Sagan in Francia: la parola d’ordine sarà divertirsi

13.08.2021
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Prendi Sagan e arriva il mondo. Jean René Bernaudeau deve averlo pensato quando, ottenuta la firma dello slovacco, si è trovato davanti alla porta di casa anche Daniel Oss e Maciej Bodnar, il direttore sportivo Jan Valach, l’addetto stampa Gabriele Uboldi, le bici Specialized (non solo quelle di Peter, ma la dotazione per tutta la squadra) e l’abbigliamento Sportful. Neanche Amazon avrebbe garantito una consegna così. E poco importa che il Team TotalEnergies non sia una squadra WorldTour. I francesi sono stati fra i primi a mettersi sulle tracce di Peter e il loro progetto è quello che più lo ha convinto. A cominciare dalla richiesta esplicita di divertirsi.

«La cosa più importante – dice Sagan – non è lo stato attuale della squadra, ma cosa ne faremo. Bernaudeau vuole salire di livello e io mi assicurerò di aiutarlo. Anche la Bora quando arrivai era una piccola squadra…».

Bernaudeau ha colto appieno le potenzialità di Sagan e gli ha raccomandato di continuare a divertirsi (foto DirectEnergie)
Bernaudeau ha colto appieno le potenzialità di Sagan e gli ha raccomandato di continuare a divertirsi (foto DirectEnergie)

Una micro azienda

Si capisce subito dalle parole di Bernaudeau che il mondo Sagan sia qualcosa fuori dall’ordinario. I due, ha raccontato Peter, si conobbero casualmente al Tour di tre anni fa, a una festa organizzata dal team francese, con ostriche, barbecue e un buon clima.

«In questo ciclismo moderno ed estenuante, che porta i corridori all’esaurimento – racconta Bernaudeau a L’Equipe – Peter cerca di preservare se stesso. Ha creato intorno a sé una sorta di micro impresa, con persone molto vicine, che gli permette di essere felice. Anche la sua visione del ciclismo è particolare. Quando l’ho incontrato nella sua casa di Monaco, mi ha chiesto quasi intimorito, se potesse partecipare a eventi gravel. “Ma certo!”, gli ho risposto, divertirsi è la chiave per continuare. E’ un nuovo mercato legato all’ecologia, alla mobilità urbana, al piacere che io e lui stiamo cercando. Questo aprirà nuove porte. Certo che sarà autorizzato, a partire dal 2022, a variare il suo calendario e inserire nel suo programma alcuni eventi gravel e mountain bike».

Sagan ha corso le Olimpiadi di Rio 2016: non ci sono solo Van der Poel e Pidcock
Sagan ha corso le Olimpiadi di Rio 2016: non ci sono solo Van der Poel e Pidcock

Bici e divertimento

Più dei soldi, che ovunque fosse andato sarebbero stati garantiti anche dagli sponsor, l’apertura mentale di Bernaudeau ha convinto “Peterone” di aver fatto la scelta giusta.

«Quando Jean René è venuto a trovarmi a Monaco qualche mese fa – racconta – ho capito subito che saremmo andati d’accordo. E’ serio e divertente allo stesso tempo. Mi ha detto: so che i corridori hanno bisogno di divertirsi, devi saperti divertire nel ciclismo oggi, è una delle chiavi del successo. C’è molto lavoro dietro, certo, non mi spaventa. So mettermi in gioco ed essere serio quando necessario, ma questo discorso mi è piaciuto molto. Questa è la prima volta che un manager mi chiede di divertirmi…».

Oss e Sagan, un’amicizia nata dai primi tempi alla Liquigas
Oss e Sagan, un’amicizia nata dai primi tempi alla Liquigas

Pressione crescente

Sono le stesse parole tirate in ballo da Bernal e da Valverde, da Viviani e Aru, Dumoulin e Cavendish. Divertirsi, la sola chiave per sopravvivere allo stress. Lo sport professionistico non si ferma davanti a niente e schiaccia i suoi attori principali senza interrogarsi se in realtà non sarebbe più lungimirante preservarli meglio.

«Il ciclismo – spiega Peter – è cambiato molto negli ultimi anni. La pressione è diventata enorme all’interno delle squadre. E’ uno sport sempre più esigente con un approccio quasi scientifico. Ma soprattutto si è evoluto l’aspetto extra sportivo, non potete immaginare tutto quello che si deve fare oltre ad andare in bici, i piccoli dettagli da affrontare. E poi ci sono gli affari. Fare il corridore è un lavoro a tempo pieno e a volte può essere pesante. Sono stato in questo business abbastanza a lungo da sapere come affrontare tutto questo, ma per i giovani può essere molto difficile psicologicamente. Poi so da me che la la pressione continuerò a mettermela da solo. Ho sopportato molte aspettative da quando sono diventato professionista e continuare a fare al meglio il mio lavoro è parte della mia responsabilità. Raggiungere risultati, premiare l’investimento degli sponsor e la fiducia della squadra…».

Sagan si rialza dalla caduta nella 3ª tappa del Tour: sembra non aver riportato danni, ma si ritira nella 12ª per dolore a un ginocchio
Terza tappa del Tour, Ewan lo tira giù: si ritirerà nella 12ª tappa per dolore a un ginocchio

Classiche e Giri

Nonostante l’apertura per un ciclismo… alternativo, ancora tutto da pianificare, Sagan fa capire chiaramente che la priorità sarà per le corse su strada

«Le classiche, le tappe, le classifiche a punti dei grandi Giri – dice – devo occuparmi di recuperare dal mio infortunio e finire la stagione con la Bora perché ci sono i mondiali e la Parigi-Roubaix in arrivo. Poi continuerò a puntare a ciò per cui sono stato creato. Quando mi sono ritirato dal Tour, il caso ha voluto che la Bora alloggiasse nello stesso hotel della TotalEnergies e così ne ho approfittato per conoscere meglio alcuni dei futuri compagni e tutto il personale.

«Avevo già parlato con Edvald Boasson Hagen di Anthony Turgis, che avevo visto andare forte al Nord. E’ un grande corridore, saremo in grado di fare grandi cose insieme. Sarà tutto una grande scoperta. Ho iniziato in squadre italiane, poi sono passato alla Tinkoff e alla Bora. Nella TotalEnergies ci sono pochi stranieri e soprattutto una forte identità francese. Sarà bello partecipare al Tour in una squadra nazionale. Ne approfitterò anche per imparare finalmente il francese».

Turgis è una delle punte per il Nord, qui contro Van der Poel Alla Dwars Door Vlaanderen del 2019
Turgis è una delle punte per il Nord, qui contro Van der Poel Alla Dwars Door Vlaanderen del 2019

Il Team Peter

Infine un cenno per il Team Peter, la micro impresa di cui parla Bernaudeau, che permette allo slovacco di non perdere i suoi riferimenti e che ben conosciamo da anni.

«Ho iniziato la mia carriera con questi ragazzi, nel 2010 alla Liquigas – dice Peter – e il destino ci ha fatto incontrare alla Bora. Oss e Bodnar sanno come posizionarmi mentre mi avvicino agli sprint. Mi fanno stare meglio. Probabilmente anche alcuni giovani sarebbero in grado di farlo, ma la mia fiducia in Daniel e Maciej è totale e solo il tempo può costruire un rapporto del genere. Alla TotalEnergies arriverà anche Jan Valach, un direttore sportivo che conosco da quando avevo quindici anni. E’ il mio uomo di fiducia, quello con cui parlo prima e dopo ogni gara. Mi ha permesso di vincere tre titoli mondiali, ma è anche uno che mi ha aiutato molto nella mia vita privata, cose che non c’entrano niente con la bici. E’ un amico indispensabile».

Che cosa ci insegna l’annuncio del ritiro di Aru?

12.08.2021
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Forse ha atteso troppo. Oppure forse ha convissuto troppo a lungo con il malessere e si è spezzato. Il Fabio Aru che oggi ha annunciato a mezzo social l’imminente ritiro dalle corse è un uomo più sereno e solido di quello che sgomitava contro se stesso per venire a capo del disagio e un atleta più consapevole e performante di quando sia stato negli ultimi tre anni. E curiosamente ha detto basta al termine della rincorsa, come se abbia voluto dimostrare a se stesso di poter di nuovo lasciare il segno. Poi, di fronte allo stress e alla fatica che ciò comporta, abbia scelto di concentrarsi sulla famiglia.

Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono, sulla via per Tokyo
Dumoulin, prima il ritiro, poi la riflessione e il ritorno. Qui vince i campionati nazionali della crono

Prima Dumoulin

A un certo punto, durante la Vuelta dello scorso anno, anche Tom Dumoulin disse basta. Aveva corso un bel Tour, chiudendo al settimo posto nonostante il lavoro per Roglic. Non era più il corridore che nel 2017 aveva conquistato il Giro d’Italia, ma era pur sempre un riferimento per il gruppo.

«Sento come se mi fossi liberato di una zavorra di cento chili dalle spalle – disse – volevo fare il bene di molte persone. Volevo che la squadra fosse felice di me. Volevo gli sponsor fossero soddisfatti. Volevo che mia moglie e la mia famiglia fossero felici. Quindi volevo fare bene per tutti, ma a causa di questo nell’ultimo anno ho messo da parte me stesso. Ma cosa voglio io? Cosa vuole l’uomo Tom Dumoulin? Cosa voglio fare della mia vita?».

Probabilmente Tom si è fermato in tempo. E al di là che abbia fatto tutto per preparare la crono di Tokyo senza stress, è riuscito a fare ordine nei pensieri. E ora tutti sappiamo come sia finita la storia. L’olandese è tornato al Giro di Svizzera. E schiantando lo scetticismo generale ha conquistato il podio delle Olimpiadi a cronometro, per poi annunciare che tornerà ad essere un ciclista professionista.

Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana
Nel 2012 Fabio vince il Val d’Aosta (qui a Tavagnasco) poi passa all’Astana

L’analisi di Elisa

Qualche giorno fa Elisa Longo Borghini ha usato parole di una lucidità perfetta: «A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: “Ma quella è la Longo Borghini?”. Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone».

Quante volte a partire dal 2018 Aru si è sentito fare le stesse domande? E in che modo esse gli hanno scavato nell’anima, come hanno fatto le domande sempre uguali con Viviani nei mesi scorsi e prima ancora con Marco Pantani?

Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte
Tour del 2017, Aru parte da Saint Girons in maglia gialla: l’Astana è la sua casa, ma piovono offerte

La profezia di Vinokourov

Dire oggi che non fosse pronto per lasciare l’ambiente protetto dell’Astana è sin troppo facile, ma le parole di Vinokourov in quel luglio trionfale del 2017 risuonano profetiche ancora oggi.

«Sono convinto di una cosa – disse il kazako – se corrono dietro ai soldi, allora se ne vanno. Ma se Aru vuole vincere, allora deve restare con noi».

Aru ha smesso di essere Fabio al Giro d’Italia del 2018, giusto l’anno dopo, quando qualche goccia di troppo fece traboccare il vaso. Costantemente sotto pressione sin dagli under 23 perché fosse magrissimo (nessuna forzatura, lo ha raccontato lui). In perenne contrapposizione, per volere della stampa, con quella roccia di Nibali, cui apparentemente ogni cosa scivola addosso. Sotto accusa per ogni piazzamento diverso dal podio. Rallentato da guai fisici. La somma di tutto questo e di altro di cui probabilmente non ci siamo neppure accorti ha prodotto il guasto che Dumoulin ha subito individuato e affrontato.

Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene
Il Giro del 2018, il primo in UAE, non andò per niente bene

“Testone” sardo

Avrebbe potuto mollare a fine giugno, quando dopo il campionato italiano si è reso conto di non avere il livello per correre il Tour. Invece Fabio è cocciuto, lo è sempre stato. Ha onorato l’impegno con il Team Qhubeka. Ha portato avanti il piacere ritrovato nel cross. Si è rimboccato le maniche. Ha risalito la china. Ha lottato per vincere al Sibiu Cycling Tour ed è arrivato secondo per 36” nella Vuelta a Burgos vinta da Landa (foto di apertura). Ha dimostrato di non essere finito. Poi ha annunciato il ritiro.

«Ho riflettuto a lungo su quale fosse la decisone giusta da prendere, notti insonni, pianti e quant’altro. Ma se devo essere sincero ho imparato ancora di più ad amare il mezzo e lo sport che mi ha portato a raggiungere traguardi che mai avrei immaginato. E oggi nonostante sia qui a comunicarvi questa scelta importante della mia vita, posso gridare a gran voce che amo il ciclismo, amo ancor di più andare in bici, amo allenarmi e non ho nessuna intenzione di lasciarla in garage. Ma come tutti gli inizi c’è sempre una fine. Ora è giunto il momento di godermi un nuovo capitolo della mia vita, accanto alla mia famiglia».

Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso
Fabio Aru, Montodino 2020
Nel ciclocross lo scorso inverno ha ritrovato il piacere di… giocare con la bici. Il ritiro è giunto inatteso

L’ultima Vuelta

Vivrà la Vuelta come l’ultima sfida o come l’ultimo cancello da saltare prima della libertà? E il suo esempio alla fine insegnerà qualcosa a chi continua a spingere sui corridori (stampa compresa) affinché diano sempre spettacolo, battano record, si rialzino dalle cadute, infiammino folle con numeri da fenomeni e tensioni più logoranti delle stesse salite? E’ possibile che il destino fosse già scritto e che per fare strada serva una solidità psicologica superiore. Eppure segnaliamo con una punta di rammarico come quasi tutti i ragazzi del Novanta siano andati incontro allo stesso destino. Proprio loro, i primi a passare professionisti molto giovani e capaci di grandi risultati sin dai primi anni. Oggi è tutto più veloce, facciamoci una pensata, per evitare che la stessa macchina stritoli altri talenti.

Dove sono finiti quelli del 90? Solo pochi tengono duro

12.06.2021
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La paura fa… 90. Stavolta non c’entra nulla la cabala, ma un’annata che ha prodotto talenti incredibili anche se, per un motivo o l’altro, alcuni di loro si sono persi o non hanno mantenuto le aspettative trasmesse da dilettanti o dopo i primi anni di professionismo. Attenzione, in questa nidiata non mancano fenomeni assoluti però molti di loro hanno sofferto – anche più del dovuto – lo stress, fino ad arrivare al ritiro anticipato o ad una pausa di riflessione della carriera.

Sagan, classe 1990, continua a vincere ed è forse l’eccezione fra i corridori della sua età
Sagan, classe 1990, continua a vincere ed è l’eccezione fra i corridori della sua età

Capo Sagan

La stella polare di questa annata, in cui tengono banco Mikel Landa e Nairo Quintana, è senza dubbio Peter Sagan – 31 anni fatti a gennaio, passato nel 2010 in Liquigas, finora 117 vittorie totali di cui 58 nelle prime quattro stagioni da professionista – il quale ha abituato tutti sin troppo bene, al punto che qualche detrattore lo dipinge sul viale del tramonto quando, palmares alla mano, non gli si può contestare nulla. E tanto ha ancora da dare, pur dovendo fare i conti sia con la pressione del risultato, sia con la nouvelle vague dei giovani campioni affamati e pigliatutto.

Casi diversi

Della stessa classe di nascita dello slovacco abbiamo altri esempi di ragazzi che, dopo le speranze iniziali, avrebbero potuto dominare per molto tempo e che adesso sembrano essere invecchiati precocemente o appaiono incompiuti.

Naturalmente ci sono tante varianti – infortuni, avversari più forti – che condizionano una carriera e per qualcuno di essi hanno inciso tanto, troppo. Moreno Moser, Aru (in apertura contro Contador al Giro 2015), Cattaneo, Diego Rosa, Dumoulin, Pinot, Bardet e Phinney, per citare i casi più eclatanti, hanno alternato grandi successi a battaglie anche contro lo spettro di stati melanconici e umorali vicini alla depressione. E questi aspetti ti svuotano più di una tappa di trecento chilometri con settemila metri di dislivello.

Moreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensione
Moreno Moser è del 90 e ha vissuto un primo anno da pro’ stellare, poi ha avuto cali di tensione

Il punto di Amadori

Nel 1990 Marino Amadori – ct della Nazionale U23 dal 2009 – ha terminato la sua buonissima carriera da pro’ e a lui, che di giovani se ne intende, abbiamo provato a chiedere di analizzare questa particolare situazione proprio mentre sta seguendo dal vivo il Giro d’Italia U23 dove sta dominando il diciottenne Ayuso, il nuovo ennesimo fenomeno del panorama internazionale.

Da dove possiamo partire, da un confronto fra le varie epoche? 

Non è facile trovare i motivi o dire il perché. Ai miei tempi non c’era tutta l’esasperazione di adesso nel passaggio da dilettante a professionista. E che c’è anche tra gli juniores e le categorie vicine. Però va detto che non c’erano nemmeno tutta la attenzione e la cura che vengono riservate ai ragazzi attuali.

Battaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buio
Battaglin ha lanciato lampi di classe e alternato momenti di buio
Spiegaci meglio.

Forse i ragazzi nati in quel periodo, fra il 1989 e il 1991, erano meno preparati nei minimi dettagli, sia fisici che mentali, rispetto a quelli di adesso al passaggio tra i pro’. Sono passati 10-11 anni, quindi non un’eternità, ma la differenza c’è e quelli di adesso soffrono meno il salto.

C’è un rovescio della medaglia per te?

Certo, e non è da sottovalutare. La seconda riflessione che faccio infatti è che così facendo si rischia di bruciare i ragazzi più di quelli del ’90, visto che l’abbiamo presa ad esempio. Adesso corridori, direttori sportivi, team manager, genitori, vogliono tutto e subito. Non c’è più pazienza, ma invece serve eccome, non bisogna avere fretta. Chiaramente non è così per tutti, però bisogna prestare attenzione. Inoltre molti ragazzi hanno attorno tantissime figure che da una parte tendono ad innalzare la loro qualità di atleta e dall’altra tendono a creare stress e pressioni.

Dumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calare
Dumoulin, classe 90, vincitore del Giro 2017, poi un continuo calare
Una volta un corridore a trent’anni suonati poteva essere considerato a fine corsa, ma lo sport dell’ultimo periodo ci propone talenti precoci e campioni datati. Nel ciclismo come funziona?

Intanto dico che per me un altro come Valverde (quarantunenne alla ventesima stagione da professionista ad altissimi livelli e pronto a rinnovare anche nel 2022, ndr) non lo troveremo più, mentre al giovane fuoriclasse non possiamo chiedere sempre il massimo perché vivono un insieme di situazioni non semplici. Poi dobbiamo anche considerare che talvolta qualcuno di loro si trova a convivere, ancora giovane, con un appagamento economico che può togliergli qualche stimolo. E questo può diventare un altro problema difficile da risolvere.

Secondo te Marino c’è una soluzione a tutto ciò?

La ricetta matematica non esiste, ci vuole molto buon senso da parte di chi gestisce questi ragazzi, ma non è semplice.

Giacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivo
Giacomo Nizzolo, classe 1989, è esploso negli ultimi due anni perché vari infortuni lo hanno… protetto da un logorio eccessivo
Ultima domanda: della lunga lista dei ragazzi del ’90, tutti di grande talento, da chi ti aspettavi qualcosa in più?

Li conosco tutti bene, sono diventato cittì quando loro erano dilettanti e ne ho convocati parecchi. Se posso allargo il discorso anche a qualche fuori età. Innanzitutto mi sento di fare i complimenti a Caruso, che è un po’ più vecchio ma che considero quasi di quella generazione, per il grande Giro d’Italia che ha fatto. E poi sono felice per Cattaneo che dopo anni di purgatorio sta facendo bene nella Deceuninck. Faccio però altri due nomi: Moreno Moser ed Enrico Battaglin, anche se lui è un ’89. Per me potevano fare tanto di più, ma è andata diversamente. Capita, questo è il ciclismo.

Trek-Segafredo decimata, ma Conci c’è

20.10.2020
3 min
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La Trek-Segafredo di Vincenzo Nibali non naviga in buone acque. La squadra dello Squalo ha perso tre gregari e tutti molto importanti per la salita. Al suo fianco c’è però ancora Nicola Conci. Il trentino farà di tutto per dare supporto al suo capitano.

Nicola, come stai?

Non è un Giro facile. Ci siamo arrivati diversamente dal solito, con poche gare a tappe. E tutto è così compresso. Inoltre il meteo l’ha reso più duro, soprattutto per chi come me soffre particolarmente il freddo. Almeno sembra che questa settimana dovrebbe essere migliore.

Ciccone, ritirato prima della crono di Valdobbiadene
Ciccone, ritirato prima della crono di Valdobbiadene
Avete perso Giulio Ciccone e Gianluca Brambilla, uomini importanti per la salita. Come cambia la vostra corsa?

Sicuramente è difficile. Oltre a loro manca anche Pieter Weening, anche lui scalatore. E tutti eravamo qui per Vincenzo. Cicco stava sempre peggio e Brambi ha provato ben otto giorni a tenere duro dopo la botta rimediata al ginocchio. Io dovrò stare vicino a Nibali. Dovremmo lottare con squadre fortissime come la Sunweb. Ci aspetta un settimana bella tosta.

Senza di loro sarai tu a fare l’ultimo (prezioso) uomo per la salita?

E’ possibile. Ma dipende anche dalle giornate, da come stiamo. Dai nostri alti e bassi. Saranno le gambe a decidere.

E’ il tuo primo Giro al fianco di Nibali: cosa ti sembra?

Vincenzo è un “tranquillone”, questa sua calma mi ha colpito. E ne ha di pressioni. In questo Giro non sempre le cose sono andate bene. Bauke Mollema per esempio l’anno scorso quando era in giornata no era molto nervoso, si alterava. Vincenzo no.

La tappa di Piancavallo come l’avete digerita?

Forse non sembra dalla tv, ma siamo andati davvero forte. Si sono registrati valori altissimi. Noi quattro, io, Bernard, Antonio (Nibali, ndr) e Mosca siamo rimasti con Vincenzo fino all’ultima salita e già è qualcosa. Poi a quel punto è iniziata la lotta degli uomini di classifica e ci siamo staccati. Essendo così pochi, in corsa ci parliamo spesso. Ci diciamo le sensazioni. In base a queste decidiamo chi va dietro all’ammiraglia a prendere o a portare qualcosa, chi va a parlare…

Gianluca Brambilla ha lasciato il Giro nella frazione di Piancavallo
Brambilla ha abbandonato verso Piancavallo
E chi ci va? Quello che sta meglio o quello che sta male?

Quello che sta peggio. A quel punto si avvicina a Vincenzo e gli dice: io sto per staccarmi. Ti serve qualcosa? Ti faccio l’ultima tirata?

Ti aspettavi di più da te stesso?

Prima del Giro ho avuto belle sensazioni e ho fatto qualche buon risultato. Credevo di stare un po’ meglio. Ho davvero patito molto il freddo e non mi sono espresso come volevo. L’anno scorso nella terza settimana stavo bene. Spero di ripetermi. Io comunque darò il massimo.

Contro Sunweb e Deceuninck-Quick Step, voi siete in quattro più Nibali. Vi demoralizzate o scatta l’orgoglio del “Davide contro Golia” e le energie aumentano? 

Non ci demoralizziamo. Noi abbiamo Nibali, ragazzi. Oggi in gruppo non c’è più rispetto per nessuno. Tutti ti “limano” senza far differenza se c’è Conci o un campione. Con Vincenzo invece il rispetto ancora c’è. Certo ci dispiace essere in pochi, ma il Giro non è ancora finito.

Si passerà sulle strade di casa tua. Cambierà qualcosa?

Domani sul Bondone ci saranno molti miei tifosi. Tra l’altro quello che affrontiamo è l’unico versante che conosco. L’anno scorso sul Manghen mi sono sentito a casa e mi sono reso conto di aver dato di più.

Martinelli: «L’Astana vivrà alla giornata»

05.10.2020
2 min
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Sembra tutto fin troppo facile. O forse fin troppo difficile. L’Astana di Jakob Fulgsang ha perso i suoi due scudieri più importanti per la salita e non solo. Nella prima tappa, infatti, Miguel Angel Lopez si è schiantato in discesa durante la cronometro. Nella seconda, Aleskander Vlasov ha abbandonato il gruppo dopo pochi chilometri per problemi allo stomaco.

Al tempo stesso però, già dopo il primo arrivo sull’Etna, questo Giro sembra un testa a testa tra Vincenzo Nibali e proprio Jakob Fulgsang.

Rimboccarsi le maniche

«Nei grandi Giri succede anche di perdere due corridori in poche ore di gara. No, non li abbiamo rimpiazzati quei due per la salita. Due corridori così sono insostituibili. Non ho uomini con quelle qualità e quelle caratteristiche», spiega subito col suo modo schietto Giuseppe Martinelli. Il direttore sportivo dei turchesi, capisce subito dove vogliamo andare a parare e ci spiega come dovrà correrà l’Astana.

«Avete visto? Anche oggi quando la Mitchelton-Scott è andata a tirare noi non abbiamo collaborato. Sarà così ancora per molto tempo. Saremo costretti a sfruttare il lavoro delle altre squadre. Noi siamo in difficoltà. Fuglsang se la dovrà cavare da solo in salita. Servirà tutta la sua esperienza. Contestualmente gli altri ragazzi cercheranno di tirare fuori il meglio di quel che hanno».

Vlasov
Vlasov nella crono di Monreale. Il russo si è ritirato nella seconda tappa.
Vlasov si è ritirato nella seconda tappa.

Occhio alle sorprese

Martinelli di situazioni come queste ne ha vissute tante in carriera, ribaltando spesso situazioni di svantaggio a suo favore. Saprà cavarsela anche stavolta? Di certo il tecnico bresciano non nasconde la sua preoccupazione.

«Testa a testa Jakob-Vincenzo? Magari! Ma è presto per dirlo. Il Giro è lungo e credo sarà il Giro delle sorprese. Il fatto che Thomas e Yates oggi siano saltati renderà ancora più incontrollabile la corsa. Ho paura di una fuga bidone, una di quelle con dentro 20 corridori in qualche tappa intermedia complicata da controllare. Se se ne va via una fuga così chi chiude? Giusto la Trek-Segafredo. Per noi, strategicamente cambia tutto. Dovremo correre alla giornata. Per fortuna abbiamo ancora in nostro leader».

L’inesperienza di Vlasov

Per alcuni il russo poteva essere più di un gregario. Poteva essere una seconda punta. Una soluzione tattica in più per “Martino” e la sua Astana. Ma i problemi di stomaco che lo affliggevano già dal sabato sera e che non gli hanno consentito di mangiare sono stati più forti.

«Vlasov è un ragazzo giovane», conclude Martinelli.« Ha vinto il Giro U23, stava andando forte e mi aspettavo grandi così. Ieri, quando si è ritirato avrei fatto di tutto per portarlo al traguardo, ma proprio non ce la faceva. E’ giovane e forse neanche lui si è reso conto quanto fosse importante la sua presenza. Bisognava finire la tappa e poi vedere cosa succedeva il giorno dopo».

Formolo

Formolo più forte della caduta (e dell’anestesia)

23.09.2020
4 min
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Davide Formolo è stato uno dei protagonisti della ripresa dopo il lockdown: secondo alla Strade Bianche, primo in una tappa del Delfinato e spesso davanti nelle altre corse cui ha preso parte. Al Tour de France stava svolgendo egregiamente il suo ruolo di gregario di lusso per Tadej Pogacar quando nella quinta tappa è caduto, si è rotto la clavicola ed è stato costretto al ritiro.

Come ha cambiato la sua stagione questo incidente? Come ha vissuto quei giorni dopo la caduta? Ce lo dice direttamente “Roccia”.

Davide, raccontaci come è andata dopo la caduta al Tour…

Sono stato fermo completamente solo quattro giorni. Poi sono subito risalito in sella però non avevo considerato una cosa: l’anestesia, dopo l’operazione. Mi ha davvero “ammazzato”. Pensate che il primo allenamento l’ho fatto sui rulli e quando ho finito sono svenuto. Mi sentivo debole nelle uscite, ma non immaginavo di stare così.

Formolo
Giro del Delfinato 2020, Formolo a braccia alzate sul traguardo di S. Martin-de-Belleville
Formolo a braccia alzate al Delfinato
Una tenacia incredibile…

Eppure l’anno scorso alla Vuelta fu peggio. Mi si staccò il gluteo dall’osso. Pedalare era un disastro. E sulle buche poi, un dolore bestiale. Quando arrivai ero sfinito. Quest’anno al Tour devo dire che è stata una brutta sensazione, non mi ero mai rotto un osso, però alla fine la tappa l’ho conclusa “bene”. Guidavo con una mano sola, la destra. In cuor mio pensavo che la spalla fosse solo uscita. Mi dicevo: stasera il massaggiatore mi farà vedere le stelle, ma me la rimetterà a posto. Invece appena sono arrivato al bus tutti sono stati pessimisti.

Ecco perché ti chiamano Roccia! 

Questo mondiale mi… chiamava, ci avevo messo l’anima per esserci. Poi però le cose non sono andate come immaginavo e a quel punto ho dovuto rinunciare, però volevo mantenere almeno le classiche delle Ardenne, che erano nel mio programma. Ma alla fine ho dovuto dire no anche a quelle.

Quando Davide Cassani ha eliminato i nomi dalla prima lista di 13 uomini, ha dichiarato di aver apprezzato la sincerità di chi si è chiamato fuori, il pensiero è andato a te…

Olimpiadi e mondiali sono gare che ho sempre sognato. Anche l’anno scorso dopo la Vuelta, dove ero caduto e mi sono ritirato, ho fatto di tutto per esserci. Sono andato a fare le classiche italiane, Toscana, Sabatini, Matteotti…. All’inizio non andavo, ho sofferto, poi però stavo bene e sinceramente fui amareggiato quando Davide non mi convocò.

E glielo hai detto?

Sì, con Cassani ho un bel rapporto. Sono una ragazzo sincero. Lui lo ha apprezzato e infatti quest’anno mi ha dato fiducia fino alla fine. Poi sono stato io dopo le prime uscite a dirgli che non ero in grado di correre. I dottori mi dicevano che avrei perso 4-5 settimane, io dicevo che al massimo ne avrei persa una, invece…

Oggi quasi nessuno si allena con le corse, ma tutti puntano. E’ il metodo Contador…

Come hai fatto invece ad essere subito al top dopo il lockdown?

Con il mio preparatore, Rubens Bertogliati, avevamo deciso di partire forte. Poi avrei “staccato” quasi subito, cioè avrei fatto due settimane tranquille dopo il Delfinato. Sarei andato al Tour per essere d’aiuto a Pogacar, soprattutto nella terza settimana. L’idea era di crescere durante la Grande Boucle ed essere in forma per il finale, così da aiutare Tadej e uscire bene per il mondiale e le classiche delle Ardenne.

E come hai lavorato per essere vincente al rientro?

Ho sempre fatto le mie best performance dopo l’altura e i grandi blocchi di lavoro. A me piace allenarmi. Quando va così riesco a tirare la corda il giusto, a calibrare bene le fasi intense e quelle di recupero, quando sei in corsa invece non sei tu che decidi l’andatura. E’ un po’ il ciclismo moderno. E’ il metodo Contador.

Cosa intendi?

Che oggi raramente qualcuno va alle corse per allenarsi. Squadre, atleti, sponsor nessuno lo vuole. Contador magari correva meno, ma mirava ad ogni appuntamento. Quest’inverno al Teide c’erano Roglic e la sua squadra, ebbene da lì andavano direttamente alla Parigi-Nizza senza intermezzi. A me per esempio hanno più volte proposto di fare la Challenge di Majorca (ad inizio febbraio, ndr) ma se vado lì devo fare dei lavori specifici ed intensi già a gennaio, lavori che poi servono a poco per il resto della stagione. Mi sono trovato bene invece iniziando al UAE Tour.

La caduta al Tour non ha quindi cambiato il tuo programma: niente Giro ma classiche delle Ardenne…

Sì, ci tenevo troppo. Mi piacevano troppo. Ma poi ero indietro e sono saltate anche quelle. Ho lasciato però un occhio alla Vuelta. In Spagna vorrei fare bene.

Un calendario serratissimo…

Esatto. Se tutto fosse andato secondo programma da dopo il lockdown avrei fatto due allenamenti, ma due di numero! Uno dopo il Delfinato e uno dopo il mondiale: poi o viaggi o corse.

Formolo
Tadej Pogacar e Davide Formolo scherzano con Vasile Morari, meccanico della UAE
Formolo
Formolo scherza con Vasile Morari, meccanico UAE
Prima hai parlato di aiutare Pogacar, ma quindi questa vittoria non è stata del tutto una sorpresa come si dice, la UAE era partita con l’idea di far classifica con lo sloveno?

Beh, dopo quella sua Vuelta dello scorso anno… Lì Pogacar aveva vinto le tre tappe più dure e aveva fatto terzo nella generale. Mi è dispiaciuto non poterlo aiutare, anche perché Tadej abita due piani sotto di me e usciamo sempre insieme. Nel ritiro di Livigno questa estate siamo andati insieme ripartendo quasi da zero, stando sempre fianco a fianco in bici e fuori.

Per te quindi non è stata una sorpresa?

No. Ricordiamoci che alla Vuelta 2019 nella cronosquadre iniziale erano caduti tutti, perdendo oltre un minuto. Pogacar è un ragazzo davvero unico. Lo svegli a mezzanotte e gli dici di fare un test all’improvviso si alza e ti fa 20′ a 7 watt per chilo!