Roglic vince, Kuss in rosso. Remco davvero non sapeva?

03.09.2023
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Roglic su Evenepoel, punto a capo: la Vuelta continua. Una fuga da lontano, con trenta corridori fra cui De Gendt, Caruso, Kron, Rui Costa e Bardet. La tappa di ieri della Vuelta è partita così, con una fase iniziale a dir poco fulminea e il gruppo di attaccanti che fino a 60 chilometri dall’arrivo aveva ancora tre minuti di vantaggio sul gruppo. Poi la Jumbo-Visma ha deciso di far cambiare lo scenario e si è messa a tirare per vincere la tappa con Roglic oppure Vingegaard.

Nella fuga del mattino è entrato anche Damiano Caruso e di fatto gli ultimi sono stati ripresi ai piedi della salita finale
Nella fuga del mattino è entrato anche Damiano Caruso e di fatto gli ultimi sono stati ripresi ai piedi della salita finale

Forcing Jumbo-Visma

Ci ha pensato Van Baarle, che ha annientato il ritardo della fuga. Ai piedi dell’ultima ma ripidissima salita finale, il ritardo era di appena 10 secondi: i corridori della classifica si sarebbero giocati la tappa. E a quel punto è passata davanti la Soudal-Quick Step, segno che anche Evenepoel stava bene.

Quando i compagni del belga hanno finito il loro lavoro, Evenepoel non ha attaccato subito, ma ha deciso di mantenere il suo ritmo nella scia di Roglic, Vingegaard, Mas, Ayuso, Almeida e Soler. Il primo attacco è venuto da Kuss che puntava alla maglia rossa, ma è stato rintuzzato proprio da Remco. Poi il belga ha alzato a sua volta il ritmo e quando il gruppo di testa si è ricompattato, i più forti della Vuelta si sono presentati insieme allo sprint.

Evenepoel ha fatto il ritmo dall’inizio della salita finale, mentre davanti Kuss andava per la maglia rossa
Evenepoel ha fatto il ritmo dall’inizio della salita finale, mentre davanti Kuss andava per la maglia rossa

Sorriso Roglic

Evenepoel è partito in testa, poi si è inchinato alla maggiore esplosività di Roglic, arrivando secondo, con Ayuso terzo, con Vingegaard a 2 secondi, mentre Lenny Martinez è arrivato a 1’10”.

«E’ fantastico – ha detto lo sloveno, arrivato alla Vuelta dalla vittoria di Burgosora posso correre un po’ più rilassato. Sono soddisfatto, soprattutto dopo la caduta di qualche giorno fa. Vuol dire che mi sono ripreso bene. La squadra ha fatto davvero un buon lavoro, mantenendo la fuga sotto controllo e mettendomi in una buona posizione sulla salita finale. Era la prima volta che facevo questa salita, è stata piuttosto dura. Sono contento di aver avuto le gambe e di essere riuscito a vincere. E sono anche contento che ci sia Kuss in maglia di leader. Adesso là davanti siamo in tre…».

Roglic ha battuto Evenepoel allo sprint. Sarà vero che il belga non sapeva di giocarsi la tappa?
Roglic ha battuto Evenepoel allo sprint. Sarà vero che il belga non sapeva di giocarsi la tappa?

Evenepoel distratto?

Dopo la riga, Evenepoel ha imprecato e si è capito solo dopo che il belga ha ripreso fiato che non sapeva di essere in lotta per la vittoria. Difficile crederci del tutto, ma così ha dichiarato Remco.

«Non sapevo che stessimo correndo per la vittoria – ha spiegato – pensavo che la fuga fosse ancora davanti. Nell’ultimo chilometro non ho capito molto di quello che sentivo nell’auricolare, non sapevo che avessimo già ripreso i fuggitivi, altrimenti penso che avrei vinto. Non ho fatto uno sprint completo, non mi sono acceso completamente. Se avessi saputo che stavamo correndo per la vittoria di tappa, avrei dato il massimo. In ogni caso è un piazzamento che mi dà fiducia, la squadra è forte. Vervaeke e Cattaneo hanno imposto un ritmo molto veloce sulla salita finale, nei prossimi giorni andrà bene».

Il sogno di Kuss

Roglic è contento. La classifica è ancora lunga, ma si capisce abbastanza chiaramente che gli uomini davanti a lui siano destinati a essere lentamente risucchiati. Lo sloveno è soddisfatto della squadra, per come ha controllato la corsa. E intanto Kuss ieri sera è andato a dormire con un bel sorriso, avendo conquistato il primato che gli era sfuggito anche quando aveva vinto la sesta tappa.

«Sapevo che c’era la possibilità di prendere la maglia a seconda di come fosse andata la tappa – ha detto Kuss – ma solo quando ho tagliato il traguardo ho capito di avercela fatta. Penso che sarà un onore indossare la maglia rossa domani (oggi, ndr). Cercherò di godermela perché non è una cosa che mi capiterà di vivere molto spesso. La squadra ha fatto un ottimo lavoro, soprattutto Gesink. Tutti meritano un plauso. Sono sicuro che hanno dato a Primoz la motivazione per vincere questa tappa».

Martinez leader, Evenepoel nella morsa Jumbo-Visma

01.09.2023
4 min
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Un vero terremoto. Chi si aspettava che i big avrebbero lottato per la vittoria all’Observatorio Astrofísico de Javalambre, sarà rimasto male. Eppure la tappa di ieri alla Vuelta è stata ad alto tasso di spettacolo. E se pure Evenepoel aveva progettato di perdere la maglia, sperava indubbiamente di tenere il passo di Roglic. Invece lo sloveno si è portato dietro Vingegaard e gli ha rifilato la bellezza di 32 secondi.

La fuga è andata e si è portata via la maglia di leader, ma davanti ai big sono finiti alcuni corridori di ottimo nome, a cominciare dal vincitore Sepp Kuss, passando per Lenny Martinez, Landa, Soler, Rubio e Buitrago. Nella classifica generale, Evenepoel è il primo dei migliori con 2’47” da Lenny Martinez e dietro di lui ci sono Mas, Vingegaard, Roglic e tutta la nobiltà della Vuelta. Ma qualcosa ieri ha scricchiolato, anche se la storia è ancora tutta da scrivere.

Eroe per un giorno

Il vincitore di tappa Sepp Kuss è euforico, dato che sta affrontando il terzo grande Giro di stagione. E se in Italia e poi in Francia non ha avuto altro spazio se non quello di lavorare per Roglic e Vingegaard, questa volta ha avuto la libertà per vincere una tappa. La lunga fuga infatti è stata premiata dal giusto attacco

«E’ stata una giornata molto impegnativa – ha detto – volevamo entrare in fuga per mettere alla prova la Soudal-Quick Step, che era l’obiettivo principale. Sapevamo che sarebbe stata dura. Ero davanti con Van Baarle, Attila Valter e Tratnik e hanno pedalato tutti alla grande. Devo ringraziarli per il lavoro che hanno svolto. Mi sentivo molto bene, stavo solo pensando a dove avrei attaccato per fare la differenza. Durante tutta la salita l’ambiente intorno è stato speciale, la Vuelta per me è magica. Tappa e secondo posto in classifica, ma non sono qui per la classifica generale. Vincere una tappa è già fantastico, prendo la Vuelta giorno per giorno».

Martinez è al comando della Vuelta: ha 20 anni, è professionista dal 2023
Martinez è al comando della Vuelta: ha 20 anni, è professionista dal 2023

Rosso di Francia

Nello stesso giorno in cui La Spezia ha salutato la partenza del Giro della Lunigiana, che vinse due anni fa, Lenny Martinez è stato il primo degli inseguitori di Kuss e con il secondo posto di tappa ha conquistato la testa della classifica. Il piccolo francese, figlio di Miguel campione olimpico della mountain bike e al debutto nel WorldTour, dall’alto del podio si è guardato intorno incuriosito. Anche se lavori ogni santo giorno per arrivare in alto, quando ti avvicini alla vetta, è normale che ti venga il batticuore.

«E’ incredibile – ha detto – e prendere questa maglia è il sogno di ogni corridore. Tutta la squadra si è sacrificata. Molard e Storer hanno corso in modo fantastico e speravo davvero di dare loro qualcosa in cambio. Ci siamo riusciti con questa maglia rossa. Per ogni chilometro di questa fuga, ho pensato che sarebbe stato bello prendere la maglia rossa. Era un gruppo molto bello con ottimi corridori e in una fase del genere devi seguire il tuo istinto ed è quello che ho fatto. La famiglia sarà felice e orgogliosa. Ovviamente ora difenderemo la maglia, anche se mi sento molto imbarazzato e anche un po’ in ansia».

Evenepoel ha lasciato andare la maglia, ma ha subito un passivo inatteso
Evenepoel ha lasciato andare la maglia, ma ha subito un passivo inatteso

Evenepoel cede

I titoli sulla prestazione di Evenepoel sono stati mediamente allarmanti sui media di tutta Europa e il belga infatti ha ammesso di non aver avuto le gambe per opporsi all’attacco di Roglic.

«Non potevo andare oltre il mio limite – ha detto – a volte hai dei giorni così e oggi è stato il mio. Non è che sia scoppiato del tutto, ma sono rimasto un po’ bloccato. Non sono riuscito a dare il massimo, ho cercato di fare il mio ritmo e negli ultimi due chilometri ho potuto improvvisamente accelerare di nuovo. E’ stato un po’ strano. Fortunatamente i danni sono ancora abbastanza limitati. Ovviamente avrei preferito che ciò non accadesse, ma se questa è stata la mia giornata storta, va comunque bene».

Giro, Tour e adesso la Vuelta. Prosegue il viaggio di Kuss

25.07.2023
5 min
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Adesso la Vuelta. In un certo senso, al di là della sua voglia di esserci, Sepp Kuss lo stanno tirando per la manica. Da una parte Roglic, che lo aspetta dal Giro d’Italia. Dall’altra Vingegaard, cui ha cavato le castagne dal fuoco più d’una volta al Tour de France. E adesso che l’americano ha ufficializzato la sua presenza alla Vuelta al fianco dei due capitani, resta il dubbio di chi dovrà aiutare e per chi invece, chissà, preferirebbe farlo.

Quasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposo
Quasi mezz’ora a parlare di sé: così Kuss si è concesso nel secondo giorno di riposo

La seconda parte

Questa è la seconda parte di un’intervista fatta con Kuss nel secondo giorno di riposo del Tour. Nella prima ci ha raccontato di sé e dei suoi capitani. Dei pensieri al momento di infliggere fatica ai rivali. Del suo apporto alla Jumbo-Visma e la sua aspirazione di esserne semmai un giorno il capitano. Dovevano ancora andare in scena la crono e il giorno di Courchevel. Vingegaard si aggirava nel ristorante dell’hotel, raggiungendo a tratti la tavola del team e a tratti quella di sua moglie e sua figlia. Fra lui e Pogacar c’erano ancora 10 secondi, chissà se in cuor suo il danese era sicuro di poter scavare il solco.

«Penso che Jonas vincerà sulle montagne – diceva Kuss – non so dire però con quale distacco. Anche un secondo sarebbe abbastanza, giusto? Sì, un secondo basterebbe, ma io penso che sarà molto di più e a quel punto faremo parte della storia. Già l’anno scorso è stato super memorabile, emozionante da guardare e farne parte. Anche quest’anno è stato davvero eccitante, i percorsi sono stati ben progettati e c’è stata molta azione ogni giorno. Anche grazie ai corridori che ci sono in gara e al modo in cui stanno correndo. Forse le altre squadre non capiscono bene cosa stia succedendo, ma è bello farne parte».

Ci hai detto che vivi ad Andorra, passi molto tempo negli Stati Uniti?

Non così tanto. Soltanto un mese o due all’anno, di solito fuori stagione. In estate è difficile tornare, per cui la mia vita si svolge sempre più in Europa.

In America il ciclismo professionistico ha un suo seguito?

Penso che stia diventando uno sport di moda anche negli Stati Uniti. Conosco persone di quando ero più giovane che non sarebbero mai andate in bicicletta, mentre ora pensano che sia davvero uno sport superlativo. Puoi vestirti bene e avere una bici fantastica. E’ uno sport per la classe più istruita, che guarda il Tour. Magari non c’è una base di fan per guardare le classiche, ma il Tour sì…

L’effetto Armstrong sta diminuendo?

Penso che tanti negli Stati Uniti ritengano che siccome Armstrong si drogava, di riflesso anche tutti gli altri lo facciano ancora. Questa è la loro opinione ed è difficile cambiarla, ma io penso che sono passati parecchi anni da quello che è successo. Le persone vanno avanti, il ciclismo va avanti.

Al Tour of Utah 2018 vince tre tappe e la classifica finale: è appena arrivato alla Jumbo, ha 24 anni
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Lance era il tuo campione preferito?

Ero un suo fan, ma non era il mio preferito. Mi sono sempre piaciuti di più Contador, Valverde oppure Pantani, anche se lui è stato prima della mia generazione. Erano più spettacolari, mi piaceva il loro modo di correre, era emozionante da guardare.

Quali sono stati i tuoi primi ricordi guardando il Tour de France? 

Sicuramente gli anni di Armstrong, ma il ricordo più vivo è di quanto vinse Cadel Evans. All’epoca ero un ciclista di mountain bike e anche lui lo era stato. Per questo tifavo Cadel.

Tutto questo accadeva a Durango?

Sì, con la mia famiglia intorno. Guardavamo il Tour a colazione prima di uscire.

Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)
Con sua moglie ai piedi del palco del Giro in Via dei Fori Imperiali. Il ciclismo esalta i posti belli (foto Bram Berkien)
Il fatto che tu sia così forte in salita dipende dal fatto che arrivi da Durango?

Certo. Lì intorno ci sono un sacco di montagne davvero alte e soprattutto con la mountain bike si riesce ad arrivare proprio in cima. In Colorado non ci sono molte strade pianeggianti. A Durango invece è come se metà fosse davvero piatta e metà fosse veramente alta montagna. Quindi c’è un po’ di tutto.

Hai un messaggio per i fan americani?

Grazie per il supporto. Anche i miei genitori sono dall’altra parte dell’Oceano a guardare, ma posso sentire la loro energia. Ho anche letto tutti i messaggi di supporto che le persone inviano dagli Stati Uniti e penso che sia davvero bello rendermene conto.

Che tipo di messaggi?

Un signore mi ha scritto che non guardava il Tour da dieci anni, ma ora con tanti corridori americani che si fanno vedere, era davvero eccitato. Cosa dire? Sono orgoglioso di farne parte.

L’annuncio della partecipazione alla Vuelta è stato fatto sul podio finale del Tour, a margine delle feste, delle sfilate e delle passerelle. E Kuss, ancora incerottato, ha sfoggiato il suo sorriso gentile ed ha annuito. «Due settimane per riprendermi – ha detto – e poi sarò prontissimo».

Il signor Kuss, guardia del corpo della maglia gialla

18.07.2023
7 min
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SAINT GERVAIS LES BAINS – Non capita troppo spesso di avere a disposizione per mezz’ora l’uomo più importante per la maglia gialla. Perciò quando Sepp Kuss viene a sedersi prima di pranzo del secondo giorno di riposo nell’hotel della Jumbo-Visma, l’elenco delle cose da chiedergli è lungo come la strada che da Bilbao ci ha portato all’ombra del Monte Bianco. Lui è tranquillo e bendisposto. Ci rassicura che la botta presa al braccio è a posto e si lascia andare a un’interessante riflessione su coloro che guardano il Tour attraverso lo schermo del telefono e provocano cadute.

«La gente spesso non pensa alle conseguenze dei suoi gesti – dice Kuss – invece in quella caduta di ieri, al posto di Kuss poteva finirci anche uno tra i primi tre e sarebbero stati vanificati mesi di investimenti di grandi squadre. Questo non mi fa arrabbiare, semplicemente non lo capisco. Va oltre l’essere uno spettatore del ciclismo. Nell’età di Instagram e Tiktok, tutti vogliono il selfie. Invece dovresti andare al Tour per goderti l’atmosfera e guardare la gara con i tuoi occhi, non nello schermo del telefono».

Solo una caduta lo ha frenato: la stessa in cui sono finiti fra gi altri Bernal e Girmay e Kuss ne porta i segni sul braccio
Solo una caduta lo ha frenato: la stessa in cui sono finiti fra gi altri Bernal e Girmay e Kuss ne porta i segni sul braccio
Cosa ti pare di questo Tour?

Probabilmente è il Tour con il distacco più basso da parecchio tempo a questa parte. Ci sono state tappe molto diverse con diversi risultati e ora eccoci al secondo giorno di riposo con 10 secondi fra i primi due. La cosa più importante è che Jonas si sente bene, è fiducioso e si fida di noi. E’ davvero bello quando sai che il tuo leader è forte e può motivarti.

Pensavi di arrivare al Tour con un livello così alto dopo aver fatto il Giro?

Dopo il Giro mi sentivo davvero bene, anche meglio di prima quando lo stavo preparando. Quando faccio Tour e Vuelta, vado sempre meglio alla Vuelta, quindi poteva starci che qui in Francia stessi meglio che in Italia. Ma il livello del Tour è così alto, che non puoi confrontarlo con nessun’altra gara.

Come hai passato il tempo tra Giro e Tour?

Sono stato a casa ad Andorra, non c’era bisogno di fare altura o altro. Avevo bisogno di riprendere la mia routine, perché le corse e i ritiri sono pesanti mentalmente. Mi piace l’allenamento preparando una grande corsa, ma a volte è più bello farlo da soli, alle proprie condizioni e nel proprio spazio. Perciò ho fatto dei giorni di riposo, ma comunque pedalando tranquillamente per una settimana. E poi ho iniziato un allenamento più o meno normale.

Dopo il Giro, Kuss è tornato ad Andorra per riprendere la sua routine di lavoro (foto Instagram)
Dopo il Giro, Kuss è tornato ad Andorra per riprendere la sua routine di lavoro (foto Instagram)
E’ vero che andrai alla Vuelta per aiutare nuovamente Roglic?

Se il Tour è duro come lo è stato finora, allora vedremo se mi è rimasto qualcosa per la Vuelta. Ma il piano è di andare fino in fondo. Anche dopo il Giro non ero sicuro se sarei andato al Tour, perché dovevo ancora prendermi qualche settimana per capire se mi sentivo abbastanza bene. Non voglio andare a una grande gara se mi sento meno del 100 per cento. E’ difficile da pianificare.

Pensi mai che potresti essere a tua volta leader in una grande corsa?

E’ difficile da dire, perché sono un corridore migliore quando non penso a cosa devo fare o dovrei fare. In quel caso, il risultato potrebbe essere diverso. E’ davvero difficile da dire. Mi piacerebbe l’opportunità, ma in questa squadra ci sono così tanti buoni corridori che non ci sono tante occasioni. Loro sono fra i migliori al mondo e io non ho problemi ad aiutarli.

Non pensi mai che meriteresti una chanche?

Sì, di sicuro. Penso che il team lo sappia, ma è anche abbastanza chiaro che se sei l’ultimo uomo in montagna, non puoi entrare nelle fughe per una vittoria di tappa. Insomma, mi piacerebbe provare per una sola gara, ma mi piace anche avere la libertà di non dover essere leader. Non è facile gestire la tensione delle situazioni più nervose e non credo che a un leader sarebbe permesso mettersi in coda al gruppo nelle tappe di pianura. Nel mio ruolo invece sono stressato per loro, non per me. Il nervosismo che hai prima di una tappa di montagna lo conosco e lo gestisco, ma è diverso da una tappa con vento trasversale o un arrivo in volata.

Al Giro ha scortato Roglic alla vittoria nella sfida contro Thomas, dimostrando notevole solidità
Al Giro ha scortato Roglic alla vittoria nella sfida contro Thomas, dimostrando notevole solidità
Qual è il tuo contributo a questa squadra?

Penso di portare solo il supporto in montagna, essendo lì nei momenti chiave. A volte ho delle giornate fantastiche, a volte un po’ meno. Ma più sono costante e più loro possono fare affidamento su di me. Ci sono molte situazioni in cui posso fare di più, quando riesco a restare il più a lungo possibile con il leader, accelerando o seguendo determinati attacchi. E questa è una qualità necessaria. Se sei in grado di mettere sotto pressione gli altri in un momento davvero critico, allora questo può fare la differenza. Molto più che andare a ritmo costante davanti al gruppo.

Però è proprio il tuo ritmo che li sta mettendo in difficoltà.

E’ motivante sapere che i corridori più forti non possono seguire il mio ritmo, ma insieme cerco anche di non eccitarmi troppo, perché basta poco per scoppiare. A volte è più facile seguire il proprio ritmo piuttosto che quello di un altro.

Che cosa significa che è motivante?

Sono più un corridore emotivo che un corridore freddo che deve solo andare al suo ritmo. Se mi stacco, allora perdo motivazione. Ma se sono in testa alla gara, allora posso nutrirmi di quelle emozioni.

Con Roglic sul Col du Granon al Tour 2022: c’era anche Kuss nell’imboscata che ha fatto saltare Pogacar
Con Roglic sul Col du Granon al Tour 2022: c’era anche Kuss nell’imboscata che ha fatto saltare Pogacar
Che differenze ci sono fra Roglic e Vingegaard come leader?

Sono entrambi molto calmi e rilassati. Jonas ha chiaro come vuole la tappa o come si sente. A Primoz invece piace vedere tutto nel quadro generale, vedere come sono i rivali e poi decidere come vuole impostare la tappa.

Hai sempre un’espressione imperscrutabile da giocatore di poker, sempre a bocca chiusa…

Normalmente non respiro così forte da aprire la bocca, però sento dolore alle gambe e questo non è divertente. Ci sono diversi livelli di dolore, ma alcuni corridori possono andare così in profondità da risultare irraggiungibili. Io non mi tiro indietro, ma c’è un limite, soprattutto per il mio ruolo. Ha senso andare al 110 per cento se poi domani non ce la faccio più, oppure è meglio andare al 90 per cento? Il dolore peggiore comunque lo sento sulle strade pianeggianti (ride, ndr).

Usiamo parole come combattere e sofferenza. Quando inizi a spingere sulle salite vuoi far soffrire Pogacar? Qual è l’obiettivo?

Voglio pedalare a un ritmo che avvantaggi Jonas e le sue caratteristiche e che impedisca a Pogacar di fare quel che gli riesce meglio. Sono corridori molto diversi e io devo favorire il mio leader. Penso che vincerà in montagna.

La consapevolezza che il proprio ritmo faccia soffrire i rivali gli dà un senso di benessere
La consapevolezza che il proprio ritmo faccia soffrire i rivali gli dà un senso di benessere
Che rapporti hai con Adam Yates? Svolgete lo stesso ruolo, a volte vorresti annientarlo?

In realtà abbiamo un buon rapporto, le nostre mogli stanno guardando le tappe insieme sullo stesso divano e con i nostri cani. Adam ha un cane davvero grande, io ne ho uno molto piccolo. Non ho rivalità con nessuno perché non sto combattendo con nessuno, mentre penso che Jonas e Pogacar difficilmente saranno amici.

Il resto di questo incontro ve lo racconteremo un’altra volta. Nell’epoca di internet, gli articoli troppo lunghi non vengono letti sino in fondo e allora sarà meglio dedicare spazio un’altra volta ai suoi esordi in bici sulle strade del Colorado, al suo vivere in Europa e cosa pensi la gente in America del ciclismo. Ci torneremo su, mezz’ora di intervista non si possono comprimere in questi pochi minuti…

Kuss esalta Roglic, frusta Thomas e stacca Almeida

25.05.2023
5 min
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VAL DI ZOLDO – Sepp Kuss è forse il più fresco tra coloro appena arrivati sul primo arrivo dolomitico di questo Giro. Il gregario di lusso di Primoz Roglic schiva il caos post linea d’arrivo e prosegue la sua scalata facile, facile in direzione della vetta dello Staulanza. Vuole sciogliersi un po’.

Mentre pedala – e noi gli corriamo a fianco – ci racconta della sua tappa. I complimenti per il lavoro svolto sono d’obbligo e lui ringrazia con un sorriso vagamente timido ma sincero. Il Pelmo da una parte e il Civetta dall’altra incastonano questa giornata che per la Jumbo-Visma è stata positiva.

La Ineos-Grenadiers ha controllato la tappa e in alcune occasioni ha fatto la selezione. Ma poi sulla salita più dura è bastato un guizzo dello scalatore americano, forse più forte di questo Giro d’Italia, e tutto è cambiato.

L’americano Sepp Kuss (classe 1994) è sembrato essere il migliore in salita del gruppo, al netto del lavoro per il suo capitano
Kuss (classe 1994) è sembrato essere il migliore in salita del gruppo, al netto del lavoro per il suo capitano
Sepp, ancora un super lavoro… Qual era il vostro obiettivo oggi?

L’obiettivo era guadagnare tempo, se possibile. Primoz non vedeva l’ora che arrivasse questa tappa. E quella salita (Coi, ndr) in particolare.

Perché?

Perché era una salita ripida, seguita da breve discesa e poi ancora un paio di chilometri tutti da spingere… Insomma un finale esplosivo: poteva essere un buon terreno per lui e credo lo sia stato.

Abbiamo visto che spesso vi siete parlati: cosa ti chiedeva Roglic durante la salita?

D’impostare un ritmo duro e poi avrebbe valutato quando attaccare. Quando abbiamo visto che Almeida si era staccato un po’ abbiamo forzato ancora di più. Io poi ho ho cercato di stare lì il più a lungo possibile. Così nel finale avrei potuto spingere ancora e aumentare il divario.

Dopo il Bondone adesso c’è più fiducia in voi per il resto del Giro?

Sì… penso di sì. Domani c’è ancora una tappa molto difficile e vedremo. Ora non fatemi parlare in salita però che sono davvero stanco!

Dopo l’arrivo, Thomas dà una pacca sulla spalla a Roglic che poi contraccambia
Dopo l’arrivo, Thomas dà una pacca sulla spalla a Roglic che poi contraccambia

Fiducia Kuss

Poco dopo Kuss gira la bici e scende verso il suo massaggiatore e il suo staff. Prende da bere, gli passano una mantellina e un fischietto per tornare ai bus, che sono un paio di chilometri più a valle. In quei frangenti però l’americano – va detto – è stato super disponibile. E ha raccontato ancora.

«Sapevamo che Primoz stesse bene – continua Kuss – abbiamo sempre avuto tutto sotto controllo, anche stamattina sulla Crosetta. Nessun problema: semplicemente Primoz si era rilassato un attimo. Ma siamo risaliti subito. Più che altro c’è stato uno scarto improvviso e ci siamo ritrovati appena dietro. Anch’io ho dormito un po’ in quel momento! Le altre squadre devono aver immaginato che Primoz stesse soffrendo e hanno accelerato».

Kuss dice che ormai lui e Primoz in certi momenti si conoscono a memoria. Sanno quanto e come devono spingere. Rassicura che sul Bondone non si è trattato di una crisi per il suo capitano, ma di un giorno non super che può capitare in una tappa tanto difficile. «Se davvero Primoz non fosse stato bene, non avrebbe recuperato per una giornata così dura come quella di oggi».

Lo sloveno era più a suo agio su queste pendenze, ma l’inglese si è difeso benissimo non cedendo un centimetro
Lo sloveno era più a suo agio su queste pendenze, ma l’inglese si è difeso benissimo non cedendo un centimetro

Thomas, Roma più vicina

Ma poi ci sono gli avversari. Geraint Thomas  è stato un gatto a ricucire sullo sloveno.

Dopo l’arrivo i due si danno una reciproca pacca sulla spalla. Alla fine hanno guadagnato un bel gruzzolo di secondi (21″) su Almeida. E’ stata un’alleanza del momento. Da domani saranno avversari di nuovo, ma certo per Thomas è un giorno in più alle spalle. E un giorno più vicino a Roma… con la maglia rosa sul petto.

«Non vi aspettavate una tappa così dura? Io sì – dice Matteo Tosatto – io la conoscevo. Avete visto cos’era la penultima scalata?». Il direttore sportivo della Ineos mangia delle caramelle morbide. La tensione fa bruciare energie anche ai diesse in ammiraglia. Però il veneto è sorridente.

«Sorrido perché c’è il sole! Thomas ha risposto subito. Se perdi un po’ di secondi e hai la gamba è meglio così. “G” ha  dimostrato di stare bene. Un’altra tappa andata… su».

Si è detto che la Ineos-Grenadiers, e Thomas in particolare, siano esperti nel gestire certe situazioni, ma le gambe restano basilari e Tosatto mette sempre prima le gambe.

«Se hai esperienza, ma sei senza gambe, con l’esperienza non ci fai niente. Ma – conclude il “Toso” – guardiamo a domani. L’ho detto stamattina in riunione ai ragazzi che Roglic sarebbe stato il più pericoloso. E domani lo sarà ancora di più. Per questo dico che ogni giorno è diverso e che bisogna stare calmi».

Almeida (sullo sfondo) li vede andare via. Il portoghese ha ceduto 21″ a Roglic e Thomas e li ha persi quasi tutti nel finale
Almeida (sullo sfondo) li vede andare via. Il portoghese ha ceduto 21″ a Roglic e Thomas e li ha persi quasi tutti nel finale

Almeida stringe i denti

«Purtroppo non è andata proprio come ci aspettavamo – commenta il diesse UAE, Fabrizio Guidi abbiamo perso qualche secondo di troppo. In fondo alla discesa di Coi Joao era quasi rientrato, ma non è riuscito a chiudere. Un peccato che Vine abbia fatto “quel dritto” lungo la discesa, altrimenti li avrebbero ripresi.

«Però non posso dire nulla ai ragazzi. Sono stati bravi. Anche per radio li incitavo».

All’arrivo, a dispetto di Kuss, Joao Almeida era quello più provato. Sul Bondone, Roglic nel finale ha recuperato, lui ha perso. Non un gran segnale per le prossime due tappe.

Il portoghese della UAE-Emirates ha trovato anche un bel po’ di tifosi connazionali lungo la via. Come sempre ha dato tutto e ha corso con intelligenza. Ha davvero stretto i denti. Per un po’ è tornato l’Almeida metronomo che conoscevamo. Il ragazzo che in salita non risponde a mezzo scatto. Forse ha ragione Guidi quando dice che senza quel dritto scendendo dal Coi le cose sarebbero state diverse. Per un istante tra il gruppetto di Joao e quello della maglia rosa c’erano davvero solo 50 metri.

«Ma a questo punto del Giro è così – chiosa Guidi – quando ci sono queste tappe di montagna una volta tocca ad uno, una volta tocca ad un altro… A Thomas non è mai toccato? E infatti il Giro lo vince chi non incappa in queste giornate».

Kuss e McNulty, Tour de France in chiave americana

31.07.2022
5 min
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Qualche giorno fa Pietro Caucchioli sottolineava un aspetto del Tour appena concluso: i grandi protagonisti Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar hanno entrambi avuto un luogotenente americano, rispettivamente Sepp Kuss e Brandon McNulty (i quattro nella foto di apertura CorVos). Un sintomo abbastanza evidente della ripresa del ciclismo a stelle e strisce. Guardando la classifica del Tour si scopre che il discorso è ben più ampio.

In un Tour che alla resa dei conti si è dimostrato alquanto selettivo ci sono stati ben 4 corridori statunitensi che si sono piazzati fra il 13° e il 21° posto: Powless, proprio Kuss e McNulty e, last but not least, il giovane e sempre più promettente Matteo Jorgenson. Se consideriamo che il primo italiano è stato Simone Velasco al 31° posto è evidente come il ciclismo americano sia su una lenta ma sicura via di ripresa.

McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader
McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader

Per Brandon un podio e tanta amarezza

Osservando le tappe, la sensazione è che i due in questione, inquadrati in rigidi schemi di squadra, avrebbero potuto ottenere molto di più. Fra le pieghe delle loro dichiarazioni emerge un certo disagio. Lo ha sottolineato soprattutto McNulty raccontando a modo suo la tappa di Peyragudes. Quella del terzo successo parziale di Pogacar ma anche della strenua difesa di Vingegaard: «All’inizio della salita di Val Louron il piano era che tirassi a tutta per 15 minuti. Vedendo che tanti cedevano, ho lavorato molto di più.

«A 5 chilometri dalla conclusione – prosegue lo statunitense dell’Uae Team Emiratesho sperato sinceramente che Jonas e Tadej, non potendo ormai cambiare molto in termini di classifica, mi lasciassero vincere, ma non ci sono regali in questo sport. Mi sono dovuto accontentare del numero rosso per la combattività…».

A poco sono valse le parole di stima espresse da Pogacar al termine della vittoriosa frazione: «Brandon è una vera “bestia”. Ha fatto un lavoro meraviglioso. Era davvero in forma, è andato bene per tutto il Tour ma questa volta è stato speciale».

McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente
McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente

Un americano sempre disponibile

Dall’altra parte Kuss si è confermato uomo di estrema affidabilità, ma senza quella libertà che lo scorso anno gli aveva consentito di vincere una tappa. Alla Jumbo Visma l’americano di Durango (McNulty è di Phoenix) è considerato una colonna. Un uomo che mette da parte le ambizioni personali per coerenza, per essere sempre lì quando c’è bisogno, costante al fianco del leader. Rispetto allo scorso anno però è stato un Tour diverso, nel quale gli addii prematuri di Roglic e Kruijswijk hanno fatto cadere sulle sue spalle un surplus di responsabilità.

Kuss però non è uomo da lamentarsi, né da tirarsi indietro rispetto alle sue responsabilità. Un aneddoto curioso è capitato proprio nei giorni più caldi (e non solo meteorologicamente) della Grande Boucle. L’addetto stampa della Jumbo Visma voleva preservarlo dalle domande dei giornalisti, consigliandogli di andare subito a farsi la doccia passando oltre microfoni e taccuini. Sepp invece si è sempre fermato di buon grado, accettando l’aggravio di impegni dopo le dure tappe francesi.

Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard
Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard

Encomiabile anche se non al massimo

Come McNulty, Kuss c’è sempre, al fianco del capitano, svolgendo il suo ruolo di pesce pilota anche quando le cose non vanno. «A volte non vivo i miei giorni migliori – ha affermato il corridore del Colorado – ma non lo dico e do sempre il mio massimo, ci metto tutto quel che ho perché voglio esserci nei momenti importanti». E in certi momenti è stato davvero fondamentale. Era quella chiave che Pogacar non riusciva a scardinare, scivolando verso tattiche disperate: «Le montagne a volte sono più semplici di quanto si pensi – rispondeva a chi gli chiedeva conto del suo ritmo indiavolato, che teneva Vingegaard sempre a galla – Alla fine si tratta solo di chi ne ha di più».

Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna
Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna

Il danno dell’era Armstrong

Molti, guardando la classifica di cui sopra, gli hanno chiesto conto della situazione attuale del ciclismo americano soprattutto in raffronto al suo contro verso passato e le parole di Kuss sono state taglienti, quasi risentite: «Quando ho vinto una tappa al Tour ho ricevuto più attenzioni di quante mi aspettassi. Il ciclismo è un piccolo mondo anche se a chi c’è dentro non pare e per noi che veniamo da oltreoceano lo è ancora di più.

«Il Tour per gli americani è qualcosa di unico, anzi “è” il ciclismo. Se ci partecipi ti dicono “Oh, devi essere davvero forte per essere lì”, ma tutte le altre gare neanche le conoscono. Mi viene in mente l’era Armstrong, gli anni del doping e molti pensano che i ciclisti siano ancora come allora, ma tutto è cambiato. Il difficile però è recuperare la fiducia dopo che il danno è stato fatto e che danno…».

Da Parigi a Tokyo, la prossima sfida del Bala

15.07.2021
5 min
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Sorride così, tra il malizioso e il divertito, Alejandro Valverde quando gli chiedono se tornerà al Tour de France. Sorride divertito, perché lo stuzzica molto questo fatto di continuare a spremersi, allenarsi, correre, soffrire e vincere o mettere in difficoltà i ragazzi che ora dominano il gruppo, ma potrebbero essere benissimo suoi figli. La domanda è se tornerà al Tour. Lo aveva già escluso l’anno scorso, ma poi si è fatto coraggio e ormai finirà per raggiungere Parigi. Ma quella domanda ne porta dietro un’altra, quella sul continuare a correre. Aveva già fissato una scadenza: dicembre 2021. Ma adesso, visto come stanno andando le cose, quanto si stia divertendo e quanto riesca ancora a far soffrire i suoi giovani rivali, forse quel termine non è più così chiaro. «Non so ancora cosa farò, devo ancora parlare con Eusebio e poi vedremo».

Nel freddo de Le Grand Bornand ha pensato al ritiro
Nel freddo de Le Grand Bornand ha pensato al ritiro

Un anno di più

Una cosa è certa ed è che «mi sto godendo questo Tour, il fatto di correre senza pressioni, di potermi staccare per provarci in altri giorni».

E questo, unito al suo ottimo livello e alle due vittorie già conquistate in questa stagione, al fatto di essersi visto nuovamente insieme ai migliori nelle classiche delle Ardenne la scorsa primavera con gambe che continuano a chiedergli la guerra, lo avvicinano alla decisione di restare un anno in più.

Un’altra cosa rispetto a gennaio. Stanco e vecchio come si sentiva, aveva iniziato quella che pensava sarebbe stata la sua ultima stagione, con i segni attraverso cui la precedente, soprattutto il Tour e la Vuelta del 2020, gli aveva detto che il suo tempo era ormai passato e che non aveva più il ritmo dei migliori.

Assieme a Mattia Cattaneo, nella discesa dal Ventoux su Malaucene
Assieme a Mattia Cattaneo, nella discesa dal Ventoux su Malaucene

Il “Bala” c’è ancora

Ma Valverde è tornato ad essere il “Bala”. Quello del talento eterno e la classe maiuscola. Per questo si è fatto coraggio e, finita la Liegi, si è convinto di venire a questo Tour e poi di continuare fino a Parigi. Fino alla fine, mettendo la sua esperienza al servizio di Enric Mas nella sua lotta per salire sul podio e dopo aver tentato per due volte di vincere una tappa entrando in fuga.

La prima volta a Le Grand Bornand, che lo ha lasciato tremante e congelato sul col de Romme, tanto che ha dovuto fermarsi per prendere un giubbino. Aveva quasi deciso, confessa solo ora, di salire in ammiraglia e abbandonare la gara. Che certe cose non fanno più per lui. «Poi però ho pensato ai miei compagni e ho deciso di andare avanti».

A La Vella secondo dietro Kuss: all’arrivo è andato ad abracciarlo
A La Vella secondo dietro Kuss: all’arrivo è andato ad abracciarlo

A un passo da Kuss

La seconda, domenica scorsa a La Vella, passando da quel gelo a fermare quasi i cuori per l’emozione quando, scalando la Collada de Beixalis, è riuscito a tenere lo scatto di Sepp Kuss a mezzo minuto ed è arrivato a 12 secondi dal prenderlo e giocarsi la tappa con l’americano, nove anni dopo l’ultima vittoria a Peyragudes. Sarebbe stata la quinta in carriera: la prima nel 2005, contro Armstrong a Courchevel, seguita dalle due nel 2008 a Plumelec e Super Besse. Adesso che ha vinto quasi tutto ed è salito su quasi tutti i podi, dai grandi Giri alle classiche fino alle gare di una settimana, arrendersi a uno scalatore del livello di Kuss è stato molto diverso.

«Se fossi arrivato secondo nel 2008, tanto per fare un esempio, non ci sarebbe persona più arrabbiata di me – dice – ma a 41 anni la rabbia passa in fretta. E all’arrivo ero felice perché so che ha vinto il migliore e mi è venuto dal cuore congratularmi con lui. Sono arrivato secondo, ma felice come se avessi vinto».

Parlano i suoi 41 anni e due mesi. Una vita intera facendo quello che sa fare meglio. Divertirsi in bici.

Da Parigi a Tokyo

Con questo spirito lunedì prossimo partirà direttamente da Parigi per Tokyo, verso la sua quarta Olimpiade. Perché, dice, «non avrebbe senso ritirarsi dal Tour adesso. Avremmo viaggiato comunque lo stesso giorno. Sappiamo già che in sei giorni non si possono preparare i Giochi – spiega – ma il programma di viaggio sarebbe stato lo stesso anche se mi fossi ritirato prima».

Terzo alla Freccia, dietro Alaphilippe e Roglic: il Bala c’è ancora
Terzo alla Freccia, dietro Alaphilippe e Roglic: il Bala c’è ancora

Motivado y con ilusión

La medaglia olimpica è l’ultima frontiera da conquistare per il ciclista che somma più di 120 vittorie e un talento eterno. Ma non vuole pressioni o fardelli. Non a questo punto, non avendo più nulla da dimostrare.

«Darò tutto per riuscirsi, ma non voglio più pressione del necessario».

Lo ripete: «Daremo tutto, ma dobbiamo essere consapevoli che ci sono rivali che si stanno preparando al cento per cento e che non è una corsa di paese. Ma vado ugualmente con morale e tanta motivazione».

Questo è il segreto di tutto per il Bala, anche per decidere di continuare o meno il prossimo anno.

«E’ più importante della condizione fisica – dice senza esitazione – non serve che le tue gambe siano sempre buone, ma che tu sia determinato. Si può andare al massimo solo essendo motivati e con un sogno». Per continuare a sorridere così, tra il malizioso e il divertito.