Problemi al soprasella, la parola al dottor Guardascione

20.01.2023
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I problemi al soprasella “fanno parte del ciclismo”. Combattere i fastidi che si creano in una zona così delicata è importante e al tempo stesso è una lotta continua. Lo è per gli atleti, ma anche per gli staff medici, lo è per chi applica dei concetti di anatomia alla bicicletta e anche per il mondo cosmetico legato allo sport.

Affrontiamo l’argomento con il dottor Carlo Guardascione, da 34 anni nel ciclismo e ora medico del Team Bike Exchange-Jayco. Inoltre abbiamo chiesto anche ad Hibros, azienda italiana leader nel settore cosmetico e cosmetico sportivo.

Il dottor Carlo Guardascione (foto Jayco-Alula/Sprintcycling)
Il dottor Carlo Guardascione (foto Jayco-Alula/Sprintcycling)
Quali sono i problemi più noti del soprasella?

La zona del soprasella è di natura un punto molto delicato, lo è per gli uomini e per le donne e tutti i problemi che sorgono hanno origine per diversi motivi. E mai per caso. Dobbiamo partire dal presupposto che le infezioni, per un ciclista e non solo, sono quotidiane. Magari è un problema anatomico legato ad una interfaccia non ottimale tra la sella e le caratteristiche dell’atleta. Può essere metabolico che nasce da un Ph troppo acido, oppure un’igiene non corretta. Un piccolo foruncolo può diventare più grande, fino a rimanere una ferita aperta, se non addirittura una ciste che deve essere rimossa chirurgicamente. Nella zona del soprasella si generano delle frizioni continue e la prevenzione fa la differenza.

E’ possibile prevenire?

Prevenire è fondamentale, una sorta di parola d’ordine. Rispetto ad anni addietro è stata risolta la stragrande maggioranza delle problematiche anatomiche, perché ci sono tante selle in commercio e proprio gli studi di anatomia hanno fatto passi da gigante. Ma la stessa cultura dell’igiene e della prevenzione in generale sono cambiate. Inoltre dobbiamo capire che sulla nostra pelle vivono dei batteri, è la normalità e tutto è un equilibrio.

Una sella adeguata per anatomia è fondamentale
Una sella adeguata per anatomia è fondamentale
Quali sono gli accorgimenti che fanno la differenza?

L’utilizzo di creme specifiche è importante e oggi ne abbiamo di ottime in commercio. Utilizzare la sella con un design che si adatta il più possibile alle nostre caratteristiche anatomiche è uno dei primissimi fattori da considerare. Non mi riferisco solo a quelle con lo scarico prostatico. Il terzo punto è l’igiene personale, che deve essere scrupolosa e riferita anche al lavaggio degli indumenti, tramite dei battericidi. Dopo la doccia sarebbe una buona soluzione passare del disinfettante nelle zone soggette alle frizioni delle quali abbiamo accennato in precedenza. Il Betadine ad esempio, applicato ad un semplice dischetto di cotone. Ricopre un ruolo importantissimo l’idratazione. Non in ultimo il fondello della salopette, considerando che anche in questo caso la tecnologia ha fatto passi da gigante e ne troviamo di ogni categoria e forma.

L’alimentazione e l’idratazione influiscono sui problemi al soprasella?

Più che altro l’idratazione. Entra in gioco anche una certa soggettività e predisposizione dell’individuo ad avere il Ph acido. E’ fondamentale alcalinizzare con integratori, sali minerali e bere. E’ da considerare anche l’età dell’atleta. Quelli più giovani hanno delle elevate percentuali di testosterone, ormone che influisce su tanti aspetti, tra questi anche la sudorazione e l’acidità di quest’ultima. L’aumento del calore e della sudorazione fanno perdere l’equilibrio con gli stafilococchi e batteri della cute, si attivano degli stati infiammatori che sono da controllare. Se un giovane corridore si trova con una follicolite non è un caso e non deve trascurarla.

Il pavé, una situazione non semplice da affrontare
Il pavé, una situazione non semplice da affrontare
Influisce la provenienza del corridore?

Sì certo, perché le abitudini alimentari e lo stile di vita influiscono in modo esponenziale. Ad esempio con i tanti corridori di matrice anglosassone che hanno letteralmente invaso il ciclismo. Ci hanno portato molto nei termini di organizzazione e metodica, aspetti decisamente positivi, ma noi gli abbiamo insegnato a mangiare e a comportarsi a tavola. Non è banale questo fattore perché influisce sul nostro corpo. Una migliore nutrizione significa anche meno problemi sotto tutti i punti di vista.

Si possono prevenire i problemi che sorgono quando si affrontano tratti di pavé e fuoristrada?

In queste situazioni così particolari la prevenzione è prima di tutto meccanica e tecnologica. Ovvero a partire dagli pneumatici, fino ad arrivare ai modelli di biciclette specifiche. Di sicuro siamo al limite dello stress della zona perianale e più che contribuire alla formazione di foruncoli, si attiva facilmente un processo di ematuria. Consiste in tracce di sangue nelle urine, che di solito si esaurisce e si risolve nella notte successiva, senza lasciare strascichi.

La scelta del fondello che meglio si adatta all’anatomia dell’atleta è di certo un passaggio cruciale
La scelta del fondello che meglio si adatta all’anatomia dell’atleta è di certo un passaggio cruciale
Cosa si rischia se non viene dato il giusto peso a questi problemi?

Si può arrivare all’intervento chirurgico che obbliga ad uno stop prolungato e tempi di guarigione dilatati nel tempo. Le problematiche della cute nella zona del soprasella non vanno sottovalutate. In molti casi sono sufficienti una paio di giorni di riposo per far si che la pelle si ripristini.

Uno sguardo alle creme

Francesco Nadalini, del laboratorio chimico Hibros, ci apre la porta su prodotti che svolgono una duplice funzione: cura e prevenzione.

Le creme Hibros sono fra le più diffuse per questo tipo di prevenzione
Le creme Hibros sono fra le più diffuse per questo tipo di prevenzione

«La nostra azienda – dice – non ha il solo obiettivo dell’attività commerciale. Hibros ha una lunghissima storia nel settore cosmetico, da oltre un secolo. Le formule delle nostre creme hanno una duplice azione: proteggono durante la prestazione, evitando le irritazioni da attrito, e leniscono la pelle. Le creme soprasella offrono un’azione completa. Possono essere applicate anche dopo la doccia, oppure prima di andare a letto e non solo per l’uscita in bicicletta. Creano un film protettivo a lunga durata, grazie ad una combinazione ottimale dei principi attivi dell’ossido di zinco, bisabololo ed estratti della calendula, arnica e artiglio del diavolo. Inoltre le creme devono favorire un’azione riepitelizzante, grazie alla presenza di allantoina, pantenolo e vitamina E. Tutti i cosmetici devono essere dermatologicamente testati».

Konychev chiude il libro Bike Exchange: ora la Corratec

19.12.2022
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Alexander Konychev è volato lontano dal freddo e dalla pioggia e forse anche un po’ dai pensieri di questo inizio di stagione. Il ragazzone italiano dal cognome russo si trova a Palma de Mallorca per assaggiare un po’ di sole e preparare la nuova stagione. Lui è uno dei nuovi nomi del team Corratec, la neo professional che lavora in grande per scalare presto le classifiche. 

Konychev esce dal WorldTour, è il secondo corridore della Corratec che arriva direttamente dal mondo dei big. Gli ultimi tre anni li ha corsi alla Bike Exchange e, tra sfortune e mancate occasioni, le strade ora si sono separate. 

Konychev è entrato nel professionismo con la Mitchelton Scott nel 2020
Konychev è entrato nel professionismo con la Mitchelton Scott nel 2020
Che cosa ti ha portato alla Corratec?

Ho saputo abbastanza tardi che non sarei rimasto alla Bike Exchange – racconta Konychev – e mi sono guardato un po’ in giro. C’era questo progetto, si tratta di una squadra italiana, giovane. Mi sembrava una buona opportunità per rilanciarmi. 

Con chi hai parlato?

Del progetto ho parlato spesso con Claudio Lastrucci, è una figura molto vicina alla squadra e sono stato suo corridore alla Hopplà-Petroli Firenze. Mi ha consigliato lui di ripartire da qui. 

Che anni sono stati quelli alla Bike Exchange?

Particolari. Nel 2020 il Covid ha rallentato tutto e non ho avuto opportunità di fare molte gare. Nonostante questo negli anni successivi ho potuto vedere dall’interno tante corse importanti, come le Classiche del Nord o la Sanremo. Ho imparato cosa vuol dire fare questo genere di gare e farlo accanto a uomini importanti

Il classe 1998 si è messo molte volte a disposizione dei compagni di squadra
Il classe 1998 si è messo molte volte a disposizione dei compagni di squadra
Cosa ti è mancato allora?

Direi un po’ di continuità nella preparazione, ho avuto parecchi intoppi, come il doppio Covid nel 2021. Poi la stagione scorsa è arrivata la storia dei punti e lo spazio per mettersi in mostra si è sempre più assottigliato. A livello mentale la libertà di fare risultato mi è un po’ mancata, non è semplice. 

Sei passato pro’ a 22 anni, dopo che hai iniziato a correre da junior, non è stato un salto prematuro?

Mah non penso. Magari se avessi avuto qualche occasione in più avrei capito fin dove spingermi al posto che fare da gregario. In futuro cambierà qualcosa, un dettaglio sul quale voglio concentrarmi maggiormente sono le cronometro, negli ultimi anni non ne ho fatte molte. E’ vero anche che le crono si trovano nelle corse a tappe e io non ne ho corse molte. 

Con la continental della Qhubeka stavi facendo bene, un anno in più con loro non ti sarebbe servito?

Mi si è presentata l’occasione del WorldTour e l’ho colta, alla Bike Exchange devo molto. Il livello di gare tra dilettante e WorldTour è estremamente diverso, confermarsi tra i professionisti è sempre difficile. Di vittorie importanti tra i dilettanti ne ho ottenuta una sola, alla Etoile d’Or, a mio avviso quello del professionismo era un passo necessario. 

Konychev ha visto da vicino il mondo delle Classiche ma senza aver l’occasione di mettersi in luce
Konychev ha visto da vicino il mondo delle Classiche ma senza aver l’occasione di mettersi in luce
Forse sarebbe servito un passaggio intermedio, una professional, come la Corratec ora.

Arrivare in una squadra italiana con una mentalità italiana è sempre bello. Il rapporto con i corridori e con lo staff sarà sicuramente più forte. In una realtà più piccola come questa sarà anche più semplice essere seguiti e sentire la fiducia.

Una WorldTour australiana era troppo “fredda”?

Direi che sicuramente fai più fatica a creare un rapporto stretto con i compagni di squadra. Il primo anno, nel 2020, quando era ancora Mitchelton Scott, gli unici italiani eravamo io e Affini. Poi in team così grandi si lavora sempre con lo stesso gruppo, capita di incontrare certi corridori al ritiro di inizio stagione a dicembre e poi a quello di ottobre. 

Un corridore nuovo tende a subire un po’ questo clima diverso?

Un giovane come me che fa fatica a trovare i propri spazi è costretto molte volte a eseguire gli ordini di squadra. Lo si fa anche volentieri perché se aiuti un compagno a vincere è sempre bello. 

Konychev vorrebbe curare di più la cronometro, una disciplina che lo ha sempre appassionato
Konychev vorrebbe curare di più la cronometro, una disciplina che lo ha sempre appassionato
Però è da giovane che uno vuole provarsi, capire e vedere fin dove può arrivare, ricercando i propri limiti…

Esatto, diciamo che si vorrebbe capire fin dove si può arrivare, che vuol dire anche sbattere il muso per imparare. Per fare il gregario il tempo c’è sempre. 

Desiderio per il 2023?

Avere più continuità, al di là delle sfortune mi piacerebbe correre con maggiore costanza e fare tanti giorni di corsa. Il calendario che la Corratec propone è bello e molto ricco, e mi permetterà di fare tante corse, anche minori e mettere giorni di gara nelle gambe. 

Prima corsa?

Vuelta a San Juan, Argentina.

Dieci anni dopo, Oppici torna da Bramati e Lefevere

12.11.2022
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Fausto Oppici, che fu un buon dilettante e negli ultimi 10 anni è stato il capo dei meccanici al Team Bike Exchange-Jayco, lavorerà dal prossimo alla Quick Step, da cui era uscito nel 2012 per aiutare a creare il team australiano.

Il mercato degli uomini dello staff è meno frizzante di quello dei corridori e probabilmente fa meno notizia, però i direttori sportivi e i team manager sanno che gli uomini giusti nelle posizioni chiave permettono alla squadra di girare meglio. Perciò se con la chiusura della Drone Hopper-Androni la Bardiani si è presa tutto il suo staff della performance, il ritorno di Oppici sull’ammiraglia italiana di Bramati darà al tecnico bergamasco una sicurezza in più. Soprattutto alla vigilia di un anno in cui in Italia potrebbe arrivare in modo più massiccio baby Evenepoel.

E’ il 2004, Bettini non ha ancora vinto le Olimpiadi: qui siamo alla Tirreno
E’ il 2004, Bettini non ha ancora vinto le Olimpiadi: qui siamo alla Tirreno

Costruire un team

Fausto Oppici, classe 1970, vincitore di una Coppa Caduti Nervianesi e secondo alla Coppa San Geo del 1992, è stato una delle colonne portanti della Quick Step di Boonen. Per cui pensare al team belga ha sempre portato ottimi ricordi.

«Era un po’ che Bramati e Lefevere mi chiedevano di tornare – sorride –  e alla fine ho detto: ci provo. Volevo trovare altri stimoli dopo 10 anni qui alla Bike Exchange. Torno in un posto che conosco già. La struttura è rimasta quella, una parte del personale è la stessa. Ero venuto via per seguire il progetto di Alvaro Crespi e Shayne Bannan. Mi avevano offerto il posto di responsabile di tutta la parte legata alla meccanica e ho accettato, per provare anche la nuova sfida. Però adesso, dopo 10 anni, sono cambiate tante cose. Ci sono tante più incombenze e mi sono detto che forse è tornato il momento di fare nuovamente il meccanico. Quando torno da una corsa, ho bisogno di stare a casa…».

Mondiali 2010, lo staff dei meccanici azzurri: c’è anche il mitico Franco Vita
Mondiali 2010, lo staff dei meccanici azzurri: c’è anche il mitico Franco Vita
Invece negli ultimi anni?

Rientravo da una corsa e andavo in magazzino a lavorare. Non ci sono solo le biciclette. C’è da fare il programma, ci sono le macchine, i camion, ci sono tante cose da vedere e da fare. Magari vai per pensare solo alle biciclette, poi arrivi e trovi il tuo collega che lavora quasi solo in magazzino. Magari è lì che guarda i mezzi, quindi lo aiuti. Lo accompagni, perché sai che deve portarli in officina. Ogni volta che ci sono dei cambiamenti di programma, se per esempio arriva una nuova corsa da fare, devi organizzare gli spostamenti di tutti gli altri. Non sei da solo, ma ti metti lì col direttore sportivo. Erano le cose che di solito facevo con Vittorio Algeri o con Gene Bates. Ci mettevamo lì a vedere se c’era la possibilità di incastrare tutto.

E’ stata un’esperienza positiva?

Mi sono sempre trovato bene, mi è piaciuto, mi sono divertito. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni. Non ho niente da recriminare. Ho voluto provare la nuova esperienza di una squadra nuova che nasceva completamente da zero. Ma erano già diversi anni che “Brama” mi chiamava e con Lefevere sono sempre rimasto in contatto. Non ho mai avuto problemi con lui. Quando mi vedeva, ci siamo sempre salutati, abbiamo sempre parlato. Anche solo per gli auguri di Natale o cose del genere. E così quest’anno ho detto di sì ed è stato come tornare a casa.

Cosa ricordi di quella Quick Step?

L’ultimo anno con loro fu il 2011. C’era Boonen e c’era Chavanel. Quell’anno arrivò Trentin, che venne a fare il Tour of Beijing da stagista. Poi l’anno dopo passò professionista con loro, ma io ero già andato. Però me lo sono ritrovato nel 2018 alla Mitchelton. Avevamo bici Specialized. Negli anni abbiamo cambiato un po’. All’inizio avevamo Time. Poi siamo passati a Merckx e dopo a Specialized.

Bramati è una delle colonne della Deceuninck. Qui con Tegner, responsabile marketing e comunicazione
Bramati è una delle colonne della Deceuninck. Qui con Tegner, responsabile marketing e comunicazione
Com’è fare il meccanico in una squadra così?

Fare il meccanico alla Quick Step, per quello che il ciclismo rappresenta in Belgio, è come essere alla Juventus. Nel mio piccolo, essere ancora ricercato da una squadra così importante vuol dire che, a parte l’amicizia, qualcosa posso dargli. Sennò certamente non avrebbero avuto bisogno di me. Con tutte le virgolette, forse qualcosa valgo anch’io.

Tanto onore e tanta responsabilità?

Non piccola. Più si alzano gli obiettivi, più si alza il valore dei corridori e più ce l’hai sulle spalle. Perché se poi qualcosa non funziona, tocca sempre a te. Durante la corsa hai sempre il timore che possa succedere qualcosa alla bicicletta che hai preparato. E poi quando magari qualcosa succede davvero, anche la più piccola, cominci a pensare a cosa possa essere successo. Ti fai venire mille paturnie.

Sai già che programma farai?

Bene o male, so il numero dei giorni. Se ne discute, nel senso che c’è il responsabile che farà il calendario. Però al momento di farlo, ti chiede se Ie corse che ha pensato vanno bene. Se hai qualche problema in un giorno particolare, in cui hai bisogno di stare a casa o cose del genere. Io ovviamente sarò orientato sulle corse in Italia. L’orientamento delle squadre è non far viaggiare troppo lo staff, se non è necessario. Sarebbe stupido che io andassi a fare le corse in Belgio, se lassù ci sono i meccanici belgi.

Oppici è stato per 19 anni meccanico della nazionale. Ha fatto anche 4 Olimpiadi: 2 con l’Italia e 2 con l’Australia
Oppici è stato per 19 anni meccanico della nazionale. Ha fatto anche 4 Olimpiadi: 2 con l’Italia e 2 con l’Australia
Solo Italia, dunque, per Oppici?

Magari capiterà di andare al Nord o altrove. Ad esempio Bramati in Belgio ci va di sicuro, ma è altrettanto sicuro che le corse italiane toccano a lui. Si cerca di dividere i compiti, anche se di italiani nella squadra non ce ne sono tanti. Siamo in quattro. Bramati, Tegner che però è un dirigente, un massaggiatore (Yankee Germano, ndr) ed io.

Sei già andato in magazzino?

Non sono ancora stato su, anche perché fino al 31 dicembre sono stipendiato dalla Bike Exchange. In realtà ho parlato con Copeland e loro mi hanno dato la disponibilità, qualora ne avessi bisogno, di dare una mano di là. Allo stesso modo in cui gli ho detto che posso ancora aiutarli. Però al momento non sono ancora andato. Se posso dire la mia opinione, aspettare il 31 dicembre è una gran stupidata. A dicembre le squadre vanno già in ritiro e i corridori iniziano a usare i nuovi materiali. I contratti dovrebbero finire il 31 ottobre. 

Con Alé il dietro le quinte di una WorldTour femminile

10.11.2022
5 min
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Alé ha un animo femminile. Per questo cura i capi per le donne come mai nessuno prima attraverso lo studio della vestibilità e lo stile unico. Questa è la filosofia che viene applicata a 360 gradi in tutta la gamma Alé. Dalla vendita diretta all’e-commerce, fino alla realizzazione del vestiario per un Team WorldTour donne. Alessia Piccolo, AD di APG, è attrice in prima persona dell’intento rivolto a valorizzare il ciclismo rosa, con gamme dedicate e sponsorizzazioni a team giovanili per ragazze. 

Per questo viaggio dietro le quinte prendiamo come esempio il Team BikeExchange-Jayco che l’azienda veneta veste dai maschi alle femmine. Nella realizzazione di materiale tecnico per un team di questa caratura c’è un’attenzione ai dettagli che viene portata ad una cura di livello sartoriale. Scopriamolo insieme ad Alessandro Migliorini, Responsabile Marketing e Monica Rudella, Responsabile del Prodotto. 

La BikeExchange è un esempio di come l’azienda veneta lavori parallelamente su più fronti
La BikeExchange è un esempio di come l’azienda veneta lavori parallelamente su più fronti

La donna al centro

La cura di ogni dettaglio è ciò che fa la differenza, in ambito sportivo questo aspetto è amplificato all’ennesima potenza in più direzioni. Per Alé ogni esigenza e curva del corpo femminile ha un’importanza viscerale e non trascurabile. «Tutti i capi del Team BikeExchange – spiega Monica Rudella – sono studiati sull’anatomia delle donne. Non partiamo dal modello da uomo per poi svilupparlo per la donna, come fanno tutti quanti. Noi facciamo esattamente il contrario partiamo dal femminile ex novo. L’uso comune è quello di prendere il capo maschile e farlo in taglie ridotte. Le nostre modelliste studiano la fisicità femminile e la riflettono nei materiali. Così come il fondello studiato ad hoc per l’esigenze femminili, con punti di pressione totalmente differenti da quelli maschili. Questo secondo me è il plus di Alé.

«Essendo donna, Alessia Piccolo, ci tiene molto alla cura dell’abbigliamento femminile perché è una cosa che ci contraddistingue. Facciamo spesso indossare i nostri capi progettati in laboratorio alle nostre atlete WorldTour prima di metterci il nostro marchio e mandarlo in produzione. Facciamo anche dieci fitting prima di dire che il capo sia corretto».

Cura sartoriale

Alè vanta un’esperienza trentennale in questo settore, per questo la scelta dei tessuti e il saperli abbinare e cucire con cura è una delle arti che contraddistingue l’azienda. Garantire il massimo della performance e regalare le migliori sensazioni alle cicliste anche nelle situazioni più difficili è l’obiettivo che sta alla base di tutto.

«La scelta dei materiali – dice Migliorini – non si differenzia così tanto tra maschi e femmine perché vengono usati filati top di gamma ad alte prestazioni. Più che altro cambia la scelta delle grafiche e i tagli. La vestibilità è un elemento determinante per il comfort femminile. Per esempio fianchi più sciancrati. La parte dietro è adattata perché c’è un’altra fisionomia rispetto al corpo maschile. Le parti davanti non sono mai in rete ma sono chiuse per non essere trasparenti. Poi per quanto riguarda i materiali abbiamo fatto studi e l’esigenze rimangono le stesse. Il fitting rimane un elemento portante per la realizzazione della divisa e dei capi in generale.

«Oltre alla differenza maschio e femmina, bisogna considerare che ogni atleta ha il suo kit. Sono prodotti sartoriali. Per esempio a Sanchez gli piace la manica un centimetro più lunga mentre a Landa un po’ più corta, noi la realizziamo perché sia perfetta per ognuno di loro. Gli atleti hanno tutte le vestibilità fatte su misura. Per una squadra in media facciamo almeno venti tagli differenti, totalmente su misura per ogni corridore. Rispettiamo le esigenze al millimetro perché pensiamo siano dettagli che possono fare la differenza. Sono capi che vanno indossati a pelle quindi devono seguire le linee del corpo in ogni sua fisionomia. Dai training camp si prendono le misurazioni nei team e dopo pochi giorni siamo in grado di fornire i kit a tutta la squadra»

Qui Alessia Piccolo nel 1° Gran Premio Alé
Qui Alessia Piccolo nel 1° Gran Premio Alé

In prima linea Alessia Piccolo

Alessia Piccolo tiene molto al ciclismo femminile e all’attenzione del prodotto in ogni sua fase.

«Alessia vede tutto indossato in posizione bici – dice Monica Rudella – per poter apprezzare ogni dettaglio in movimento. L’atleta si mette sul rullo e cerchiamo ogni particolare registrando tutti i funzionamenti dei tessuti e delle vestibilità applicate. Qualsiasi cosa deve essere indossata in posizione atletica, non in piedi perché quella è la sua vera funzione. La visione di Alessia è totale, non lascia nulla al caso. Sia per la vestibilità, sia per i materiali, è fondamentale che tutto l’insieme sia progettato ad hoc per la donna. Le grafiche il design sono tutti curati, collaboriamo anche con stilisti esterni ma la supervisione passa sempre da lei. Alessia in primis testa i prodotti ed è la prima che ci fa notare correzioni e dettagli da curare prima di mandare in produzione».

La Piccolo è promotrice anche del ciclismo rosa, attraverso sponsorizzazioni. Il 4 settembre si è svolto il Gran Premio Alé Cycling dedicato alle ragazze delle categorie Esordienti ed Allieve.

Dai pro’ agli amatori

La ricerca ha bisogno di “cavie”. Quelle di Alé sono decisamente speciali. Sono i ciclisti professionisti con cui l’azienda collabora da anni. Nessuno come loro è infatti in grado di dare indicazioni e suggerimenti sui prodotti da sviluppare. 

«Viene sviluppato tutto anche in corsa. Per esempio – riprende Rudella – l’atleta ha provato un capo particolare e ha proposto qualche miglioramento o modifica. Noi lo ascoltiamo e lo miglioriamo in laboratorio per la successiva volta. Ed è da lì che noi partiamo per sviluppare la gamma che vendiamo al pubblico, sfruttando questi preziosi consigli per poi regalarli agli utenti che poi andranno ad acquistare i nostri capi. Siamo convinti che i nostri tester siano i corridori sul campo e che questo sia un elemento unico di cui Alé può essere orgogliosa».

De Marchi trova squadra, cattivi pensieri alle spalle

04.11.2022
5 min
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Il rumore della pioggia sul parabrezza è scrosciante, anche se De Marchi ridendo fa notare che all’orizzonte si intravede l’arcobaleno. Deve essere un presagio, annotiamo e lui sorride. Da casa a Varese, dove c’è il magazzino della Bike Exchange-Jayco, c’è un bel pezzo di strada che sa di conquista. Alessandro si è messo in auto di buon mattino per andare a prendersi la bici che lo accompagnerà per tutto l’inverno. La firma del contratto è cosa fatta, quell’arcobaleno non è per caso.

Questo su De Marchi che trova squadra a fine ottobre è uno di quei pezzi che si tengono nel cassetto in attesa che le cose diventino ufficiali. E le cose in questo caso hanno avuto un’accelerazione fulminea il 20 ottobre, quando la squadra australiana ha formalizzato l’offerta, strappando il Rosso di Buja dalla china di pessimismo lungo cui s’era avviato.

Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic
Settimo al mondiale gravel, De Marchi ha chiuso il 2022 in Veneto, con la caduta alla Veneto Classic

Tre costole rotte

Fino al giorno prima, infatti, Alessandro infatti lottava con le tre costole rotte alla Veneto Classic, che gli impedivano di dormire e andare in bici nell’insolita primavera esplosa per tutto il Friuli.

«Sono stato a lungo in attesa – diceva – fra mille incastri. Situazioni che potrebbero concretizzarsi. Quando perdi il primo giro del mercato, va così. La gente forse si ferma davanti all’età? Sarà pur vero, ma l’anno scorso di questi tempi vincevo la Tre Valli Varesine. Non ero pronto a vivere questa situazione, perché avrò pure 36 anni, ma penso che nel giusto ambiente potrei ancora fare le mie cosette».

E alla fine proprio i tuoi 36 anni sono diventati un valore aggiunto…

E’ l’argomento che hanno usato, anche per spiegare il fatto che siano venuti a cercarmi così tardi. Brent (Copeland, manager del team, ndr) mi ha dato un’interpretazione molto interessante. Per il 2023 hanno inserito parecchi giovani, tra neopro’ e nuova gente. Mi pare 7-8 ragazzi sotto i 23 anni e hanno bisogno di un innesto un po’ più vecchietto e per questo hanno visto in me una buona figura. In particolare mi hanno anticipato il progetto del Giro, nel senso che probabilmente vorrebbero mandare un gruppo relativamente giovane, portando me come… chioccia.

In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
In cima alla salita di San Luca, De Marchi ha chiuso il Giro dell’Emilia al 27° posto
Un bel ruolo, no?

La prima cosa cui ho pensato è che riprendo a fare quello che facevo con i ragazzi del Cycling Team Friuli, anche se ultimamente ci siamo visti un po’ meno. Quest’anno è stato particolare e non li ho seguiti tanto sulla bici. Però l’ho fatto in passato ed era una cosa che mi piaceva un sacco, mi dava soddisfazione. E poterlo fare perché la squadra che ti prende te lo chiede esplicitamente, è proprio una bella cosa.

Il pessimismo è alle spalle?

Sono davvero caduto in piedi. Tra tutte quante, questa era la situazione migliore. Mi avevano cercato già prima della Israel, sono davvero contento. Con Brent mi ero visto durante l’estate, io l’avevo approcciato un attimo e lui è stato molto onesto e chiaro fin da subito, rivelandosi poi di parola. Mi disse che sarebbe venuto a cercarmi, qualora avesse avuto bisogno. Era agosto e ora mi sembra di poter dire che avrò a che fare con delle buone persone.

La fiammella c’è sempre stata oppure ormai si stava spegnendo?

La lucina c’era, però ammetto che a un certo punto era diventata abbastanza piccolina. Avevo iniziato a pensare anche a come potesse essere la vita senza la bici? Perché insomma, alla fine devi essere anche un po’ pratico. Le bollette da pagare ce le hai, quindi dovevo pensare a cosa fare. Chiudere così mi sarebbe davvero scocciato.

Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
Dopo la Vuelta, De Marchi ha corso a Peccioli, lanciando il finale di stagione
E’ stato bravo il tuo procuratore Scimone oppure avevi seminato bene?

Raimondo è stato importante e forse decisivo, perché in un certo periodo ero abbastanza sfiduciato dal fatto di non ricevere offerte. Pensavo: “Ho fatto tanto, ho dato tanto, l’anno scorso erano tutti contenti di vedermi in maglia rosa e adesso non trovo un contratto?”. E lì Raimondo è stato quello che ogni tanto mi faceva rinsavire. Due sberloni e mi ha tenuto a bada. Però indubbiamente, quando ti vengono a chiamare parlando di esperienza, il fatto di aver seminato qualcosa è evidente.

Come ti ponevi davanti al De Marchi demotivato delle ultime settimane?

Ammetto che tutta la stagione, specialmente la parte finale, è stata abbastanza dura. Se mi guardo indietro, non mi riconosco perché ho subito il colpo. Ancora una volta, venivo da un 2021 super, ero pronto a darci dentro, invece la primavera che ho passato mi ha distrutto piano piano. Mi ha lasciato mentalmente un po’ indebolito al momento di preparare la seconda parte di stagione. Alla Vuelta ho iniziato a pedalare, poi c’è stata la caduta. E su tutto, c’era ovviamente questa cosa del contratto che si è sommata e non ha assolutamente aiutato.

E finalmente adesso potrai dedicarti nuovamente bene alle crono: Pinotti ti starà già aspettando…

Questa è stata forse la prima cosa che ho pensato, avendo visto il percorso del Giro. So che Marco è lì che mi aspetta e onestamente non vedo l’ora.

De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
De Marchi in maglia rosa è ora anche l’immagine di una campagna Enel
Che effetto ha fatto retrocedere fra le professional?

Ci sono dei momenti in cui è stata vissuta, specialmente all’inizio, come una cosa ancora recuperabile e non così grave. Nella fase finale, quando era chiaro che non saremmo riusciti a recuperare, si è cominciato ad attaccare il sistema e dire che non fosse giusto. Ma credo che sia stato tutto la conseguenza dei due anni precedenti.

A casa come l’hanno presa? Tua moglie Anna si era un po’ intristita pure lei, oppure aveva più fiducia di te?

Anna ci credeva più di me. Ogni tanto anche lei mi diceva di smetterla di piangermi addosso. Qualche schiaffone l’ho preso anche in casa, insomma. Perciò adesso vado a conoscere le persone con cui lavorerò e inizio un inverno normale. Ne avevo proprio bisogno.

BikeExchange, visite mediche a fine stagione. Perché?

29.10.2022
5 min
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La notizia di per sé poteva passare abbastanza sotto traccia, ma ragionandoci sopra offre molti spunti di riflessione. Nei giorni dopo il Lombardia, il Team BikeExchange si è presentato in forze a Torino, per sostenere le visite mediche durate due giorni e qui è il nocciolo della questione: perché fare le visite a fine stagione, quando tutti i ragazzi (e le ragazze, c’erano anche loro) erano in procinto di partire per le vacanze?

Luigi Molino, responsabile del centro medico Riba
Luigi Molino, responsabile del centro medico Riba

Il fatto in sé dà spunto per considerazioni più generali, non tanto legate al team specifico, quanto alle scelte e alle differenze legate al periodo dell’anno. Per saperne di più abbiamo quindi interpellato chi ha diretto quegli esami, il dottor Luigi Molino responsabile medico dell’Istituto per le riabilitazioni Riba di Torino.

«La squadra si è presentata con tutto il suo organico – racconta – erano in totale una quarantina di soggetti da esaminare. Non erano proprio tutti perché so che alcuni erano ancora impegnati in gara e per loro si provvederà successivamente».

Come mai le visite sono state effettuate in un periodo così particolare?

Premettiamo che sono visite obbligatorie, che vanno effettuate una volta l’anno per l’ottenimento della licenza, che poi vengano effettuate a fine stagione o all’inizio di quella successiva non influisce dal punto di vista burocratico. Nel caso specifico è stato scelto questo periodo anche per avere un momento di confronto generale fra tutti gli effettivi del team, per parlare della stagione in via di conclusione e gettare già le basi della successiva. E’ una scelta, d’altronde bisogna anche tenere conto che trovare uno spazio per un appuntamento generale non è così semplice, considerando che una volta la stagione iniziava a marzo per concludersi a settembre, ora si va da gennaio a fine ottobre, di tempo ce n’è molto meno.

Le visite sono state estese al team femminile, qui è impegnata l’australiana Amanda Spratt
Le visite sono state estese al team femminile, qui è impegnata l’australiana Amanda Spratt
I valori però cambiano in base al periodo?

Non più di tanto perché parliamo di atleti che sono in attività pressoché quotidianamente. Ci sono fasi con valori performanti maggiori, questo è chiaro, ma non influiscono sulla valutazione che a noi serve. I valori di spirometria, di cardiologia di base restano quelli, se parliamo di capacità biometaboliche non ci sono variazioni importanti.

Che cosa si cerca attraverso questi appuntamenti?

Si fa il punto sullo stato di salute dell’atleta. In particolare si valuta la funzionalità cardiaca e polmonare. Si fa una valutazione approfondita che deve dimostrare che non ci sono patologie. Andiamo quindi a controllare l’integrità fisica dell’atleta, per questo poco importa che gli esami vengano fatti a fine o inizio stagione. La maggior parte delle squadre preferisce fare questi esami di gruppo a inizio stagione facendoli coincidere magari con il primo ritiro prestagionale, alla BikeExchange hanno invece scelto quest’altra via.

Entrando nello specifico, che cosa si fa con ognuno degli atleti?

Innanzitutto si procede a una valutazione generale in base all’esame obiettivo, si fa un esame completo del sangue e delle urine, poi si procede alla valutazione cardiologica attraverso un esame ecocardiografico e poi all’elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo. Questo cambia però nel caso degli atleti professionisti rispetto a chi pratica il ciclismo amatorialmente.

In che misura?

A differenza dell’amatore il test è massimale, nel senso che il corridore deve raggiungere almeno l’85 per cento della sua frequenza cardiaca basale. Non è uno sforzo di poco conto considerando che spesso si raggiunge anche una potenza di 500 watt e non è sempre semplice considerando che molti ciclisti sono per costituzione fisica bradicardici. Poi si procede con la valutazione spirometrica. Diciamo che per ogni atleta la sessione dura almeno un’ora, per questo ci organizziamo in modo da esaminare più atleti contemporaneamente, mentre uno fa un test l’altro affronta una parte diversa.

L’ingresso del centro torinese, in passato utilizzato dalla Bahrain e ora da molti ciclisti per le riabilitazioni
L’ingresso del centro torinese, in passato utilizzato dalla Bahrain e ora da molti ciclisti per le riabilitazioni
Ci sono altri team che si rivolgono a voi?

Per anni abbiamo effettuato le visite mediche del team Bahrain, con la BikeExchange siamo alla terza stagione (il punto in comune è il team manager Brent Copeland, passato dal Bahrain al team australiano, ndr). Per ora abbiamo scelto di concentrarci su di loro e su altri atleti che si rivolgono a noi però a titolo individuale, nel futuro contiamo però di accogliere altre squadre. Sempre in base ai loro tempi e alle loro scelte, per noi e anche dal punto di vista oggettivo non cambia nulla…

Bike Exchange, il nuovo anno inizia dalla tavola

27.10.2022
6 min
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Cambiare squadra è più complesso del ricevere una maglia d’altro colore e un nuovo modello di bici. Spesso significa entrare in un ecosistema in cui le differenze riguardano la lingua, la preparazione e anche il modo di mangiare. Se il nuovo team ha infatti una struttura all’avanguardia, metterà a disposizione del corridore anche professionalità con le quali dovrà interagire per raggiungere gli obiettivi concordati. Laura Martinelli è dal 2022 la nutrizionista della Bike Exchange-Jayco, chiamata dal team manager Brent Copeland con cui aveva lavorato già dai primi tempi al Team Bahrain-Merida. E se il suo lavoro è ormai avviato con gli atleti che già c’erano, come Sobrero ad esempio o Michael Matthews, questo è il periodo in cui si gettano le basi per la conoscenza dei nuovi e non è sempre una fase di poco conto.

«Farei un distinguo iniziale – spiega – se l’atleta è esperto o non lo è, perché l’esperienza è preziosa. Se l’atleta è esperto, mi può dare anche un giudizio affidabile di cui posso fare veramente tesoro, risparmiando anche un po’ di tempo. Mentre magari con i giovani siamo noi che dobbiamo dare dei punti di riferimento. Con l’atleta giovane ci si trova non dico una tabula rasa, però lui per primo potrebbe dare delle opinioni legate a esperienze passate, che magari non sono proprio così veritiere. Perché ha 18-19 anni e quindi potrebbe avere una visione falsata di quello che è effettivamente bene per lui. Mentre l’atleta esperto sa già cosa va bene e cosa non va bene, quindi nell’anamnesi iniziale do paradossalmente più spazio all’atleta esperto, perché so già che andrà a facilitare il mio lavoro».

Con Matthews, qui vincitore della tappa di Mende al Tour, si tratta di dare un seguito al lavoro già impostato
Con Matthews, qui vincitore della tappa di Mende al Tour, si tratta di dare un seguito al lavoro già impostato
DI solito i preparatori studiano i file e ricevono le tabelle di allenamento del nuovo atleta. Per il nutrizionista è la stessa cosa?

Per come lavoro io, chiedere il materiale di altri colleghi è l’ultima cosa, proprio per rispetto verso di loro. Poi se è l’atleta che lo vuole condividere, allora perché no? Alla fine è proprietà sua. Piuttosto vado a chiedere informazioni sul percorso fatto finora. Gli chiedo quale tipo di cammino abbia seguito. Difficilmente, se c’è una necessità di cambiamento, l’atleta arriva e mi fa vedere la tabella del vecchio nutrizionista. Magari me lo dice a voce. Se invece vuole darmela, mi serve come base di partenza. Io ho un approccio forse molto… latino, molto caldo. Quindi preferisco sempre guardarli negli occhi, soprattutto all’inizio. E chiedergli come stiano mangiando, sganciandomi dalla tabella, che magari neanche sono sempre riusciti a seguire.

Ci sono abitudini diverse in ogni squadra, in ogni atleta, in ogni parte del mondo…

Diciamo che ci sono sempre più modi di fare le cose fatte bene, secondo me, per arrivare a certi livelli, soprattutto ad una certa età. Quindi se prendiamo Letizia Paternoster che, pur essendo giovane, ha dalla sua una buona impostazione alimentare, anche se non ottima, ha il fisico che le permette di compensare le eventuali lacune. Invece mi è capitato di lavorare con un atleta di 35 anni, che mi ha detto: «Proprio perché sto invecchiando, mi accorgo che non riesco a compensare fisicamente, per cui vorrei aggiungere più attenzione alimentare». Non aveva mai lavorato con un nutrizionista, ma se era arrivato bene a quell’età, evidentemente l’impostazione era corretta. Perché l’atleta vede, sente e percepisce che se ad esempio mangia lo spezzatino prima di andare in allenamento gli viene mal di pancia. Se invece mangia il porridge sta bene. Quindi magari tante volte ci si arriva con tentativi empirici

Tra i nuovi alla Bike Exchange c’è Zana, con cui il lavoro parte dall’anamnesi per individuare semmai nuove linee guida
Tra i nuovi alla Bike Exchange c’è Zana, con cui il lavoro parte dall’anamnesi per individuare semmai nuove linee guida
Hai parlato di Paternoster, che nel 2023 sposterà l’attenzione dalla pista alla strada: cambia anche l’alimentazione?

Cambierà proprio tutto. L’alimentazione sarà completamente diversa perché diverse sono le esigenze. Anche in termini di composizione corporea, le cose cambiano totalmente. Quindi, già in termini di rapporto potenza/peso le esigenze della pista sono diverse rispetto a quelle della strada, per cui sarà una bella sfida. Ne abbiamo parlato insieme proprio a Torino alle visite mediche. Ci siamo guardate negli occhi e le ho detto: «Bene, qua bisogna tirarsi su le maniche». Una letteratura che studi chi faccia insieme strada e pista non c’è. La letteratura magari studia i pistard e studia i ciclisti su strada, quindi ho detto: «Letizia, uniamo le forze spalla a spalla!». Poi lei è super, nel senso che è partita carichissima. Dobbiamo cercare l’equilibrio, perché è difficilissimo secondo me farli andare forte in pista e anche su strada.

Perché?

I periodi non devono coincidere e non è banale farlo comprendere alla squadra, che magari vede di buon occhio che un atleta oggi vada in pista, purché domani sia lì a fare la volata. Senza considerare che le esigenze fisiche sono totalmente diverse

Stybar, qui seguito da Van der Poel al mondiale gravel, sarà uno dei nuovi innesti nel Team Bike Exchange-Jayco
Stybar, qui seguito da Van der Poel al mondiale gravel, sarà uno dei nuovi innesti nel Team Bike Exchange-Jayco
Fra i nuovi c’è Stybar, non proprio l’ultimo arrivato…

L’approccio del corridore fa la differenza e io da lui sono rimasta veramente molto stupita in positivo. Inizialmente gli ho offerto anche la possibilità di non coinvolgermi troppo, dato che parliamo di un vincitore di classiche. Di andare avanti come sempre e poi di iniziare a collaborare. Lui invece era curioso di sapere in cosa potrebbe ancora migliorare. A questi livelli, gli errori ci sono raramente. Ci possono essere delle imperfezioni, ma soprattutto delle situazioni, delle abitudini, degli scenari che andavano bene una volta e non vanno più bene ora.

Ad esempio?

L’arrivo di un bambino, che magari ti costringe a cambiare gli orari della cena, come nel caso di Stybar. Sono situazioni da analizzare e non trascurare. Quindi magari si possono trovare delle soluzioni migliori rispetto a quelle che ci sono. A volte si continua a fare come si è sempre fatto, senza capire che da un lato si può perdere l’effetto e dall’altro il corridore potrebbe aver cambiato abitudini. Tante volte non ci sono errori, però ci sono cambiamenti necessari, chiamiamoli così.

Come per l’allenamento, in fondo…

Il corpo di per sé è restio al cambiamento, per cui una volta che lui trova il suo equilibrio, si ferma lì. Stybar invece è molto proattivo e propositivo e ha già detto che dovremo sederci a tavolino, io gli spiegherò come lo vedo e poi lui con la sua esperienza valuterà se provare o non provare.

Al via del Giro 2022 da Budapest, Laura Martinelli con Eros Stangherlin, chef del Team Bike Exchange
Al via del Giro 2022 da Budapest, Laura Martinelli con Eros Stangherlin, chef del Team Bike Exchange
Quanto tempo serve per poter dire di conoscere il nuovo atleta? 

Non c’è una scadenza. Lo capisco quando viene da me e mi chiede di bere un caffè insieme. Quando si comincia a interagire, anche non per necessità. Per piacere è un parolone, però capita appunto che l’atleta venga e non sei tu ad averlo chiamato. Quindi magari ti vede al bar, ti vede a fare una camminata, si affianca e si comincia a parlare. In questo devo dire grazie a Brent Copeland che ci permette di vivere questa fase senza fretta. So di squadre in cui l’obiettivo comanda sui rapporti umani, per cui si imposta una tabella e da quella non si prescinde. Francamente, preferisco il nostro modo di fare.

Pronto per Paternoster un calendario con tanta strada

25.10.2022
4 min
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Se c’è un piccolo rimpianto, a parer nostro, nella carriera (finora) di Letizia Paternoster c’è il fatto che a un certo punto abbia dovuto interrompere la sua collaborazione con Giorgia Bronzini. Ormai la piacentina è una delle colonne portanti della LIV Racing Xstra, mentre a breve Letizia lascerà la Trek-Segafredo e si trasferirà alla Bike Exchange-Jayco. Si è parlato sorridendo del ritorno alla terra del padre, di origine australiana, ma soprattutto della ricerca di nuovi stimoli.

Che cosa hanno visto in lei nella squadra australiana? Quali sono gli argomenti che li hanno spinti a investire sulla ragazza trentina, che negli ultimi anni ha battuto ogni record quanto a tamponi positivi e infortuni? Lo abbiamo chiesto a Martin Vestby, il tecnico del team femminile, che nella vita ha sposato Emma Johansson, ex atleta svedese con due argenti ai mondiali e due alle Olimpiadi. A sua volta Vestby, norvegese di 45 anni, ha corso per cinque stagioni fra i professionisti.

Nel 2019, al secondo anno da elite, Paternoster vince la prima tappa del Down Under
Nel 2019, al secondo anno da elite, Paternoster vince la prima tappa del Down Under
Conoscevi Letizia?

La prima volta che l’ho osservata fu quando vinse la prima tappa al Tour Down Under del 2019 battendo la nostra Sarah Roy. E’ un grande talento in pista, ma anche su strada. E’ indicativo il fatto che appena passata da junior a elite, abbia avuto subito buoni risultati.

Poi però è andato tutto storto…

Ha avuto un paio di anni difficili, fra Covid e incidenti. Quello che si vede bene adesso è il grande potenziale che ha, sperando che il brutto sia ormai passato. Per cui l’obiettivo è tornare alla forma e al suo potenziale.

Rientrata ai mondiali dopo la frattura della clavicola, Paternoster ha partecipato solo all’inseguimento individuale
Rientrata ai mondiali dopo la frattura della clavicola, Paternoster ha partecipato solo all’inseguimento
In che modo concilierete la strada e la pista?

Ci sono tanti vantaggi che la pista dà alla stradista. Solo che va trovato il giusto bilanciamento. Di certo però nel 2023 potenzieremo di molto il suo programma della strada. Ha dimostrato che le classiche le si addicono. E’ veloce, una velocista di alto livello. Speriamo solo in una stagione con poche interruzioni. Ma forse è anche presto per metterle addosso la pressione della vittoria. Ora Letizia ha bisogno del nostro supporto per tornare a crescere.

Più strada significa anche un inverno diverso dal solito?

Ci saranno dei cambiamenti. Il focus sarà sulla strada e sul modo più indolore per superare le salite. Non sto parlando di lavori per farne una scalatrice, ma della base per digerirle meglio e avere ancora gambe per la volata. Metteremo mano alla nutrizione e apporteremo alcuni cambiamenti.

Martin Vestby, qui con il figlio, è il capo dei tecnici della Bike Exchange-Jayco donne
Martin Vestby, qui con il figlio, è il capo dei tecnici della Bike Exchange-Jayco donne
Avrete per lei un treno?

No, non per ora, anche se cercheremo di portarla alla volata nelle migliori condizioni possibili. Ci sarà un focus per lavorare su questo aspetto. L’esperienza in pista per questo sarà utilissima, perché comunque sa cavarsela anche da sola.

Primi ritiri già fissati?

Faremo un training camp a gennaio con il team maschile. Prima non avrebbe senso farlo, visto che parecchi dei nostri corridori non sono più in Europa. Non credo che Letizia avrà bisogno di spostarsi in Spagna per lavorare al caldo, perché di solito si allena sul Garda, dove il clima è più mite.

Letizia Paternoster ha 23 anni. Nel 2022, causa vari malanni, ha corso solo 21 gare
Letizia Paternoster ha 23 anni. Nel 2022, causa vari malanni, ha corso solo 21 gare
Hai avuto contatti con lei?

Il giorno di Torino, quando abbiamo fatto le visite mediche. E poi con un meeting su Skype, quando si è trattato di definire gli obiettivi.

Come l’hai trovata?

Aperta ed entusiasta. Molto professionale e con grandi ambizioni. Inizia ad avere l’età giusta per maturare. Penso che inizierà dall’Europa e non dall’Australia, oltre non posso ancora dire. Ma di una cosa sono certo: non vedo l’ora di cominciare a guidarla in corsa.

Il nuovo De Pretto respira già aria di WorldTour

24.10.2022
4 min
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Davide De Pretto, ex promessa del cross azzurro ora convertito totalmente alla strada, ha chiuso il 2022 con lo stage alla Bike Exchange-Jayco, ciliegina su una stagione di vera svolta dopo il debutto fra gli under 23 dello scorso anno con la Beltrami. Dopo il passaggio alla Zalf Desirée Fior è cambiato tutto e i risultati lo hanno confermato.

«Se guardo quel che ho fatto l’anno scorso – dice – c’è stato un bel salto di qualità, sia dei risultati sia per come gestisco le gare. Sono contento. Alla Zalf mi sono trovato subito meglio e anche l’anno in più vuol dire tanto, perché il salto da junior a under 23 è tanto. In più la Zalf è vicino casa e questo mi ha permesso di allenarmi meglio. Non nascondo che l’anno scorso in qualche momento mi sono sentito inadeguato. Mi allenavo, mi impegnavo, ma non arrivavano risultati. E poi mi dispiaceva, perché mi impegnavo tanto e mi chiedevo come mai non riuscissi a concretizzare qualcosa…».

La Zanè Monte Cengio è stata la 3ª vittoria 2022 di De Pretto (photors.it)
La Zanè Monte Cengio è stata la 3ª vittoria 2022 di De Pretto (photors.it)
Invece quest’anno?

Sono partito dall’inverno molto convinto. Mi allenavo con i miei compagni che vincevano le corse e ci stavo bene in allenamento. Non facevo fatica. E da lì ho capito che forse era la strada giusta. Nell’ultimo inverno c’è stato più lavoro soprattutto in palestra. Mi ricordo che il primo anno lavorai qua a casa, perché le palestre erano chiuse. Facevo palestra per modo di dire, mentre adesso con i macchinari che ci sono c’è stata parecchia differenza. E poi soprattutto sono cambiati anche gli allenamenti in bici che ora mi dà Faresin.

Che cosa ti è piaciuto di più: le tre vittorie, la continuità di rendimento o il podio agli europei?

La cosa migliore del 2022 è stato aver mantenuto la forma per gran parte dell’anno. E’ sempre stata una mia caratteristica, però quest’anno sono partito forte e sono riuscito a continuare sino a fine anno. Non me lo aspettavo. Sapevo che stavo bene, ma mentalmente la continuità mi ha dato la conferma che anche io me la posso giocare a livelli più alti.

De Pretto ha corso i mondiali di Wollongong, chiudendo al 52° posto
De Pretto ha corso i mondiali di Wollongong, chiudendo al 52° posto
Secondo a Capodarco: più forte Buratti o si è sentita la differenza di età?

A Capodarco ho trovato Buratti nel suo massimo periodo di forma. Era imbattibile, ma sicuramente un anno in più cioè vuol dire tanto. Sia fisicamente che anche mentalmente.

L’esperienza ai mondiali come è stata?

Per me un po’ una delusione, perché non sono riuscito a rendere per quello che volevo. E’ stata una bella esperienza, però a confronto con l’europeo, il livello era due volte superiore. Ci sono corridori e squadre con un’altra gamba, corridori che arrivano dal professionismo. Io forse non ero al livello dell’europeo, però avevo fatto delle gare in Puglia, dove avevo mostrato una buona condizione. Invece il mondiale non è stato il mio periodo di picco di forma.

Come è andato lo stage con la Bike Exchange?

Hanno detto che erano molto contenti. Al Giro dell’Emilia ho fatto una bella gara e poi soprattutto alla Tre Valli Varesine sono stato il primo della squadra, perché gli altri si sono tutti ritirati. Quindi erano molto contenti. Mi è mancata l’ultima salita, sennò arrivavo lì davanti. Il mio procuratore Alessandro Mazzurana dice che c’è qualche possibilità che mi prendano, però non subito. Ci sono cose da fare, il prossimo anno lo farò ancora alla Zalf.

Nel 2019 ha corso gli europei di cross a Silvelle. Ha lasciato il fuoristrada al passaggio fra gli U23
Nel 2019 ha corso gli europei di cross a Silvelle. Ha lasciato il fuoristrada al passaggio fra gli U23
E’ appena iniziata la stagione del cross, hai qualche nostalgia?

La verità? Neanche un po’. A fine stagione so di dover recuperare e non ho iniziato neanche a seguire le gare. Diverso l’anno scorso. Non fare cross lo scorso inverno mi parve stranissimo. Non sapevo cosa fare, abituato com’ero da quattro anni a staccare dalla strada per passare al cross. Ma facevo anche stagioni meno faticose. Per cui fino a metà novembre riposerò completamente e poi sotto con la palestra e la mountain bike. Proviamo a crescere ancora…