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Fidanza e le azzurre ripartono dalla scossa di Amadio

30.11.2023
6 min
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Intercettiamo Martina Fidanza sul treno da Milano per Roma. La linea va e viene, la chiamata cade e poi riparte. La destinazione della bergamasca sono le visite mediche al Coni, che durante questo scorcio di stagione vedranno arrivare nella Capitale gli azzurri di tutte le discipline in vista di Parigi 2024.

La stagione è finita in Cina con il Tour of Guangxi e subito prima quello di Chongming Island, da cui è tornata a casa con due podi. Vacanze ad Amsterdam con Stefano Moro e un periodo di tre settimane senza bici. In generale il 2023 è stato un anno piuttosto strano, con gli europei pista di Grenchen a febbraio, i mondiali ad agosto e il gran finale in Oriente. Il ritiro di Noto con la nazionale ha dato l’inizio alla nuova stagione (nella foto Instagram di apertura, Fidanza è alle spalle di Silvia Zanardi)..

«Il 2023 è stato un po’ lungo – ammette Fidanza – complicato farsi trovare pronta in tutti gli appuntamenti, visti i tanti obiettivi sparpagliati durante l’anno. Nonostante questo, sono soddisfatta. Su strada sono un po’ migliorata (il 2023 ha portato la vittoria alla Ronde de Mouscron, ndr). Nelle gare più adatte a me, sono riuscita a fare qualche piazzamento. La vittoria mi ha aiutato moralmente ed è stato bello».

Invece il mondiale pista ad agosto che esperienza è stato?

E’ stato un po’ difficile, perché due settimane prima ero caduta al Baloise Tour. Anzi, non solo una volta, ero caduta tre volte perché una non bastava e mi ero anche sublussata la spalla. Però non sono stata ferma, appunto perché ero a due settimane dal mondiale. Ho cercato di tirar dritto e soffrire, di superare l’infortunio allenandomi. Alla fine il dolore è passato, al mondiale non sentivo quasi più niente, però di sicuro non ci siamo arrivate al top della forma. L’ambiente era un pochino stressante e alla fine abbiamo ottenuto un quarto posto nel quartetto di cui io, e penso le altre ragazze, siamo contente, vista l’annata che abbiamo avuto e come ci siamo arrivate.

Poteva andare peggio, insomma?

Noi cerchiamo sempre di guardare l’aspetto positivo e alla fine è stato un quarto posto a pochi decimi dal terzo, quindi eravamo soddisfatte. Non siamo arrivate a Glasgow con un percorso regolare e omogeneo. Ci sono stati i due grossi infortuni di Vittoria Guazzini e di Elisa Balsamo. Vittoria ha rotto il bacino ed è stata ferma un mese. Mentre Elisa ha avuto le varie rotture alla mandibola e anche lei è stata costretta a fermarsi per lo stesso tempo. Sono arrivate ai mondiali che si stavano riprendendo e in quel periodo non erano al top della forma. Poi è vero che non ci siamo mai trovate per girare e non possiamo dire di aver costruito questo mondiale. Eppure, nonostante tutto, siamo comunque arrivate quarte.

Dopo le cadute al Baloise, Fidanza è caduta anche durante la finale della madison. Qui viene scortata da Morini e dal dottor Angelucci
Dopo le cadute al Baloise, Fidanza è caduta anche durante la finale della madison. Qui viene scortata da Morini e dal dottor Angelucci
Alla fine del mondiale, Amadio ha fatto una riunione invitandovi a una maggiore presenza. Un momento utile o sapevate che qualcosa fosse mancato?

Eravamo tutte consapevoli di non aver fatto l’avvicinamento giusto. In più il Tour de France Femmes che finiva a pochi giorni dal mondiale non permetteva di allenarsi insieme. Comunque quella riunione ha dato una scossa, perché adesso riusciamo ad avere molta più organizzazione. Ci troviamo più spesso anche tra noi ragazze e abbiamo individuato delle date in cui vederci in pista, cercando di esserci almeno in quattro per fare un quartetto e dare più continuità.

Il ritiro di Noto in questo senso è stato una ripartenza?

Esatto. E’ servito a ritrovarci insieme e fissare un punto di partenza. Ci siamo accordati sulle date future e abbiamo cercato di allineare un po’ i programmi. E poi è stato una ripartenza sotto tutti i punti di vista, anche da quello atletico, perché abbiamo staccato quasi tutte e gradualmente abbiamo cercato di fare delle ore di allenamento insieme.

Ti aspettavi che Rachele Barbieri uscisse dal gruppo pista?

E’ un po’ che non la sento, quindi non so se sia sempre della stessa idea o se ci abbia ripensato. Dopo quella riunione di Amadio, avevamo capito che la sua intenzione fosse di non continuare con noi. Però non sapevamo quale sarebbe stata la decisione definitiva e neppure in quale squadra sarebbe andata. Forse è legato tutto al percorso che deciderà di intraprendere nei prossimi tre anni.

Il 4° posto del quartetto a Glasgow si rivaluta secondo Fidanza viste le condizioni precarie delle azzurre
Il 4° posto del quartetto a Glasgow si rivaluta secondo Fidanza viste le condizioni precarie delle azzurre
Come proseguirà ora il tuo inverno?

Il 4 dicembre partirò per andare in Spagna, a Calpe, e fare circa 10 giorni di ritiro. Poi andrò diretta a Grenchen, per correre la Track Cycling Challenge. Quindi ci ritroveremo per alcuni ritiri prima e dopo Natale per girare un po’ insieme. Infine andrò all’europeo. Ci siamo accordate per iniziare insieme ad Apeeldoorn, anche se non saremo al 100 per cento della forma. Però cercheremo di arrivare motivate e per fare il miglior risultato possibile.

Tornando a te e pensando a Parigi, le attenzioni saranno rivolte solamente al quartetto?

Di sicuro, oltre al quartetto, le Olimpiadi richiedono che le quattro o cinque che saranno convocate siano affidabili anche nelle altre prove di gruppo. Oltre a questo, sarà fondamentale riuscire ad essere veramente forti nell’inseguimento. Penso che quello sia l’obiettivo principale per tutti. Il resto non dico che venga trascurato, però si costruirà di conseguenza. Il mio obiettivo è sempre stata la pista e la strada viene un po’ in secondo piano. La mia squadra, la Ceratizit-WNT Pro Cycling, nel frattempo dovrebbe diventare WorldTour, quindi di sicuro c’è un po’ di pressione anche da parte loro, anche se restano disponibili per lasciarmi i miei spazi su pista.

La Ceratizit in cui corre anche sua sorella Arianna starebbe per salire nel WorldTour, ma rispetta i suoi programmi su pista
La Ceratizit in cui corre anche sua sorella Arianna starebbe per salire nel WorldTour, ma rispetta i suoi programmi su pista
I mondiali sono stati anche un test per l’avvicinamento alle Olimpiadi che si correranno pure ad agosto?

Glasgow ha simulato le condizioni che potrebbero esserci a Parigi. Ognuno sa come arrivare pronto: a me servirà una gara a tappe un mesetto prima. Pochi giorni fa stavo riflettendo anche sul programma della squadra e noi abbiamo il focus sul Thuringen Ladies Tour, che forse per me sarà meglio del Giro d’Italia. Sto aspettando di vedere le tappe e di capire se sarà più adatto del Giro, per poi concentrarmi su una preparazione più specifica su pista.

I programmi vi saranno dati nel ritiro in Spagna?

A Calpe saranno delineati al 100 per cento e poi dovrebbero rimanere fissi per tutto l’anno. Poi è ovvio che mano a mano che si andrà avanti, potranno esserci dei piccoli cambiamenti. Ma conto di tornare a casa dalla Spagna sapendo quale sarà il mio programma per il 2024.

Mondiali deludenti? Bragato proietta i suoi numeri su Parigi

27.08.2023
5 min
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Non nascondiamocelo: i mondiali di ciclismo a Glasgow potrebbero aver lasciato una punta di amaro in bocca in sede di consuntivo per la rappresentativa italiana. Nelle discipline olimpiche (e quando si è nell’anno preolimpico è a quelle che bisogna soprattutto guardare) sono arrivati un argento e un bronzo, sempre con Ganna di mezzo. A mente fredda è il caso di riesaminare quanto avvenuto nelle due settimane in terra scozzese proprio proiettando quanto avvenuto – e soprattutto le indicazioni emerse – verso il 2024 e nessuno più di Diego Bragato è adatto a farlo.

Bragato, oltre che parte integrante dello staff tecnico di Villa per il ciclismo su pista è il responsabile del Team Performance e appena chiusa la rassegna iridata ha ripassato al computer la marea di dati emersi, traendone idee utilissime per l’avvicinamento all’appuntamento di Parigi 2024.

Il quartetto femminile ha lavorato poco insieme, eppure i dati dicono che ha grandi prospettive
Il quartetto femminile ha lavorato poco insieme, eppure i dati dicono che ha grandi prospettive

«Il bilancio secondo me è positivo – esordisce subito Bragato – non dobbiamo dimenticare che ai mondiali ci sono anche gli altri e una rassegna preolimpica è sempre qualcosa di diverso rispetto alle altre. Tutti sanno di giocarsi molto, ma più che guardare fuori guardiamo in casa nostra e a come siamo arrivati a questo appuntamento».

Che cosa intendi?

Sono stati per noi mondiali molto diversi dagli altri. Gli infortuni sparsi e l’attività su strada hanno influito sulla nostra compagine più che sulle altre. Io devo commisurare i risultati ottenuti proprio in base a questo cammino di avvicinamento e per questo posso dire che nel complesso siamo andati bene.

Viviani è l’esempio di come sia necessaria una maggiore attività su pista per i nostri atleti olimpici
Viviani è l’esempio di come sia necessaria una maggiore attività su pista per i nostri atleti olimpici
Misurare il ciclismo non è facile: salvo che nell’inseguimento a squadre e, parzialmente, nella velocità (facendo sempre riferimento alle prove del programma olimpico) non si hanno numeri che quantifichino subito la prestazione…

Infatti, il mio compito è valutare ogni singolo caso, guardare alla prestazione complessiva in base alla prova affrontata. Guardate ad esempio Viviani: è arrivato al mondiale decisamente in forma, ma gli mancava l’approccio alla gara a causa della desuetudine. Non basta essere pronti fisicamente, serve anche correre più volte le gare anche per commisurarsi agli altri, vecchi e nuovi. Lo stesso vale per le ragazze: la Paternoster era competitiva come da tanto non accadeva, ma le mancavano i giusti meccanismi. Questo è un primo aspetto sul quale ragionare in vista di Parigi: fare in modo che i nostri riacquistino dimestichezza.

Essendo proprio un mondiale così delicato, la scelta di lasciare responsabilità di decisione alle ragazze non è stata un po’ affrettata?

E’ un quadriennio delicato, più corto e le ragazze sono alle prese con mille cambiamenti nel WorldTour – sottolinea Bragato – Villa ha ritenuto opportuno non sovraccaricarle, sapendo che c’era un prezzo da pagare. Se guardo all’inseguimento a squadre, il cronometro mi dice che non siamo così distanti dal vertice. Nella finale per il bronzo abbiamo perso di soli 3 decimi contro la Francia che aveva ragazze che, per essere lì al massimo, avevano rinunciato al Tour de France, la gara di casa. Anche questo va valutato in positivo.

Per Amadio si prospetta un autunno delicato, nel quale tracciare il cammino verso Parigi 2024
Per Amadio si prospetta un autunno delicato, nel quale tracciare il cammino verso Parigi 2024
E’ però un’esperienza sulla quale bisogna porre le basi per un approccio olimpico ben diverso.

Su questo non si discute. C’è bisogno di un accordo organico con i team di appartenenza di tutti i nostri ragazzi. Dopo la Vuelta il team manager Amadio supportato dai tecnici di settore ha in programma una serie d’incontri con tutti i manager delle squadre WT di riferimento, al maschile e al femminile, per tracciare il cammino verso Parigi. Villa come Bennati e Sangalli deve iniziare il lavoro con una certezza di tempi e modi. Anche perché la stagione su pista inizierà subito, con gli europei in programma dal 10 al 14 gennaio e bisognerà fare bene in quell’occasione.

Poi ci saranno anche tre tappe di Nations Cup da febbraio ad aprile…

Bisognerà trovare la quadra, dare la possibilità a ragazzi e ragazze di lavorare su pista con continuità, ma anche avere occasioni di confronto vere in gara e la challenge sarà utilissima in tal senso. Certo, conciliarla con il calendario su strada non sarà semplice, per questo le settimane subito dopo la fine della stagione saranno importantissime.

Ganna a Parigi sarà impegnato già il primo giorno di finali. Ci si giocherà tanto…
Ganna a Parigi sarà impegnato già il primo giorno di finali. Ci si giocherà tanto…
Torniamo su un tema dibattuto subito dopo Tokyo: per noi del ciclismo come per tutte le altre federazioni di riferimento non sarebbe utile avere un contraltare costituito da un settore Preparazione Olimpica del Coni con diversi poteri, che possa svolgere un ruolo di controllo e di affiancamento nel cammino di qualificazione per i Giochi Olimpici?

Ci addentriamo in un argomento spinoso – avverte Bragato – le discipline sono molto diverse, il ciclismo ha esigenze che non sono certo quelle di atletica e nuoto, per fare due esempi. Noi abbiamo un rapporto consolidato e molto stretto con la Scuola dello Sport, ci confrontiamo spesso per alzare il livello delle nostre discipline. Tanto per fare un esempio, dalla Scuola abbiamo avuto tutta una serie di attrezzature per la registrazione e la visualizzazione specifica dei lavori effettuati a Montichiari e questo ci serve molto. Sempre con la Scuola stiamo affrontando anche il discorso di discipline specifiche come il bmx freestyle dove partiamo da zero, abbiamo bisogno di reclutare giovanissimi e possiamo farlo guardando anche ad altre discipline simili.

Obiettivamente, ti senti ottimista?

Io sono convinto che possiamo fare davvero bene in ogni disciplina dalla strada alla pista alle altre. Siamo forti e lo sappiamo, anche le gare che non ci hanno premiato a Glasgow ci dicono comunque questo. Serve qualcosa in più, serve entusiasmo, ritrovare quell’energia che c’era a Tokyo e che si respirava già a mesi di distanza. Bisogna partire col piede giusto e fare in modo che tutto s’incastri al meglio. Oltretutto cominceremo subito – afferma Bragato – nella prima giornata di finali ci saranno le cronometro su strada e sappiamo che ci giochiamo molto, noi del ciclismo e l’intera spedizione azzurra, vediamo d’iniziare col piede giusto…

EDITORIALE / Il bello e il brutto di essere italiani

14.08.2023
5 min
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GLASGOW – La carovana del mondiale si sta disperdendo. Anche chi scrive prenderà il volo nel pomeriggio e a quel punto di questi giorni si parlerà al passato. In realtà sembra passato un secolo. La vittoria di Mathieu Van der Poel è già lontana, nonostante sia avvenuta appena otto giorni fa. Forse perché nel frattempo di mondiali se ne sono svolti altri cinque: ciascuno con i suoi ragionamenti e le sue storie. Al pari degli atleti, almeno gli italiani con cui abbiamo avuto i maggiori contatti, ammettiamo di sentirci prosciugati anche noi.

Sfinito dopo l’arrivo del mondiale, Bettiol ha poi raccontato la sua emozione nel vestire la maglia azzurra
Sfinito dopo l’arrivo del mondiale, Bettiol ha poi raccontato la sua emozione nel vestire la maglia azzurra

La casa degli italiani

Piuttosto che affrontare il tema di questa nuova formula, su cui certamente torneremo, oggi al centro c’è l’Italia, intesa come casa degli azzurri.

«Sono emozionato dal lavoro dei miei compagni – ha detto Bettiol dopo l’arrivo del mondiale – della squadra, dei tecnici, dei massaggiatori, i meccanici. Sono fortunati a essere italiano, ci hanno messo nelle condizioni migliori. Ho veramente dato tutto. Oggi per me era il culmine di un anno. Io credevo in questo mondiale, non mi interessava se non era adatto a me. Non mi interessava. Io volevo far bene, volevo ripagare il lavoro non solo dei miei compagni, ma di tutti, di tutte le persone che sono dietro, che sono fantastiche e ci rendono orgogliosi. Perché secondo me abbiamo il miglior staff di tutte le nazionali e sono contento che vi siate divertiti».

Matteo Cornacchione, qui con Cioni, era meccanico della Liquigas e ora è in Ineos, prestato alla nazionale
Matteo Cornacchione, qui con Cioni, era meccanico della Liquigas e ora è in Ineos, prestato alla nazionale

Bettiol e le differenze

Si trattava sicuramente di un momento ad elevata emotività di un atleta che vive di slanci, ma anche un atleta che dopo il primo anno da professionista nell’ultima parte della Liquigas (anche se la squadra si chiamava già Cannondale) si è ritrovato in un team americano. Vista la lunga permanenza, evidentemente si troverà bene, ma vivere per pochi giorni in una squadra di italiani lo ha riportato a quel 2014. Tanto più che in nazionale, Amadio ha ricreato il clima di quella stessa squadra. E in questi pochi giorni, Bettiol deve aver colto la differenza. Quante volte nella sua squadra ha avuto tanta considerazione?

Ecco il punto. Si continua a parlare della necessità di una squadra italiana non per dare fiato ai polmoni, ma perché è il solo modo per tutelare il capitale di atleti italiani che ogni anno viene speso e a volte sperperato sul mercato internazionale.

Milesi è passato nel Devo Team della DSM e ora è nella WorldTour: si è adattato molto bene
Milesi è passato nel Devo Team della DSM e ora è nella WorldTour: si è adattato molto bene

La domanda di Amadori

Il giorno dopo la vittoria di Milesi nella cronometro under 23, Marino Amadori ci ha affidato un’interessante riflessione, chiusa con una domanda.

«Si dice tanto che in Italia non ci siano corridori – ha detto il tecnico romagnolo degli U23 – quando in realtà in questa categoria ne abbiamo molti e anche forti. Quello che mi chiedo però è dove finiscano una volta che passano professionisti. Sono loro che non hanno il carisma di emergere oppure nelle squadre dove passano, vengono messi in fondo alla coda, senza la possibilità di venire avanti?».

Sierra ha centrato il quarto posto nel mondiale juniores e passerà in un Devo Team all’estero
Sierra ha centrato il quarto posto nel mondiale juniores e passerà in un Devo Team all’estero

Lo Stato italiano

In attesa di scoprire quali esiti avrà il nuovo flusso migratorio verso i Devo Team stranieri, ci allacciamo ad altre due corde per fare il passo successivo.

Le parole ascoltate proprio ieri da Francesca Polti fanno capire come il ciclismo, se affrontato con le giuste competenze manageriali, sia ancora un fortissimo veicolo promozionale. E viene quindi da chiedersi se la fuga degli sponsor italiani di anni fa sia stata dovuta davvero ai casi di doping o piuttosto all’impossibilità di giocare con le fatturazioni che rendeva l’investimento vantaggioso anche su altri piani. Se così fosse, si confermerebbe una volta di più che il sistema fiscale italiano sia il freno per certi investimenti. E che certi industriali non la raccontano giusta.

In secondo luogo, cadono le braccia nel vedere come nel Paese di Coppi e Bartali e altri giganti che riempiono da soli libri di storia dello sport, il Governo non muova un dito per offrire un sostegno. La Francia ha coinvolto la Francaise des Jeux e invogliato giganti come banche e compagnie petrolifere, al pari di quanto fatto dal Belgio con il Lotto. Ci sono regioni di Spagna e Belgio che sostengono da sole l’attività di squadre professionistiche, non volendo tirare in ballo gli Stati che hanno posto il loro nome sulla maglia di squadre.

Venturelli si è detta serena perché il programma della nazionale la seguirà anche fra le elite
Venturelli si è detta serena perché il programma della nazionale la seguirà anche fra le elite

Il dio pallone

Nella nostra Italia così provinciale e bigotta, siamo arrivati al punto di mettere il dio pallone al centro di ogni cosa, lasciando al resto solo le briciole. E se poi viene fuori che Mancini lascia la nazionale e potrebbe averlo fatto per soldi (siamo sempre in attesa che il cittì dimissionario fornisca le sue ragioni) allora quelle parole di Bettiol e le lacrime di Elena Cecchini per la brutta figura fatta ieri dalle ragazze in corsa (dal 2004 non eravamo mai usciti dai primi 10: anche questo è un tema che riprenderemo) assumono una profondità e una ricchezza che forse lo sport italiano non merita. Che i suoi politici non sarebbero neanche in grado di cogliere.

Mondiale appena finito, il punto con Amadio

14.08.2023
5 min
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GLASGOW – Il mondiale scozzese è finito, si vedono valigie e facce stanche. Intorno al quartier generale della FCI si sono formati capannelli. C’è Tommaso Lupi, cittì del BMX fresco del bronzo juniores di Tommaso Frizzarin. C’è Davide Plebani che ha corso il tandem con Bernard e ora ha raggiunto Elisa Balsamo. E c’è anche Roberto Amadio, team manager di tutte queste nazionali che hanno in comune la maglia azzurra e poco altro. Ciascuna ha le sue specifiche, il suo personale, le sue esigenze e metterle tutte insieme nello stesso evento deve essere stato un bel… giochino, di cui gli chiediamo conto.

Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Che cosa diresti volendo fare un bilancio a caldo?

La formula va sicuramente migliorata, ma potrebbe anche funzionare. Per quanto riguarda l’Italia, analizzando un po’ tutti i settori, sono abbastanza soddisfatto.

Cominciamo dalla pista?

Considerando il poco tempo che hanno potuto lavorare assieme con Villa, è andata anche bene. Con le ragazze non abbiamo raccolto medaglie, però siamo lì. C’è da aggiustare il tiro per quanto riguarda la preparazione e che le stesse ragazze siano consapevoli dei loro mezzi e determinate per fare questo tipo di lavoro. Fra gli uomini, abbiamo la garanzia di Ganna e Milan per l’inseguimento individuale e siamo sempre fra i primi con il quartetto. Anche Viviani con il bronzo ha fatto quello che doveva, ma lui non si accontenta mai. La cosa positiva è che ho visto un Elia ad altissimi livelli e questo in prospettiva è molto importante.

Ha detto che il prossimo anno vorrà correre di più in pista.

E questo vale per lui, ma un po’ per tutti i ragazzi e le ragazze. L’americana non puoi inventartela mezz’ora prima di salire in pista, sia come tattica sia come sincronismo nei cambi. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo in prospettiva olimpica, perché abbiamo gli atleti per risultati importanti.

Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
L’impressione è che l’avvicinamento delle ragazze a questo mondiale sia stato troppo pesante.

Il problema che ho evidenziato fin dall’inizio a Villa e Sangalli è che il calendario WorldTour è sovradimensionato rispetto alla qualità delle ragazze che ci sono. Di conseguenza sono quasi obbligate a farle tutte e arrivano in sovraccarico o con una preparazione inadeguata ad alcuni appuntamenti. In previsione delle Olimpiadi bisognerà vedersi con i manager delle squadre World Tour e capire con loro qual è l’avvicinamento migliore. Non vogliamo mettere in difficoltà le squadre, ma le squadre non mettano in difficoltà le ragazze, perché l’obiettivo Olimpiadi è importante e porta un valore anche a loro. Con Guercilena ho già parlato qualche mese fa e non ci saranno problemi.

Nonostante tutto e nonostante ragazze chiamate al doppio impegno strada e pista, ci sono i margini per recuperare?

Le ragazze sono quelle, sia per la strada che per la pista e dobbiamo averne la consapevolezza per gestirle nel modo migliore. Anche per loro però è importante capire quali sono gli obiettivi principali per la prossima stagione. Credo che siamo nella condizione di raddrizzare benissimo la situazione. Abbiamo 4-5 quarti posti sul filo dei centesimi di secondo, che potevano benissimo essere delle medaglie, quindi da questo punto di vista mi sento sereno. Credo che dopo questo mondiale siamo ancora più consapevoli di quello che bisogna fare.

Per quanto riguarda la strada uomini?

Abbiamo raccolto meno di quello che si poteva. Parlo degli juniores con Sierra che è arrivato quarto, ma senza un po’ di sfortuna poteva benissimo essere in lotta per la seconda o la terza posizione. Milesi è stato bravissimo nella crono, ma se negli ultimi 4 chilometri della gara su strada fosse stato più lucido, avrebbe portato via un’altra medaglia. Fra le donne elite non c’è stata storia, ma se avessimo avuto Longo Borghini, vedendo come sono andate le cose per tutta la stagione, lei sarebbe stata davanti a giocarsi la medaglia.

Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Medaglia che invece è venuta dalla mountain bike.

L’argento di Paccagnella fra gli juniores è un buon segnale, il settimo posto di Braidot conferma che siamo parecchio avanti. Chiaro che si guarda sempre alle medaglie, però guardando la qualità degli avversari, si può essere soddisfatti. Idem nella BMX, dove siamo andati in finale con tre ragazzi e non è poco. Negli elite siamo a livello di semifinali e anche lì c’è da lavorare nel senso della specializzazione. Col gruppo performance quest’anno abbiamo fatto dei passi in avanti che si vedono.

La velocità?

Era un settore scomparso da anni, al pari del paralimpico su pista: estinti proprio dalla Federazione. Col paralimpico in pochi mesi abbiamo dimostrato che ci siamo e abbiamo raccolto anche qualche medaglia. Stesso discorso con lo sprint: siamo lì, noni o decimi, a poco dalla qualificazione. E’ stato fatto un lavoro eccezionale, perché in un anno e mezzo non ci si inventa niente. Però la cosa positiva è che su ogni competizione abbiamo margine e le professionalità per lavorare bene.

Ti occupi anche del freestyle?

Quello è un mondo a sé, un po’ più difficile. Purtroppo credo che la qualificazione per le Olimpiadi sia molto lontana e quindi dovremo valutare di orientarci verso i giovanissimi per costruire qualcosa in prospettiva.

Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Sei soddisfatto della struttura che hai messo insieme?

Devo ringraziare innanzitutto le segreterie. Quella della strada, con Giorgio Elli, Elisabetta Tufi e Italo Mambro, e quella della pista con Francesca Butrico. Insomma, è stato un mondiale impegnativo perché abbiamo spostato quasi 300 persone, con la complicazione di non essere nella Comunità Europea. Però devo dire che è andato tutto molto bene.

Sul fronte tecnico?

Magari ci prendiamo quei 15-20 giorni per riflettere un po’ su quello che è successo. Qualcosa da rivedere c’è, non mi nascondo, anzi sicuramente qualcosa dobbiamo rivedere, però come ho detto prima: non siamo messi male. A Parigi, che sarà l’appuntamento principale dell’anno prossimo, arriveremo sicuramente bene.

Hai fatto spesso riferimento al gruppo performance.

Il gruppo di Bragato sta facendo un ottimo lavoro, sono molto contento di quello che stanno realizzando. Abbiamo fatto anche molta ricerca a livello di materiali e innovazioni. C’è da lavorare tantissimo ancora su questo, perché abbiamo degli atleti esigenti come Filippo che giustamente non lascia nulla al caso. Si è visto che si vince e si perde per delle sfumature che alla fine fanno la differenza. Ecco, per tutto questo, direi che alla fine è stato un buon mondiale.

Pochi italiani in gara: 27 in tre corse. Cosa succede?

10.07.2023
4 min
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In questa estate di grande ciclismo c’è stato un dato che, purtroppo, ci ha colpito. Fra Tour de France, Sibiu Tour e Giro d’Austria, le tre maggiori gare di questa prima parte di luglio, sommando squadre WorldTour e professional avevamo 27 italiani in gara. Il solo Belgio ne aveva 28 al via della Grande Boucle. Un dato che da solo fa riflettere.

Roberto Amadio è il team manager delle nazionali della Federciclismo e a lui ci siamo rivolti per fare una “foto” di questa situazione. Ma lo abbiamo voluto ascoltare anche in virtù del suo passato da general manager di un grande team, l’ultimo grande team italiano, la Liquigas.

Roberto Amadio in visita agli juniores alla Roubaix di quest’anno
Roberto Amadio in visita agli juniores alla Roubaix di quest’anno
Roberto, partiamo da quel dato iniziale: 27 italiani in gara in tre corse. Un po’ pochino?

Eh – sospira – non è un tema di facile considerazione e di certo non fa piacere. Diciamo che le programmazioni, soprattutto dei team WorldTour, vengono fatte in base al Giro d’Italia e, ancora di più, in base al Tour, quindi giugno per chi ha fatto il Giro è un mese di riposo e luglio uno in cui si riprende. E molti di questi corridori sono italiani. 

Che stanno preparando la seconda parte di stagione…

Stanno preparando la seconda parte di stagione, ma è anche vero che contestualmente non abbiamo la qualità di performance come tra gli anni ’90 e il 2010 o poco più. Si è ridotto il numero di corridori di un certo livello. Li abbiamo, sia chiaro, penso a Rota o a Trentin e a come si sono comportati al mondiale in Australia l’anno scorso. Rota se fosse stato più abituato a stare davanti in certi finale magari sarebbe andata diversamente. Idem Bettiol. Ma sono pochi.

Senza fare nomi, ci sono stati atleti importanti visti al Giro e che adesso sono a riposo, ma ce ne sono altri che al Giro non c’erano e non sono neanche al Tour. Perché?

Perché sono di qualità, ma non tanta che sia adatta alle prestazioni del Tour: questo è il punto. Sono le settime, ottave, none… scelte di queste squadre e nella selezione subentrano poi altri fattori.

I team maggiori ormai contano tante nazionalità al via. Al Tour, la UAE per esempio ha 8 corridori di 8 Paesi differenti e molte altre ne hanno 7 su 8
I team maggiori ormai contano tante nazionalità al via. Al Tour, la UAE per esempio ha 8 corridori di 8 Paesi differenti e molte altre ne hanno 7 su 8
Purito qualche giorno fa ci parlava degli spagnoli degli anni 2000, di “infornate”… Quindi volendo riassumere questa carenza di italiani è un po’ un mix fra assenza di squadra e ondata di corridori? 

E’ anche così, ma come detto la squadra conta. Se io italiano fossi stato il team manager di un team, il Fabbro della situazione (nome preso a caso, sia chiaro, ndr) lo avrei fatto correre. Ma se si ritrovano in una squadra belga o australiana, sono fra i tanti.

E allora cosa si può fare?

Continuare a lavorare, sfruttare ogni occasione e tenere duro. Sì, è bello assistere a queste volate del Tour, ma senza un velocista italiano tanta adrenalina viene meno. Prima invece era diverso con i tanti uomini veloci che avevamo.

Si dice sempre che questa situazione sia figlia della mancanza di una squadra italiana, ed è vero. Ma non è che sta diventando anche una scusa sulla quale adagiarsi?

I nostri sono condizionati anche dalle scelte delle squadre e quando una Lidl-Trek, tanto per dirne una, fa una formazione, dentro deve esserci un olandese, un americano, un tedesco… sono multinazionali.

Giro 2021: Ganna in rosa tira per Bernal. Fu un caso emblematico. Vero che il ciclismo è cambiato, ma forse un team italiano lo avrebbe tutelato di più
Giro 2021: Ganna in rosa tira per Bernal. Fu un caso emblematico. Vero che il ciclismo è cambiato, ma forse un team italiano lo avrebbe tutelato di più
I fattori di cui ci dicevi prima…

Esatto, ma di base devi andare forte… quello è sempre il primo motivo chiaramente per correre ad alti livelli. Ecco, restando in tema Lidl-Trek e agli sprinter del Tour, magari il prossimo anno potremmo vedere Jonathan Milan.

Ma c’è Pedersen! E ritorniamo al discorso delle competizione interna, del rischio che bravi atleti si ritrovino a tirare. Ne abbiamo molti di casi.

E’ così. Io speravo molto in Cassani. Speravo che Davide riuscisse a fare la squadra grazie alle sue capacità e alle sue conoscenze, ma non è facile. Stiamo soffrendo, soprattutto in Italia… Oggi se non c’è un interesse diretto della politica, del governo, sarà sempre più difficile fare delle squadre forti, visti i budget che servono. Ci sono 7-8 team che hanno il supporto governativo, le differenze si notano. Servono 30-35 milioni di euro all’anno, cifre enormi difficili da reperire privatamente.

Questo riguarda anche altri sport, persino il calcio. In questi giorni si parla di calciomercato e l’Arabia Saudita che vuole i mondiali 2030 e vuole aumentare il livello del suo campionato compra i giocatori e la stessa Federazione, col supporto del governo, li smista ai vari club. 

Ci stanno lavorando da anni, stanno facendo degli studi e il ciclismo fa parte degli sport a cui sono interessati. E quando loro entrano in gioco, ci entrano pesantemente…

Il record dietro le quinte di coach Cioni

10.10.2022
5 min
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Prima, durante e dopo. Con Dario Cioni, persona di una correttezza esemplare, abbiamo parlato prima che il tentativo di Ganna iniziasse. Lo abbiamo osservato impietrito e concentrato durante. Poi ci abbiamo parlato alla fine di tutto, prima che anche lui raggiungesse Pippo e gli altri ragazzi al McDonald’s di Grenchen.

Cioni è il preparatore di Ganna sin dai primi tempi alla Ineos
Cioni è il preparatore di Ganna sin dai primi tempi alla Ineos

Indiscrezioni australiane

Con il preparatore toscano della Ineos Grenadiers c’erano domande rimaste aperte dall’incontro ai mondiali australiani, quando non aveva potuto dire tutto. Quando forse non era neppure necessario. Eppure nel parco di quella intervista, sul tappeto era rimasto il grosso punto di domanda della crono andata male.

«La condizione c’è – aveva detto – e secondo me la crono di domenica scorsa è stata una giornata storta. Lo abbiamo visto con il Team Relay. E se fosse qualcosa di diverso da una giornata storta, bisognerà capire cosa non ha funzionato. Però personalmente sarebbe una grossa sorpresa».

Secondo Cioni, il passo falso nella crono iridata era dovuto a un giorno storto
Secondo Cioni, il passo falso nella crono iridata era dovuto a un giorno storto

Le giuste condizioni

Sono passate due settimane, ma sembra un secolo e forse è meglio così. Ganna ha trascorso qualche giorno in famiglia e poi si è immerso totalmente nei ritmi e nella magia della pista. Prima a Montichiari e poi qui a Grenchen, tempio della pista svizzera.

«Prima di tutto – diceva Cioni l’altra sera – doveva recuperare energie mentali, ritrovare un po’ di freschezza e digerire la sconfitta del mondiale. Però insieme doveva iniziare anche a guardare al record. E’ avvenuto tutto quello che speravamo. Anzi, secondo me è arrivato molto più convinto di come sarebbe stato se avesse vinto il mondiale. Forse più carico e insieme rilassato».

Una tribuna piena di tifosi di Ganna: a Grenchen Pippo non era solo
Una tribuna piena di tifosi di Ganna: a Grenchen Pippo non era solo

Sensazioni e rapporti

Il coach propone e osserva. Cioni sapeva che prima di partire per l’Australia, Pippo aveva fatto un primo test per il record. Poi ha osservato la sua delusione ai mondiali e l’ha confrontata con i dati di allenamento e le scorie di un viaggio così lungo. Per questo a Wollongong e malgrado le tante critiche, Dario non era parso troppo allarmato. Così lo ha ripreso per mano, ha costruito attorno l’ambiente migliore e ha rilanciato l’andatura.

«Nel famoso test di lunedì scorso – diceva prima del via – Pippo avrebbe voluto continuare, mentre a noi bastavano 35 minuti. La durata minima era di 30 minuti, la massima 40. Non perché a 40 minuti va in crisi il processo di smaltimento dell’acido lattico: quel limite lui ce l’ha più avanti. Solo abbiamo preferito non esagerare perché era lunedì, quindi se avesse fatto troppo, magari non avrebbe potuto recuperare per bene.

«Tante prove sono servite anche per scegliere il rapporto. Venerdì ha voluto provare il 65 e il 66. Ha girato un po’ col 65 ed era contento. Il problema è che se le cose vanno bene, il 66 magari è vantaggioso. Però nel momento in cui dovesse calare, quel dente in più potrebbe essere svantaggioso. Si tratta di pedalare oltre le 96 pedalate, nella fase finale saranno 97-98».

E’ arrivato Viviani, Ganna e Cioni lo salutano
E’ arrivato Viviani, Ganna e Cioni lo salutano

Un piccolo rimpianto

Durante il record, Cioni è rimasto all’interno della pista, leggendo i tempi e passando a Villa i cartelli concordati per segnalare a Ganna l’obiettivo raggiungibile e il ritmo necessario. Così se da un lato il tecnico della pista mostrava i tempi su giro con il tablet, Dario preparava dei grossi cartelli con informazioni supplementari.

Quando la corsa è finita e Pippo ha centrato il nuovo record in 56,792 chilometri, Cioni ha stretto i pugni e poi lentamente si è sciolto. Ha accolto il suo corridore. Ha stretto mani ai ragazzi dello staff. Ed è rimasto costantemente un passo indietro. Era così anche da corridore, figurarsi adesso.

«Sapevamo – ha detto – che 56 sarebbe stato il minimo. Per scommessa s’era messo arrivare a 57. Eravamo partiti abbastanza convinti che Boardman si potesse battere e comunque non era poco. E’ stato un salto di quasi un chilometro e mezzo anche dal record di Bigham, fatto appena tre mesi fa».

Circa un’ora prima della partenza, Ganna ha girato per riscaldarsi
Circa un’ora prima della partenza, Ganna ha girato per riscaldarsi

«E’ stato chiaro da subito – ha detto ancora – che non andava per il 56, dopo 20 minuti si vedeva che fosse sempre un pochino in anticipo. Probabilmente però, se tornasse indietro, sono convinto che dal ventesimo al centesimo giro starebbe un attimo più coperto. Però in bici c’era lui, sapeva quello che doveva fare, ha deciso di rischiare. Alla fine, comunque, è sempre venuto un grandissimo risultato.

«Ha cercato di raggiungere il massimo o andare anche oltre, consapevole che c’era spazio per atterrare. Ti crei lo spazio di sicurezza, così puoi recuperare qualche giro casomai arrivasse la crisi. Boardman lo ha superato presto, andava per i 57, però è stato comunque un grandissimo risultato». 

Alla partenza, accanto a Ganna c’era Marco Villa, suo cittì in nazionale
Alla partenza, accanto a Ganna c’era Marco Villa, suo cittì in nazionale

La scelta di Villa

Infine Villa, che lo ha ringraziato per avergli ceduto il posto in pista pur avendo il titolo di guidare Ganna. Si è trattato di un evento Ineos, la squadra avrebbe avuto tutto il diritto di pretendere il suo tecnico a bordo pista.

«Io ho sempre detto: il coach dietro l’atleta. C’è l’atleta che fa i risultati – ha spiegato Cioni – il ruolo del coach è mettere l’atleta nelle migliori condizioni. Questa è una pista e Villa è il tecnico della pista, quindi chi meglio di lui aveva l’esperienza per stare lì? C’era per le Olimpiadi e i mondiali. Pippo ha vinto i primi mondiali con Marco, quando io ancora non lavoravo con lui.

«E poi in pista c’era Marco, ma c’ero anch’io. Nel senso che siamo una squadra. Lavoriamo tutto l’anno insieme, non solo per questo evento. E Marco è quello di cui Pippo si fida ciecamente in pista, quindi sarebbe stato egoistico volere prendere il suo posto. Però, ripeto, la scelta deve essere dell’atleta, non di chi c’è dietro. E qua c’era anche tanta altra gente dietro che ha fatto un grande lavoro». 

Australia, ultimi appunti di viaggio. Parla Dagnoni

29.09.2022
7 min
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Prima di ripartire dall’Australia e dopo il clamore delle settimane precedenti, con il presidente federale Dagnoni abbiamo affrontato una serie di riflessioni sulla spedizione azzurra. E se da un lato era impossibile fare finta di niente, la sensazione è che lo tsunami delle provvigioni irlandesi si sia ritirato, avendo prodotto danni di immagine concreti a fronte di una vicenda i cui contorni appaiono invece sempre meno netti. La Federazione ha tardato decisamente troppo per dare delle spiegazioni, ma alla fine lo ha fatto. Mentre il punto di partenza e alcune dinamiche ricordano la vicenda che coinvolse la moralità di un tecnico azzurro senza che poi, depositato il fango sul fondo, si sia arrivati a nulla.

«Sono partito dall’Italia – dice Dagnoni – con una situazione definita e chiusa, che mi ha concesso di arrivare qua sereno perché è stato chiarito tutto. Soprattutto con le dichiarazioni a fine Giunta Coni del presidente Malagò, che ha definito la nostra Federazione virtuosa. Per rispondere, qualche errore è stato fatto, ma in assoluta buona fede. E soprattutto non ha creato, lo voglio sottolineare, nessun danno per la Federazione. Questo è un po’ il sunto di tutto un discorso che ci ha insegnato a essere più attenti a certe situazioni, per evitare che poi vengano ingigantite».

Spazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran Bretagna
Spazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran Bretagna
Che cosa le è sembrato di questo mondiale?

Si è trattato soprattutto di una trasferta impegnativa, perché comunque siamo dall’altra parte del mondo. Però è bello il clima che si è creato all’interno della nostra nazionale. Una grande sinergia tra i vari gruppi, anche a livello di staff, meccanici e massaggiatori. Ci si aiutava uno con l’altro rispetto al passato, dove ho sempre visto molte camere stagne. Adesso c’è un clima completamente diverso, ma non lo dico solo io, lo dicono anche gli addetti ai lavori che lo percepiscono. Ho visto fare riunioni di tutti i massaggiatori e di tutti i meccanici insieme. E quando c’è una partenza, sono tutti lì per aiutare. Il clima è sereno ed è quello che ho sempre auspicato. 

Quanto pesa sui conti una trasferta così?

Facevamo il calcolo che ci è costato il doppio di un normale mondiale in Europa. Ma per fortuna da un lato abbiamo le risorse per sostenerla e poi si è creata un’ottima intesa tra i dipendenti della Federazione, che si sono sempre occupati di queste trasferte, e Roberto Amadio che ha portato la sua esperienza WorldTour. Abbiamo avuto una gestione molto attenta a livello di ottimizzazione dei costi.

Ad esempio?

I corridori avevano 65 chili di bagaglio a testa, in modo da non dover pagare per le bici. Elite ci ha fatto avere i rulli dall’importatore in Australia. Il camper l’abbiamo trovato gratuitamente, grazie a Gerry Ryan, il proprietario della Bike Exchange che li produce. Ho avuto anche l’onore di conoscerlo e l’ho ringraziato. Un altro esempio sono i lettini dei massaggi. Portarli costava troppo come spedizione, così li abbiamo affittati in Australia a un quarto del prezzo del trasporto. Sono tutti dettagli che, messi insieme, vanno a ottimizzare i costi. I meccanici ad esempio non sono arrivati ognuno con la propria valigia, ma abbiamo fatto i bauli con pezzi meccanici e attrezzi.

Salvoldi con gli juniores ha ammesso che siamo un po’ indietro…

Il primo scopo nell’aver messo Salvoldi agli juniores era dare un metodo di lavoro. Ho avuto molti apprezzamenti dalle società per avere inserito un tecnico professionale come Dino in questa categoria. Gli ho detto subito che non era nostra intenzione vincere le medaglie, soprattutto in tempi rapidi, ma creare una cultura e degli atleti che possano sbocciare fra qualche anno, avendo un’impostazione. Mi ha detto che sulla pista riesce a lavorare in tempi più rapidi, perché ha un gruppo di lavoro a disposizione. Sulla strada invece i ragazzi sono affidati alle società per cui è un lavoro a lungo termine. Di conseguenza dovremo avere un po’ più di pazienza.

Salvoldi ha da poco iniziato la sua opera con gli juniores: per Dagnoni sarà sicuramente puntuale, ma servirà tempo
Salvoldi ha da poco iniziato con gli juniores: per Dagnoni sarà puntuale, ma servirà tempo
Pensa che ci riuscirà?

Mi fido molto della capacità di Dino, sono sicuro che porterà dei buoni risultati. Strada e pista avranno tempi diversi e sulla strada c’è da lavorare di più anche territorialmente. Bisognerà andare in giro per insegnare metodologie che ormai sono sempre più esasperate. Ormai gli juniores hanno carichi di lavoro nettamente diversi da quelli che c’erano in passato.

Intanto fra gli under 23 ha vinto un corridore WorldTour reduce dalla Vuelta.

Aveva per forza una preparazione diversa, mentre i nostri sono dilettanti veri. Poi tra l’altro siamo anche stati sfortunati perché Buratti era in gran forma, ma ha avuto la sfortuna di bucare, cambiare bicicletta e inseguire per un giro, altrimenti sarebbe stato protagonista. Però dovremo essere più attenti e valutare, magari con le squadre se ci verrà concesso. Non ci sono imposizioni o direttive su chi convocare e chi no. Dovremo ragionare con la nostra struttura tecnica e il Consiglio federale per adeguarci alle esigenze. La legge di Darwin dice che non vince il più forte, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento. Ecco, dovremo decidere come farlo in tempi rapidi.

La nazionale femminile ha una bella struttura attorno.

Sono state inserite figure professionali di alto livello. In questa trasferta c’erano Elisabetta Borgia, Tamara Rucco la massaggiatrice e Rossella Callovi. Sono professioniste serie e molto apprezzate dalle ragazze, perché svolgono al meglio il proprio lavoro. Poi è vero che una Rossella Callovi, che è stata vicecampionessa del mondo al primo anno juniores e iridata il secondo, se si trova a parlare con le ragazze, magari ha una credibilità diversa. Può trasferire delle emozioni, qualcosa che lei ha vissuto in prima persona per cui è anche più convincente. Elisabetta Borgia segue alcune ragazze anche al di fuori della nazionale, per cui ho visto per esempio che con Vittoria Guazzini la sua figura è stata importante. Come ha detto in un’intervista, lei è quella che tiene pulita l’acqua in cui nuotano i pesci. Di fatto è quella che sa dare la carica. Sono figure che abbiamo inserito e siamo molto contenti di averlo fatto.

Dagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienza
Dagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienza
C’è qualcosa che non le è piaciuto di questo mondiale?

Per natura sono abituato a guardare sempre i lati positivi. Per cui è vero che la trasferta di ogni giorno per andare al campo gara dall’hotel era pesante, però anche in questo caso mi piace sottolineare l’organizzazione per trovare la struttura adeguata alle nostre esigenze. Eravamo 78 persone, di conseguenza non era facile trovare un hotel che ci accogliesse tutti insieme e ci mettesse la cucina a disposizione (avevamo il nostro cuoco, anche questa è un’altra figura fondamentale per gli atleti e con un costo accettabile). Però l’abbiamo trovata, anche se era a più di un’ora di distanza. E alla fine, proprio per il clima che ho rimarcato prima, era importante essere tutti insieme e ci siamo riusciti.

Donne professioniste e corpi militari: si dovrà cambiare?

Si continua a parlarne, ma al momento non è ancora definito niente. Ho parlato con Francesco Montini, responsabile delle Fiamme Oro e ha detto: «Noi abbiamo atleti che di fatto non sono professionisti, ma hanno contratti importanti come Marcell Jacobs che continuano a stare nelle Fiamme Oro». Pertanto, se dall’UCI non arriverà una regola diversa, per me si può continuare come sempre.

A Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo Rota
A Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo Rota
Avete deciso come fare per il Giro U23 e il Giro Donne?

Dovremmo uscire a breve con un bando e cercheremo di assegnare sicuramente il Giro Under 23 che è ancora in attesa di avere una gestione. E poi probabilmente parleremo anche del Giro Donne dal 2024 in poi. Il prossimo anno infatti è ancora in mano a PMG Sport/Starlight. Stiamo lavorando e secondo me anche bene. Forse è questo che magari a qualcuno dà fastidio.

EDITORIALE / Quando era Cassani la causa di tutti i mali

30.08.2022
6 min
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Circa un anno fa, l’8 agosto del 2021, si chiuse in modo goffo e inelegante la pagina di Cassani nella Federazione (in apertura Davide con il presidente Dagnoni). L’aggettivo goffo non è per caso, tantomeno quello inelegante. Per far sapere al mondo del ciclismo che Davide avesse ormai le ore contate, si scelse la Gazzetta dello Sport, facendo capire fra le righe che né agli europei di Trento e tantomeno ai mondiali di Leuven sull’ammiraglia azzurra sarebbe salito il romagnolo. Peraltro rispedito a casa prima del tempo dalle Olimpiadi di Tokyo con motivazioni tutt’altro che convincenti.

Per fortuna si mise di mezzo il Coni. Cassani guidò Colbrelli alla vittoria degli europei e rimase alla guida degli azzurri anche per i mondiali. Anche allora stigmatizzammo lo stile, tacciati di parlare sempre delle stesse cose, ma trovammo per contro che fosse comprensibile il desiderio di cambiare i nomi per dare un segno di discontinuità. Chi vince fa le sue scelte e poi semmai se ne prenderà la responsabilità.

Nonostante il clima teso, a Trento 2021 l’Italia fece incetta di vittorie: qui Colbrelli fra i pro’
Nonostante il clima teso, a Trento 2021 l’Italia fece incetta di vittorie: qui Colbrelli fra i pro’

Neanche un euro

Al cittì romagnolo venivano mosse diverse contestazioni. L’eccessiva esposizione. E soprattutto il fatto di avere le mani in pasta fra sponsor e organizzazioni. Non si muoveva nulla, dicevano, senza il suo avallo: sembrava quasi che ne avessero soggezione. Ma consapevoli dei suoi mezzi, gli proposero un incarico ancora indecifrato, che permettesse tuttavia di mantenerne gli agganci.

«Non ho mai fatto l’organizzatore – ci disse Davide alla vigilia della sfida di Leuven – con il Giro d’Italia Under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il movimento dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso».

Quello che è successo negli ultimi 12 mesi merita forse una rilettura. Non necessariamente per infierire su una dirigenza in evidente difficoltà dopo il caso delle sponsorizzazioni irlandesi, le dimissioni di Norma Gimondi e tutto quello che verosimilmente ne conseguirà, ma per sottolineare un paio di punti.

Marco Pavarini e Marco Selleri riuscirono a organizzare i mondiali di Imola 2020, supportati dalla FCi e da Cassani
Marco Pavarini e Marco Selleri riuscirono a organizzare i mondiali di Imola 2020, supportati dalla FCi e da Cassani

Assoluta trasparenza

Il primo. Quando si lavora per la Federazione Ciclistica Italiana si dovrebbe avere a cuore l’assoluta trasparenza. Ricordate questo termine? Lo leggerete spesso. Non devono esserci dubbi, non deve esserci ombra alcuna sull’etica di chi la amministra.

Nei giorni scorsi abbiamo avuto occasione di parlare con i manager di alcune squadre continental, sfiniti dall’aumento del costo dei punteggi degli atleti e del contributo da versare ai comitati regionali. Con quale faccia si va a imporre loro di stare alle regole, se per primi si cercano scorciatoie senza provare la benché minima necessità di chiarire cosa è successo? I giorni passati dalla prima denuncia sono stati lunghi come la più lenta delle agonie, ma nulla è emerso e nulla è stato chiarito. Si dovrà farlo davvero davanti a un giudice? Aspettiamo fiduciosi.

Con Cassani, per anni Suzuki è stato partner della Federazione e della maglia azzurra
Con Cassani, per anni Suzuki è stato partner della Federazione e della maglia azzurra

Gli sponsor di Cassani

Il secondo. Quando Cassani venne nominato alla guida della nazionale, si prodigò per non costare nulla o comunque il meno possibile alla Federazione. Portò gli sponsor di cui si è parlato, a cominciare da Enervit. Trovò gli alberghi dove far svolgere i ritiri. Propiziò il cambio del parco ammiraglie e poi bisognerebbe chiedere a lui cos’altro fece senza per questo arricchirsi. Non è un mistero che in quel periodo la FCI non avesse un ufficio marketing all’altezza, tuttavia le conoscenze di Cassani colmarono il gap. L’attività venne finanziata e alla fine in cassa rimase anche qualcosa.

L’arrivo del pullman è stato uno dei primi passi nella nuva gestione delle nazionali
L’arrivo del pullman è stato uno dei primi passi nella nuva gestione delle nazionali

Nazionali e WorldTour

Quando venne eletto, il presidente Dagnoni annunciò di voler cambiare passo, puntando su marketing e comunicazione e allineando la gestione della nazionale a quella di un team WorldTour. Per questo è stato ingaggiato Roberto Amadio, per questo i tecnici federali sono diventati come direttori sportivi, che proprio in questo momento stanno lavorando, come fanno da mesi, probabilmente chiedendosi cosa ci sia di vero in tutte queste storie. Il dubbio legittimo a questo punto, nell’attesa che tutto il castello venga spiegato, è che della gestione di un team si siano prese anche le cattive abitudini di un tempo. Quelle usanze tutt’altro che trasparenti con cui i manager facevano cassa e che negli anni sono state più o meno abbandonate.

Qual è il senso di quei 106 mila euro? Qual è il senso delle spiegazioni rincorse nei giorni successivi? Dov’è la trasparenza nella gestione?

Così oggi sulla Gazzetta dello Sport il ciclismo cede il passo allo scandalo
Così oggi sulla Gazzetta dello Sport il ciclismo cede il passo allo scandalo

Una pagina tutta rosa

Non si può pretendere di piacere a tutti. Solo che a suo tempo colpì la denuncia ai danni di Marco Selleri, organizzatore del Giro d’Italia U23, accusato di aver parlato male della Federazione in un’intervista in cui sostanzialmente non diceva niente. Colpirono anche alcuni passaggi improntati alla ripicca con cui furono accolti articoli come questo, scritti per capire e semmai far luce. Colpirono i modi da squadra di calcio per cui le voci sgradite sarebbero state messe ai margini. Lo stesso poi accaduto, stando al suo racconto, a Norma Gimondi.

Vivendo da sempre in Italia, siamo curiosi di vedere come finirà la storia. Davvero il Coni metterà mano alla vicenda? Lo faranno le procure? Oppure saranno le azioni legali intentate dalla FCi ad avere ragione? Non lo sappiamo. La sola certezza, in questo momento di ciclismo che conduce ai mondiali e in piena Vuelta, è che sulla Gazzetta dello Sport di oggi il ciclismo si è guadagnato una pagina intera. Lo stesso su altri giornali altrettanto importanti. Ma non si parla di corse, si parla di scandali. Presto si andrà ai mondiali e ci saranno prima le convocazioni: per allora sarà tutto spiegato? Oppure le domande verteranno su questa vicenda? Come già detto ieri, il nostro sport e la gente che quotidianamente lo onora con il suo lavoro non lo meritano affatto

EDITORIALE / Quanto costa fare ciclismo in Italia? Forse troppo

22.08.2022
4 min
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Facciamo tutti il tifo per Cassani, per non finire come il resto d’Italia in mano agli stranieri. Immaginiamo a fatica quanta pressione possa sentire su di sé Davide, in questa sorta di rincorsa a una squadra WorldTour italiana, nella quale le sue maniche sono diventate ormai lunghissime, tanti sono coloro che le tirano.

Cassani ha un progetto ambizioso per un grande team in Italia, ma non c’è nulla di facile nel dargli forma
Cassani non fa mistero di avere un progetto ambizioso, ma non c’è nulla di facile nel dargli forma

La fuga dei talenti

Nei giorni scorsi abbiamo commentato con Roberto Amadio la fuga dei talenti dall’Italia verso i development team stranieri (in apertura il team olandese, approdo per Belletta e Mattio, foto Jumbo Visma), chiedendoci se sia poi così sbagliato che un diciottenne vada in una grande squadra, dove gli prospettano una crescita già ben definita, seguendo un programma che ha al centro il suo sviluppo e non i risultati che durante lo stesso dovessero venire.

La risposta è immediata ed è no. Non è affatto sbagliato e probabilmente consiglieremmo l’esperienza anche ai nostri figli, sia in termini sportivi, sia in termini di crescita. Allo stesso modo in cui consiglieremmo loro di andare all’Università via da casa, allontanandosi dagli agi e dalle lavatrici della mamma.

La domanda successiva era tuttavia se la scelta di andare via dall’Italia sia causa di un certo impoverimento del ciclismo italiano o piuttosto si vada via per i pochi sbocchi e gli stimoli che i nostri team possono offrire in termini di carriera.

Il Team DSM mette a disposizione dei corridori che si spostano in Olanda alloggi privati da gestire in autonomia
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Tasse e attività

Lo stesso Amadio ha suggerito che le squadre italiane – juniores e under 23 – dovrebbero lavorare come quelle straniere, investendo il budget sull’attività e non su costosi ritiri e abitudini altrettanto onerose che viziano i ragazzi e li privano della giusta prospettiva. E’ vero che le società italiane spendono troppo per aspetti su cui si potrebbe tirare la cinghia, ma è altrettanto vero che sono sottoposte a tasse e gabelle che all’estero non esistono.

Quel che accade nel mondo del lavoro, per cui sarà sempre più difficile avere una squadra italiana dati i costi del dipendente, avviene anche nello sport. Non è un caso che tanti professionisti abbiano scelto da tempo di prendere la residenza in Stati dalla ridotta pressione fiscale: un vantaggio per se stessi e per le società sportive, che verseranno meno contributi o non li verseranno affatto. Prendere un italiano costa molto più caro. Ed ecco spiegato ad esempio perché alcune società di casa nostra continuino ad avere la società di gestione fuori dai nostri confini. Per le continental questo non accade ancora. Ma se si sottraggono ai budget risicati di alcune i costi vivi per ingaggiare un corridore, si capisce che fare attività all’estero diventi un lusso più che una priorità.

La scelta di residenze in paradisi fiscali rende più lieve la vita anche ai team
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Un foglio bianco

Bisognerebbe forse sedersi tutti allo stesso tavolo e ridisegnare il nostro ciclismo partendo da un foglio bianco e non da abitudini e convenienze che si sono stratificate in anni e anni di storia. Bisognerebbe alleggerire la pressione su chi fa attività, permettendogli di investire sui ragazzi e non sulle tasse che sono costretti a pagare per averli. E poi bisognerebbe che tutti tirassero nella stessa direzione. Non vediamo particolari scandali nel fatto che la Federazione, ammesso che sia tutto come è stato raccontato, si sia servita di un’agenzia irlandese per andare a caccia di sponsor, casomai questo rendesse possibile anche l’accesso a una tassazione favorevole. Se si è mossa nel rispetto di tutte le normative, ne ha pieno titolo. Troveremmo semmai insolito che si pretenda dalle società l’ottemperanza a una serie di norme piuttosto stringenti, cercando a propria volta una soluzione più comoda. La FCI ha detto che le cose non stanno così, annunciando azione legale verso chi l’avesse sostenuto.

La pressione fiscale è troppo pesante per tutti. Si cerchi allora una soluzione condivisa che agevoli il movimento e lo renda nuovamente competitivo su scala internazionale. Nell’attesa che Cassani riesca a centrare il suo obiettivo e permetta ai talenti italiani di valutare anche un’opzione domestica.