proprio Teklehaimanot è salito sul podio del Tour e ha vestito la maglia a pois. Questo mi ha dato una grande spinta. Ma c’erano ancora grandi ostacoli per arrivare sin qui. In Africa bisogna fare molte corse locali e non c’è tanto spazio per mostrare il nostro potenziale. Arrivi in Europa a 22-23 anni e ti ritrovi in un altro mondo. Ma adesso penso ai tanti nostri giovani e voglio dirgli che tutto è possibile».

La cabala del bus

Ma l’emozione è anche quella del team manager Jean-François Bourlart. E’ grande e grosso, un tipico “omone del Nord”, eppure si commuove quando inizia a raccontare.

«Per noi è incredibile – dice Bourlart – una piccola squadra che riesce a vincere qui: il sogno si è avverato. Bini ha vinto al Giro e ora anche al Tour. E’ qualcosa d’incredibile. Questa è una vittoria per tutta la squadra. Tutta.

«Si sapeva che era forte, che era sempre là e che poteva fare bene. Ma in questo periodo difficile ha anche ricevuto messaggi poco belli. E’ stato attaccato. Tutti pensavano che la sua vittoria alla Gent-Wevelgem era stato un colpo di fortuna. Sappiamo tutti che ha talento, ma anche che non è facile per un ragazzo così giovane vincere gare importanti. E’ stato un periodo duro per lui, per la sua famiglia. 

Tra l’altro in questo Tour si sta diffondendo la cabala del bus rotto. A quanto pare se il grande mezzo va ko il leader vince. E’ stato così per la maglia gialla di Bardet ed è stato così per la Intermarché-Wanty di Girmay, che a Torino aveva per supporto un piccolo camper.

«E’ la vittoria della passione – va avanti Bourlart – al Giro d’Italia era caduto. Le cose non vanno sempre bene. Abbiamo portato la miglior squadra possibile per sostenerlo per gli sprint: Gerben Thijssen, Mike Teunissen, Laurenz Rex. Gli ho detto di mettersi alla ruota di Gerben. E oggi tutto ha funzionato bene… Ora vado ad abbracciare Biniam».

EDITORIALE / La grandezza del Tour, Pantani e le piccole cose

01.07.2024
4 min
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PIACENZA – La terza tappa del Tour è partita da poco. Anche se non è tempo di fare bilanci della presenza della corsa in Italia, qualcosa si può cominciare a dire. C’è voluto il Tour per ricordarci di Gino Bartali, Gastone Nencini e Marco Pantani. E oggi che la Grande Boucle ricorderà Coppi, dovremo dirgli nuovamente grazie. A volte in questi casi torna in mente quel solito fare battute (tutto italiano e pessimista) secondo cui le cose andrebbero diversamente in questo Paese se a governarlo fossero degli stranieri. E al netto dei problemi logistici, in qualche caso propiziati proprio dall’incapacità italiana di stare nelle regole, si è visto che la capacità dei francesi di valorizzare quello che propongono è davvero magistrale.

Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo
Il pubblico di San Luca è stato oceanico: il Tour ha fatto suo per un giorno un simbolo del nostro ciclismo

La bravura di Prudhomme

Il Tour sta alle altre corse come una squadra WorldTour sta a una grande professional. Si può fare e in effetti si fa un buon lavoro in entrambi i casi, ma è innegabile che avere soldi da spendere e spenderli per far crescere il prodotto scavi un solco piuttosto profondo rispetto a chi eventualmente pensasse più ad accumularli che a reinvestirli.

Il Tour sa raccontarsi. Propone i suoi eroi e le loro storie. Li rappresenta e li porta sulle strade in cui passerà la corsa, per prepararle il terreno. La presenza di Prudhomme in giro per l’Italia da mesi dà la misura di quanto ci tengano a conoscere e a farti sentire importante. Ti accolgono, dal Villaggio alla sala stampa. Sorridono. Sono affabili e insieme inflessibili. E ti dimostrano di fare le cose con un senso. Volete un esempio? Eccolo.

Ieri mattina al Villaggio di Cesenatico, il fotografo Stefano Sirotti ha ricevuto un premio per la presenza della sua agenzia al Tour. Al momento di consegnarglielo, Prudhomme gli ha spiattellato in faccia un indovinello.

«Ti ricordi – gli ha chiesto – in che giorno ti consegnammo il premio per i vent’anni?».

«Era il Tour del 2015», ha risposto Sirotti.

«Ma era anche il giorno dopo la prima vittoria di Bardet a Saint Jeanne de Maurienne – gli ha risposto Prudhomme – e oggi è il giorno dopo un’altra vittoria di Romain».

Se anziché limitarsi alla stretta di mano, il direttore generale del Tour de France ha avuto l’attenzione di raccogliere o farsi raccogliere simili informazioni, vuol dire che ha a cuore le persone cui si rivolge. E questo fa la differenza.

Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto
Durante la consegna del premio, Prudhomme ha spiazzato Sirotti con il suo aneddoto

I soldi e la memoria

Eppure, da vecchi pantaniani ormai anestetizzati dalle troppe cerimonie, non riusciamo a trovare il bello di aver ricordato Marco ieri a Cesenatico. Intendiamoci, il “Panta” lo merita ogni santo giorno che Dio ci darà da vivere. Ma perché farlo solo oggi e solo perché tre regioni italiane hanno messo i loro milioni sul piatto? Va bene, l’hanno raccontata e vestita alla grande, ma perché non lo hanno fatto prima?

Ieri nelle cronache televisive si è sentito un discreto arrampicarsi sugli specchi quando Tonina Pantani ha detto (diretta come al solito) che Marco non è stato trattato bene.

Si è voluto far notare che oggi la dirigenza del Tour sia un’altra, che non c’è più il vecchio Leblanc che a un certo punto dopo il 2000 decise di non invitare più Marco alla corsa francese che aveva vinto. Niente di strano: gli preferì la solidità (anche finanziaria) di Armstrong e dei suoi sponsor, nel cui nome fu persino coperta una positività al doping del texano.

E allora perché, se la mano che guida è un’altra, nel momento in cui Armstrong è stato visto nella giusta luce, nessuno ha sentito la necessità di rivolgere un pensiero a Marco Pantani da Cesenatico, rileggendo la storia prima che qualcuno pagasse per farlo? Le occasioni non sarebbero mancate.

La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport
La memoria di Pantani resiste alle offese e alle dimenticanze dello sport

Sono gli affari, lo sappiamo. E il Tour sa condurli meglio degli altri, al punto che è ormai cosa fatta anche la partenza della Vuelta 2025 – corsa di proprietà del Tour – dal Piemonte. Perciò ci prendiamo il bello dell’Italia che i francesi stanno mostrando con tanta maestria. Restiamo ammirati dalla dedizione, la gentilezza e la preparazione di Prudhomme e i suoi uomini. Ma non ce la sentiamo di abbracciarli oltre un certo limite. Non lo stanno facendo solo per noi. Se i soldi nel piatto li avesse messi la Spagna, avrebbero parlato (e anche giustamente) con identica competenza e passione di Fuente, Ocaña, Bahamontes e del povero Java Jimenez.