Salvate il soldato Remco (che riparte dal Tour of Britain)

02.09.2025
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Woodbridge è un paese di undicimila abitanti della contea del Suffolk, in Gran Bretagna, che oggi darà il via al Lloyds Bank Tour of Britain. L’ultima corsa della carriera per Geraint Thomas, quella del rientro per Remco Evenepoel. Anche ieri pioveva, sembra che lo faccia ogni giorno. Per questo i campi e i giardini sono gonfi di un bel verde fradicio.

A volte i tasselli del puzzle si mettono a posto da soli. La riflessione fatta nell’Editoriale di ieri sull’estremizzazione delle preparazioni, già denunciato dalla signora Vingegaard, teneva conto anche del caso di Remco, smagrito e svuotato nel tentativo di rincorrere Pogacar. La sua storia recente avvalora la tesi. Magari non tutti, ma tanti stanno esagerando, avendo per riferimento un campione così speciale da rappresentare un’eccezione, cercando di farne la regola. Finirà che un giorno anche Pogacar dovrà arrendersi a se stesso, quando si renderà conto di non poter più reggere il confronto con le sue imprese.

Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco
Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco

Ritirato per sfinimento

Evenepoel era sparito dai radar ritirandosi dal Tour. Arrivò quasi ai piedi del Tourmalet e alzò bandiera bianca, dopo aver subito l’onta di essere ripreso da Vingegaard nella crono di Peyragudes. Va bene che il danese è più scalatore di lui e quella tappa aveva l’arrivo sul celebre muro, ma voi lo capite che cosa abbia significato un momento del genere per il campione che ha vinto mondiali e olimpiadi a crono?

Remco non aveva particolari malattie, se non l’essere spossato, svuotato, sfinito. Spiegandolo ai media alla vigilia della corsa britannica, ha detto di non essersi mai riposato del tutto prima della sfida del Tour.

Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)
Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)

Necessità di staccare la spina

Così si è fermato, come riesce a fare chi può scegliere. A fine luglio ha messo per due settimane la bici in un angolo e si è rifugiato a casa sua in Belgio. Il padre, intervistato da l’Avenir, ha spiegato come fosse completamente esausto e avesse la necessità assoluta di staccare la spina. Il suo allenatore Koen Pelgrim, che ha fornito ovviamente una versione edulcorata, ha detto che Remco ha ricaricato le batterie per essere pronto mentalmente e fisicamente per l’ultima parte della stagione. Sarebbe suonato strano se anche lui avesse ammesso che il campione è stato spinto oltre la sua capacità di sopportazione.

Remco era talmente svuotato da aver saltato per la prima volta dopo tre anni la R.EV. Ride, il raduno dei suoi fan che si tiene ogni anno al Castello di Schepdaal. «Dal punto di vista medico – ha detto ancora suo padre a l’Avenir – non era pronto a correre con tutti gli altri. Ed è anche positivo per lui resettarsi completamente. La gente capirà».

Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta
Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta

A Livigno, in silenzio

Allo stato di prostrazione fisica, luglio ha aggiunto la notizia del passaggio di Evenepoel alla Red Bull-Bora-Hansgrohe, che ha fatto parecchio rumore. Anche il modo in cui la Soudal Quick Step lo ha annunciato non ha contribuito a distendere gli animi. In ogni caso, quattro giorni dopo, Evenepoel è arrivato a Livigno per riprendere la preparazione, in vista di mondiali ed europei: cronometro e strada.

A parte il suo staff, nessuno sa in che modo il belga abbia lavorato. Contrariamente a quanto accade ormai per consuetudine infatti, Remco non ha condiviso alcuna attività su Strava. L’unica informazione è venuta dal suo allenatore che ha parlato di volumi di lavoro a bassa intensità.

Il tassello finale del puzzle, che fa capire come non si sia trattato di uno stop dovuto a un trauma o una malattia, lo ha fornito Lefevere, che è sempre stato il padre putativo di Evenepoel. Ha ammesso al podcast Derailleur di non aver avuto a lungo contatti con il ragazzo. «Mi ha detto che ci rivedremo – ha raccontato – quando la tempesta si sarà calmata. Non voglio disturbarlo in questo momento. Il cambiamento di squadra non lascia mai nessuno indifferente, porta sempre un po’ di stress».

Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)
Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)

La maledizione del Tour

In questa stagione che lo ha visto rientrare vincendo la Freccia del Brabante dopo aver sistemato le tante fratture dell’incidente in allenamento, Remco ha di fatto conquistato tre vittorie in altrettante cronometro: al Romandia, al Delfinato e al Tour. Prima della Grande Boucle, gli annunci sulla sua magrezza e gli ottimi valori si sono infranti su un’altra evidenza. Ora che (forse) si è capito che esiste un limite o in attesa che anche la Red Bull provi a fare di lui l’anti Pogacar, quello che sarebbe auspicabile per Remco sarebbe il ritorno alla spensieratezza. La stessa che gli ha permesso di ottenere le vittorie più belle e che è sparita da quando il Tour è entrato nella sua vita. Il podio del 2024 ha fregato anche lui. Il timore per chi lo conosce è che nel tentativo di cambiargli il dna, finiranno col cambiargli anche l’anima.

Tour: sprinter e scalatori puri a rischio estinzione? Parla Bramati

09.08.2025
6 min
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Poche tappe per velocisti e scalatori puri in difficoltà con i big. L’ultimo Tour de France è stato un bel crocevia per sprinter e grimpeur puri. Una volta c’erano dieci giorni di “piattoni” e la Grande Boucle diventava il festival dei velocisti, ma forse era anche troppo. Oggi invece nei percorsi si inseriscono difficoltà, strappi, pavé. Pensiamo alle prime tappe già con le sfide fra Pogacar e Van der Poel o le fughe di Healey. Per contro, corridori Lenny Martinez e Valentin Paret-Peintre, bravissimi in salita, hanno dovuto anticipare per non essere schiacciati dagli uomini di classifica. Ci chiediamo perciò che futuro ci sia al Tour per queste due tipologie di ciclisti.

Per questo ragionamento abbiamo coinvolto Davide Bramati, direttore sportivo della Soudal-Quick Step. Il “Brama” aveva in corsa sia il velocista puro, Tim Merlier, e lo scalatore Paret-Peintre. Proprio i quei giorni Thierry Gouvenou, responsabile per ASO dei tracciati, per esempio aveva detto che per motivi di share televisivo e di attenzione si sta pensando di eliminare o limitare al massimo le tappe piatte.

Davide Bramati (qui al microfono di Jens Voigt) è direttore sportivo della Soudal dal 2010
Bramati (qui al microfono di Jens Voigt) è direttore sportivo della Soudal dal 2010
Davide, dunque, come vedi il futuro per queste due categorie così particolari e specifiche?

Il giorno che Gouvenou ha rilasciato quell’intervista c’era stata una tappa anomala con tanto vento contro e quindi meno bagarre. In più le tappe precedenti erano state affrontate ad alta velocità e ci stava un giorno di “relax”, però secondo me le tappe in volata e i velocisti ci saranno sempre. I velocisti sono parte del ciclismo e della sua storia. Magari si faranno delle volate con finali diversi o con qualche strappo, perché alla fine magari guarderanno anche la sicurezza al fine di arrivare con gruppi meno numerosi o più allungati. Però è giusto avere delle volate anche nei Grandi Giri, non puoi fare secondo me tre settimane impegnative.

Però è anche vero che c’è un importante incremento delle salite, tante volte ormai si arriva in volata dopo 2.000-2.500 metri di dislivello: cambierà negli anni il fisico del velocista? Sarà un po’ meno da 2.000 watt e un filo più scalatore?

Sicuramente il velocista dovrà essere sempre più pronto anche a passare certe salite. Penso per esempio alla seconda tappa che ha vinto Milan: non era un percorso facile. Eravamo sui 2.000 metri, forse le salite erano un po’ lontane dall’arrivo, però sicuramente il velocista ha faticato. E infatti si erano staccati. Di certo in futuro lo sprinter dovrà adeguarsi se i percorsi saranno sempre più duri: non dovrà solo mantenere l’esplosività, la velocità, ma dovrà anche migliorare in salita.

Chiaro…

Però torno indietro, ma non penso che cambierà tanto, almeno spero. In un Grande Giro i metri di dislivello sono già veramente tanti, metterne ancora più per avere meno volate, mi sembra portare il nostro sport su altre vie. E’ già molto duro, è sempre più duro e nonostante tutto le velocità che si stanno facendo sono pazzesche.

Prendiamo il tuo Merlier, per esempio, ci lavori da anni ormai: hai notato una sua trasformazione?

Tim in questi ultimi due anni è migliorato in salita e non ha perso la sua esplosività, la sua velocità. L’anno scorso ha vinto la tappa di Roma al Giro d’Italia, quindi l’ultima, superando le grandi montagne, quest’anno ha finito il Tour de France… In questi ultimi due anni lo vedo migliorato in salita senza aver perso il suo spunto.

Nel tempo anche i velocisti puri saranno destinati a dover tenere di più in salita. Qui Merlier contro Milan
Nel tempo anche i velocisti puri saranno destinati a dover tenere di più in salita. Qui Merlier contro Milan
C’è stata una tappa dell’ultimo Tour in cui Tim non è riuscito a tenere per giocarsi la volata?

Sì, ma non per questioni di dislivello. Penso alla prima vittoria di Milan. Quel giorno Merlier forò a 10 chilometri dall’arrivo e con le velocità di adesso paghi dazio. Ha cambiato bici, è rientrato però aveva speso troppo. C’erano questi ultimi tre chilometri in cui si girava a destra, la strada saliva, c’era una rotonda, da lì scendevi a tutta velocità e poi altre due rotonde prima dell’ultimo chilometro in leggera salita. Lì, ai 500-600 metri dall’arrivo, ha pagato lo sforzo per tornare in posizione per poter disputare lo sprint.

Passiamo agli scalatori. Voi in Soudal-Quick Step siete stati bravi nella gestione Paret-Peintre. Però viene da chiedersi se uno scalatore potrà mai tornare a fare classifica al Tour de France…

Sono convinto che in questo ciclismo se uno scalatore puro decide di non fare classifica è meglio. Voi avete nominato Martinez e Valentin, emblema di questa categoria. Noi non siamo mai partiti con l’idea di puntare alla maglia a pois, tutti eravamo venuti con un altro obiettivo che ben sapete (fare classifica con Remco Evenepoel, ndr) e di conseguenza i piani sono cambiati. Il giorno del Ventoux entrare nella fuga era importante e non facile: erano già state fatte le prime due ore a 52-53 all’ora. Per uno del suo peso era importante avere dei compagni vicino come di fatto è accaduto. Penso che per un vero scalatore l’obiettivo dipenda soprattutto da ciò che vuole la squadra.

Cioè?

Penso all’aiuto nel tenere la posizione: se è lui che deve essere aiutato o se deve aiutare. Se può riposarsi nelle tappe di pianura oppure se deve tenere. E torniamo al discorso del fare classifica o no. Per me è meglio che sia libero e punti alle tappe. Oggi se sei nei primi dieci della classifica e vai in fuga non è facile che ti lascino andare. Se sei al ventesimo posto è più facile.

Nella tappa del Ventoux. le prime due ore sono state corse a velocità supersoniche. Gli scalatori puri erano in difficoltà
Nella tappa del Ventoux. le prime due ore sono state corse a velocità supersoniche. Gli scalatori puri erano in difficoltà
Quindi anche per il futuro sarà un po’ destinato o a tirare per un vero big o a uscire di classifica?

Non è detto, non è facile rispondere: alla fine quanti scalatori puri c’erano davvero in gruppo al Tour? Restiamo sempre a quei due nomi. Nella tappa del Ventoux, come detto, hanno fatto le prime due ore in pianura ad oltre 50 di media e non è così scontato che atleti con quelle caratteristiche restino in gruppo. Al Tour tutte le tappe sono state fatte a velocità folli e sicuramente loro spendono di più di un corridore-scalatore di 60-63 chili, questa è la differenza. Però sicuramente sono corridori che quando la strada sale si vede che hanno ancora qualcosa in più. Nel caso di Martinez e Paret-Peintre sono ancora giovani, bisogna aspettare per giudicare.

Quindi secondo te in chiave futura al Tour de France chi è più a rischio: lo sprinter o lo scalatore puro?

E’ una domanda a trabocchetto e non è facile poter rispondere. Ad oggi io terrei il ciclismo esattamente com’è, perché è veramente un ciclismo spettacolare, corso ad alti livelli. Bisognerà capire cosa succederà fra qualche anno quando non ci saranno più questi tre-quattro dominatori assoluti. Magari si apriranno altri scenari. Io credo che certe frazioni piatte e certi corridori ci saranno sempre, sono parte del ciclismo.

E gli scalatori? Passeranno ancora gli scalatori da 50-55 chili, i Pozzovivo della situazione?

Dipenderà da quel che vogliono le squadre. Però dipende anche dal corridore. Valentin per esempio nonostante i suoi 52 chili a Parigi, sotto quell’acqua e sul pavé, è arrivato diciassettesimo: non è poco su quel percorso per uno come lui. Quindi in qualche modo sa essere competitivo anche su altri terreni.

Garofoli, la testa e le gambe più forti del dolore

26.05.2025
4 min
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ASIAGO – Una baraonda nella stradina stretta dell’arrivo, nella selva di telecamere, microfoni, obiettivi, massaggiatori e addetti stampa. Nel mezzo di tutto questo, Gianmarco Garofoli sta fermo in mezzo senza dire una parola, nessuno accanto a lui. Settimo al traguardo, a 26 secondi da Verona. La tappa lo ha visto in fuga e poi rispondere per primo allo spagnolo, purtroppo senza riuscire ad agganciarlo. Neppure quando poi è arrivato Zana e in due non sono riusciti a fare tanto di più.

Suo padre Gianluca, prima dell’arrivo era in mezzo a noi con un tablet in mano e il telefono incandescente. Anche questa volta ha seguito suo figlio, ma domani tornerà a casa e si riaffaccerà per la tappa di Bormio. I due si somigliano in modo pazzesco e quando gli abbiamo chiesto come vedesse Gianmarco nella fuga, si è lasciato scappare una battuta col fondo amaro. «Ha tre costole rotte dalla tappa di Napoli, non so come faccia ad andare avanti. Gli ho comprato una fascia, abbiamo stretto, ma non si può dire che stia bene».

Gli diamo il tempo per riprendere fiato e riconnettere i pensieri. Fissa un punto davanti, il sudore gli imperla il viso. Quando ci avviciniamo, ci guarda e il sorriso è un po’ amaro e un po’ stupito per quello che ha fatto. Tutto intorno, nulla accenna a placarsi. Gente che spinge, che va e che viene. A un certo punto al giovane marchigiano della Soudal-Quick Step di avvicina James Knox, arrivato a 1’59”. Gli poggia una mano sulla nuca, gli fa i complimenti e gli chiede come si senta. Lui farfuglia qualcosa e l’altro si allontana.

Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Tre costole rotte?

Eh, tre costole rotte. Si fanno sentire. Sono stato in fuga da inizio giornata. La prima volta eravamo in una trentina, poi quando ci ha ripreso il gruppo maglia rosa, ci abbiamo riprovato. Io ho dato tutto fino alla fine, ma questa è stata una tappa durissima. Le costole fanno male, le gambe ancora di più. Questo è dolore vero, mamma mia, sono stanco.

L’anno scorso alla Vuelta venisti fuori nella terza settimana: si può pensare che andrà così anche qui?

Sì, ci sono le premesse. Guardate, devo essere sincero. Ieri sera non riuscivo a dormire, non ho dormito perché mi facevano malissimo le costole. Così questa mattina ho pensato più volte di non partire. Poi mi sono detto di provare e vedere come andasse: se oggi vado forte, continuo. E oggi ho avuto la risposta che la condizione c’è. Mi tocca continuare (accenna un sorriso, ndr).

Il piano prevedeva che andassi in fuga?

Dovevo provare per capire se andare avanti, perché nelle ultime tre tappe ho avuto veramente molto, molto dolore. Tutto sommato, il Monte Grappa è stato la parte più facile. La salita più dura secondo me è stata quella di Enego, che era di 16 chilometri. L’ho attaccata dall’inizio, ho provato a seguire Verona, ma mi ha tenuto sempre lì e non mi ha fatto rientrare. E’ stata durissima, me la ricordavo quella salita, perché ci avevo vinto da allievo.

Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
In tutto questo, le vibrazioni della strada si sono fatte sentire nel costato?

Fanno tanto male, ragazzi, non sono incrinate, sono proprio rotte. Servono tanta testa e tante palle per andare avanti.

Il tempo per l’ultima battuta e poi un massaggiatore viene a sfilargli di sotto la bicicletta, sorteggiata per il controllo meccanico. A questo punto Garofoli, non sapendo cosa fare, si siede per terra. E’ qui che lo raggiungiamo per girare il breve video pubblicato ieri sera su Instagram. Il tempo di fare un passo indietro e si avvicina la sua ragazza. E proprio qui, lontano da obiettivi e domande, Gianmarco crolla in un pianto liberatorio che dà l’idea delle tensioni cui è stato sottoposto dalla notte prima, del dolore che lo aveva quasi convinto a desistere e dell’immenso orgoglio che l’ha portato qui a raccontare la sua impresa (in apertura, foto Soudal-Quick Step). Sono corridori di bicicletta, hanno testa e carattere. E’ bello vivere certi momenti accanto a loro.

Grinta Garofoli. Gran feeling con compagni, staff e bici

26.01.2025
5 min
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Basta guardarlo in faccia, anche sulle sue pagine social, per capire quanto ci stia dando sotto Gianmarco Garofoli. Il marchigiano sta sfoderando una grinta che non gli si vedeva da un po’, almeno da fuori. Perché dentro di sé Gianmarco è sempre stato quello che in gergo si definisce un “cagnaccio” (in apertura foto di Wout Beel).

Una grinta che nasce probabilmente dal cambio di squadra. Garofoli ha lasciato l’Astana per approdare alla Soudal-Quick Step. E’ stato accolto a braccia aperte dai compagni, ma anche dal direttore sportivo Davide Bramati. Si cercano giovani di talento da far crescere al fianco di Remco e non solo.

Gianmarco Garofoli (classe 2002) si appresta ad affrontare la sua prima stagione da pro’ (foto Instagram)
Garofoli (classe 2002) si appresta ad affrontare la sua prima stagione da pro’ (foto Instagram)
Gianmarco, un cambio di squadra netto, anche per differenze di approccio…

Sicuramente il salto è grosso, l’Astana era l’ultima nel ranking e la Soudal la terza. Il salto c’è stato e l’ho toccato con mano durante il primo ritiro. Non che l’Astana sia un brutto team, ma si nota la differenza. Avere un corridore come Remco è una responsabilità, non solo un piacere, e devi farti trovare pronto per il tuo capitano. Sarà bello perché avrò un punto di riferimento e dare il massimo è ciò che mancava in questi due anni in Astana.

Cosa intendi con quel “traccia la via”?

Che è proprio un riferimento. Una persona da cui imparare e, essendo un grande leader, tira fuori il meglio dalle persone che ha intorno. E per me è anche un obiettivo.

Intendi anche come valori fisici?

Certo, anche per crescere a livello di numeri. Ovvio, il dislivello è ampio, gigantesco! Però è uno stimolo, forza e motivazione. Se lui li fa, voglio farli anche io o avvicinarmici il più possibile. Hai di fronte, e vicino, dei numeri concreti che ti fanno da riferimento.

Vieni dall’Astana dove c’era e c’è tanta Italia, qui c’è un ambiente più internazionale…

Su questo aspetto non c’è tutta questa differenza. Dover parlare in inglese non è certo un problema per cominciare davvero. E comunque anche in Astana la componente internazionale era aumentata. Semmai le differenze si sentono di più a livello culturale. E’ vero che è un team internazionale ma belga. E i belgi mi piacciono.

Garofoli sta lavorando sodo, anche a crono
Garofoli sta lavorando sodo, anche a crono
E cosa ti piace dei belgi?

Il loro modo di fare, di concepire il ciclismo: sapete quanto conti in Belgio. Mi piace che la squadra si aspetti qualcosa da te, ed è come me l’aspettavo: una squadra che funziona. E nonostante sia una squadra grande qui riesci a tirare fuori la tua individualità all’interno del gruppo. Tutto è incastrato alla perfezione.

Negli allenamenti è cambiato qualcosa?

Un po’ sì. Da questo punto di vista ti ascoltano, prendono in considerazione le tue esigenze e le decisioni si prendono insieme (la stessa cosa che ci aveva detto Paret-Peintre, anche lui nuovo arrivato, ndr). E se le cose si fanno insieme si è più felici. Con De Wolf, il preparatore, ho un bellissimo dialogo. In bici invece le cose sono più o meno quelle: Z2, soglia, VO2 max, forza…

Con chi hai legato di più fin qui?

Sicuramente con Mattia Cattaneo, siamo in camera insieme, ma direi di aver legato benone con tutto il Wolfpack. C’è una bella atmosfera. Come per tutti i nuovi arrivati sono stato “battezzato” al primo incontro…

Immaginiamo quanta birra!

Sì, ma non ci siamo ubriacati come tanti pensano. Abbiamo fatto un banchetto tutti insieme, mi hanno fatto vestire da cheerleader e poi da lottatore di sumo. Il tutto in modo sano. Ho stretto un buon rapporto anche con Landa, un po’ perché parliamo italiano e poi perché siamo nello stesso gruppo di allenamento. In più abbiamo parlato dell’Astana, dove era stato anche lui.

Garofoli alla Vuelta 2024, suo primo grande Giro
Garofoli alla Vuelta 2024, suo primo grande Giro
E con Remco come va?

Veramente zero, semplicemente perché l’ho visto solo nel ritiro prestagionale in Belgio. Io venivo dalla Japan Cup e poi lui ha avuto l’incidente. Non so quanto i nostri programmi si intrecceranno.

Bramati ci ha detto che sei nella lista lunga del Giro…

Ovviamente ci spero, il Giro d’Italia è la gara dei sogni, quella giusta per la mia carriera. Ho fatto la Vuelta e ho visto che le tre settimane sono il mio ambiente. Ci tengo particolarmente a farlo con Landa e imparare cosa significa correre vicino a un leader. Insomma a stare nella corsa.

Sempre Bramati, ci ha detto che i primi due mesi di gare saranno importanti per capire davvero quanto sia possibile per te essere al Giro…

Esatto, in una squadra nuova devi capire come sei tu e viceversa. Per ora tutto è bello, spero di aver fatto buona impressione, ma devi poi andare forte. Devo dimostrare che me lo merito quel posto al Giro.

L’aerosol portatile di Garofoli
L’aerosol portatile di Garofoli
Cambiamo un po’ argomento Gianmarco: le “sfighe” sono finite? Insomma ne hai avuti di problemi di salute in questi primi anni da pro’…

Lo spero! Anche se ho passato i primi tre giorni di ritiro a letto! Ma era una influenza normale. Spero che sia tutto acqua passata. Vero: ho avuto tanti problemi, ma dipende da come reagisci, non da ciò che ti succede. Fisicamente ora mi sento pronto. Accolgo infortuni e problemi con più maturità. Anche se sono giovane ho esperienza ormai. Credo di aver reagito bene anche quando non vedevo la luce. Il 2024 è stato un anno duro, anche se su carta il migliore. Pensate che viaggio sempre con aerosol, antibiotici e antinfiammatori. La mia ragazza dice che sono ipocondriaco, ma dopo tutto quello che ho passato…

Comprensibile

Ho comprato un aerosol portatile. Si attacca allo smartphone. E’ l’acquisto dell’anno! Però guardando il bicchiere mezzo pieno, c’è una cosa che mi avvantaggerà quest’anno e lo voglio dire.

Vai!

Con la nuova bici, la Specialized, parto avvantaggiato. Una bici atomica! La migliore che abbia mai avuto in tutta la mia vita. Parlo proprio di geometrie: quell’angolo sterzo così “in piedi” la bici accelera subito tanto. Senti la differenza appena ti alzi sui pedali.

Valentin Paret-Peintre a tutto tondo: Remco, Landa, il Giro e l’Italia

24.01.2025
5 min
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CALPE (Spagna) – Nei movimenti Valentin Paret-Peintre può sembrare timido invece parla chiaro e a testa alta. Magrissimo, disponibile, simpatico: Valentin ci è sembrato un vero amante di questo sport. Lo scalatore francese lo scorso anno ha conquistato una tappa del Giro d’Italia, quella di Cusano Mutri, dimostrando di poter competere ad alti livelli nelle grandi corse a tappe e nei grandi team. In questo inverno ha fatto un importante passo nella sua carriera, passando dalla Decathlon-Ag2R alla Soudal-Quick Step, una delle squadre più storiche. Qui avrà il compito di supportare due grandi campioni come Mikel Landa e Remco Evenepoel.

Lo rivedremo al Giro d’Italia, questa volta con un ruolo chiave nel supporto di Landa, pronto a mettersi al servizio della squadra in un’edizione che si preannuncia particolarmente aperta senza Vingegaard, Pogacar e appunto il suo compagno Evenepoel e che per questo motivo potrebbe essere di nuovo una gigantesca occasione (anche) per lui (in apertura foto Wout Beel).

Valentin Paret-Peintre (classe 2001) è alla quarta stagione da pro’, la prima con la Soudal-Quick Step
Valentin Paret-Peintre (classe 2001) è alla quarta stagione da pro’, la prima con la Soudal-Quick Step
Partiamo dal cambio di squadra, Valentin. Quali sono le principali differenze tra la Decathlon-Ag2R e la Soudal-Quick Step?

Direi principalmente l’organizzazione e la mentalità. Alla Soudal-Quick Step c’è un approccio molto preciso alla preparazione, con uno staff tecnico estremamente attento ai dettagli. Ho trovato una struttura molto professionale che mi aiuta a crescere giorno dopo giorno. Anche il ruolo che mi è stato assegnato è diverso rispetto al passato: qui sono chiamato a lavorare per i leader, mettendo da parte le ambizioni personali. Non vedo l’ora d’iniziare a correre.

Come stai affrontando questo cambiamento di ruolo? Da fuori potrebbe essere un passo indietro per te: alla Decathlon eri un capitano, qui dovrai lavorare per dei leader. E sono grandi leader…

Ed è questo il punto. Lavorare per i grandi campioni… che è diverso dal fare il gregario per un capitano qualsiasi. E’ una grande responsabilità, ma anche una grande opportunità di apprendimento. Quando ho cercato squadra, ho cercato un leader capace di vincere un grande Giro. La differenza è tutta qui. Se tu fai un buon lavoro sei lo stesso sotto i riflettori e sei riconosciuto per ciò che hai fatto. E penso che con Remco e Mikel io sia nella squadra giusta. Sono circondato da atleti di altissimo livello e da uno staff che sa come ottenere il massimo da ciascun corridore. Mi sto adattando bene e credo che questa esperienza mi aiuterà a crescere sia come atleta che come persona.

Curiosità: con chi sei in camera?

Con Mikel. Abbiamo subito cercato di legare e di conoscerci. Sta nascendo un bel rapporto.

Hai cambiato molto dunque?

Sì, ho cambiato allenatore, preparatore, direttore sportivo e qui c’è un modo differente di vedere il ciclismo: tutto è più strutturato e organizzato per obiettivi. Alcuni di queste obiettivi saranno più difficili da raggiungere… ma resta sempre ciclismo! In più è una squadra con atleti di tante Nazioni, tutto è più internazionale. Ho notato più scambio di idee fra il management e i corridori per affrontare le cose: allenamenti, ritiri… e questo credo sia un bene per rendere il più possibile.

Credevamo andassi al Tour e invece sarai al Giro d’Italia. Sarai un co-leader insieme a Landa?

No, no… sarò lì per aiutare di Mikel. Più o meno farò come l’anno scorso quando ho aiutato Ben O’Connor. Ma io credo che se sarò al fianco di Landa fino alla fine, se riuscirò a fare un buon lavoro sulle grandi montagne, alla fine verrà fuori un buon piazzamento. Ma l’obiettivo numero uno è aiutare Mikel, non il mio piazzamento. Se poi avrò la possibilità di vincere una tappa tanto meglio. Ma sono già contento di poter essere di nuovo al Giro. Ricordo bene l’atmosfera e il pubblico italiano. Farò anche la Tirreno-Adriatico prima: è bello correre da voi.

Valentin Paret-Peintre sfreccia a Cusano Mutri: prima vittoria da professionista
Valentin Paret-Peintre sfreccia a Cusano Mutri: prima vittoria da professionista
Qual è stata l’importanza della vittoria a Cusano Mutri nella tua carriera?

È stata una vittoria fondamentale. Mi ha dato fiducia nei miei mezzi e ha dimostrato che posso competere con i migliori. Ho imparato molto da quella giornata, soprattutto sulla gestione dello sforzo e sulla strategia di corsa. Spero di poter replicare quelle sensazioni nelle prossime stagioni.

Cosa pensi del pubblico italiano?

Il pubblico italiano è straordinario. Ama profondamente il ciclismo e sa come trasmettere il proprio entusiasmo ai corridori. Correre in Italia è sempre speciale perché ci si sente spinti dalla passione dei tifosi lungo le salite più iconiche. Tutti dicono del Tour che è grande, che è seguito. Vero. C’è anche più gente, ma da quello che ho notato in Italia la gente che è a bordo strada è competente, sa di ciclismo. Al Tour vedono l’evento, ma non è detto che tutti seguano il ciclismo.

Sei uno scalatore puro Valentin e hai una certa “sensibilità” per la strada che sale: quali sono, per te, le differenze tra le salite italiane e quelle francesi?

Sulle Alpi (specie quelle occidentali) grandi differenze non ce ne sono. Le salite italiane spesso sono più tecniche e con pendenze più irregolari rispetto a quelle francesi. Le strade sono più strette e il fondo stradale a volte è più impegnativo perché è più sconnesso. In Francia, le salite tendono ad essere più lunghe e con pendenze costanti. Questo cambia il modo di affrontarle sia fisicamente che tatticamente. In Francia si tende ad andare più regolari.

Ecco il francese con Landa: i due saranno al Giro d’Italia (foto Wout Beel)
Ecco il francese con Landa: i due saranno al Giro d’Italia (foto Wout Beel)
Chiaro…

E anche per questo credo che fra i tre grandi Giri, anche se non ho ancora fatto il Tour, quello d’Italia sia il più adatto alle mie caratteristiche.

Una salita simbolo della prossima edizione è il Mortirolo: cosa ne sai? Il tuo capitano Landa ci andò molto forte…

Il Mortirolo è una salita durissima, una delle più difficili e note nel mondo del ciclismo. So che sarà una sfida enorme, quindi sto lavorando molto sulla resistenza e sulla gestione dello sforzo. Con il supporto del team, spero di poter dare il mio contributo nel miglior modo possibile per aiutare Landa nelle tappe decisive.

E con la nuova bici come è andata?

Ah – sorride Valentin – top! Nessun problema ho trovato subito la posizione e il feeling è ottimo. Anche le ruote sono molto scorrevoli. Ho iniziato subito a lavorare anche con la bici da crono. Siamo andati sul circuito di Zolder per migliorare la posizione. E’ stato qualcosa che mai avevo fatto prima. Anche in ottica futura, se dovrò puntare alla classifica generale, questo lavoro a crono mi sarà utile.

Alaphilippe: nuovo look e lo spirito di sempre

09.01.2025
4 min
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Pare che quando Alaphilippe ha incontrato all’aeroporto di Alicante la Soudal-Quick Step, in Spagna per il ritiro di gennaio, abbia avuto un tuffo al cuore. Il francese ha ammesso di aver trovato strano di non essere vestito come loro, il che è comprensibile dopo undici stagioni nello stesso gruppo. Tuttavia subito dopo, Julian ha raccontato di essere orgoglioso di aver scelto la Tudor Pro Cycling. Semmai gli è dispiaciuto non aver chiuso il suo percorso nello squadrone belga con una gara di addio. La caduta dei mondiali lo ha tolto di mezzo per tutto il resto della stagione, così che la sua ultima corsa con quei colori è stata la Super 8 Classic del 21 settembre, vissuta tuttavia senza averne consapevolezza.

«Da quando ho saputo che a fine anno sarei partito – racconta il francese, ritratto in apertura in una foto del Tudor Pro Cycling Team – ho cercato di godermi ogni momento il più possibile. Perché quando ero fuori con la squadra ero sempre felice. Mi mancheranno le persone, tutti sanno che attribuisco grande importanza alle relazioni personali. Con alcuni di loro lavoro da anni, avranno sempre un posto speciale nel mio cuore. Quando li ho visti all’aeroporto, è stato bello rivederli e fare due chiacchiere».

A Zurigo, prima del via, parlando con Evenepoel. Poi la caduta ha messo fine al suo 2024
A Zurigo, prima del via, parlando con Evenepoel. Poi la caduta ha messo fine al suo 2024

Senza pensare al Tour

Quando nei giorni scorsi è stato chiesto a Fabian Cancellara se lo abbia ingaggiato per giocarsi l’invito al Tour, lo svizzero si è affrettato a dire di no. Ha spiegato che quando si è messo a ragionare con Ricardo Scheidecker e Raphael Meyer di quale fosse un corridore in grado di far crescere il livello tecnico della squadra, il nome del francese sia venuto fuori quasi subito. Ricardo lo conosceva da anni e sapeva bene quello che avrebbe potuto dare.

«La sola cosa che mi interessava – ha detto Cancellara – era chi fosse e quale fosse la sua motivazione. Non mi interessava un corridore capace di aprirmi le porte o con un grande palmares. Prendendo lui, non avevamo in mente il Tour, ma il modo in cui avremmo costruito la squadra e il livello a cui aspiriamo. Ovviamente la sua immagine aiuta, è positiva, ma se ci fermiamo a questi aspetti, non andremo lontano».

Alaphilippe, classe 1992, ha lasciato la Soudal-Quick Step in cui passò professionista nel 2014 (foto Tudor Pro Cycling)
Alaphilippe, classe 1992, ha lasciato la Soudal-Quick Step in cui passò nel 2014 (foto Tudor Pro Cycling)

Il ciclismo degli inviti

Alaphilippe alla Tudor scoprirà una nuova dimensione del ciclismo: quella degli inviti. Per un corridore abituato a scegliere le corse come ciliegie potrebbe essere uno scoglio difficile da scavalcare, tuttavia la sua leggerezza fa capire che per ora il problema non è percepito in quanto tale.

«Nella mia mente non l’ho mai vista in questi termini – dice Alaphilippe – ho seguito completamente i miei sentimenti. Mi sono chiesto cosa volessi e la risposta è stata la possibilità di divertirmi ancora a fare ciclismo in una buona struttura. E la Tudor incarna perfettamente questo ideale. E’ chiaro che ci siano delle differenze fra le due squadre, ma non sono venuto qui per fare confronti. Tutti lavorano molto duramente per darci il meglio possibile, per ora va tutto bene e sono felice. Sono convinto che fosse arrivato il momento giusto per fare questo passo. Avevo bisogno di nuove motivazioni».

Tirreno 2022, il campione del mondo era Alaphilippe, ma Pogacar vincerà la corsa
Tirreno 2022, il campione del mondo era Alaphilippe, ma Pogacar vincerà la corsa

Contro i mulini a vento

Le corse dei sogni restano le stesse e non potrebbe essere altrimenti. Amstel, Liegi, Lombardia, il Fiandre che è quasi un sogno, le tappe del Tour. E poi il mondiale, perché quando l’hai vinto per due volte, fatichi a pensare di non poterlo fare ancora. Il grosso dubbio è se ci sia ancora spazio in questo ciclismo di grandissimi motori per una zanzara scaltra e fantasiosa come il francese.

«Continuo a vivere il ciclismo della vecchia scuola – dice – lo faccio nello stesso modo in cui lo facevo dieci anni fa. Non cambierò. Oggi è sempre più una questione di numeri, ma io amo ancora correre seguendo l’istinto. E lo farò finché non mi fermerò. Puoi battere tutti i tipi di record, ma la cosa più importante è comunque come ti senti sulla bicicletta. E ovviamente i risultati che ottieni. A volte vedo i corridori guardare immediatamente il proprio computer dopo una gara, quasi non gli importa sapere quanto distacco hanno preso o come sia andata la gara. Guardano se hanno battuto i record di wattaggio e sono felici. Per me il ciclismo non è questo. La stagione di Pogacar è stata spettacolare. È un fenomeno e ho sentito che è solo al 20 per cento del suo potenziale. Ma per fare il corridore a questo livello, devi continuare a credere che puoi battere certi corridori e lavorare sodo per riuscirci. So anche io che sarà molto difficile, ma se non ci credi non troverai la motivazione per continuare a lavorare».

In viaggio con Patrick Lefevere, 21 anni di mestiere e passione

29.12.2024
9 min
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«Ci hanno presentato ad agosto 2002. Ci vedemmo con lui e Alvaro Crespi a Lugano. Patrick è una persona che ti mette soggezione, se non lo conosci bene. All’epoca era un uomo di questo tipo, un sopravvissuto al cancro. Aveva un’aura quasi magica. Dopo quell’incontro lo rividi un paio di volte, quindi ci trovammo in ritiro e alla presentazione della squadra nel gennaio 2003. La condusse lui, corridore per corridore. E alla fine arrivò a me, pronunciò il mio nome e disse qualcosa in fiammingo, che però non capii…».

Alessandro Tegner racconta. I 21 anni con Patrick Lefevere, passando dal ruolo di addetto stampa a quello di responsabile marketing del team, meriterebbero piuttosto un libro. E ora che il grande capo ha deciso di passare la mano, cedendo a Jurgen Foré il ruolo di CEO della Soudal-Quick Step ma restando comunque nel board, rileggere la storia è un viaggio fra episodi vissuti per lunghi tratti fianco a fianco.

«All’epoca andare a lavorare in Belgio – spiega – non era come adesso che il mondo è piccolino. Era ancora un viaggio, lo sapete bene. C’era una barriera linguistica non indifferente, un mondo completamente diverso dal nostro. Io all’inizio non parlavo fiammingo, la battuta di Patrick durante la presentazione me la spiegò Stéphane Thirion, il giornalista di Le Soir. “Questo è Alessandro – aveva detto – il nostro nuovo ufficio stampa. Mi hanno detto che è bravo”. Mi sentii gelare il sangue. Pensai: cavolo, tre mesi e sono a casa».

Bakala, azionista di maggioranza del team, Lefevere e il suo erede Jurgen Foré (foto Soudal-Quick Step)
Bakala, azionista di maggioranza del team, Lefevere e il suo erede Jurgen Foré (foto Soudal-Quick Step)

La storia del ciclismo

Lefevere ha fatto la storia del ciclismo. Fra alti e bassi, le sue squadre hanno sempre lasciato segni importanti, sin da quando nel 1992 sbarcò anche in Italia con la Mg-Gb, la prima multinazionale del ciclismo. Ha vinto innumerevoli edizioni del Fiandre, della Roubaix e delle altre classiche fiamminghe con Museeuw, Boonen, Devolder, Terpstra, Gilbert, Ballerini e Tafi. La Sanremo, la Freccia Vallone, la Liegi e il Lombardia con Bettini, Pozzato, Alaphilippe ed Evenepoel. Centinaia di volate con Boonen, Kittel, Cavendish, Gaviria, Viviani, Jakobsen, Merlier e leadout come Morkov e Richeze. Con 981 successi in carriera, la conta delle vittorie è da record. Una strada lastricata di successi e anche di qualche caso spinoso da cui Lefevere è sempre uscito con assoluzioni nette.

Il suo ritiro chiude un’epoca e proietta la squadra verso un futuro da scrivere, con un leader come Evenepoel trattenuto caparbiamente nonostante la corte sfrenata della Ineos Grenadiers e della Red Bull-Bora. Ci piace immaginarlo come un appagato D’Artagnan che, stanco a capo dell’ultimo duello, ha scelto di passare il mantello e la spada a dirigenti più giovani di lui per il bene della squadra da lui creata.

Nei momenti belli e in quelli più difficili, Boonen è stato uno delle bandiere dei team di Lefevere
Nei momenti belli e in quelli più difficili, Boonen è stato uno delle bandiere dei team di Lefevere
Si può fare un paragone fra Patrick Lefevere e Giorgio Squinzi? C’erano cose in comune secondo te?

Ho avuto la fortuna di lavorare con Giorgio Squinzi per un paio di stagioni. Lui aveva una capacità decisionale incredibile. Un aspetto che secondo me lo lega a Patrick, era l’abilità nel risolvere le problematiche. Mi ricordo di una riunione infinita alla Mapei, al quarto piano del marketing. Stavamo discutendo di mille cose e non riuscivamo a trovare il bandolo. Finché arrivò lui, si affacciò alla porta e si fece spiegare il problema. «Scusate – disse – ma perché non fate così?». In un minuto risolse una cosa su cui noi discutevamo da una giornata intera.

Patrick è così?

Non sapete quante volte l’ho chiamato per uscire da una situazione difficile. E quando lo facevo, con la capacità incredibile di leggere le cose, mi diceva che si sarebbe potuto fare in un certo modo. Io lo guardavo e pensavo: ma cavolo, avevo la soluzione davanti agli occhi e non la vedevo. Stiamo parlando di fuoriclasse, non per niente hanno raggiunto entrambi il vertice nel loro lavoro.

Patrick è tifoso del corridore belga o del corridore forte?

Patrick è sempre stato tifoso del corridore forte. Aveva sempre un occhio per i belgi, perché per quel tipo di sponsor il mercato belga era importantissimo. Però ha creato la prima vera squadra internazionale dopo la Mapei. C’erano corridori di 10-11 nazionalità, fra noi parlavamo inglese e Patrick voleva che facessimo così. E’ sempre riuscito a far convivere qualità e mentalità incredibili. Li vedete Paolo Bettini e Tom Boonen nella stessa squadra? Come adesso far convivere Pogacar e Van der Poel. E lui l’ha fatto. Ha rivitalizzato Virenque, Gilbert e Cavendish. Sicuramente era più innamorato dei corridori forti che dei corridori belgi. E ha sempre speso parole importanti per lo staff, per i meccanici e i massaggiatori.

Liegi 2023, Evenepoel fa doppietta. La difesa del suo contratto è stato il colpo di Lefevere per tenere la squadra ad alto livello
Liegi 2023, Evenepoel fa doppietta. La difesa del suo contratto è stato il colpo di Lefevere per tenere la squadra ad alto livello
In che modo?

Ha sempre detto che i corridori vanno e vengono, mentre lo staff è la spina dorsale delle squadre. Questi sono insegnamenti che poi, giorno dopo giorno, in qualche modo riesci ad assimilare. Da qui nasce la mentalità e quello che noi abbiamo chiamato Wolfpack, che esisteva dal primo giorno di fondazione della squadra ed è l’espressione dello spirito di Patrick. Il modo di fare, il modo di aiutarsi e di collaborare. Lui è l’uomo che ha creato tutto questo, non c’è ombra di dubbio. Se venite in Belgio, Patrick è un’opinion leader su tante cose.

Patrick è passato anche attraverso campagne di stampa contro la sua figura in tema di doping, ma non ha mai chinato il capo.

Patrick non ha mai chinato il capo e la dimostrazione che avesse ragione è venuta con le cause che ha vinto. Non ha mai mollato l’osso. Abbiamo lavorato giorno e notte per venirne a capo, però sono cose molto istruttive. Quando vedi che il tuo capo è dritto e dice che non è successo nulla, ti viene addosso una forza non comune. Se guardi Patrick, capisci che non ti sta dicendo una cavolata. Quindi ti butti nel fuoco e fai tutto quello che è necessario fare.

Un vero condottiero?

Nelle situazioni difficili, Patrick diventa freddissimo. Diventa di una lucidità pazzesca, non solo su questo caso, parlo in generale delle mille cose che sono successe. Quando a te sembra che tutto attorno stia crollando, lui ha sempre la freddezza e la lucidità di trovare soluzioni su tutto. E in questo diventa una figura ancora più prominente. E’ una cosa che ho provato a fare mia, cercando di vedere le cose con più distacco quando ci sono avvenimenti importanti, in modo da avere un punto di vista più obiettivo.

Nel 2012 Boonen vince Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix: un filotto mai visto
Nel 2012 Boonen vince Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix: un filotto mai visto
C’è stato un momento dopo quella presentazione del 2003 in cui Patrick ti ha dato una pacca sulla spalla?

Patrick non è un uomo da complimenti. Ho saputo quello che lui pensava di me da altre persone oppure lo capivo da piccoli gesti o in certi momenti in cui la confidenza va oltre il lavoro. Passando tanto tempo insieme, parlandoci quotidianamente al telefono, sono riuscito a conoscerlo in modo diverso. Solo una volta l’ho visto davvero far festa per i risultati della squadra.

Quando?

Nel 2012, quando Boonen mise in fila Harelbeke, Fiandre, Gand e Roubaix. La sera dell’ultima vittoria, riservammo il ristorante di Gand dove festeggiavamo le nostre vittorie. E quella sera Patrick mi disse: «Alessandro, questa sera non pensiamo a niente e divertiamoci, perché in 30 anni che faccio questo mestiere, una cosa così non era mai successa e dobbiamo celebrarla». Altrimenti è sempre stato uno che vinceva la corsa e mezz’ora dopo stava già pensando alla successiva.

Mai soddisfatto?

E’ sempre stato così, quasi al punto di cercare il difetto nella vittoria. Ha sempre registrato tutte le corse. Il lunedì le riguardava e poi durante la giornata chiamava le persone cui voleva far notare qualcosa. Magari la squadra che in un certo momento si era mossa male. Quando perdi, l’errore lo vedi subito, ma quando vinci è più difficile. Ci sono stati dei momenti con dei fuoriclasse come Bettini e Boonen in cui vincevamo le corse anche se la tattica non era perfetta, però lui ha sempre cercato questo tipo di perfezione

Il rapporto tra Patrick Lefevere e Alaphilippe è stato strettissimo, ma si è sgretolato nel finale
Il rapporto tra Patrick Lefevere e Alaphilippe è stato strettissimo, ma si è sgretolato nel finale
Ha avuto lo stesso rapporto con tutti i suoi campioni oppure qualcuno è stato più… figlio di altri?

Secondo me ha avuto più o meno con tutti lo stesso modo di rapportarsi. Forse con Alaphilippe qualcosa di più. Julian ha fatto tutto qui, è nato ed è cresciuto con noi. Correva alla Armée des Terres in Francia e praticamente nessuno se lo filava. Patrick ha sempre avuto un certo amore per i corridori francesi. Alaphilippe, Chavanel, Cavagna, ora Paul Magnier. Un po’ perché avere corridori francesi è importante per il Tour e un po’ perché forse ci vede l’estro, la fantasia, qualcosa di diverso dai belgi.

Avrà amato Alaphilippe, ma negli ultimi anni lo ha anche trattato con una durezza non comune…

A Patrick non saltano mai i nervi e non dice mai una cosa a caso. Magari l’ha fatto alla Lefevere, però ha espresso i suoi concetti. Forse le cose che pensavano in tanti, ma che solo lui ha veramente espresso fino in fondo. Questo a volte sprona i corridori e li porta a performare, a volte no, dipende dai casi. Quando uno firmava un contratto con Patrick, sapeva che da lui avrebbe avuto tutto, perché Patrick ai suoi atleti dà tutto. Compresa la durezza nelle situazioni di tensione.

C’è stato un momento, con l’arrivo dei mega budget, in cui Patrick ha capito che far quadrare i conti stava diventando sempre più difficile?

Abbiamo sempre fatto delle scelte oculate. Non siamo mai stati in una situazione di primi budget al mondo, però la squadra va sempre così bene che probabilmente nessuno si è mai posto il problema. Abbiamo fatto il massimo con quello che avevamo, senza strafare. L’entrata nel ciclismo del mondo arabo ha dato una svolta, può essere stata la pietra miliare che ha cambiato il panorama internazionale e ha creato degli sbilanciamenti. Ci ha costretto a lavorare più a fondo. Noi abbiamo degli sponsor fantastici, però è chiaro che non è semplice lottare contro squadre che hanno un budget di quel livello.

Patrick è sempre stato attento ai dettagli e ha sempre riletto le corse cercando la perfezione. Qui con Bettini nel 2007
Patrick è sempre stato attento ai dettagli e ha sempre riletto le corse cercando la perfezione. Qui con Bettini nel 2007
Ti aspettavi che annunciasse il ritiro in questi tempi?

Mi ha un po’ spiazzato. C’era un progetto per il cambiamento, per cui mi aspettavo che avvenisse con più gradualità. Però magari negli ultimi tempi era stanco. E poi, anche se non sarà più l’amministratore, rimarrà accanto alla squadra, che ha curato e fatto crescere per 24 anni. Immagino che non l’abbandonerà così.

Chi è per te Patrick Lefevere?

Un maestro su come lavorare con passione mantenendo la professionalità. Mi ha insegnato uno stile di vita. Dico sempre che lui appartiene a una cerchia di fuoriclasse che illuminano il gioco. Come Baggio o Maradona, un grande artista. Uno di quei personaggi dotati di una capacità di intuizione superiore alla media, da cui è bene cercare di imparare il più possibile. Detto questo, non sono sempre stato d’accordo con lui. Però le decisioni in cui mi ha coinvolto sono state così condivise che le ho sentite anche mie. Patrick ha una grande capacità di delega. Avvia un processo, lo lascia andare avanti con gli altri e poi torna per metterci l’ultimo tocco e la firma.

La squadra senza di lui cambierà pelle?

Jurgen Foré l’ha segnalato, scelto e portato lui in squadra. Non viene dal ciclismo per la voglia di dare un’impronta più aziendale alla squadra. Ha una personalità diversa da Patrick e sa bene che non potrà sostituirlo. Farà come tutti il suo lavoro cercando di essere la versione migliore di se stesso. Sono convinto che sia la persona giusta per continuare a pensare a questa squadra e avere davanti a noi magari altri 10 anni.

Alessandro e Patrick, la foto mandata dallo stesso Tegner: come due amici in relax
Alessandro e Patrick, la foto mandata dallo stesso Tegner: come due amici in relax
Ti abbiamo chiesto una foto di voi due insieme, perché tra quelle che hai ci hai mandato proprio quella qui sopra?

Mi è sempre piaciuta. Di solito nelle foto nostre indossiamo la maglia della squadra, siamo sempre in discussione con qualcuno, con un badge attaccato al collo. Questa è l’unica foto che ho di lui nella quale abbiamo una giacca addosso. Siamo noi due, Patrick e Alessandro. Non so chi l’abbia fatta, ma è un’immagine a cui tengo.

Masnada prende cappello e l’Astana spalanca le porte

31.10.2024
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Masnada risponde da Dubai e gli diciamo grazie, perché le vacanze sono sacre. Il momento però è così positivo da volerlo raccontare. E così approfittiamo degli ultimi giorni del suo lungo viaggio per raccontare l’anno storto e l’approdo finale all’Astana, che gli ha dato buon umore e voglia di ripartire.

«Ci sono tre motivi – dice – per cui non avrei voluto nessun’altra squadra. Il primo è che conosco l’ambiente. Fortunato, Ballerini e Scaroni hanno costruito un gruppo forte e affiatato, che vuole fare bene. Il secondo è che ritrovo il preparatore Vasilis Anastopoulos, con cui avevo già lavorato alla Quick Step e in quei due anni feci le cose migliori. E poi c’è Mazzoleni, che mi seguiva negli anni alla Colpack e mi conosce benissimo. Sono queste le tre motivazioni per cui sono contentissimo di aver firmato con l’Astana».

Gli ultimi due anni non sono stati affatto semplici e le parole poco gentili di Lefevere al suo addio fanno capire che il rapporto era ormai sfilacciato. Poche corse nel 2023 e appena qualcuna in più nella stagione appena conclusa nella Japan Cup. E intorno, come carico non trascurabile, il senso di essere mancante di qualcosa che gli impediva di svolgere il ruolo per cui veniva pagato.

Masnada è stato a lungo nel “cerchio magico” di Evenepoel. Lo ha aiutato a vincere la Vuelta del 2022
Masnada è stato a lungo nel “cerchio magico” di Evenepoel. Lo ha aiutato a vincere la Vuelta del 2022
Che cosa è successo?

Negli ultimi due anni non ho performato come ci aspettavamo e Patrick ragiona da manager. E anche io questa volta ho scelto con la testa e non il cuore, per cambiare e trovare nuovi stimoli.

Quanto è stato pesante veder passare il tempo senza riuscire a incidere in alcun modo?

Parecchio. Fossi uno che non si impegna, capirei lo scetticismo. Ma io ero impedito fisicamente e se non rendi, c’è chi prende il tuo posto. Ho cercato di accelerare senza la necessaria gradualità. So come funziona: se aspetti di tornare al 100 per cento, non trovi più posto. Invece la frenesia è stata un errore e mi sono ritrovato al punto di partenza. No ho mai avuto la tranquillità per preparare un obiettivo, ma ero comunque pagato e li vedevo storcere il naso.

Non facile…

Essere a casa era un senso di colpa. Eppure si poteva capire che l’unico a rimetterci ero io. Il mio valore di mercato scendeva e in più stando fuori perdevo l’aspetto gara, il performare nel gruppo. Fermarsi per tre mesi a metà stagione per guarire del tutto, avrebbe significato non correre più. Ero alla ricerca di un contratto e tutti si chiedevano perché non corressi. Perché dovresti ingaggiare uno che non corre? Per questo appena sono stato in grado, sono tornato. Non ho voluto fermarmi, ho rischiato, ma sono bastate quelle poche corse per far vedere che ci sono e trovare un contratto.

Al Romandia le condizioni erano già in calo: di lì a poco il primo test in Belgio
Al Romandia le condizioni erano già in calo: di lì a poco il primo test in Belgio
Due anni e due problemi diversi?

Esatto. Il primo anno ho lottato e risolto con l’intervento l’infezione al soprassella. Quest’anno era diverso, ma il tempo passava ugualmente veloce. Quando sono ripartito, avevo paura di non riuscire a spingere come prima. Poi però ho visto che miglioravo e che i valori crescevano e allora ho capito di aver superato la fase critica.

Si può spiegare che cosa hai avuto?

La chiamano Ovetraining Syndrome, ma non significa che il mio coach mi avesse allenato troppo, è la somma di più cose. Viene individuata, definita e misurata da test universitari ed è per questo che a maggio la squadra mi ha chiesto di sottopormi al test in Belgio.

In cosa consiste?

Vari passaggi. Un test incrementale con prelievi ematici in cui valutavano la risposta ormonale dell’organismo allo stimolo allenante. Hanno visto che nella curva non c’erano segnali che il mio corpo reagisse bene. I dottori si sono confrontati e hanno visto che non dipendeva dall’aspetto mentale.

Calpe 2022, Cattaneo, Masnada, Bagioli: dei tre italiani della Soudal Quick Step è rimasto solo Mattia
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Aspetto mentale? Quindi ti hanno fatto una sorta di visita fiscale?

Una cosa del genere, ma io ero disposto ad andare dovunque pur di far capire che avevo un problema vero. A fine maggio, dunque, il primo test e mi hanno dato due mesi di stop. L’ho rifatto poi ad agosto e la risposta è stata migliore. A quel punto loro volevano che riposassi ancora, ma io mi sono confrontato col medico e gli ho detto che se non fossi tornato a correre, tanto valeva che smettessi. Si è un po’ forzata la mano, ma sono più che felice di come è andata e di essere arrivato all’Astana.

Hai parlato dei tre motivi per cui lo sei: tornare in un gruppo italiano è una bella spinta?

Con i ragazzi sono stato in ritiro a Livigno e anche se di squadre diverse, dopo gli allenamenti ci trovavamo davvero bene. Ci siamo ritrovati a fare gruppo anche giù dalla bici e li vedo che sono uniti e hanno voglia di fare bene. Parlare italiano è importante, soprattutto quando sei fuori per settimane di seguito. A me è capitato di essere il solo italiano in un gruppo che parlava fiammingo e così ti senti escluso.

L’ultima corsa 2024 di Masnada è stata la Japan Cup, chiusa in 21ª posizione
L’ultima corsa 2024 di Masnada è stata la Japan Cup, chiusa in 21ª posizione
Si parte col morale alto?

Altissimo. Abbiamo fatto una videocall con tutte le le figure di riferimento della squadra. Mi hanno dato un’idea di programma, io gli ho detto cosa piacerebbe a me e ne parleremo al primo ritiro a dicembre. Ho anche voluto foto e informazioni di questa nuova bicicletta che ritirerò il 5 novembre al Service Course della squadra a Nizza. Sono al settimo cielo. So che guadagnerò meno rispetto a prima, ma finalmente torno a fare quello che mi piace. Davvero non vedo l’ora di tornare e cominciare. E intanto chiedo informazioni a Lorenzo Fortunato. Qui a Dubai ci sono anche lui e sua moglie…

Garofoli e la Soudal-Quick Step: primi passi del rilancio

14.10.2024
5 min
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GRASSOBBIO – La singolare coincidenza dello stesso hotel alla vigilia del Lombardia ha fatto sì che l’ufficio stampa della Soudal-Quick Step abbia incontrato Gianmarco Garofoli per realizzare il contenuto pubblicato stamattina alle 11. Dopo la Vuelta le trattative hanno avuto una rapida accelerazione. Nei giorni del mondiale avevamo saputo dell’interessamento della squadra belga, l’accordo è arrivato subito dopo. Dal prossimo anno, Garofoli correrà alla corte di Lefevere, guidato da Davide Bramati. Se c’è qualcosa da tirare fuori, questa potrebbe essere la squadra giusta.

«Sono veramente molto emozionato per questa possibilità – dice Garofoli – perché vado in una squadra che ha anche una grande storia. Le emozioni contano veramente tanto. Mi sembra di vivere il mio sogno di quando ero bambino. Far parte di queste grandi squadre, avere l’opportunità di correre e anche a buon livello».

A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
Che cosa è cambiato quest’anno?

E’ stato molto importante. Venivo da annate difficili, soprattutto dopo il periodo del Covid e il mio problema di salute, la miocardite. Questo invece è stato un anno chiave. Ero partito dall’inverno per fare una bella preparazione e mettere tutte le cose in fila. Ho ritrovato me stesso e durante la Vuelta ho avuto delle belle sensazioni. Essere lì e lottare con i grandi nomi mi ha fatto venire i brividi. Dopo tanto tempo ho realizzato che riesco ad andare davvero forte. Ho ricominciato a vivere emozioni che avevo perso da parecchio tempo.

Temevi di averle perse?

No, dentro di me ho sempre creduto in me stesso, anche se sono stati anni difficili. Non nascondo che qualche volta non mi sono sentito all’altezza. Però sono stato forte, ho perseverato e sono riuscito ritrovare queste belle emozioni. Ritrovarmi accanto a Pogacar all’Emilia quando ha attaccato, in qualche modo è stato importante.

La Vuelta è stato il tuo primo grande Giro, fosse stato per te lo avresti fatto prima?

A inizio anno non era previsto che facessi un Grande Giro. Magari non ero ancora pronto, non avevo fatto gli step che servivano. Poi, per diverse situazioni, già durante la seconda parte di stagione si vociferava di questa mia partecipazione alla Vuelta. E verso fine luglio ho avuto la notizia che sarei partito e sono stato molto contento.

Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Come è andata?

Mi ha cambiato. Il Grande Giro di tre settimane ti cambia il motore, ma soprattutto per ora mi ha dato tanta sicurezza in me stesso e consapevolezza dei miei mezzi. Il fatto che non ci abbia provato prima probabilmente è dipeso dai problemi di salute delle ultime due stagioni. Sono rimasto un po’ indietro rispetto alla mia generazione, rispetto a Piganzoli e Milesi, per esempio. Sto facendo i passi che loro magari hanno fatto prima, però sono contento di essere ormai sulla strada giusta.

Le emozioni di stare davanti con i grossi nomi alla Vuelta somigliano alle emozioni di quella prima sfida con Scarponi a Sirolo, tu ragazzino e lui vincitore del Giro?

Emozioni differenti (si commuove, ndr). Quella volta a Sirolo, vedevo Michele come un campione, un sogno, la realizzazione di un mio sogno. Michele era una guida. Invece le emozioni che ho provato alla Vuelta erano legate alla sicurezza in me stesso, alla fiducia che avevo un po’ perso. Emozioni simili, ma diverse.

Che cosa ti avrebbe detto Michele dopo la Vuelta?

Che sono andato forte!

All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
Dal prossimo anno sarai con Bramati: che cosa pensi della figura del direttore sportivo?

Secondo me è una figura molto importante, qualcuno di cui potersi fidare. Che ti aiuta e magari fa da mediatore fra te e la squadra. Secondo me il direttore sportivo è anche colui che riesce a indirizzarti e a guidarti verso la strada giusta. Sono uomini che hanno già fatto queste esperienze molto prima. Per il momento ho parlato con Bramati. Prima avevo fatto una videochiamata con Jurgen Foré, il direttore operativo, ed è stato un bel dialogo. Mi è piaciuto come mi ha descritto la squadra, sono contento che siamo riusciti a concludere il tutto.

Ti hanno chiesto qualcosa in particolare?

Per il momento non ancora, è presto. Vado nella squadra di un grande leader: quando c’è Remco, si lavora per lui, come è giusto che sia. E’ quello che cercavo. Secondo me una figura che mi è mancata in queste due stagioni da professionista è stato un leader, una figura a cui potevo ispirarmi e da cui potevo prendere qualcosa. Sono veramente emozionato di poter correre con lui e farò tanta esperienza con la possibilità di vedere una gara differente.

Rimani in una grande squadra: hai mai avuto la sensazione che saresti dovuto andare in una squadra più piccola?

Sono sincero, prima della Vuelta avevo un po’ d’ansia e mi sentivo un po’ sconfortato. Non ero tranquillo. Dopo la Vuelta, parlando anche con i ragazzi, i miei genitori che sanno tutto, ho ritrovato la serenità.

Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Che cosa è cambiato?

Quello che cercavo erano risposte da me stesso, non dagli altri. E’ importantissimo trovare la squadra e l’ambiente giusto, però dovevo soprattutto ritrovare me stesso e tornare a fare delle belle prestazioni. Perché al di là dei risultati, che magari per un motivo o per un altro non arrivano, in Spagna ho fatto delle belle prestazioni. Perciò dopo la Vuelta, anche se non avevo ancora una squadra, ero sereno per quello che sarebbe stato il mio futuro.

Secondo te tuo padre ha seguito tutta la Vuelta perché ti aveva visto così poco sereno?

Mio padre ha sempre creduto in me, forse più di quanto ci creda io. Ha sempre cercato di starmi vicino e di non farmi dimenticare chi sono. Per me è stato importante averlo vicino. Tante persone mi dicono che per me è una pressione averlo sempre accanto, invece no. Per me è un valore aggiunto.