Team Bike Sicilia, 2° anno. Parla Tiralongo, maestro di salite

10.03.2025
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Il Team Bike Sicilia di Paolo Tiralongo, nato lo scorso anno con un grande battesimo, riparte con dieci under 23 e il supporto a un team juniores di Palermo che potrebbe esserne il vivaio. Di facile in questa sua impresa non c’è proprio niente. Se soffrono team strutturati e con una grande storia sulle spalle, immaginate quanto sia difficile per una squadra che cerca di fare attività in Sicilia e nel Sud dimenticato da tutti.

Un tempo, in fase di campagna elettorale, i vari candidati si lanciavano in progetti e dichiarazioni. Questa volta il ciclismo del Meridione non è stato neppure sfiorato. Ne hanno preso i voti, laddove possibile, ma l’attività resta marginale: punto di partenza della desertificazione sportiva da cui tanti mettono in guardia.

«Non c’è il cambio di generazione – ragiona l’avolano che è stato pro’ dal 2000 al 2017 – non ci sono ragazzi invogliati a fare ciclismo. Bisogna andare nelle scuole a promuoverlo, bisogna invogliare le scuole a darci una mano, magari supportando i ragazzi quando mancano per andare alle gare. Invece il ciclismo in Italia è percepito come un fastidio. Perché chiude le strade, perché ci sono gli incidenti. Come li trovi gli sponsor se l’immagine è questa?».

A Melilli, con il sindaco Carta (al centro), a sinistra il vice presidente Aloschi e a destra l’assessore Caruso
A Melilli, con il sindaco Carta (al centro), a sinistra il vice presidente Aloschi e a destra l’assessore Caruso

Sicilia, Toscana e Lombardia

Il Team Bike Sicilia ha una base in Toscana, una in Sicilia e una a Bergamo. Nella regione in cui ha corso a lungo da under 23, Paolo ha ritrovato il vecchio amico Leonardo Giordani, compagno di squadra nella Vellutex e poi nella Fassa Bortolo, che gli dà una mano come direttore sportivo. E il resto è tutto da costruire, meritare, immaginare e concretizzare. Qualcuno direbbe che certe squadre non hanno senso. Ma senza di loro, chi va più a cercare i corridori in zone in cui il ciclismo fa fatica a crescere?

«Noi siamo una squadra piccola – spiega Tiralongo – e mettiamo il massimo impegno per dare un’opportunità ai siciliani. La difficoltà è trovare i corridori che facciano lo stesso e abbiano le motivazioni che servono. Sul fronte degli sponsor, non è che in Italia si vivano momenti belli, però alla fine siamo riusciti a chiudere l’annata in pari ed è già buono».

Quest’anno ci sono anche gli juniores, come mai?

Abbiamo fatto un gemellaggio col Team Madone di Palermo e gli diamo un supporto tecnico e logistico in Toscana, in modo da alleggerire le loro spese. Sono venuti a correre al Trofeo Baronti. Sono stati in fuga, hanno visto come funziona. Loro sono forti nella multidisciplina, hanno ragazzi di qualità che vengono fuori dalla mountain bike.

Ieri Visconti raccontava di quanto sia più difficile oggi per un ragazzo siciliano riuscire a emergere.

Ha ragione Giovanni, perché l’ambiente è cambiato totalmente. Le squadre WorldTour vanno a cercare i giovani migliori con devo team dal budget superiore a quello delle professional. Gli altri si devono accontentare di ciò che rimane. Il problema è che anche fra i cosiddetti migliori, pochi emergono davvero, mentre questa ricerca dal basso sta indebolendo il movimento. Le development fanno le gare con i professionisti e quando gli under 23 vanno alle internazionali, le differenze sono enormi.

Anche perché l’attività degli under 23 in Italia non è più così qualificata.

Abbiamo fatto la Firenze-Empoli e il Memorial Polese. Domenica non corriamo, non mi va di fare i criterium. Servono le gare vere, non circuiti con solo 1.000 metri di dislivello. Un under 23 deve fare corse di 180-190 chilometri con 2.500 metri di dislivello. Invece nel calendario italiano c’è poca sostanza e come fai a garantire che uno che vince ha le qualità per andare avanti? Vincere di per sé non conta, meglio essere sempre protagonisti e presenti degli ordini di arrivo, la qualità la vedi così.

Che calendario farete?

Ho fatto delle richieste all’estero e in alcune gare andremo se ci sarà la qualità per essere protagonisti. Se ci invitassero al Giro Next Gen, sarei il primo a chiedergli di lasciarci a casa. O si ha la qualità per fare le corse oppure meglio lavorare per diventare migliori.

Anche i migliori fanno fatica a emergere?

L’obiettivo dei ragazzi è andare in una development, non passare professionisti. Dovrebbero ambire a passare nella squadra numero uno, invece ne vedo molti che vanno nel devo team e si sentono già arrivati. Quello probabilmente è l’accesso diretto alle grandi squadre, ma come ci arrivi? Sei pronto? Il problema non è diventare professionista, ma durare a lungo e andare forte. Questo si devono mettere in testa, perché se ti ammazzi per passare e poi duri cinque anni, cosa hai concluso?

Come si fa per rimanerci?

Devi creare in primis la mentalità. Devono crescere e capire veramente cosa vuol dire fare il professionista. Poi ovviamente servono anche le qualità. Adesso invece funziona che li prendono dagli juniores in base ai test, vanno all’estero e se non sfondano, alle spalle ce ne sono altri che spingono. Ma se vieni respinto a vent’anni, ce la fai a ripartire oppure smetti senza aver dimostrato chi sei? La testa conta più delle gambe. Se hai degli stimoli mentali, vai avanti. Sennò devi lasciare strada.

Da quest’anno il Team Bike Sicilia collabora con il palermitano Team Madone negli juniores
Da quest’anno il Team Bike Sicilia collabora con il palermitano Team Madone negli juniores
Cosa c’è a livello ciclistico in Sicilia?

C’è la squadra di Angelo Canzonieri. Quella di Giarratana. Ci sono quelli di Monterosso Almo che organizzano il Trofeo Cannarella. C’è la squadra di Mancuso, che ha l’affiliazione col Cene. Il problema è trovare il corridore di qualità. Ci vuole pazienza perché i corridori buoni sono pochissimi e prenderli è difficile perché non possiamo spendere come una development. Questa è la difficoltà di tutte le squadre, non solo la mia.

Dicono che non partono più perché non ce la fanno a stare due anni fuori casa senza prendere soldi.

Ma voi credete che ai nostri tempi tutti prendessero soldi? Sai quanti ce n’erano nella Vellutex che non prendevano una lira? Io avevo il mio stipendio, di certo anche Visconti e Nibali, ma perché eravamo nel giro della nazionale sin da juniores e vincevamo le corse. Prima serve la qualità e poi semmai arrivano i soldi. Devono pagarti solo perché sei siciliano e vai via di casa? Per avere i soldi devi lavorare, diventare migliore e capire se hai quello che serve per farti una carriera.

Come si diventa migliori?

Glielo dico sempre. Vi piace andare in bici e avete scelto di fare i corridori, ma sono due cose molto differenti. Per correre in bicicletta bisogna fare tanti sacrifici, essere motivati. Lo devi desiderare, puoi avere grandi valori fisici, ma se non ci metti la testa non arrivi. E soprattutto gli dico che un corridore si fa per gradi, troppo facile mandarli a correre per ottenere tutto e subito. E se poi non arriva?

CyclingCeramic in Italia: la distribuzione è di Fina Bike

24.07.2024
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E’ la commerciale Fina Bike la società distributrice ufficiale ed esclusiva per il nostro paese dei prodotti proposti sul mercato dal brand francese CyclingCeramic, realtà specializzata nella produzione di cuscinetti in ceramica ad alte prestazioni. 

I cuscinetti in ceramica stanno diventando sempre più popolari nel settore ciclistico in quanto offrono diversi vantaggi rispetto ai tradizionali cuscinetti in acciaio, tra cui attrito ridotto, maggiore durata e migliore resistenza alla corrosione. I cuscinetti in ceramica di CyclingCeramic, in modo particolare, sono progettati per essere compatibili con un’ampia gamma di componenti per biciclette, come mozzi, movimenti centrali e pulegge del deragliatore. L’azienda utilizza materiali ceramici di altissima qualità per garantire che i suoi cuscinetti siano sia leggeri che durevoli, offrendo al tempo stesso una gamma di opzioni per adattarsi a diversi stili e condizioni di guida. 

Oltre ai cuscinetti in ceramica, CyclingCeramic produce anche altri accessori, come corone e pulegge del deragliatore, progettati per migliorare le prestazioni e ridurre l’usura dei componenti della bici. L’azienda, che come già anticipato ha sede in Francia, diffonde i propri prodotti a clienti in tutto il mondo, e in Italia la rete dei rivenditori ufficiali autorizzati CyclingCeramic è rifornita e coordinata da Fina Bike.

CyclingCeramic produce cuscinetti in ceramica progettati per migliorare le prestazioni
CyclingCeramic produce cuscinetti in ceramica progettati per migliorare le prestazioni

Una sede all’avanguardia

Con sede “storica” a Serradifalco, nel pressi di Caltanissetta, in Sicilia, Fina Bike e si occupa dal 1994 della distribuzione commerciale di alcuni dei migliori marchi di biciclette attivi sul mercato, ma anche di accessori, di componenti e di abbigliamento per il ciclismo. Dal gennaio 2005, Rosario Fina, il fondatore della realtà (nella foto di apertura insieme ad Alessandro Ballan) dopo una lunga attività agonistica come atleta e come manager nel mondo del ciclismo, si dedica completamente all’attività commerciale della propria realtà, infondendo nella stessa tutta l’esperienza maturata negli anni di attività agonistica di primissimo livello e dirigenziale come tecnico federale.

CyclingCeramic è distribuito in Italia da Fina Bike
CyclingCeramic è distribuito in Italia da Fina Bike

Degna di menzione è anche la sede nella quale opera Fina Bike: una modernissima struttura che si sviluppa su un’area di ben 2.000 mq all’interno della quale è stato allestito un ampio “showroom” dove vengono esposti e presentati i prodotti di tutte le aziende rappresentate. Per la propria operatività, Fina Bike si avvale di agenti di zona, responsabili area lungo tutto il territorio commerciale italiano, perfettamente in grado di fornire il miglior supporto possibile all’intera rete dei negozianti specializzati che sono serviti.

Fina Bike

CyclingCeramic

Caneva in Sicilia: un’esperienza di vita, non solo allenamenti

18.02.2024
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Dalla pianura di Pordenone alle coste agrigentine di Licata, il Gottardo Giochi Caneva ha attraversato tutto lo Stivale italiano per svolgere il proprio ritiro. Una trasferta in Sicilia per la formazione juniores che non è servita solo per incamerare centinaia di chilometri nelle gambe in vista dell’imminente inizio di stagione, ma anche per far vivere ai propri ragazzi una esperienza di vita.

La scelta della destinazione, il viaggio fatto in due gruppi ed in due modi differenti, la giornata tra bici, studio ed escursioni. Il Caneva ha sfruttato appieno la settimana di Carnevale per scoprire qualcosa in più del proprio gruppo ed anche farsi conoscere. Ne abbiamo parlato con Michele Biz, presidente del team giallonero e figlio dello storico patron Gianni, ed Ivan Ravaioli, nuovo diesse ed ex pro’ di Mercatone Uno, Barloworld e Saunier Duval.

Il Caneva è stato ricevuto dall’amministrazione comunale di Licata. Qui l’assessore allo sport Maria Sitibondo e il diesse Ivan Ravaioli alla sua sinistra
Il Caneva è stato ricevuto dall’amministrazione comunale di Licata. Qui l’assessore allo sport Maria Sitibondo e il diesse Ivan Ravaioli alla sua sinistra

“Gemellaggio” siciliano

Dopo la morte del padre nel 2012, Michele ha assunto la guida della società mantenendo la stessa filosofia che aveva accompagnato i trionfi del Caneva negli anni Novanta e Duemila. L’anno scorso hanno celebrato i sessant’anni di attività e quest’anno si sono concessi un ritiro “stellato” in Sicilia (e capirete perché), quasi fosse un gemellaggio tra il loro Comune e quello che li ha ospitati.

«Avevamo già messo in programma di fare un ritiro durante il periodo di Carnevale – racconta Michele Biz – visto che le scuole osservavano diversi giorni di chiusura. Siamo stati via da venerdì 9 a mercoledì 14 febbraio, quindi i nostri ragazzi alla fine hanno fatto solo due giorni di assenza. E’ stato un ritiro a metà tra il turistico e l’agonistico, se così possiamo dire. Abbiamo trovato un’ospitalità che solo in Sicilia si può trovare, venendo ricevuti addirittura dall’Amministrazione locale. Per noi è stato un motivo di orgoglio e chissà che non sia nato qualcosa per il futuro».

I tredici juniores del Caneva ogni giorno facevano tra le tre e le cinque ore di allenamento
I tredici juniores del Caneva ogni giorno facevano tra le tre e le cinque ore di allenamento

«La scelta di andare a Licata – prosegue – è stata quasi un caso. Il nostro vicepresidente ha un collega di lavoro di quella zona che gli aveva suggerito che una struttura alberghiera con prezzi davvero vantaggiosi, dato anche il periodo di bassa stagione. Ci abbiamo riflettuto e così abbiamo prenotato quasi tutti gli appartamenti che avevano a disposizione.

«Una volta laggiù – continua – abbiamo poi voluto godere della loro cultura al di fuori degli allenamenti. Non siamo solo andati alla scoperta della zona, ma abbiamo voluto anche assaggiare la loro cucina. E chi meglio di Pino Cuttaia, chef stellato, poteva farcela provare? Lui ci ha preparato la tipica colazione siciliana, raccontandocene la tradizione. E pensate che Pino è un grande appassionato di ciclismo. Ci raccontava che quando lavorava negli hotel in Piemonte negli anni Novanta, durante i Giri d’Italia aveva avuto come clienti Bugno, Indurain ed altri corridori di quel periodo. Infatti le domande che ha fatto ai ragazzi o sulle nostre bici erano molto mirate. E’ stato davvero un piacere conoscerlo e i ragazzi si sono divertiti».

Il Caneva è stato ospite per colazione all’Uovo di Seppia, il locale gestito dallo chef stellato Pino Cuttaia, appassionato di ciclismo
Il Caneva è stato ospite per colazione all’Uovo di Seppia, il locale gestito dallo chef stellato Pino Cuttaia, appassionato di ciclismo

Caneva-Licata andata e ritorno

Uno degli aspetti più belli e curiosi di una trasferta è il viaggio. Per abbattere la distanza tra Friuli e Sicilia c’è l’aereo, però non è l’unico modo per farlo. La squadra giallonera si è attrezzata con dovizia di particolari.

«Tra Caneva e Licata – va avanti Michele Biz – ci sono 1.600 chilometri e quindici ore di auto. Ci siamo organizzati bene per fare tutta una tirata in giornata. Due furgoni con tre persone a bordo, che si davano il cambio alla guida, hanno raggiunto i tredici ragazzi e i tre diesse che avevano preso il volo Bologna-Catania. All’andata hanno rischiato di non partire per uno sciopero del personale di terra. Poi grazie alla nostra agente viaggi e ad una serie di telefonate per sincerarci che tutto fosse sicuro, la squadra è partita. Questo episodio fa parte della tradizione Caneva e l’ho preso da esempio per insegnare ai ragazzi che bisogna lavorare perché le cose vadano bene. Proprio come si deve fare in bici».

Il Caneva in Sicilia a parte il primo giorno di pioggia, ha sempre trovato una clima buono per allenarsi
Il Caneva in Sicilia a parte il primo giorno di pioggia, ha sempre trovato una clima buono per allenarsi

«Questo viaggio – aggiunge Ivan Ravaioli – è stato davvero un’esperienza di vita per i ragazzi. Alcuni di loro non avevano mai preso l’aereo e farlo con i propri amici e compagni è stato ancora più bello. Ma non è finita lì. Una volta atterrati a Catania, abbiamo preso un mezzo pubblico per arrivare a destinazione. All’uscita dell’aeroporto c’è proprio un pullman di linea che va diretto a Licata. E’ stato un modo per immergerci già nel clima siciliano e vedere fuori dal finestrino dove saremmo stati per sei giorni».

La giornata dei gialloneri

Le gare sono all’orizzonte e il Caneva ha macinato chilometri attorno a Licata. Quest’anno a guidare la squadra è arrivato Ivan Ravaioli, che ha preso il patentino da diesse proprio negli ultimi mesi. Per sua stessa ammissione, lui vuole improntare sul dialogo il rapporto con i suoi ragazzi. Parlare con ognuno di loro sugli obiettivi da raggiungere e poi studiare la strategia per centrarlo. Certo, poi c’è il passato da pro’ che tornerà utile da trasmettere.

«Abbiamo fatto una buona settimana di bici – spiega Ravaioli – grazie al clima. Solo il primo giorno abbiamo preso la pioggia, rientrando un po’ sporchi perché avevamo scelto strade sconosciute. Nei giorni successivi invece abbiamo programmato percorsi più precisi. A seconda dei lavori, facevamo sempre dalle tre alle cinque ore di allenamento a cavallo del mezzogiorno. Questo ritiro lo abbiamo dedicato all’intensità per cercare il ritmo-gara. Quando tornavamo nei nostri appartamenti, i ragazzi avevano qualche ora libera per studiare e poi di nuovo tutti assieme per andare a visitare la città. Altri due passi dopo cena e tutti a dormire. Questa era la nostra giornata tipo».

Il ritiro siciliano è servito al Caneva per fare intensità e trovare il ritmo gara in vista dell’inizio della stagione
Il ritiro siciliano è servito al Caneva per fare intensità e trovare il ritmo gara in vista dell’inizio della stagione

Gli obiettivi

Il soggiorno del Caneva in Sicilia è servito anche per mettere nel mirino qualche obiettivo, sia individuale sia come filosofia di squadra. La qualità per essere protagonisti non manca. De Longhi, azzurro ed argento ai tricolori di ciclocross, e Stella, quattro medaglie in pista tra europei e mondiali, sono i nomi più in vista.

«Abbiamo assemblato un gruppo – conclude Michele Biz – in modo eterogeneo, tra primi e secondi anni, tra velocisti, scalatori e passisti. Amalgameremo tutto contando anche sulla voglia di riscatto di alcuni ragazzi. Abbiamo il vantaggio che il gruppo, tra nuovi e confermati, si conosce comunque da tanto tempo, quindi sarà più facile far capire le nostre direttive. Il ritiro in Sicilia ha avuto sicuramente più aspetti positivi che negativi. Ho visto che ha fatto bene al gruppo e penso che lo ripeteremo l’anno prossimo».

«Personalmente – chiude la sua analisi Ivan Ravaioli – vorrei preparare mentalmente questi ragazzi a ciò che li attende. Metodo e programmazione dell’obiettivo sono alla base del ciclismo, specialmente quello attuale. La categoria juniores è l’anticamera del professionismo e loro devono essere pronti con la testa a fare un eventuale salto in una devo team, come succede ormai per tantissimi ragazzi.

«Naturalmente c’è anche l’aspetto tecnico da curare. Vorrei far migliorare le caratteristiche in cui sono carenti. Uno scalatore ad esempio lo porterei in pista per insegnargli come affrontare una volata ristretta. Un’altra mia idea è quella di pianificare il calendario delle gare con un mese d’anticipo tenendo conto delle prerogative fisiche dei ragazzi. Siamo tutti fiduciosi di fare bene».

EDITORIALE / Juniores con la valigia nel meridione d’Europa

20.11.2023
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«Si è sempre meridionali di qualcuno»: lo disse Luciano De Crescenzo in Così Parlò Bellavista, commedia italiana del 1984. Dal prossimo anno, juniores italiani andranno a correre all’estero e la scelta non è passata inosservata. Anche perché quella che inizialmente poteva sembrare una forzatura, è stata da poco autorizzata dalla Federazione ciclistica italiana. Nel Consiglio federale dell’11 novembre si è infatti reso possibile il tesseramento per società affiliate a Federazioni extra nazionali (in alto la Auto Eder, team U19 della Bora Hansgrohe, in una foto presa da Facebook), a patto che partecipino a un determinato numero di gare regionali.

Suscita clamore già da un paio di stagioni il fatto che emigrino gli under 23 di primo anno, attirati dai Devo Team delle WorldTour del Nord Europa. Ora che se ne vanno i piccoli, il primo istinto è l’indignazione. Un sentimento condivisibile. Partire significa spesso crescere più in fretta, ma non è detto che funzioni per tutti. Il rischio è tornare sconfitti, avendo perso del tempo. Per questo ci aspetteremmo una reazione anche più energica davanti alle cause che li spingono fuori dall’Italia. Perché questi ragazzi effettivamente partono?

Coppa d'Oro 2021
Dal prossimo anno, i migliori allievi potranno correre da juniores anche all’estero (foto Coppa d’Oro)
Coppa d'Oro 2021
Dal prossimo anno, i migliori allievi potranno correre da juniores anche all’estero (foto Coppa d’Oro)

Siamo tutti siciliani

Di certo perché ci sono agenti che glielo propongono e che negli ultimi anni – fra giovani e donne – hanno triplicato il bacino di utenza. I corridori parlano delle poche corse a tappe nel calendario nazionale (nel 2024 ce ne saranno due nuove). Del tipo di attività. Di squadre dedite al risultato e poco alla formazione. Vero o no che sia (sbagliato fare di tutta l’erba un fascio), sarebbe davvero utile parlare delle cause e non limitarsi a perdere la voce di fronte al fatto compiuto. Non è singolare però che nessuno abbia mai detto nulla quando a partire da juniores erano ragazzini siciliani come Visconti o Nibali? Oppure stranieri come i fratelli Vacek, arrivati in Italia da allievi? Forse per averne narrato la storia in un recente libro, il percorso di Visconti continua a sembrarci emblematico di cosa significhi per un ragazzo di 16 anni lasciare casa.

«La necessità di partire – ha detto anche di recente il palermitano – a un certo punto si è fatta impellente, perché giù non c’era più il calendario necessario per emergere. Ho cominciato a viaggiare da allievo. Da un certo punto in poi la mia vita è cambiata. Se non mi fosse piaciuta, probabilmente avrei smesso e non sarei durato troppo a lungo. Però era anche il tipo di vita che faceva la selezione fra i tanti che provarono insieme a me. Perché alla fine, di quei tanti sono rimasto solo io».

E così i siciliani partivano, lasciando gli affetti sull’Isola, anche loro in cerca di squadre migliori e gare più attendibili. Non tutti però sono diventati Nibali e Visconti, l’esperienza di Sciortino lo ha appena confermato. La risposta negli anni è sempre stata debole. Nessun presidente federale degli ultimi 30 anni – da Carlesso a Ceruti, da Di Rocco fino ai giorni nostri – può dire di averci provato seriamente. Il blocco dei siciliani ad opera del Comitato regionale agli inizi degli anni 90. Il Progetto Sud. Il balletto delle affiliazioni plurime, concesse e poi ritirate. I vincoli regionali. E tutto quell’universo di rimedi che hanno coperto per anni la scarsa intenzione di mettere mano al problema.

Forse lo si riteneva normale. Non si è sempre dato per scontato che per trovare lavoro si debba lasciare il Sud e trasferirsi al Nord? Giù non ci sono soldi, d’altra parte, su ci sono le fabbriche. E se invece i soldi finiscono anche al Nord? Succede che anche quelli di su scoprono (in parte) cosa significhi essere siciliani e veder partire i propri figli. Siamo il Meridione d’Europa, lo siamo anche geograficamente. E tutto sommato da una qualsiasi regione del Nord Italia si fa molto prima a raggiungere Raubing, sede della Bora-Hansgrohe, di quanto impieghi un palermitano per raggiungere Pistoia (il viaggio di Visconti).

Nibali da junior, Visconti già da allievo: essere ciclisti al Sud ha sempre comportato la necessità di lasciare presto casa
Nibali da junior, Visconti già da allievo: essere ciclisti al Sud ha sempre comportato la necessità di lasciare presto casa

Ragazzini con la valigia

Lo stesso inaridimento del Mezzogiorno si è prima esteso al Centro e ora sta attaccando il Nord. E la risposta, di fronte al calo dei tesserati, alla difficoltà di trovare squadra da juniores e poi da U23, alla ricerca di un’attività più qualificata, è stata gestire gli effetti senza andare alle cause. Invece di dare il via libera, che in caso di minorenni non è legato al diritto al lavoro, perché non riqualificare l’attività nazionale?

In verità non ci sembra affatto insolito che atleti di 17 anni mettano i sogni nella valigia e li portino dove vedono o credono di vedere una migliore prospettiva per il futuro. Come ai tempi di Visconti. Quello che troviamo disarmante è anche che il fenomeno non sia stato inquadrato a livello internazionale. Ognuno fa quel che gli pare: tanti partono, tanti tornano, qualcuno riesce, tanti smettono.

Alessio Delle Vedove è passato U23 con la Circus-ReUz, pagando da sé il proprio punteggio (foto DirectVelo)
Alessio Delle Vedove è passato U23 con la Circus-ReUz, pagando da sé il proprio punteggio (foto DirectVelo)

Tutti alle urne

Dopo le Olimpiadi si andrà nuovamente al voto e nei programmi elettorali dei vari candidati leggeremo di nuovo le proposte per il Sud e magari anche per l’attività giovanile.

Chi è chiamato al voto legga attentamente quei programmi e poi torni a leggere quelli delle ultime volte. Quindi verifichi quanto di ciò che è stato promesso sia stato effettivamente attuato. E a quel punto voti. Sarebbe curioso, in questa Italia che cerca il cambiamento ma poco fa per cambiare, vedere che cosa succederebbe se la base per una volta votasse con la testa anziché sulla base delle promesse che presto ricominceranno a piovere.

Fiorelli su Sciortino: «Fare il ciclista è difficile se nasci al Sud»

08.11.2023
5 min
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La notizia del ritiro di Carlo Sciortino ha aperto il sipario su un mondo lontano dagli occhi di molti ma sul quale è giusto porre l’accento. Lasciare il ciclismo a 18 anni perché si fa fatica a stare lontani da casa e ci si accorge di essere distanti dal mondo degli under 23. Molti taglierebbero corto dicendo «se non sei pronto a fare sacrifici non puoi andare avanti in questo sport». Ma i sacrifici non sono uguali per tutti, questo lo si vede. I ragazzi che abitano nelle regioni del Nord corrono e vanno a scuola all’interno della stessa provincia.

Due anni fa Sciortino e Fiorelli si incontravano in un bar di Palermo per parlare di ciclismo e futuro
Due anni fa Sciortino e Fiorelli si incontravano in un bar di Palermo per parlare di ciclismo e futuro

L’esempio di Fiorelli

Uno che di questo ha sofferto, ma al tempo stesso ne ha fatto una forza, è Filippo Fiorelli. Ora il corridore della Green Project-Bardiani-CSF Faizanè si trova nella sua Palermo ancora nel limbo tra vacanze e ripresa. Con Fiorelli e Sciortino avevamo fatto una bella intervista che si chiudeva così: «Il 17enne (Sciortino, ndr), parlando con Fiorelli, ha gli occhi colmi di speranza, di voglia di fare, di sogni… che vede concretizzati nel professionista-amico». Quei sogni Sciortino li ha messi da parte, e questo deve far male a noi, perché non siamo più in grado di far sognare un giovane

«Ho incontrato Sciortino a fine stagione – racconta Fiorelli – e abbiamo avuto modo di parlare e confrontarci. Da un punto di vista l’ho assecondato perché lo capisco, non è facile stare lontano dagli amici, dalla famiglia e dalla propria terra. Sono queste le cose che ti pesano di più. La cosa più importante è la salute, se stai male non fai le cose al 100 per cento e non serve a nulla. Dall’altra parte, però, gli ho detto che avrebbe potuto aspettare di finire la scuola e vedere come sarebbe andato un anno fatto “normalmente”».

Negli anni da dilettante Fiorelli deve un grande grazie ai sostegno della famiglia (photors.it)
Negli anni da dilettante Fiorelli deve un grande grazie ai sostegno della famiglia (photors.it)
Ma il problema della distanza non si sarebbe azzerato.

Vero. Lo vedo su me stesso, soprattutto in questo periodo di preparazione dove ancora la bici la uso per fare delle passeggiate o uscite molto blande. Mi piace farle nella mia terra perché esco con degli amici amatori, qualche junior e non sono mai solo. E’ piacevole avere compagnia quando si va in bici, anche per non pensare troppo agli impegni. 

Anche tu sei stato e stai spesso lontano da casa. 

So cosa significa e pesa anche a me, per questo mi piace tornare qui in Sicilia appena posso. Però, per dove sono arrivato, è tutto più semplice perché da professionista il calendario è gestito in maniera diversa. Si lavora a blocchi di corse, una volta finiti me ne torno qui e sto bene. Quando sei dilettante questa cosa non succede, il calendario è più fitto, devi correre tutti i giorni e non hai occasione di tornare mai a casa. Ora quando ho voglia prendo l’aereo e torno, chiaro che c’è anche l’aspetto economico.

Uno dei momenti più difficili nel 2017, quando i risultati non arrivano a causa di diverse problematiche
Uno dei momenti più difficili nel 2017, quando i risultati non arrivano a causa di diverse problematiche
Sono sempre spese…

Ora sono libero visto anche il contratto che ho con la Green Project, ma se sono qui devo fare una statua d’oro a mia madre. L’ho pensato spesso, fare quello che ha fatto lei è stato come iscrivere un figlio all’università. A mia sorella hanno pagato gli studi, a me hanno pagato la vita da ciclista. Mia madre credeva in me e anche se non capiva bene quello che facevo vedeva che i risultati arrivavano e quindi era tranquilla. 

Si vive tutti in maniera diversa, con la consapevolezza che una famiglia intera sta facendo sacrifici importanti.

Ho sempre pensato che quando un siciliano va al Nord per correre, non va per divertirsi: non è un passatempo. Cosa che invece accade per molti ragazzi che sono vicini a casa e corrono in bici per passione. Io per la mia famiglia facevo dei veri e propri sacrifici. 

Filippo Fiorelli_Giro2020
Nel 2020 il passaggio tra i professionisti con la Bardiani, a 26 anni
Filippo Fiorelli_Giro2020
Nel 2020 il passaggio tra i professionisti con la Bardiani, a 26 anni
Come hai visto Sciortino quando ci hai parlato?

Tranquillo. Quando arrivi a prendere una decisione del genere ci rifletti per mesi, non è una cosa che arriva all’improvviso. 

C’è un punto in cui tu hai capito che ce l’avresti fatta?

Quando fare il ciclista è diventato il mio lavoro, arrivi a quel punto in cui non puoi tirarti indietro, devi andare avanti per forza, perché ce l’hai fatta. Capisco molto di più Sciortino che altri corridori che sono arrivati a correre tra i pro’ e dopo sei mesi hanno deciso di smettere…

Una volta tra i grandi le motivazioni vengono da sé, il problema è arrivarci
Una volta tra i grandi le motivazioni vengono da sé, il problema è arrivarci
Anche tu hai avuto i tuoi momenti difficili?

Certamente, nel 2017 volevo mollare, perché mi sentivo troppo lontano dalla mia famiglia. Quello fu un anno problematico dove ho preso la mononucleosi e non andavo forte come avrei voluto. Mi trovavo alla Beltrami e non ero sereno, così sono tornato in Toscana, alla Gragnano Sporting Club, dove le corse erano più adatte a me. Nel 2019 con loro ho vinto spesso arrivando a correre nel 2020 alla Bardiani. 

Una grande differenza si nota nel mondo degli juniores, che in Sicilia è un movimento ridotto.

Tutto questo lo dicevo a Sciortino. Gli ho sempre detto che quando fosse andato a correre con gli under 23 sarebbero state solo sberle. Qui sei abituato a vincere, ma al Nord il ritmo è diverso, mentalmente è difficile, arrivi a fare tanta fatica. Lo dico spesso: il ciclismo è il 70 per cento testa, 20 per cento cuore e 10 per cento gambe

Due corse e il ritiro: la storia di Sciortino può far riflettere

06.11.2023
5 min
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Come è possibile che di colpo si sia spento tutto è una delle domande con cui Carlo Sciortino fa i conti quasi quotidianamente. Il giovane siciliano ha restituito bici e maglia a Cesare Turchetti, come prima di lui aveva fatto Salvatore Florio. Tuttavia, mentre il compagno di squadra ha parlato di celiachia e di pochi soldi per i sacrifici richiesti, Sciortino usa altri argomenti.

«Soldi ne girano pochi – dice Sciortino da Palermo – lo sapevo e non avrebbe senso lamentarsene. Florio ha sbagliato a usare questo argomento, perché secondo me non è stata quella la vera motivazione, poi non lo so… In tutte le squadre ne girano pochi, nel ciclismo in generale è così. Ormai si campa solo di calcio. Io non ho smesso per i soldi o perché non avessi capacità, ho smesso perché quello che facevo non mi divertiva più. Non mi sentivo pronto. E’ difficile dire se sia dipeso dalla lontananza, ma di certo ha influito. Ancora ci penso e non riesco a darmi una spiegazione. Intanto però ho provato i test per Scienze Motorie e sono entrato. Sto studiando da un mesetto e mi sto appassionando…».

Sciortino correva nel Casano-Matec di Giuseppe Di Fresco, che aveva portato la squadra in Sicilia proprio per stare vicino ai suoi pupilli e concittadini. I risultati erano venuti, era arrivata la convocazione in nazionale e anche al Giro della Lunigiana la rappresentativa gialla e rossa si era messa in evidenza. Poi il passaggio fra gli U23, una delle uniche due vittorie 2023 della Gallina-Ecotek-Lucchini-Colosio (foto di apertura) e il black out, riaccendendo la luce sul ciclismo del Sud usato a fini elettorali e poi inesorabilmente abbandonato a se stesso.

Giro della Lunigiana 2022, Sciortino con la rappresentativa siciliana e il suo diesse Di Fresco
Giro della Lunigiana 2022, Sciortino con la rappresentativa siciliana e il suo diesse Di Fresco
Andiamo con ordine, ti va? Lo scorso anno hai finito gli juniores e hai firmato con Delio Gallina. Quando li hai incontrati?

Li ho conosciuti al primo ritiro di gennaio. Ero in vacanza da scuola, sono salito e ho partecipato al primo ritiro. Era tutto a posto, non avevo intenzione di mollare. Quindi studiavo e mi allenavo come ho sempre fatto. Solo che lentamente, continuando ad allenarmi qui in Sicilia, ho capito che ero svantaggiato rispetto a come si allenavano gli altri under 23. E a quel punto, ho iniziato a maturare la decisione di smettere. Quando ho finito la maturità non mi sentivo pronto e ho deciso di continuare gli studi.

Da junior hai fatto vedere belle cose, con quali obiettivi sei passato U23? Avevi in testa di passare?

Al primo anno da junior, mi sono divertito tanto, anche se magari le prestazioni erano inferiori a quelle del secondo. Nella stagione successiva, da maggio sono andato in ritiro a Massa e sono stato per quattro mesi lontano da casa, sempre in viaggio. Il divertimento è iniziato a mancare e ho cominciato a capire che quando una cosa non ti diverte più come prima, sicuramente c’è qualche problema. Per questo a inizio anno, pensavo che sarebbe stato molto difficile riuscire a passare. Non per le capacità, ma perché non riuscivo più a divertirmi come prima.

Di recente Michael Leonard ha ricordato la sua prima vittoria del 2022, battendo te. Avevi grandi numeri…

Mi ricordo bene quel giorno. Come numeri c’ero, è stato un fatto psicologico. Stare lontano da casa ha avuto il suo peso, rispetto a quando facevo avanti e indietro. Però devo dire che anche quando ero qua in Sicilia e di mattina andavo a scuola, il pomeriggio mi allenavo svogliatamente. Quindi non avevo più le prestazioni che magari mi avrebbero spinto a fare meglio e anche questo ha influito. L’anno scorso avevo la squadra qui in Sicilia che mi dava una mano, quest’anno ero solo. Quando ha smesso Florio, sono rimasto spiazzato. Non me l’aspettavo e anche quella è stata una botta. Però non ha influito, perché comunque il mio pensiero era quello di continuare a pedalare.

Nel 2022 Sciortino ha partecipato al Tour du Pays de Vaud con la nazionale juniores
Nel 2022 Sciortino ha partecipato al Tour du Pays de Vaud con la nazionale juniores
Hai sempre avuto Filippo Fiorelli fra i tuoi riferimenti: hai parlato con lui di questa decisione?

No, ho parlato solo con la mia famiglia, con nessun altro. Turchetti è rimasto male, ha detto che si aspettava di più da me. La cosa che noto è che comunque esco sempre in bici, mi alleno ogni tanto, per divertimento. Quando incontro Fiorelli, usciamo insieme, parliamo. Non ho tagliato i ponti, continuo a parlare con tutti. Mio padre c’è rimasto un po’ male i primi giorni, però mi ha lasciato libero di fare le mie scelte.

Si diceva che per te fosse difficile andare d’accordo con la bilancia e chi l’ha provato sa quanto questo conti nel ciclismo di adesso.

E’ tanto faticoso, tanto. Finché c’era il divertimento, lo facevo con piacere. Quando poi è venuto a mancare il gusto di uscire in gruppo con altri miei compagni, stando da solo ho mollato di testa. Già è difficile, da soli è difficilissimo.

Ti manca l’adrenalina della gara?

Diciamo che sono riuscito a compensarla perché l’anno prossimo penso di farmi qualche garetta con gli amatori, qualche circuito qui in Sicilia. Il ciclismo mi è rimasto addosso. Riesco ad allenarmi qualche oretta, due al massimo e diciamo che sono ancora un po’ competitivo.

Possiamo dire che se in Sicilia e al Sud in generale ci fosse un vero calendario, forse questa storia sarebbe stata diversa?

Penso proprio di sì. Si parla tanto del fatto che a una certa età bisogna lasciare la Sicilia e in genere le regioni dove il ciclismo non si mastica. Adesso che studio, la voglia è di restare nel ciclismo per diventare allenatore e portare un po’ di aria fresca. Questo è un bell’obiettivo, poi comunque è tutto da vedere: la strada è lunga.

Sciortino è arrivato alla Delio Gallina per l’interessamento diretto di Cesare Turchetti
Sciortino è arrivato alla Delio Gallina per l’interessamento diretto di Cesare Turchetti
Magari riuscirai tu a fare una squadra in Sicilia?

Per ora, onestamente, in Sicilia di movimento ce n’è pochissimo, veramente poco. Forse non siamo stati mai a un livello così basso, quindi mi sembra un po’ dura. Speriamo che da qui a 10 anni, la situazione migliori. Al momento ci sono più preparatori e biomeccanici che atleti. Ho letto la notizia che entro un mese dovrebbe riaprire il velodromo di Palermo, però è un anno che deve riaprire fra un mese. Vanno sempre posticipando.

Quante corse hai fatto quest’anno?

Ho corso qui in Sicilia e ho vinto (in apertura il podio al Memorial Francesca Alotta e Rosario Patellaro, vinto su Samuele La Terra Pirré, ndr). E poi una sola fuori regione. Ma devo dire che non ho il rimpianto di non aver fatto qualche corsa più importante, perché non avevo la testa necessaria. Ho preso questa strada, lo studio mi appassiona.

Allora buona vita, il ciclismo resterà comunque un’ottima scuola. Escludi che la passione possa tornare?

Grazie, magari ci vediamo a Palermo. Ma non penso proprio che la passione possa tornare.

“Un primo, sessanta secondi”. Il lungo viaggio di Visconti

01.05.2023
8 min
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Il 15 maggio arriverà nelle librerie “Un primo, sessanta secondi”, viaggio intimo e sorprendente nella vita e nella carriera di Giovanni Visconti. Un percorso letterario che inizia dal momento drammatico e catartico del ritiro e poi torna alle origini in Sicilia, in un mondo che per tanti lettori risulterà lontano e inaspettato (in apertura, il siciliano con i genitori Rosi e Nino alla Coppa Sabatini del 2006, vinta in maglia Milram).

Quello che segue è un piccolo estratto: il terzo capitolo che racconta gli esordi da ciclista, con la regia e la preparazione rigida gestita dal padre Antonino. Il corridore bambino. Il libro, scritto a quattro mani con Enzo Vicennati, è pubblicato da Mulatero Editore e fa parte della collana Pagine Al Vento. 

“Un primo, sessanta secondi” è pubblicato da Mulatero Editore nella collana Pagine Al Vento: 171 pagine al prezzo di 21 euro
“Un primo, sessanta secondi” è pubblicato da Mulatero Editore nella collana Pagine Al Vento: 171 pagine al prezzo di 21 euro

Il corridore bambino

La vita da corridore in Sicilia, che poi da bambini è anche sbagliato chiamarla così, dovrebbe essere un gioco, ma per me non lo è mai stato. E’ piuttosto una guerra tra genitori. Non dico solo tra mio padre e mio zio: quella si potrebbe anche capire. Io e mio cugino Agostino siamo compagni di squadra, ma anche avversari e a vincere è sempre lui. Io arrivo secondo, è una rivalità che sento proprio tanto. Proprio per questo, quello da giovanissimo è uno dei periodi più duri della mia vita. Se non altro, a livello di fatica.

Primo perché non mi vivo niente dell’infanzia e poi dell’adolescenza, ma niente davvero. Secondo perché faccio davvero tanta fatica. Mi alleno tutti i giorni: non come un giovanissimo, ma come se fossi uno junior. E non mi alleno solo in bici. C’è la palestra, c’è la piscina, c’è la corsa a piedi e c’è anche il ciclocross… Mischio tutto, non sto mai fermo.

Mi allena mio padre e la sera arrivo a casa stravolto. Mio cugino è fortissimo. Siamo due bambini della stessa età, ma lui è più sviluppato, anche muscolarmente. Usciamo da scuola, mangiamo qualcosa e ci portano su quello stradone a Brancaccio che fa una specie di cerchio, in cui si può pedalare fuori dal traffico e dove possiamo sentirci un po’ più liberi.

La prima bici è una Olmo bianca e azzurra. Le gare a Palermo richiamano gente sulle strade, ma spesso sono motivo di lite fra genitori
La prima bici è una Olmo bianca e azzurra. Le gare a Palermo sono spesso motivo di lite fra genitori

Mio cugino Agostino

Quando sono in bici con mio cugino, anche se abbiamo 8-9 anni, a meno di 30 all’ora non si va, con i nostri rapportini e tutte quelle pedalate. La fatica che faccio per stare con lui è pazzesca. E la fatica diventa stress mentale: già da bambino sono pieno di paure. Per cui la domenica corro, do sempre il massimo e dopo le gare vomito sempre, sempre, sempre. Non c’è una gara in cui io non vomiti.

Insomma, è dura per entrambi, ma io forse faccio uno sforzo superiore a quello che sono in grado di sostenere. In più mi pesa, perché so che c’è questa lotta tra i genitori. Ho paura di arrivare secondo, la paura di perdere e di vedere anche mio padre sempre un gradino sotto… Sicuramente tutte queste cose compongono un quadro impegnativo per un bambino come me. Una questione fisica e poi anche di testa.

Fra me e Agostino c’è un bel rapporto. In quei periodi si usa stare parecchio in famiglia. Non dico tutte le sere, ma i fine settimana siamo sempre da mia nonna Orsola giù al fiume. Chiamiamo così la sua casa perché effettivamente abita vicino al corso dell’Oreto. Andiamo da lei e ceniamo tutti insieme. Siamo in tanti, tra nipoti e i vari parenti.

Con Agostino giochiamo e facciamo di tutto, tranne che parlare di bici. Da più piccoli abbiamo giocato con le macchinine nella terra, ma ora che siamo più grandi diamo calci al pallone, anche se poi arrivano i nostri padri, si immischiano e rompono le scatole: non si può giocare, dicono, perché fa male alle gambe. Ci controllano nel mangiare, soprattutto mio zio nei confronti di mio cugino. Mi ricordo che tante volte se Agostino vuole mangiare un dolcino, deve farlo di nascosto. Mio padre è un po’ meno duro, però quando sono lì e c’è zio Angelo, anch’io mi sento di dover fare le sue stesse cose. 

Fatica e vomito

Non credo però che mio cugino vinca di più per la vita che fa. E’ semplicemente più forte. Io ci metto più tempo a sviluppare muscolarmente. Sono proprio un bimbetto e nei bambini la differenza la fa lo sviluppo: sarò così fino ai dilettanti. In più, lui fa anche tanta fatica negli allenamenti. La stessa mia, però con quel fisico così sviluppato vale doppio. Quindi per arrivare semplicemente con lui in volata e fare secondo o terzo, muoio ogni volta e vomito, mentre lui vince facile.

Comunque, dopo tanti di questi episodi nei giovanissimi, mio padre mi porta a fare una visita. Andiamo vicino allo stadio di Palermo e questo dottore, in tutta tranquillità, gli dice che evidentemente non sono in grado di sostenere certi sforzi e che è meglio mollare. Fare ciclismo come sport va bene, ma in tranquillità e basta. Dice che secondo lui non ci sono rimedi, è solo che io non ce la faccio. Così continuo a vomitare, finché passa da sé. Probabilmente è tutto legato allo sviluppo, ai mega sforzi, alla fatica per seguire mio cugino e a quello stress psicologico, perché poi di colpo passa da sé. Invece Agostino continua a vincere, anche se pure lui soffre questa rivalità tra genitori e lo stress che c’è sin da bambino.

In qualche modo sento che a me tutto questo serve. Ogni santa domenica, devo cercare quantomeno di arrivare in volata con lui e alla fine diventa il mio stimolo. Agostino è un tipo introverso, sembra un duro, ma in realtà è cattivo solo quando sale sulla bici e si trasforma.

Giovanni Visconti con la maglia del GS Boccadifalco, negli anni cui si riferisce questo capitolo
Giovanni Visconti con la maglia del GS Boccadifalco, negli anni cui si riferisce questo capitolo

La settimana tipo

La settimana tipo non esiste, esiste la vita tipo. Fissa, continua, sempre quella. Cambia solo in base ai periodi. Magari se siamo in inverno, mio padre mi porta su a Pioppo: un paesino sopra Monreale, per camminare in salita. Salite ripide e pareti spelacchiate. Da quelle parti le montagne sono parecchio scoperte, non ci sono boschi e sono il terreno delle mie camminate avanti e indietro. Quando torno, vado in bici e poi in palestra. Però prima di entrare, mio padre mi dice di fare 2 chilometri di corsetta a piedi.

Sono sempre un bambino di 9 anni, ma non fa niente. Due chilometri, una ventina di minuti a piedi. Pam, pam, pam. Torno. Vado in palestra per un’ora e poi passo subito in piscina al piano di sotto. Faccio 40 minuti di nuoto, 80 vasche. E così arriva la sera. Alle 20,30 sono a casa e tutte le sere mi metto a tavola, così morto che non ce la faccio a versarmi l’acqua. E allora chiedo a mia madre, che mi guarda e non dice niente: «Ma’, mi dai l’acqua?». Ce l’ho davanti al naso, ma non riesco a prenderla… 

Mia sorella Ursula

Mia sorella non è gelosa, non c’è mai stato questo tipo di problema a casa mia. Sin da bambina, Ursula ha la testa sullo studio e nel suo mondo. A volte anche lei mi prende in giro, perché sembro viziato. Ed effettivamente lo sono, perché ogni giorno sono stanco morto e non muovo un dito. Però lo stesso, mi aiuta a fare i compiti, perché io non ho tempo e mio padre le chiede di darmi una mano. 

In qualche modo certi giorni la aiuto anche io con lo studio. Mi metto disteso sul divano con la testa sulle sue gambe, lei mi fa le carezze, mi tira indietro i capelli, io mi rilasso e intanto mi ripete la sua lezione. Non c’è mai stata gelosia, perché Ursula è più grande e ben più matura di me. Si rende conto della fatica che faccio e magari pensa che per me possa essere la strada giusta per un futuro diverso.

Fuga in Sicilia: la provocazione (rientrata) di Auro Nizzoli

10.12.2022
7 min
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L’Italia del ciclismo non è unita e guai fingere che lo sia. Sentite cosa è successo quando Auro Nizzoli, sponsor di un team juniores di Reggio Emilia, ha annunciato l’intenzione di affiliare la squadra in Sicilia. La sua non era una provocazione, ma lo è diventata. E ha fatto capire che c’è tanto da fare.

Lo avevamo ascoltato durante un recente viaggio in Sicilia, lo abbiamo richiamato per approfondire il discorso. La sua azienda ha esperienza decennale nell’attività di demolizione, bonifica, autotrasporti e, a partire dal 2014, anche nell’edilizia. Auro è del 1959, ha corso fino al 1981 e ha dentro una passione sconfinata per il ciclismo, che vede soprattutto come una scuola di vita. Mentre parlavamo era davanti alla palestra, con i ragazzi dentro al lavoro. Il ritorno in sella ufficiale avverrà invece ai primi di gennaio, con un ritiro a Noto.

Anche i ragazzi del team emiliano-siculo di D’Aquila e Nizzoli hanno partecipato ai test della nazionale a Montichiari
Anche i ragazzi del team emiliano-siculo hanno partecipato ai test della nazionale a Montichiari
Com’è la vita da sponsor?

Ho corso per tanti anni. Mi sono divertito. Ho conosciuto un sacco di persone che mi hanno aiutato. E quando ho smesso e ne ho avuto la possibilità, ho cercato di dare indietro quello che ho ricevuto. A stare in mezzo ai giovani si rimane giovani. Le persone che ho vicino hanno passione e volontà. Sono sacrifici e soldi, ma vado avanti da 22 anni. Non c’è ritorno economico, il ritorno è la persona che sei. Se fai delle cose di cuore per i giovani, che tu sia un ingegnere oppure uno che non ha studiato, sicuramente quello che ti dà il ciclismo è un valore aggiunto.

Come nasce l’abbinamento con la Sicilia?

Per puro caso. Conoscevo da quasi vent’anni la famiglia D’Aquila. Mi aveva presentato un mio grandissimo amico, Giancarlo Ceruti (presidente FCI dal 1997 al 2005, scomparso nel 2020, ndr), che era amico anche di Salvatore d’Aquila. Mi propose di andare da lui, avrei conosciuto una persona valida e squisita e avremmo partecipato alla corsa che organizza: il Memorial Cannarella. Mi disse anche che portando giù la squadra, avremmo fatto vedere in Sicilia un po’ di movimento. Ho conosciuto così Salvatore. Sono sempre andato alla sua corsa e ho visto l’impegno che mette per far crescere il ciclismo. Così ho pensato di dargli una mano. Avevo delle biciclettine da giovanissimi e gliele ho portate giù. Poi, a distanza di anni, quegli stessi ragazzini li abbiamo fatti passare juniores.

Ha visto la sua stessa passione?

E’ una cosa di famiglia. Di Salvatore e di Giuseppe, suo figlio. Investono. Ci mettono soldi loro. Quando incontri queste persone e cominci a parlarci, senti la voglia di collaborare. Il progetto è nato così.

Il progetto Sicilia nacque dalla conoscenza con Salvatore D’Aquila, a sinistra di Nizzoli
Il progetto Sicilia nacque dalla conoscenza con Salvatore D’Aquila, a sinistra di Nizzoli
Perché affiliarsi in Sicilia?

Perché la Sicilia ha bisogno di far vedere qualcosa. Finché noi portiamo via i ragazzi più forti, come si può creare una cultura ciclistica giovanile sull’isola? I genitori devono lasciare che il figlio a 16 anni vada in un’altra famiglia o in un ritiro dove vivrà da solo o con altri ragazzi come lui. Sono dei bimbi, dopo 22 anni di juniores vedo bene cosa sia un sedicenne di oggi. Quando Nibali è venuto su, era il fenomeno che in Sicilia staccava tutti e si faceva fughe di 30 chilometri da solo. Trovò una famiglia (quella di Carlo Franceschi a Mastromarco, ndr) e fu fortunato. Altri vivono nei ritiri, devono cucinarsi, andare a scuola e allenarsi. Per quella che è l’opinione di Auro Nizzoli, è troppo presto. Come può crescere così il ciclismo giovanile?

Quindi l’obiettivo è non farli partire?

Ho pensato che se riesci a fare qualcosa di locale, se fai vedere che c’è un movimento, allora nasce la mentalità, che è importante quanto i soldi. Il genitore si fa anche 200 chilometri per portare suo figlio alla corsa e lo vede. Vede i dirigenti e la gente che gli sta attorno. Si entusiasma e magari lo trasmette ad altri genitori. Condivide e assapora qualcosa di diverso.

Adesso funziona diversamente.

Facile vincere quando prendi due forti, li porti su perché sono dotati, li metti lì e fanno qualcosa. Ma il rischio qual è? Quando a un giovane di 16 anni chiedi di dare il massimo e lo fai sentire importante, puoi star certo che non andrà lontano. A quell’età non hai la mente per resistere. E quando la vita si farà dura sul serio, lui mollerà. La sua asticella mentale resta bassa, quindi c’è bisogno che crescano in maniera diversa. Quello che ho fatto voleva essere un segnale, visto che sono stati tolti i vincoli regionali.

Il Memorial Cannarella si svolge a maggio a Monterosso Almo (foto Ragusa Oggi)
Il Memorial Cannarella si svolge a maggio a Monterosso Almo (foto Ragusa Oggi)
Poteva funzionare?

L’Emilia Romagna ha tanti corridori e comunque la mia attività sarà svolta principalmente qui. Non è che tutte le domeniche potrò fare avanti e indietro con la Sicilia, però saremo un po’ giù e un po’ qua. L’Emilia poteva anche sfruttare questa cosa per far capire ci potrebbero essere delle sinergie. Invece mi hanno ostacolato, questa cosa l’hanno utilizzata contro i miei ragazzi e i genitori. E’ stato difficile, ma comunque io non mollo. Vorrei dire ai due Comitati Regionali che dovrebbero dialogare per il futuro del nostro ciclismo…

Cosa pensa Nizzoli dell’eliminazione dei vincolo regionale?

Gli juniores sono una categoria internazionale e in Italia ci sono cinque squadre semi professionistiche. Offrono soldi a ragazzi di 16 anni, fanno delle squadre vincenti con dentro 5-6 corridori fortissimi. Per me è sbagliatissimo. Di quei cinque, forse uno diventerà un corridore, mentre gli altri smetteranno. Intanto però ammazzano la corsa e mettono in ombra l’80 per cento del gruppo, composto da quelli che stanno crescendo e prendono paura. Sono preparatissimi, stipendiati, sono già dei professionisti. Se invece ci fosse una cultura di crescita anche per questi più forti, in squadre in cui non li gestiscano come fenomeni, allora può darsi che il nostro ciclismo migliorerebbe.

Era prevedibile che l’Emilia Romagna si mettesse di traverso?

Diciamo la verità, ci sta. Dopo 22 anni che sono tesserato in regione, penso di aver dato qualcosa al ciclismo emiliano e togliersi non è bello. Forse dovevo dialogare, andare a parlare con loro del progetto. Forse potevo anche aspettare un anno per vedere come andava con questo nuovo regolamento. Ma i segnali sono chiari…

Il diesse Scribano e Damiano Caruso, entrambi cresciuti alla Libertas Ibla del professor Guarrella
Il diesse Scribano e Damiano Caruso, entrambi cresciuti alla Libertas Ibla del professor Guarrella
Cioè?

In Emilia Romagna, i 6-7 corridori più forti sono stati presi e portati in altre regioni. Hanno cercato anche qualcuno dei miei. Gli hanno offerto uno stipendio, ma hanno detto di no. Non è corretto pagarli. Io spendo già soldi per formarli, dovrei pagarli perché stiano con me? Non sarebbe più una scuola di ciclismo, almeno io la penso così. Mi dispiace solo per la figura, perché Salvatore lo aveva annunciato. Ho dovuto ritirare quello che ho detto e non è bello. Però questo non sposta niente, io continuo. Perché al di fuori dei tesserini di cui non mi importa nulla, noi saremo emiliani e siciliani. 

Come fate a tenerli insieme?

Si confrontano oggi tutti i giorni sui canali a disposizione. Le problematiche, gli allenamenti, anche su quello che fanno a scuola. Fra le regole della nostra società, la scuola è al primo posto. E’ tassativo che a giugno tutti vengano promossi e questa è la prima vittoria per tutta la squadra. A chi viene bocciato, taglio il tesserino. Se vinci a scuola perché ti impegni, vuol dire che puoi andar bene anche in bicicletta. Dopo 22 anni, ho fatto la media dei ragazzi passati da me che hanno vinto e che andavano bene a scuola. Quelli che hanno continuato nello sport non sono quelli che vincevano di più, ma quelli che andavano bene a scuola. La scuola apre la mente e impari a gestirti meglio. 

Dal 2022 ad allenare i ragazzi di Nizzoli è Adriano Malori, che nel team ha corso da allievo
Dal 2022 ad allenare i ragazzi di Nizzoli è Adriano Malori, che nel team ha corso da allievo
Qualche esempio?

Covili, ma come lui anche Zhupa, Malori e altri che sono arrivati al professionismo. Covili ha vinto una corsa in due anni da junior, era un ragazzo come tutti gli altri. A scuola andava benissimo e passato dilettante, è sempre migliorato. Non ha mai vinto, ma ora è professionista. Ha fatto l’università e sta migliorando di continuo. Magari non è un fenomeno, ma ha la testa per fare belle cose ed è importante per il nostro territorio. Oggi si diventa professionisti, perché c’è la testa. Le gambe servono per vincere nei giovanissimi, negli esordienti e negli allievi. Poi arriva il momento che devi collegare il cervello alle gambe e la differenza la fai per i sacrifici, i chilometri, per la tattica e perché sai dosare la fatica. 

Carretti e tradizioni, nell’inverno “a modo” di Fiorelli

23.11.2022
6 min
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Il carretto che viene alla luce dalla penombra del garage ha colori sgargianti e una cura pazzesca dei dettagli. Fiorelli lo sposta con leggerezza e orgoglio. Questi oggetti d’arte sono la sua vera passione da prima che arrivasse la bicicletta. Peccato che il tempo sia pessimo e non si possa attaccare il cavallo, per questo l’appuntamento è rimandato alla prossima estate. Oppure a primavera, quando da Catania arriverà il carretto nuovo, che poi Filippo decorerà con il nonno Matteo.

Il primo carretto

La strada che porta da Bagheria a Ficarazzi è inondata dalla pioggia che cade pesante dal mattino. Prima è arrivato il vento, poi secchiate d’acqua che hanno trasformato le vie in fiumi. Il mare ribolle sullo sfondo. Verso le montagne e verso Palermo, il cielo è cupo come una minaccia. Stamattina Fiorelli non si è allenato, preferendo correre a piedi. L’inverno è nel pieno e lui a breve partirà per il ritiro della Bardiani alla Tenuta il Cicalino. Oggi però ci ha aperto le porte di casa per soddisfare la curiosità sbocciata nel vedere alcune immagini su Instagram. Siamo qui, l’avrete capito, per la passione di Filippo per i carretti siciliani.

«Il primo vero e proprio lo sto facendo proprio adesso – dice con orgoglio – perché finora avevo sempre quelli di mio nonno. Non ho mai avuto bisogno di acquistarne uno, adesso invece l’ho comprato, perché avevo da tanto il desiderio di farlo insieme a mio nonno. La mia passione vera è proprio questa, il cavallo e il carro. La bici è nata in un secondo momento e ne ho fatto il mio lavoro. Però io sin da piccolo sono sempre andato dietro mio nonno. E mio nonno mi ha portato in questa cultura del carretto siciliano».

In giro sul cavallo

Dell’attaccamento per la sua terra ci aveva raccontato già l’anno scorso, tuttavia scoprire questo tipo di passione ci ha colpito parecchio.

«Solo in Sicilia ci sono queste cose – sorride – magari al Nord ci sono diversi tipi di carretti, perché anche qui nascevano per il trasporto in campagna. Però la mia è proprio una passione, tanto che quando ero piccolo mi prendevano in giro e mi dicevano che ero antico. Perché il carretto è un mezzo di trasporto antico. A me piace andarci in giro. In inverno, quando ho un po’ di tempo libero. Oppure quando andavo a scuola e, tra virgolette, ero un nulla facente, andavo in giro col cavallo per passare il tempo. Ormai qui ci sono poco, ma non mi lamento, perché il ciclismo è il mio lavoro. Però il distacco della Sicilia è davvero una cosa brutta…».

Nel garage di fronte casa, Fiorelli tiene due carretti, cui d’estate lega il cavallo di un amico
Nel garage di fronte casa, Fiorelli tiene due carretti, cui d’estate lega il cavallo di un amico

Un inverno speciale

Non sarà un inverno come gli altri. Lo ha detto il suo mentore Giovanni Visconti. La prossima stagione sarà quella per capire se il salto in uno squadrone sia possibile o se la sua carriera proseguirà alla Bardiani. Basta guardarlo per rendersi conto di quanto si sia sfinato. Dopo l’ultima corsa ha staccato per 20 giorni, lasciando stare la bici come non aveva mai fatto e correndo semmai a piedi.

«Il prossimo sarà l’anno decisivo – ammette Fiorelli – perché ho 28 anni e quindi devo cominciare a dimostrare qualcosa di buono, sia a me sia alla mia squadra e alle persone che credono in me. Questo inverno ho cominciato a lavorare bene. E’ vero che sono concentrato sul peso, perché è quella la cosa che mi impedisce di salire il gradino per tenere gli ultimi metri in salita e arrivare in volata con i 20-30 che sono alla mia portata. Ho vinto volate di gruppo, come al Sibiu Tour, ma solo perché avevo una squadra davvero super che mi ha lanciato bene nella volata. Ma io non mi reputo un velocista».

Il quinto posto nella volata confusa di Plouay, nel giorno di Van Aert, ha fornito ottime indicazioni
Il quinto posto nella volata confusa di Plouay, nel giorno di Van Aert, ha fornito ottime indicazioni

Pensando a Plouay

Il pensiero torna al giorno di Plouay e al quinto posto dietro il vincitore Van Aert. Una corsa impegnativa, che poteva essere alla portata di Fiorelli.

«Quella – dice – è stata una gara di gambe, una gara di forza e quindi davanti sono rimasti quelli più cui era rimasta più energia nelle gambe. Io sono rimasto un po’ imbottigliato, perché è stata una volata un po’ confusa. Però se le cose si fossero messe bene, non dico che potevo battere Van Aert, però subito dopo di lui potevo arrivarci benissimo. L’obiettivo è lottare in questo tipo di gare, in qualche classica. Quella corsa si è svolta come meglio non potevo chiedere. Partenza regolare, pronti via e la selezione che mi ha permesso di restare davanti. Lavorerò pensando a questo, dal 5 dicembre saremo in ritiro e cominceremo a parlare di obiettivi».