Emozioni della Strade Bianche: ben più di una Classica

05.03.2023
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Provate a chiudere gli occhi e dare spazio alla fantasia per un momento. Immaginatevi la più romantica delle cartoline toscane: un viale in strada sterrata, costeggiato dai tipici alberi toscani, con la punta che tende verso l’alto, attorniato dal più bello dei prati verdi, sotto un cielo azzurro limpido. Chi mai oserebbe cambiare anche solo un virgola di tale spettacolo? Beh, a quanto pare la Strade Bianche.

Ora immaginatevi che da questa strada, dietro la curva, tra gli alberi, si alzi una nube di polvere bianca. Immaginatevi anche di sentire forti rumori: urla, catene, ruote. Poi, pian piano, di iniziare a intravedere il gruppo, o meglio, i primi del gruppo. Sì perché già la seconda fila di corridori è immersa nella nube bianca. Ecco, anche questa immagine è poesia.

Lo sterrato si è asciugato con il passare delle ore, gli uomini hanno respirato parecchia polvere
Lo sterrato si è asciugato con il passare delle ore, gli uomini hanno respirato parecchia polvere

I piedi sullo sterrato

A Siena c’è il sole, le temperature non sono alte ma promettono una bellissima giornata: si corre la Strade Bianche. A primo impatto sembra una corsa qualunque: arrivano i tifosi, le ammiraglie, i bus delle squadre. Si preparano le bici, segue qualche operazione di routine, poi si parte. C’è anche chi parte prima, anticipando il gruppo, per raggiungere uno degli undici settori della corsa. E’ a quel punto, quando si poggiano i piedi sullo sterrato, che ci si rende conto che la Strade Bianche non è una corsa qualsiasi. Si è immersi nella campagna, solo ogni tanto si intravede qualche casale. L’atmosfera che si respira è al tempo stesso di grande pace e tranquillità, mista a un’energia indescrivibile.

Polvere e sassi

Arrivano i fuggitivi, poi il gruppo, sembrano volare su quello stesso sterrato che più tardi, con un centinaio di chilometri nelle gambe, diventerà pesante come sabbie mobili. I tifosi a bordo strada, intrepidi e ansiosi di sentire l’aria del gruppo che passa, pian piano indietreggiano: troppa polvere, troppi sassi. Foto e video ricordo? Si va un po’ alla cieca, sullo schermo non si vedono altro che sottili granelli chiari. Ci sono bambini con grandi borse alla ricerca di borracce nuove da aggiungere alla collezione, mamme che rincorrono piccoli tifosi che corrono a bordo strada.

Abbiamo seguito la Strade Bianche nell’ammiraglia dei massaggiatori della Total Energies: il team di Sagan (qui sopra)
Abbiamo seguito la Strade Bianche nell’ammiraglia dei massaggiatori della Total Energies: il team di Sagan (qui sopra)

Padre e figlio

Grazie a Sportful, che ci ha fatti salire sull’ammiraglia della Total Energies, oggi vi raccontiamo la grande classica da una prospettiva differente. Con noi c’è Marosz, il massaggiatore di Peter Sagan. Ci racconta un po’ di sé: a casa ha tre bambini, che chiama spesso durante i momenti tranquilli della giornata per sapere come stanno. Marosz ci dice che non tornerà a casa per le prossime tre settimane, ma ci sembra comunque tranquillo. Con noi, alla fine del quarto settore in sterrato, c’è anche Anna, la moglie di Alessandro De Marchi e i due bambini: è proprio il figlio maggiore Andrea, un piccolo Alessandro, che incita il papà in fuga.

Piazza del Campo è una vera arena per il ciclismo: la vista dalla sala stampa è splendida
Piazza del Campo è una vera arena per il ciclismo: la vista dalla sala stampa è splendida

Il Marosz pensiero

Con Marosz e gli altri massaggiatori, si parla della Strade Bianche, delle classiche e di come sia diventato incredibile il ciclismo di oggi. «Per me – ci confida – non importa chi vince. Una corsa per me va bene quando si arriva all’arrivo felici, senza graffi e soddisfatti della corsa che si è fatta, a prescindere dalla posizione in classifica». E infatti all’arrivo, nella maestosa Piazza del Campo, Marosz è tranquillo.

E’ un’atmosfera particolare quella che si respira a Siena: dalla finestra della sala stampa lo spettacolo è magnifico. Centinaia di persone sono sedute sui mattoni rossi della piazza, con lo sguardo rivolto all’enorme maxi-schermo che trasmette la gara. Altrettante persone sono già vicino alle transenne, per garantirsi la visuale migliore

Mohoric rilascia le prime dichiarazioni dopo l’arrivo
Mohoric rilascia le prime dichiarazioni dopo l’arrivo

La piazza esplode

«Quando entra il primo corridore in piazza, ascolta il pubblico, la sua reazione», ci viene detto. E così facciamo: facciamo partire la registrazione video e ci concentriamo su cosa sta succedendo in piazza. Le riprese sono ora trasmesse dalle telecamere fisse, Pidcock è vicino. Lo sguardo rimbalza veloce tra gli schermi e quell’angolo in penombra dalla quale spunterà la sua ruota. Si sente il pubblico applaudire dalle vie vicine, e quello in piazza scalpitare.

Tom Pidcock varca la soglia di Piazza del Campo: il boato. Il pubblico esplode in applausi e urla di incitamento: per tanti chilometri lo hanno seguito da solo nella sua impresa, ansiosi che qualcuno potesse raggiungerlo, ma allo stesso tempo desiderosi di vedere un piccolo gruppetto decidere la corsa davanti ai loro occhi, negli ultimi metri del percorso. Sui volti compaiono sorrisi spontanei, quelli che sanno di felicità. I volti dei corridori che arrivano sono stanchi, ma contenti: sembrano appena usciti da una vecchia foto, con i colori un po’ sbiaditi, ma è solo un po’ di polvere. 

Prendendo la macchina per rientrare, non c’è quella solita malinconia della consapevolezza che si è vissuta una giornata incredibile, ma che la parentesi si è ora chiusa. La Strade Bianche è destinata a lasciare un segno in chi la vive: non è solo ciclismo, sono emozioni.

Manico, genio, gambe: Pidcock doma la Strade Bianche

04.03.2023
6 min
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Dopo che ha vinto la Strade Bianche a questo modo, davanti a un pubblico straripante degno d’un Fiandre, chi glielo dice a Pidcock che dovrebbe mettersi a studiare da uomo dei Giri? Ci prova Ciro Scognamiglio, collega della Gazzetta e usa la parola “transizione”. Tom lo guarda, ci pensa e risponde.

«Non credo – dice – che sia giusto parlare di transizione, quanto piuttosto di sviluppo. E’ uno degli obiettivi miei e della squadra».

Nessun arrivo plateale per Pidcock a Piazza del Campo: meglio non correre rischi inutili
Nessun arrivo plateale per Pidcock a Piazza del Campo: meglio non correre rischi inutili

Zero calcoli

Sono le cinque passate. Il corridore della Ineos Grenadiers se ne è andato a quasi 50 chilometri dal traguardo, stabilendo la media record della corsa (40,636 km/h). Ha approfittato di un tratto di discesa. E lì, senza neppure forzare, ha lasciato andare la bici e si è ritrovato da solo. Calcoli zero, non si è nemmeno voltato. Ha tirato dritto e lo hanno rivisto al traguardo, mentre lui giocava a fare il Pogacar. Anche se, ammette, quando si è reso conto dei chilometri che ancora mancavano, si è chiesto se non avesse fatto una cavolata.

La concentrazione di ieri mattina e la poca voglia di parlare trovano immediatamente una spiegazione. Ora il britannico sta seduto nel tavolo della sala stampa e risponde alle domande, con la chiara sensazione che il flusso delle parole sia piuttosto frutto di un ragionamento interiore.

Discesa dopo il Monte Sante Marie, Pidcock molla i freni…
Discesa dopo il Monte Sante Marie, Pidcock molla i freni…
Ti serviva vincere qui per confermare di aver fatto bene a non difendere la maglia iridata del cross?

Penso che sia stato insolito il fatto di non andare a difenderla, ma il mio obiettivo è sempre statto vincere il mondiale di ciclocross, non difenderlo. Quest’anno ho cominciato con altri obiettivi. Vincere oggi ha solo confermato che ho fatto la scelta giusta.

Quando hai vinto il mondiale di cross, sei arrivato con la pancia sulla sella. Hai pensato di festeggiare anche oggi in modo strano?

No, oggi volevo essere certo di arrivare fin sul traguardo (ride, ndr).

Che cosa rappresenta per te la Strade Bianche?

Penso che sia la mia corsa preferita. Gli scenari. La gente. Il percorso che mi si addice molto. Gli ultimi 20 chilometri sono stati molto dolorosi, però me li sono goduti anche molto. L’ultima salita è stata un’apnea. E’ molto diverso fare uno sforzo di questo tipo dopo 180 chilometri, piuttosto che in una gara di cross.

Era previsto che attaccassi in discesa?

Ma io non ho attaccato (ride, ndr). L’ultima volta la corsa si era aperta dopo il Monte Sante Marie e così è stato anche oggi. Ci siamo ritrovati davanti con Bettiol e Bagioli e non ho fatto altro che lasciar andare la bici. Poi ho pensato di aver fatto una cosa stupida, soprattutto quando verso la fine della corsa il margine si riduceva.

Hai fatto come Pogacar, ci hai pensato?

Pensavo di aver fatto la stessa distanza di fuga, mi hanno detto che ho fatto un chilometro in più. Non era nei miei piani. Non sono Pogacar, lui è un riferimento. Però al via della corsa non ho mai pensato che lui e Van Aert non ci fossero. Io penso a quelli che ci sono, mai agli assenti.

Simmons cresce a vista d’occhio. Le sue progressioni nel finale hanno sfiancato gli inseguitori
Simmons cresce a vista d’occhio. Le sue progressioni nel finale hanno sfiancato gli inseguitori
Sai andare in discesa, vai forte in fuoristrada: credi che queste doti ti abbiano agevolato?

Specialmente nel primo settore di sterrato, mi sono accorto di quanto gli altri ragazzi non fossero comodi. Ecco, essere a proprio agio su certi terreni fa una bella differenza.

E’ la tua vittoria più bella?

No, forse le Olimpiadi in mountain bike sono state più importanti. La difesa del titolo olimpico infatti è una cosa a cui tengo molto.

Come ti sentivi stamattina al via?

Avevo la sensazione che stesse per succedere qualcosa di bello, una cosa che mi capita a volte sin da quando sono junior. Sono sensazioni, una forma mentale. Tutta questa settimana sono stato felice, oggi c’era tutto perché andasse bene.

Sulla salita finale di Santa Caterina delle scene da Fiandre: Siena era piena di tifosi
Sulla salita finale di Santa Caterina delle scene da Fiandre: Siena era piena di tifosi
Sembri più motivato dello scorso anno, è solo una sensazione?

No, è vero. Ho iniziato con una forma molto migliore, perché non fare il mondiale di cross mi ha permesso di lavorare meglio. In più nella squadra c’è un’ottima atmosfera, siamo un gruppo davvero diverso dallo scorso anno.

In cosa è diverso?

Siamo giovani e ambiziosi. Ciascuno tira fuori il meglio e spinge gli altri a farlo. C’è un’atmosfera positiva, molto diverso da quando sono arrivato in squadra.

L’obiettivo sono le classiche: riuscirai a tenere la forma?

E’ un lungo periodo, ma so che ora posso puntare a vincere corse con fiducia. Cercherò di mantenere questa forma, speriamo duri per il tempo necessario.

Tjesi Benoot e Attila Valter: questa volta la Jumbo Visma ha inseguito: all’arrivo sono 3° e 5°
Tjesi Benoot e Attila Valter: questa volta la Jumbo Visma ha inseguito: all’arrivo sono 3° e 5°
Abbiamo visto dei video che fanno pensare a un tuo attacco sul Poggio alla prossima Sanremo.

Il Poggio ha sicuramente una discesa importante e impegnativa. Ma spero che nessuno si aspetti che resti per 300 chilometri in gruppo per fare un attacco in quel punto. Non sarebbe la tattica migliore.

Pensi che questa corsa possa essere una prova Monumento?

Se me lo aveste chiesto prima che la vincessi, avrei detto che si poteva valutare. Ora che l’ho vinta, direi che lo merita senz’altro (ride, ndr).

Sul podio con Pidcock, Madouas e Benoot, vincitore a Siena nel 2018
Sul podio con Pidcock, Madouas e Benoot, vincitore a Siena nel 2018

Spiritoso. Nervoso. Parole brevi e frasi smozzicate. Questo è Tom Pidcock, campione olimpico della mountain bike, mondiale del cross e vincitore di un Giro d’Italia U23. Uno che in apparenza non ha ancora trovato i suoi limiti. Stasera non sa ancora come festeggerà. Ma di certo, qualunque sia il modo che sceglieranno Tosatto e i suoi ragazzi, sarà più che meritato.

Strade Bianche, Mohoric e Pidcock mirano Van der Poel

03.03.2023
6 min
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Mohoric sembra calmo al punto giusto. Le prime corse del Nord hanno detto che la gamba c’è e la Strade Bianche risveglia in lui lo spirito del guerriero. Domani ci sarà da combattere, andare forte in salita e anche mettere a frutto le proprie doti di guida. E se anche la corsa non sarà decisa da un reggisella telescopico come nell’ultima Sanremo, il confabulare fra lo sloveno e i suoi meccanici fa capire che sul fronte delle ruote alla Bahrain Victorious potrebbero avere l’asso nella manica.

Mohoric (in apertura con Simona Mazzoleni, addetta stampa del team) e il resto della squadra useranno le nuove ruote Vision con il canale più largo e tubeless da 28, che grazie alla larghezza del cerchio si potranno gonfiare presumibilmente a pressioni più basse.

Mohoric in forma

L’hotel Montaperti si trova più o meno a 25 chilometri dall’arrivo della Strade Bianche. Qui la corsa sarà quasi decisa e semmai ci saranno Colle Pinzuto e poi le Tolfe per dare un altro scossone, prima della resa dei conti sullo strappo finale. Il parcheggio è ricolmo di mezzi, fra pullman, camion, ammiraglie e biciclette. Sono così pigiati che mentre parli con De Marchi che intanto sistema la sella della sua Giant, ti arrivano addosso gli spruzzi di uno accanto che sta lavando il pullman.

«Sono in forma – dice Mohoricl’inverno è andato molto bene quest’anno. Non mi sono mai ammalato, quindi credo di essere pronto per le classiche. Le corse in Belgio hanno detto che la condizione c’è. Abbiamo fatto degli errori, come spesso succede, però quando le cose gireranno nel verso giusto, sono convinto che potremo vincere».

La Strade Bianche 2023 si corre sulla distanza di 184 chilometri
La Strade Bianche 2023 si corre sulla distanza di 184 chilometri

Mistero sulle pressioni

Ci si interroga sul meteo e sugli uomini. Van der Poel se ne sta rintanato fra i suoi compagni, sapendo di essere l’osservato speciale, mentre gli altri si chiedono come si possa farlo fuori, impedendogli di esplodere ancora una volta nell’ultimo muro, come gli riuscì alla grande nel 2021, con la stessa veemenza che a Hoogerheide gli ha fruttato l’ennesimo mondiale di cross.

«Gli uomini da battere – conferma Mohoric – sono Van der Poel, Alaphilippe e la Jumbo Visma con Tjesi Benoot e anche Attila Valter. E poi ci sono anche altri corridori che scopriremo dopo il Monte Sante Marie. Il punto è sempre quello. Noi abbiamo una squadra compatta, con uno spirito molto alto.

«La Strade Bianche – prosegue – è uno degli obiettivi di quest’anno. Il fondo è più duro e più compatto, visto che ha piovuto. Però ho visto che in alcuni tratti hanno buttato della sabbia nuova, quindi bisognerà fare attenzione, perché secondo me sarà più tecnico degli altri anni. In compenso, essendo così duro, credo che ci saranno meno forature rispetto a quando corremmo d’estate nell’anno del Covid. Scelte tecniche speciali? Forse un po’ la pressione (ride con lo sguardo acuto, ndr), ma semmai ne parliamo domattina». 

Pidcock super concentrato

Nel mazzo non ha messo Pidcock, forse perché non ci crede o forse perché lo ha dimenticato. Sta di fatto che quando stamattina siamo stati nell’hotel di Monteriggioni in cui alloggiano Ineos Grenadiers e anche la Jumbo Visma, il britannico è partito con l’espressione del viso contratta, nel segno della più grande concentrazione. Lo stesso addetto stampa sudafricano ha preferito rinviare ogni intervista per lasciarlo tranquillo. Con i ragazzi, che oggi hanno fatto appena una sgambata avendo ripassato ieri gli ultimi 100 chilometri di gara, è uscito anche Kurt Bogaerts, che di Pidcock è il preparatore, qualunque disciplina affronti.

«Abbiamo Kwiatkowski che ha vinto due Strade Bianche – ha detto Tosatto, prima di partire per l’allenamento – ma è certo che Tom sta bene. Sicuramente la squadra è incentrata su di lui, però abbiamo anche altre carte. Dipende tutto come si mette la corsa. Quello che ho detto loro è che sarà importante essere in tanti davanti dopo il Sante Marie, la salita che fa la differenza.

«Comincia tutto lì, perché la storia dimostra che questa corsa non si può prendere in mano prima di quel punto. Però si può perderla nei chilometri precedenti. L’anno scorso la grande caduta di Alaphilippe ha cambiato un po’ le carte sul tavolo…».

Pidcock e Kwiatkowski saranno gli unici nella squadra a usare pneumatici da 28, mentre gli altri andranno sul 30 e tutti con ruote Shimano C36. Quanto ai rapporti, ormai c’è sempre meno da giocare. Le aziende consegnano combinazioni piuttosto bloccate, sarà il caso di farsele andare bene.

Tricolore d’Australia

Nell’hotel Montaperti a un certo punto incontriamo Zana, campione italiano al debutto in Italia con la nuova maglia della Jayco-AlUla, che l’anno scorso alla Strade Bianche entrò nei primi venti.

«L’inizio stagione è stato difficile – dice il veneto che ha debuttato alla Ruta del Sol e ha fatto poi le due corse francesi – anche l’inverno è stato un po’ così, però adesso comincio a stare meglio e quindi voglio fare bene. Nelle prime corse ho messo un po’ di fatica nelle gambe, spero di riuscire a dare una mano alla squadra. Correre con la maglia tricolore è sempre bello, farlo in Italia è anche meglio. Domani sarà una grande giornata.

«Correre in una WorldTour cambia parecchio. Riesci a stare davanti e a risparmiare qualcosa, quindi nel finale riesci ad avere in tasca quell’euro che fa la differenza. Per il resto, mi trovo bene. Già dal ritiro, abbiamo cercato di creare un bel gruppo perché penso che faccia la differenza. Sono cambiati tanti corridori, siamo quasi partiti da zero. Dopo la Strade Bianche farò il Catalunya, speriamo davvero di trovare una bella gamba e andare sempre meglio».

L’impresa (impossibile?) di dirottare Pidcock sul Tour

12.02.2023
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Bernal non si sa quando e se tornerà ai livelli migliori. Osservandolo da vicino alla Vuelta a San Juan, la sensazione che il colombiano abbia ancora tanta strada da fare è stata piuttosto netta. Tuttavia, considerando il punto di partenza e il fatto che abbia davvero rischiato di non poter più nemmeno camminare, è superfluo dire che gli vada lasciato il tempo necessario per riallacciare tutti i fili. Nel frattempo però, cosa fa il team Ineos Grenadiers? Nel gruppo si dice che forse solo Pidcock, 23 anni, potrebbe essere all’altezza di un’investitura.

Lo squadrone dei 7 Tour, 3 Giri e una Vuelta negli ultimi 10 anni per la prima volta l’anno scorso è andato in bianco e l’assalto deciso al contratto di Evenepoel fa capire che perdere altro tempo non è una delle opzioni più gradite. Ma Lefevere sa scrivere i contratti cui tiene maggiormente, così Remco non si è mosso e forse non aveva neppure l’intenzione di farlo.

Sfogliando l’organico della squadra e i programmi stilati per il Giro ed il Tour, vedremo Geraint Thomas e probabilmente Arensman, al Giro mentre Bernal, Martinez e Pidock andranno al Tour. Della Vuelta parleranno poi.

Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione
Alla Vuelta a San Juan, Bernal ha iniziato a muovere i primi passi nella stagione

Pidcock e le distrazioni

Con Dario Cioni abbiamo provato a sbirciare nelle carte della squadra britannica, per capire quali considerazioni si facciano dietro le porte chiuse sui corridori che potenzialmente potrebbero diventare grandi nelle corse di tre settimane. Il punto di inizio è Pidock, per la sensazione che ci rimase addosso vedendogli dominare il Giro d’Italia U23 nel 2020.

«Tom – dice Cioni – è uno che se ci mette la testa, potrebbe far delle belle cose. E’ uno su cui si sta lavorando, ma è vero che dal suo punto di vista lui rimane quello un po’ eclettico che vuole far tutto. Stiamo studiando sul discorso dei Giri, quindi la vostra impressione è corretta.

«E’ uno che riesce a mentalizzarsi bene sul singolo appuntamento e comunque non rinuncia alle sue mille cose. Nel senso che continuerà a fare le varie altre cose, perché comunque questo fa parte del suo essere. Come scuola, siamo sempre stati favorevoli a non snaturare completamente le attitudini dei corridori, soprattutto se arrivano a un certo livello. Per cui il pistard continua a fare pista e nel caso di Tom ci sarà ancora la mountain bike. Senza scordarsi che da questo punto di vista, Ineos ha raddoppiato prendendo Pauline Ferrand Prevot. Comunque Grenadier è un prodotto offroad, quindi non è seguire un suo capriccio, perché alla fine lui è il campione olimpico».

I mondiali d’agosto

Il calendario di Pidcock diventa quindi centrale, alla luce delle necessità di chi corre preparando il Tour de France. In questo la coincidenza fortunata del mondiale in Scozia subito dopo il Tour sarebbe per Tom il lancio ideale.

«Il mondiale infatti – spiega Cioni – è il minore dei problemi, perché facendoli dopo il Tour, avrà piena libertà. In ogni caso, Pidcock avrà un calendario molto flessibile. L’anno scorso era partito con l’idea di fare il Giro, poi era finito al Tour. Quest’anno magari, mettendo più di enfasi sul discorso Tour, si può parlare di investimento sul futuro. Da quello che abbiamo visto nel 2022 pensiamo che possa avere buone possibilità anche nelle corse a tappe. Quindi se l’anno scorso era stato un primo approccio al Tour, quest’anno sarà più strutturato, ma accanto ci saranno comunque Bernal e Martinez».

Le dinamiche di squadra

Il problema di Pidcock è la sua ritrosia apparente di farsi ingabbiare nelle logiche di una sola specialità. Vince nel cross, pur avendo ammesso di non avere il livello di Van der Poel e Van Aert. Vince nella mountain bike, al suo attivo due mondiali e le ultime Olimpiadi. Sta imparando a vincere le classiche, con una Freccia del Brabante e il secondo posto all’Amstel. E l’anno scorso, al debutto nel Tour, ha vinto sull’Alpe d’Huez.

«Alla fine anche lui – dice Cioni con il necessario realismo – dovrà inserirsi nelle dinamiche della squadra. Lui va forte in salita, ma la crono sarà un elemento su cui lavorare. L’anno scorso è stata un po’ sottovalutata per i mille impegni. Però adesso, nell’ambito della sua crescita verso il Tour, è chiaro che acquisisca importanza. Alla fine però sono progetti lunghi, bisogna avere pazienza. Non puoi fare tutto in un colpo. Diciamo che la crono fa parte probabilmente del cammino per step che abbiamo impostato».

Thomas e Hayter

Accanto a Pidcock, la Ineos Grenadiers ha altri nomi su cui lavorare. Uno, Geraint Thomas, è quello più concreto, che per il 2023 – stimato come l’anno del ritiro – ha scelto il Giro d’Italia. Gli altri tre sono Leo Hayter, Geoghegan Hart e Arensman, di cui si parlava giusto ieri con Tosatto.

«Il piccolo Hayter – spiega Cioni – è uno su cui si può ragionare in chiave grandi Giri, ma diamogli tempo perché è appena arrivato, quindi non starei ora a mettergli pressione. Suo fratello invece è talentuoso, ma lo vedo più sul fronte delle classiche. E poi c’è Arensman, che è stato preso anche per questo. Al Giro abbiamo una garanzia come Geraint Thomas, che però in teoria è all’ultimo anno e anche questo devi tenerlo in considerazione. Il Giro è stato una sua scelta e noi tendenzialmente appoggiamo le scelte dei corridori, specialmente a quel livello. Poi gli altri magari proviamo a incastrarli nei vari progetti».

Pontoni, come te la saresti giocata con i 3 Tenori?

11.01.2023
4 min
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Le imprese di Van Aert sono ancora davanti ai nostri occhi, il suo fine settimana è stato esaltante al punto da rendere “umano” anche un altro gigante come Van Der Poel. Guardando l’ennesima sfida fra due dei padroni del ciclocross (senza dimenticare l’illustre assente Tom Pidcock) ci sono tornate alla mente immagini lontane, quelle delle imprese di Daniele Pontoni, ultimo azzurro campione del mondo (in apertura, immagine Wikipedia: mondiali dilettanti 1992 vinti dall’azzurro a Leeds, che poi si impose fra gli elite nel 1997 a Monaco). Quando il cittì correva, sul finire del secolo scorso, era sicuramente un altro ciclocross, ma che avrebbe fatto il friulano al cospetto di simili fuoriclasse?

Fare i paragoni fra epoche diverse è sempre impresa molto ardua, eppure questo piccolo gioco dialettico può anche fornire interessanti riferimenti su come affrontare i 3 Tenori senza sentirsi battuti in partenza come troppo spesso accade anche agli altri “mammasantissima” dell’attività sui prati.

Van Aert sulla sabbia, un terreno che a Pontoni è sempre risultato indigesto
Van Aert sulla sabbia, un terreno che a Pontoni è sempre risultato indigesto

Pontoni si presta volentieri al gioco, sottolineando comunque come tante cose siano cambiate nel corso del tempo: «Non prendo neanche in considerazione l’attrezzatura, mi limito a osservare come siano cambiati profondamente i percorsi rispetto ad allora. Una cosa va innanzitutto sottolineata: sul piano della forza non potrei minimamente competere con simili campioni. Quindi cercherei di giocare le mie carte puntando sui loro punti deboli, che sono sicuramente pochi».

Dove avresti avuto possibilità?

Sicuramente non sui percorsi sabbiosi che non ho mai digerito, proprio perché diventano questione fisica e io non avevo certamente la potenza dalla mia. A me piacevano molto i percorsi impegnativi e tecnici, quelli come Gavere dove infatti ho vinto due volte. Su simili percorsi sarei andato in gara con profondo rispetto per gli avversari ma senza paura, consapevole di poter fare la mia figura. A Zonhoven, teatro dell’ultima prova di Coppa, sarei partito già battuto.

Secondo il cittì azzurro Mathieu Van Der Poel paga una certa debolezza mentale
Secondo il cittì azzurro Mathieu Van Der Poel paga una certa debolezza mentale
Quali erano i percorsi dove ti trovavi meglio?

Quelli dove si “lavorava” di più, quelli cittadini da interpretare, anche i tracciati con fango e neve mi sono sempre piaciuti. Bisogna anche tenere in considerazione un altro aspetto: fossi nato in quest’epoca, avrei cambiato completamente tipologia di allenamento, anche questo va tenuto in considerazione.

Parlando di Van Der Poel, tu comunque hai affrontato tante volte suo padre. Che differenze ci sono?

Mathieu ha più potenza e classe, ma Adrie dalla sua aveva una caparbietà senza pari, non mollava mai. Invece ho l’impressione che il figlio viaggi a pieno ritmo finché le cose vanno bene, ma quando compaiono le avversità abbia la tendenza a cedere, innanzitutto mentalmente. Per me suo padre è stato un’ispirazione, mi ha aiutato nelle mie prime volte in Belgio e Olanda e poi è stato un fiero avversario, mi ha insegnato a non lasciarmi mai andare.

Tante le battaglie con Adrie Van Der Poel. L’olandese vinse il mondiale ’96 battendo proprio il friulano (foto Cor Vos)
Tante le battaglie con Adrie Van Der Poel. L’olandese vinse il mondiale ’96 battendo proprio il friulano (foto Cor Vos)
Non abbiamo finora parlato di Pidcock…

Devo dire che il britannico è forse quello più simile a me. In certe cose mi ci rivedo e proprio per questa caratteristica sarebbe stato il più difficile da affrontare per me, perché non avrei saputo come prenderlo. La differenza principale con lui è che è molto dedito allo spettacolo, io ero più concreto. Non m’interessava molto l’aspetto esibizionistico, pensavo a portare a casa il massimo risultato con il minimo sforzo.

In base a quel che hai visto a Zonhoven, c’è davvero una forte differenza a favore di Van Aert in questo momento?

I risultati parlano chiaro. Da quel che si è visto a Zonhoven, c’è davvero una grande differenza: Van Aert ha dimostrato di essere ampiamente sopra tutti. Quando i distacchi sono così pesanti non puoi accampare scuse, ma questo non significa che il mondiale lo abbia già vinto. Si corre a Hoogerheide, percorso completamente diverso e soprattutto si corre in casa di Van Der Poel. Il pubblico influisce molto, può dare una carica ulteriore al campione olandese. E’ tutto da giocare.

Pidcock è quello che più assomiglia a Pontoni, fisicamente e anche tecnicamente
Pidcock è quello che più assomiglia a Pontoni, fisicamente e anche tecnicamente
E in casa italiana? Gli ultimi risultati non sono stati forse all’altezza delle aspettative, sei sempre ottimista?

Per le categorie dove potremo accampare possibilità di podio sì, devo esserlo soprattutto con l’avvicinarsi dell’evento. Ribadisco, Zonhoven era un percorso completamente diverso da quello che troveremo nella corsa iridata. Io continuo ad avere buone sensazioni, dobbiamo però continuare a lavorare sodo.

Quella caduta di Pidcock all’esame di Franzoi

07.01.2023
4 min
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La caduta di Tom Pidcock all’X2O Trophee Baal merita di essere approfondita. E vista la particolarità, oltre alla spettacolarità, di quel capitombolo per farlo serve un occhio critico. Un occhio di spessore come quello di Enrico Franzoi, grande ex del ciclocorss italiano e non solo.

Riavvolgiamo il nastro per un momento. Siamo a Baal e il campione del mondo guida saldamente la corsa, quando su una serie di gobbe, piuttosto veloci, perde il controllo della bici e addirittura rovina fuori dalle transenne.

Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano
Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano

Concentrazione giù

Come mai quindi è caduto Pidcock? Come si può spiegare la dinamica? Lui è veloce e nella gobba prima aveva messo di traverso la bici, ma tutto sommato su quella gobba sembrava tutto normale.

«Vedendola da fuori – dice Franzoi – sembra una caduta banale con effetti molto importanti. Una caduta avvenuta in un momento in cui stava controllando il suo vantaggio. A mio avviso c’è stato un calo di concentrazione».

Per Franzoi alla base di questo incidente c’è in primis una questione di concentrazione, di tensione agonistica venuta meno. In effetti si era all’ultima tornata e Pidcock era saldamente in testa.

Velocità alta

In quel punto, come tutti gli altri del resto, Tom ci era già passato più volte, dunque conosceva il fondo e le velocità con cui si affrontava.

«Sempre dalle immagini – va avanti Franzoi – sembra che dopo l’atterraggio finisca in una canalina e si sbilanci nel momento della decompressione. Lì perde l’equilibrio. Ma, ripeto, mi sembra più una sua leggerezza. A volte è capitato anche a me di scivolare quando ero in testa perché mi deconcentravo.

«Riguardo alla velocità, io conosco quel percorso e quel punto, ma ai miei tempi le gobbe non c’erano. La velocità però era alta, si tratta di una bella discesa che un po’ tende a portare in fuori.

«E poi – riprende Franzoi – essendo il percorso asciutto non è che cambiasse così tanto (come a dire che non c’è neanche questa giustificazione, ndr) e questo mi fa pensare ancora di più al fatto della distrazione. Magari essendo così avanti si è rilassato, ma di scivolare poteva succedergli anche in una normale curva prima o dopo quel punto».

Pidcock tecnica
Pidcock è un vero funambolo in bici e poco importa che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta
Pidcock tecnica
Pidcock è un funambolo in bici: che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta

Nessuna “bikerata”

Pidcock sa guidare bene, molto bene. Troppo bene secondo alcuni. In molti hanno detto che il folletto della Ineos-Grenadiers abbia pagato le sue “whippate”, cioè quelle messe di traverso della bici per dare spettacolo, qualcosa che i biker fanno spesso. E sappiamo che più volte Tom si è dichiarato “biker inside”.

Però a rivedere bene le immagini lui non cade quando whippa, ma sul dosso successivo, quando sembra essersi rimesso in assetto standard.

E infatti lui stesso ha detto che la caduta è stata stupida non tanto per le whippate, ma perché voleva fare forte l’ultimo giro e di essere andato volutamente forte in un punto veloce che sapeva essere pericoloso.

«Per uno del suo calibro – conclude Franzoi – fare certe cose è del tutto normale. Non rischia, ha controllo totale della bici. Anzi, per me è stato anche bravo a limitare i danni!».

Il Natale dei tre tenori. E’ stato spettacolo puro

27.12.2022
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Il ciclocross sta vivendo giorni magici. Durante le festività natalizie, quando quasi tutto lo sport si ferma salvo poche discipline invernali e in attesa della ripresa di quasi tutti i campionati calcistici dopo la sbornia mondiale, l’attività sui prati è diventata l’evento sportivo di punta, grazie alle ripetute sfide fra i 3 tenori. Come ci si aspettava, il loro ingresso nel panorama internazionale ha cambiato del tutto le gerarchie: Van Der Poel, Van Aert e Pidcock fanno gara a sé (salvo rari casi come a Vermiglio) elevando al massimo l’aspetto tecnico ma anche l’incertezza su ogni prova.

A Gavere Van Der Poel ha stroncato Van Aert nel penultimo giro
A Gavere Van Der Poel ha stroncato Van Aert nel penultimo giro

Van der Poel-Van Aert, per ora 2-2

La particolarità delle sfide di quest’anno è che sono sempre incerte, non c’è una netta supremazia. Lo scorso anno ad esempio, complici i problemi alla schiena di Van Der Poel, Van Aert aveva fatto il bello e il cattivo tempo e la sua assenza ai mondiali aveva di fatto spianato la strada a Pidcock verso la maglia iridata. Quest’anno invece gli esiti sono impronosticabili: ad Anversa (Coppa del mondo), VDP aveva messo in fila tutti, a Mol (Exact Cross) Van Aert si è preso la sua rivincita, a Gavere (ancora Coppa), nuovo successo per l’olandese. Oggi a Zolder gara epica per il Superprestige, con i due Van che se le sono date di santa ragione.

La sfida di Zolder (una delle classiche più ambite nel ciclocross) ha visto i due fare la differenza fin dal primo giro e poi giocare di fine strategia: Van Der Poel provava spesso in discesa, ma Van Aert ha mostrato nel complesso una guida più pulita. Nell’ultima decisiva tornata l’olandese ha provato a stroncare l’avversario, ma quand’era nel massimo sforzo ha sbagliato ad affrontare l’ultima salita, permettendo a Van Aert di ritornargli sotto. VDP lo ha lasciato davanti per lanciare la volata, ma nel momento in cui doveva rispondere gli è saltato il pedale destro e la corsa si è chiusa col successo del padrone di casa.

24 ore dopo il belga si è preso la rivincita anche grazie a qualche errore di VDP
24 ore dopo il belga si è preso la rivincita anche grazie a qualche errore di VDP

VDP: il problema della tenuta

Dietro queste continue sfide si consuma un profondo confronto tecnico, ma anche psicologico, retaggio ma anche anticipo di quel che sarà la stagione su strada. La vittoria di Van Aert a Mol, ad esempio, aveva profondamente scosso Van Der Poel anche per com’era arrivata, con il belga in fuga dalle battute iniziali e gli altri due protagonisti a inseguirlo, cercando anche di aiutarsi, senza successo.

«Non so davvero come spiegarmi questa differenza di rendimento – aveva raccontato subito dopo la gara – spero di avere gambe migliori per offrire più resistenza, altrimenti sarò sempre dietro a Van Aert».

A Gavere, nella giornata di Santo Stefano, le cose sono andate diversamente perché il campione della Jumbo Visma non è riuscito a fare la differenza nella prima parte, così al quinto dei sei giri previsti Van Der Poel ha portato la sua offensiva andando a vincere con 27” sul belga e 54” su Pidcock. A differenza del rivale, però, Van Aert ha guardato il tutto dalla parte del bicchiere mezzo pieno: «Per me è un risultato che vale perché la percezione che avevo era che stavo commettendo molti errori, invece ero in linea con gli altri e aver perso di pochi secondi mi soddisfa».

Per Pidcock buoni risultati, ma deve migliorare nella fase di lancio
Per Pidcock buoni risultati, ma deve migliorare nella fase di lancio

Pidcock e le partenze rallentate

A dimostrazione che la realtà dipende sempre da che prospettiva si guarda, le dichiarazioni di Pidcock sono state ben diverse, a dispetto del fatto che era comunque in contatto con i rivali.

«Ho avuto per tutta la gara una strana sensazione di pesantezza, come se stessi portando una macchina sulle spalle. Non direi fosse colpa del mezzo meccanico, erano le gambe che erano a terra».

E considerando che comunque è stato l’unico a rimanere a contatto degli altri due “mostri”, significa che la differenza fra i tre è minima.

Questo sempre se Tom riesce a partire forte: si è visto anche a Zolder (percorso con i suoi lunghi rettilinei non molto favorevole alle sue caratteristiche fisiche), la gara del Superprestige dove il britannico è partito troppo piano pur essendo in prima fila, è rimasto intruppato nel gruppo e quando ha completato la rimonta sugli altri, i due erano ormai troppo lontani.

Van Aert vincitore a Mol, primo successo stagionale sul rivale olandese
Van Aert vincitore a Mol, primo successo stagionale sul rivale olandese

Ogni volta due corse in una

D’altronde ci sono anche altri fattori che fanno pensare come il campione del mondo fosse davvero vicino ai rivali “più anziani”. A Mol ad esempio Pidcock aveva provato a far saltare il banco con un attacco da lontano, costringendo di fatto i due rivali a inseguire dandosi obtorto collo un aiuto per ricucire lo strappo e solo per questo ci erano riusciti, con Van Aert che alla fine portò l’affondo decisivo. Pidcock resta comunque all’altezza degli altri due, unico altro ammesso nell’olimpo.

Prendiamo Gavere: abbiamo detto dei distacchi contenuti di Van Aert e Pidcock nei confronti di Van Der Poel, ma per vedere l’arrivo degli altri c’è stato da attendere molto di più. Finora le gare con tutti i tre tenori presenti hanno visto il podio monopolizzato, salvo nel caso di Anversa quando Pidcock finì ottavo e di Zolder dove Van Der Haar è riuscito a precedere il britannico. La sensazione è che ormai le gare abbiamo sempre due facce: c’è chi lotta per la vittoria parziale e chi compete per le classifiche dei circuiti. In Coppa ad esempio Sweeck e Vanthourenhout si contendono il trofeo di cristallo a suon di punti, lo stesso avviene nel Superprestige fra lo stesso Sweeck e Van Der Haar.

Il podio di Gavere con i tre tenori racchiusi nello spazio di un minuto
Il podio di Gavere con i tre tenori racchiusi nello spazio di un minuto

Due parole (buone) su Iserbyt

Iserbyt da parte sua sconta una stagione sfortunata, nella quale al momento dell’ingresso in campo dei grandi, ha scontato l’ennesimo dei brutti infortuni che sembrano contraddistinguere la sua carriera. Quando vinceva e lottava con gli altri, molti lo criticavano sui social. Nessuno però ha levato una parola sul fatto che Iserbyt sta provando a rimanere nel giro, a competere per la vittoria nelle challenge pur a fronte di un fisico che mostra la corda (oggi 11° a 1’58” da Van Aert), tanto è vero che fa fatica addirittura a camminare, eppure continua a pedalare e non proprio piano…

Van Aert padrone anche quando le cose vanno male…

12.12.2022
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Quando si parla di ciclocross internazionale, si potrebbe quasi riportare tutto ai poemi epici dell’antica Grecia, alle storie fatte di esseri umani e semidei e se neanche un incidente meccanico riesce a frenare la corsa di uno di questi semidei verso la vittoria (nello specifico Wout Van Aert) sembra quasi che per gli esseri umani (quasi tutti gli altri) non ci sia speranza…

La storia della tappa irlandese di Coppa del Mondo in una Dublino fredda ma entusiasta con oltre 8.000 presenti ai bordi del circuito vive soprattutto su un episodio. Eravamo nella seconda metà gara e ormai la prova si era andata delineando. L’assenza di Mathieu Van Der Poel vincitore delle ultime due tappe e provvisoriamente assente dai campi di ciclocross perché impegnato nel primo ritiro prestagionale dell’Alpecin Deceuninck, aveva un po’ scombinato le carte. Nessuno aveva preso l’iniziativa, così a giocarsi apparentemente la vittoria erano in 6. Apparentemente perché fra loro c’erano i due Tenori rimasti, Van Aert appunto e Pidcock.

Il podio finale con Van Aert primo con 14″ su Sweeck e 17″ su Pidcock. Sweeck sale in testa alla classifica (foto Uci)
Il podio finale con Van Aert primo con 14″ su Sweeck e 17″ su Pidcock. Sweeck sale in testa alla classifica (foto Uci)

L’asciugamano maledetto

Passando davanti ai box, Van Aert si faceva consegnare un asciugamano per ripulirsi dal fango imperante sul percorso, dopo che il ghiaccio della mattina si era sciolto con il susseguirsi dei passaggi.

Inavvertitamente, l’asciugamano (che Van Aert mostra nella foto di apertura) gli sfuggiva dalle mani andando a incastrarsi nel deragliatore posteriore. La bici era inutilizzabile, per fortuna del belga però la zona dei box era ancora vicina e allora via di corsa per raggiungere la postazione e prendere l’altra bici. Questa almeno la buona sorte evidenziata da molti addetti ai lavori, ma ci sono altri due motivi alla base della sua vittoria.

Per Van Aert quella di Dublino è la prima vittoria stagionale in Coppa, alla sua seconda gara
Per Van Aert quella di Dublino è la prima vittoria stagionale in Coppa, alla sua seconda gara

La bici appena pulita

Il primo è legato proprio alla bici: a dispetto del fango, Van Aert non aveva cambiato il suo mezzo in quel passaggio, non reputando la propria bici ancora eccessivamente intrisa di fango, così ha potuto inforcare l’altro modello perfettamente ripulito dai meccanici. Il secondo fattore è invece legato al comportamento degli avversari, che si sono guardati bene dall’attaccarlo. Si dirà: è stato un gesto di rispetto, ma questa regola può valere per la strada, nel ciclocross “mors tua, vita mea”, è sempre stato così. Il fatto è che i corridori hanno ormai un “inferiority complex” nei suoi confronti e non si avventurano a sfidarlo anche quando potrebbero farlo.

Nell’occasione il belga, al suo primo centro stagionale in Coppa, ha dato sfoggio di tutta la sua esperienza: «Sono rimasto calmo, davanti non erano pronti ad attaccare e ho pensato a fare tutto nel migliore dei modi. Nel cross la calma è fondamentale, tutto può cambiare da un momento all’altro».
L’inconveniente è costato nel complesso 16” a Van Aert che non ci ha messo poi tanto a recuperare sugli avversari e poi, su un tratto sabbioso, ha dato l’accelerata rivelatasi decisiva. L’unico che ha provato a tenere il passo è stato Sweeck, a caccia del simbolo del primato: «Ho avuto le p… per provare a rispondergli” affermava senza mezzi termini al traguardo, soddisfatto della sua seconda piazza a 14”.

Oltre 8.000 i presenti a Dublino, dato rarissimo fuori dal Belgio (foto Eurosport)
Oltre 8.000 i presenti a Dublino, dato rarissimo fuori dal Belgio (foto Eurosport)

Eppure ancora troppi errori…

Da buon perfezionista, Van Aert ha accolto la vittoria senza troppa enfasi, guardando soprattutto a quel che non è andato e leggendo bene le sue parole, sembra di risentire il suo grande rivale Van Der Poel dopo le sue prime vittorie: «Non è andato tutto liscio: nella prima parte ho faticato a riagganciarmi ai primi, sono anche caduto in un passaggio e nel complesso della gara gli errori tecnici sono stati tanti. Il fango era davvero tantissimo e ci ha messo in difficoltà».

E l’altro tenore? Tom Pidcock ci teneva tantissimo alla gara irlandese e alla fine il terzo posto finale a 17” lo ha soddisfatto: «E’ stata una gara strana, nella quale mi sono accorto di andare sempre allo stesso ritmo, seppur sostenuto, ma quando Van Aert ha fatto la differenza non ne avevo per rispondergli. Il gruppo nella prima parte era numeroso e non c’era davvero un punto dove poter fare la differenza. Devo dire però che sarei stato molto deluso se alla fine non fossi riuscito a salire sul podio. Il terzo posto in queste condizioni era il massimo che potessi fare».

Per Pidcock un terzo posto buono nella tappa a cui teneva di più
Per Pidcock un terzo posto buono nella tappa a cui teneva di più

Difesa iridata? No, ma…

Pur in una gara che non è proprio andata come sperava, Pidcock ha aperto un piccolissimo spiraglio alla sua difesa della maglia iridata, d’altronde a ogni gara è sempre quella la domanda che i giornalisti gli rivolgono: «Probabilmente non ci sarò, ma non sono proprio sicuro. In fin dei conti non è neanche un problema che mi assilla, io voglio godermi una stagione di ciclocross ad alto livello, ma pensando alla strada». Sarà davvero difficile vederlo in gara a Hoogerheide il 5 febbraio, ma come ha detto Van Aert le cose nel ciclocross possono sempre cambiare…

Stregato dal Tour, Pidcock fa rotta (decisa) sulla strada

07.12.2022
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«Non ho il peso e la stessa potenza di quei due – dice Pidcock ammiccando all’indirizzo di Van Aert e Van der Poel – è difficile batterli in gare scorrevoli come le ultime. In più sto cominciando a spostare la mia attenzione sulle corse a tappe. Questo mi aiuterà in salita su strada, meno nel cross. Nonostante ciò, continuerò a provarci e la maglia iridata mi aiuterà a restare concentrato».

Il più piccolo dei tre tenori pesa solo 58 chili e a ben pensarci la sua è davvero la sfida di Davide contro due Golia. Nonostante ciò, andate a trovarlo uno che nel giro di un anno e mezzo ha vinto le Olimpiadi di mountain bike, il mondiale di ciclocross, la tappa dell’Alpe d’Huez al Tour de France e gli europei di mountain bike ad agosto. Pidcock ha 23 anni, Van Aert ne ha 28 e pesa 78 chili, Van der Poel 27 e ne pesa 75.

«Passare sull’Alpe d’Huez – ha detto Pidcock – è stato come attraversare di continuo un muro di suoni»
«Passare sull’Alpe d’Huez – ha detto Pidcock – è stato come attraversare di continuo un muro di suoni»
Andate bene le vacanze?

Sono andato con Bethany negli Stati Uniti, lontano dalle corse e dall’iPhone. Ho fatto tutte le cose che normalmente non posso fare. Uscire, mangiare bene. L’anno scorso non ho toccato una bicicletta per tre settimane e mezzo ed ero annoiato a morte. Questa volta invece sono stato davvero bene. Siamo andati anche con lo zaino e la tenda sulle montagne di Andorra. E’ stato davvero rigenerante.

Quando hai ricominciato ad allenarti?

In modo specifico a metà ottobre. Ho iniziato a preparare il cross dopo la vacanza in California. Laggiù ho fatto qualche giretto, ma senza intensità. Era solo un esercizio per giocare e tenersi in forma.

Al Tour of Britain per Pidcock due podi di tappa e il secondo posto finale
Al Tour of Britain per Pidcock due podi di tappa e il secondo posto finale
Sei riuscito a seguire qualche cross? Ad esempio l’europeo di Namur?

Non ho visto molte gare, ma quella sì. Mi piace Namur e piace anche a Michael Vanthourenhout che lì aveva vinto anche la Coppa del mondo e non a caso. Questa volta è stato semplicemente impressionante. Visto come andava negli ultimi giri? E’ stato super eccitante e non ha commesso un solo errore. Invece Iserbyt… Con lui non si sa mai, dipende da che parte del letto si alza.

Adesso è tempo del duello con gli altri due, ma il 25 febbraio ci sarà il primo scontro su strada alla Omloop Het Nieuwsblad. Come si fa a gestire la condizione?

La stagione su strada per me è molto più importante, anche quest’anno mi sento così. Per cui non so se arriverò fino al mondiale cross di Hoogerheide a casa di Van der Poel. Il 5 febbraio è molto avanti. E se raggiungi il massimo per quel giorno e poi ti devi preparare per le classiche…

Tifosi di Pidcock al Tour of Britain. E se fosse lui il prossimo uomo Ineos per il Tour?
Tifosi di Pidcock al Tour of Britain. E se fosse lui il prossimo uomo Ineos per il Tour?
Pensi che lascerai il cross?

Sto pensando di continuare a farlo, un massimo di dieci o quindici corse. Penso che sia utile anche mentalmente. La testa fa tanto. Ho chiuso su strada ai primi di settembre, stanco soprattutto di testa. Ho saltato il mondiale di Mtb per una caduta. Avrei voluto smettere lì, invece sono andato al Tour of Britain e alla fine sono arrivato secondo. Ma concentrarsi sul mondiale strada dopo la batosta di Les Gets non era alla mia portata e mi sono fermato.

Perché la strada è più importante del cross?

Nel 2023 voglio mettermi alla prova nelle classiche di primavera. Voglio vincere. L’anno scorso ho giocato un ruolo importante nelle vittorie della squadra. Kwiatkowski ha vinto l’Amstel Gold Race, Sheffield il Brabante. Abbiamo corso in modo fantastico, anche se le cose non sono andate come avrei voluto. Rispetto a Jumbo Visma e Quick-Step, abbiamo una squadra giovane e con meno esperienza, ma possiamo infilarci fra loro.

Agli europei di Monaco, per Pidcock il titolo continentale della mountain bike, dopo l’oro olimpico
Agli europei di Monaco, per Pidcock il titolo continentale della mountain bike, dopo l’oro olimpico
Cosa ricordi del primo Tour?

Un’esperienza fantastica. L’Alpe è stato come attraversare continuamente un muro di suoni. Da bambino pensavo che non ci fosse un vero divertimento in una corsa del genere, che erano solo tre settimane di stress. Ora posso dire che il Tour è stato la gara migliore che abbia mai corso. Per la velocità e l’intensità. Per capire quanto sia difficile, devi prima averne corso uno. Se dipendesse solo da me, farei il Tour ogni anno. Mi piacerebbe essere di nuovo lì la prossima estate. Ora so cosa aspettarmi. Con una preparazione un po’ migliore, può diventare un’altra esperienza. Non vincerò il Tour, ma forse tra qualche anno potrò giocarmelo.

Ai mondiali di Glasgow ci sarà la prova su strada il 6 agosto e la mountain bike il 12. Come si fa?

Mi piacerebbe esserci, almeno nel cross country. Anche se la scorsa estate mi ha insegnato che non è facile passare dalla strada alla mountain bike, mi piacerebbe conquistare una buona posizione di partenza per Parigi 2024. Voglio difendere il mio titolo olimpico.