Classiche italiane: dal Toscana al Matteotti parlando con Visconti

11.09.2024
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Il Gp Industria e Artigianato vinto domenica scorsa da Marc Hirschi ha fatto da antipasto al calendario autunnale delle classiche italiane, che si concluderà ad ottobre inoltrato con il Giro di Lombardia. Questa tranche di gare si apre oggi con il Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini, per poi passare alla Coppa Sabatini, al Memorial Pantani per chiudersi domenica col Trofeo Matteotti. Una settimana a dir poco intensa.

Tutte queste classiche un tempo erano adatte ad un certo Giovanni Visconti. Erano il suo “giardino di casa”: percorsi ideali per le sue caratteristiche, grandi successi, tanti aneddoti e in qualche caso davvero si correva “dietro casa” sua. 

In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con Basso e un giovanissimo Visconti
In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con un giovanissimo Visconti
Dal Toscana al Matteotti, Giovanni, che gare sono? E che gare erano?

Una volta contavano moltissimo per tutti, specie per gli italiani che cercavano un posto in nazionale. Oggi contano davvero per gli italiani. I parterre non sono quelli di una volta, ma non è colpa di queste gare. Il calendario mondiale è diverso, ci sono più competizioni. Basta pensare che si disputano in contemporanea al campionato europeo e alle gare WorldTour canadesi. Senza dimenticare che un tempo la questione dei punteggi non era così esasperata. Le squadre WorldTour che fanno doppia o tripla attività schierano le formazioni laddove possono guadagnare più punti, oltre al fatto che sono obbligate a fare quelle WorldTour.

E per Giovanni Visconti che corse erano?

Erano corse importanti, che mi davano tanto. Erano un grande stimolo per allenarmi bene durante l’estate. Di fatto ci tiravo fuori la mia stagione con queste corse. Staccavo a giugno dopo il Giro d’Italia, facevo un po’ di “vacanza pedalata” e da luglio iniziavo a fare sul serio. Era un finale di stagione breve, ma intenso. Alla fine stavi fuori casa un mese e mezzo. Erano poi tutte corse adatte a me, corse da vincere, per fare gamba, per divertirsi. Non c’era mai quella gara che partivi “annoiato”, sapendo già come andava a finire. No, strappi brevi, intensi, discese, circuiti… il finale non era mai scontato. E non ultimo provavi a guadagnarti una convocazione in azzurro. 

Analizziamo questa tranche, s’inizia oggi con il Giro di Toscana. Parlaci di questa gara…

Anche se negli ultimi anni è cambiata un po’, il Monte Serra resta decisivo. Non è vicinissimo all’arrivo e se va via un gruppetto, è difficile che poi da dietro rientrino. Il gruppo è tutto spezzettato ormai. Il Toscana era una corsa adatta a me e infatti ci puntavo subito molto perché se fosse andata bene poi avrei corso un po’ più tranquillo le gare successive. Nel corso degli anni la Coppa Sabatini era diventata una corsa per corridori sempre più veloci. Quindi meglio puntare forte su questa e magari risparmiare qualcosa poi. 

Qual è il ricordo che ti lega al Giro di Toscana?

E’ stata la mia ultima vittoria da professionista con la Neri Sottoli. Venivo da un periodo difficile. Ero caduto a giugno al Giro d’Austria, dentro ad un galleria, mi schiantai a 90 all’ora quando stavo per vincere. Dovettero portami via in elicottero. Passai un ‘estate complicata. Per un mese e mezzo mi allenai con un drenaggio, avevo un tubicino che usciva dalla tasca della maglia… capito perché dicevo che queste corse mi davano stimoli? E insomma vinsi a Pontedera davanti a Bernal che veniva dalla vittoria al Tour de France. Ha un grande significato questa gara per me. Tra l’altro è a 10 chilometri da Peccioli, sede della Coppa Sabatini, dove vinsi la mia prima gara da professionista: fu come chiudere un cerchio.

Passiamo proprio alla Sabatini…

Sarebbe un percorso da mondiale. E infatti se ne è anche parlato: paesaggi bellissimi, percorso tecnico, adatto ad un mondiale e a più soluzioni. Rispetto al passato è stata un po’ indurita nella prima parte e infatti il circuito finale è tornato a fare un po’ più differenza, ma negli ultimi anni era diventata una gara molto veloce. Ricordo che all’imbocco della curva dell’ultimo strappo ormai si sgomitava con i velocisti. Ma anche questa si adattava bene alle mie caratteristiche.

Anche di questa dicci il ricordo, l’aneddoto.

E’ stata la mia prima gara con i pro’. Era il 2004 e feci lo stagista con la De Nardi-Montegrappa. Era una bella giornata e c’era un parterre… Vinse Ullrich, su Pellizotti e Boogerd, insomma fu un battesimo di fuoco! C’erano Scinto e Citracca che mi avevano lanciato da dilettante a vedermi. C’era il mio fans club: in quei tempi c’era il fans club Visconti e quello di Nibali, reduci dagli scontri tra i dilettanti. E c’era mio papà che scriveva ovunque il mio nome sull’asfalto… Un bel ricordo.

E due anni dopo la stessa Coppa Sabatini fu anche la tua prima vittoria da professionista…

Anche quello è un grande ricordo. C’era la storia del nove. Quando avevo un numero la cui somma faceva nove o vincevo o ci andavo vicino. Quell’anno era la 54ª edizione della Sabatini e io avevo il 63 o il 36 non ricordo bene…

Passiamo al Memorial Pantani. E’ la più giovane tra queste classiche. E cambia sempre un po’. Che gara è?

Come le altre, è una corsa che si adatta bene a corridori come me. Lascia spazio a più finali. Cambia sempre un po’. Ma di base nella prima parte c’è pianura, poi da quelle parti (la Romagna, ndr) quando si va nell’entroterra ci sono salite corte ma dure. Come diceva Paolo Bettini: “Si entra nel ginepraio”. E’ tutto un su e giù. Bisogna stare attenti e davanti. Ricordo che su quella salita cara a Pantani, Montevecchio, si arrivava da un lungo rettilineo e si svoltava a sinistra, ma la strada si stringeva, era come un imbuto. La salita iniziava con dei tornanti e stare davanti significava risparmiare davvero tanto. Una volta in cima non si scendeva subito, ma c’era una contropendenza che faceva davvero male. Di solito la selezione si faceva negli ultimi due giri e l’arrivo era sempre una lotta tra i fuggitivi e quel che restava del gruppo. Il finale non era mai scontato.

L’aneddoto del Pantani?

L’anno che corremmo con la nazionale. Avevamo dominato la corsa noi azzurri. Eravamo io, Ulissi e Nibali e decidemmo di lasciare la vittoria a Diego che aveva appena avuto un grave problema familiare. Fu un momento toccante.

Infine c’è il Trofeo Matteotti, la più storica tra queste prese in esame…

Circuito duro e impegnativo (a Pescara, ndr), tra l’altro domenica lo commenterò per la Rai. Anche questa è una gara entusiasmante, tecnica, dura… poi lì spesso fa caldo e questo elemento può fare la differenza. Spesso conviene andare in fuga anche se si è in tanti, perché si fa meno fatica che a stare in gruppo su quelle strade così tortuose. Una caratteristica del Matteotti è che spesso la finiscono in pochi proprio perché è dura. Negli ultimi anni Trentin l’ha vinta due volte, una delle quali con un ampio distacco e non capita spesso. E’ più facile che arrivi un gruppetto ristrettissimo. Nel finale si fa la selezione su Montesilvano, strappo duro, secco. E’ una festa perché c’è gente e in salita si sente l’odore degli arrosticini.

Chiudiamo con il tuo aneddoto.

Anche questa era particolarmente adatta a me. Ricordo che un anno, il 2018 prima del mondiale di Innsbruck, non ero messo benissimo in quanto alla convocazione, e così dissi all’ora cittì, Davide Cassani: “Se vinco mi porti al mondiale”. Arrivai secondo, vinse Ballerini… E al mondiale non ci andai!