Moscon alla Red Bull: per portare esperienza e mentalità

11.01.2025
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A 30 anni, che saranno 31 il prossimo aprile, Gianni Moscon approda alla Red Bull-BORA-hansgrohe. L’arrivo del ragazzone trentino nel team tedesco è un qualcosa che incuriosisce, dopo nove anni trascorsi tra i professionisti la sua è diventata una figura di esperienza in gruppo. Lo hanno capito i tecnici della Red Bull-BORA-hansgrohe che hanno deciso di portarlo con loro in questa stagione (in apertura foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries). Insieme a Moscon e al suo occhio esperto entriamo nel mondo di questo team, che dopo sei mesi di collaudo dello scorso anno, è pronto a partire per la sua prima stagione corsa interamente nella categoria WorldTour. 

«Nel 2024 – spiega Moscon con la sua voce ferma e tranquilla – sono tornato ad avere le sensazioni che cercavo da un po’ di tempo. Ho fatto delle belle gare e la stagione è stata positiva. Tanto che è arrivata la chiamata della Red Bull-BORA-hansgrohe. Mi hanno contattato alla fine dello scorso Tour de France. Mi hanno presentato il progetto, dicendomi che cercavano una figura come la mia: di esperienza».

Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France
Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France

Riconoscere il valore

Quando una squadra come la Red Bull-BORA-hansgrohe viene a cercarti è difficile stare a pensare, certe offerte vanno colte al volo. Soprattutto se il progetto risulta ambizioso e stimolante. 

«Effettivamente non mi sono messo a riflettere molto – continua a raccontare Moscon – ho accettato praticamente subito la proposta del team. Il mio ruolo sarà, innanzitutto, quello di portare la giusta esperienza in squadra per supportare i capitani nelle grandi corse a tappe. Questo nella prima parte di stagione. Poi, dalla seconda metà dell’anno in avanti, potrei avere degli spazi per cercare dei risultati personali. Ma l’obiettivo principale sarà portare il giusto contributo alla causa, il resto si vedrà. Anche perché sono uno tra i più grandi in rosa».

Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Di esperienza in nove anni ne hai accumulata parecchia…

Sono stato in grandi squadre e per tanti anni nel mondo Sky e poi Ineos. Nel 2024 ho corso anche con la Soudal Quick-Step. Ma se devo guardarmi indietro e pensare a quale sia stata l’esperienza più grande dico Sky. Lì ho capito cosa vuol dire lavorare per una squadra che ha ambizioni di classifica. 

Cosa senti di poter dare di tuo alla squadra?

Proprio questo. Riuscire a dare il giusto supporto alle ambizioni dei capitani, come Roglic, Hindley e Martinez. Qui ci sono tanti giovani forti, mancava l’esperienza e io sento di essere nel posto giusto. Io  sento di aver accumulato tanto in questi anni, anche per questioni anagrafiche. 

Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Un ruolo importante…

Sì. So cosa posso dare e metterò tutto me stesso a disposizione dei miei compagni. I giovani mantengono delle ambizioni personali, com’è giusto che sia. Toccherà a me coordinare le varie energie e gestire la squadra. 

Hai parlato del mondo Sky, vedi qualche somiglianza in questo progetto?

Qualcuna sì. Vedo la stessa voglia di raggiungere il massimo, sia a livello di energie investite che di denaro. Tutto è volto al continuo miglioramento. Si respira anche la consapevolezza di non essere mai arrivati, ma che bisogna sempre crescere e perfezionarsi. Da questo punto di vista penso siano due squadre che non si fermano mai. Ogni corridore è chiamato a dare il meglio e tutti sono consapevoli di quale sia l’obiettivo. C’è una leggera pressione, ma tutti danno il massimo. 

Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
E’ una caratteristica rara?

Quando si cambia squadra o azienda, se si è nel mondo del lavoro, non si trova sempre lo stesso modo di fare. Però si riconoscono le realtà che vogliono raggiungere il massimo. 

Questa “direzione” da seguire pensi ti sia mancata negli ultimi tre anni, da quando hai lasciato la Ineos?

Personalmente ho sempre avuto in testa quale dovesse essere il mio cammino, anche se quando manca il contesto è difficile avere il supporto. La Soudal Quick-Step è un grande team e ai corridori non manca nulla. Qui si vede che c’è tanto più personale rispetto alle altre realtà. Una cosa che deriva sicuramente dal budget superiore, ma anche dalle linee guida del team. Ora sento di avere un ruolo specifico, e di non dover essere contemporaneamente tre cose insieme. 

Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Pensi che questo equilibrio possa darti una mano anche a livello personale? Per tornare ai risultati che hai ottenuto quando eri in Ineos?

No. Per quanto riguarda me stesso nel 2024 ho fatto registrare valori pari a quelli del 2021. Solo che quattro anni fa bastavano 5,2 watt per chilo e si faceva la differenza. Ora con gli stessi valori non rimani nei primi. Per quanto fatto la scorsa stagione, se si parla di numeri, non ho nulla da invidiare alla mia ultima stagione in Ineos. 

Credi sia possibile tornare a quel tipo di risultati?

Se si parla di determinate gare magari ce la si può cavare con un po’ di visione di gara e di classe. Ad esempio alcune corse del Nord, però se si parla di Fiandre e Roubaix è difficile. Anche sui muri si parla di watt per chilo, e se non si hanno le gambe si può fare poco. In alcune corse minori ce la si può ancora giocare. La Roubaix, che è sempre stata la gara più imprevedibile, negli ultimi due o tre anni ha avuto poche storie. Se una squadra spacca il gruppo a 100 chilometri dall’arrivo o sei tra i primi oppure sei tagliato fuori. 

Tornando al presente sai già che calendario farai?

Partirò con la Valenciana, poi sarò in altura a preparare le prime Classiche di stagione. Farò la Strade Bianche, la Tirreno-Adriatico e la Sanremo. Da lì, insieme al team, tireremo una riga e capiremo se sarò più utile al Giro oppure al Tour de France.

Pellizzari e il Natale pensando a Red Bull: «Sono nel posto giusto»

25.12.2024
5 min
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L’umore di Giulio Pellizzari è frizzante, come se fosse una bottiglia di spumante alla quale non vede l’ora di togliere il tappo perché sprigioni la forza delle sue bollicine. Il marchigiano è di ritorno dal primo ritiro con la Red Bull-Bora Hansgrohe con gli occhi che ancora luccicano (in apertura è con il suo mentore Massimiliano Gentili). Ma l’emozione si è quasi diradata lasciando spazio a pensieri profondi di un ragazzo pronto a diventare grande

«Ho un pochino di raffreddore – dice mentre si trova in aeroporto pronto per partire in direzione Venezia, da lì poi tornerà a Camerino in macchina – questi giorni non sono stati bellissimi a livello di meteo. Ha piovuto e ha fatto anche freddo, praticamente i pantaloncini corti non li abbiamo mai messi. Siamo stati dieci giorni a Palma de Mallorca ad allenarci e fare gruppo. E’ stato fantastico, mi sono divertito parecchio e ho preso le misure con la nuova realtà. E’ tutto ampliato, quello che prima era per uno ora è per dieci».

Nei dieci giorni a Palma de Maiorca la Red Bull-Bora non ha trovato un clima sempre favorevole (foto Instagram)
Nei dieci giorni a Palma de Maiorca la Red Bull-Bora non ha trovato un clima sempre favorevole (foto Instagram)

Come se fosse a casa

Ormai l’emozione del momento si è sciolta, Pellizzari ha preso confidenza con i nuovi compagni e la sua simpatia ha abbattuto ogni barriera. In squadra è uno dei più giovani, gli altri lo vedono e gli vogliono bene. Anche perché il ragazzo cresce a grandi passi. 

«Mi sono allenato con la gente che ho sempre visto in televisione – racconta – visto che ero nel gruppo degli scalatori. C’erano i vari Roglic, Hindley, Martinez e Vlasov. Ridiamo e scherziamo comunque, sono persone normali. Rispetto alla Bardiani c’è un altro modo di divertirsi, più adulto. Qui in Red Bull i corridori hanno tutti figli, da Reverberi eravamo un gruppo di diciottenni sempre con la risata in bocca. Anche questo fa parte della crescita».

Con questo post Instagram la Red Bull ha annunciato la presenza di Roglic al Giro d’Italia 2025 (foto Instagram)
Con questo post Instagram la Red Bull ha annunciato la presenza di Roglic al Giro d’Italia 2025 (foto Instagram)
Che giorni sono stati?

Tranquilli. Il gruppo degli scalatori inizia a correre abbastanza tardi. Io sarò il primo a iniziare a fine gennaio con tre gare proprio a Mallorca. Sinceramente non vedo l’ora di correre anche se saremo un gruppo misto, metà dal WT e metà dal devo team. Il diesse sarà Cesare Benedetti, che conosco molto bene, quindi sarà un inizio un po’ più morbido. 

Sei il più giovane del gruppo, cosa ti hanno detto i tuoi compagni?

Roglic mi ha parlato un po’ quando ha saputo che sarei stato tra le riserve del Giro d’Italia. Mi ha detto di non preoccuparmi che ho una carriera lunga davanti e di fare le cose con calma. Lui alla mia età non era ancora salito in bici. 

Prime pedalate e primi test per i corridori, ma senza fretta (foto Instagram)
Prime pedalate e primi test per i corridori, ma senza fretta (foto Instagram)
Ti dispiace essere riserva al Giro?

Da un lato certamente mi spiace, ma è comunque una scelta della squadra e la rispetto. Ognuno ha il suo programma. Ho parlato con Gasparotto e mi ha detto che fare il Giro con Roglic sarebbe un rischio perché intorno alla squadra si crea tanta attenzione e molta pressione. Per un ragazzo di vent’anni può non essere facile fare il gregario in una situazione del genere. Di contro sono stato inserito nella squadra della Vuelta. 

Sei felice di questa occasione?

Sì, perché proverò qualcosa di diverso. Inoltre la squadra ha scelto questo Grande Giro per due motivi: il primo per avere una minore pressione. Il secondo, invece, è perché potrei avere più libertà. Correre con Roglic vuol dire lavorare al 100 per cento per lui. E’ una garanzia: dove va, fa bene e vince. 

Pellizzari sarà uno dei più giovani del team, prima di lui c’è il solo Herzog
Pellizzari sarà uno dei più giovani del team, prima di lui c’è il solo Herzog
Poi hai anche nove mesi per ambientarti e capire.

Farò un calendario molto interessante e avremo occasione di capire come reagirò ai vari impegni. Per settembre conto di aver imparato come lavorare con la squadra e di apprendere ogni dettaglio. 

Che programma hai?

Dopo Mallorca andrò al UAE Tour e poi in altura a marzo per preparare il Catalunya che correrò con Roglic. Sarò ancora in Spagna ai Paesi Baschi e andrò anche al Romandia. Mi fermerò ancora per un altro ritiro e farò il Giro di Svizzera, Burgos e Vuelta. E’ un calendario bellissimo. 

Pellizzari sarà tra le riserve del Giro, per lui la squadra ha pensato potesse essere più utile la Vuelta
Pellizzari sarà tra le riserve del Giro, per lui la squadra ha pensato potesse essere più utile la Vuelta
Sei carico?

Non vedo l’ora di mettere la divisa per la prima volta, dopo tre anni cambiare è bello e stimolante. Qualche giorno fa mi hanno spedito il pacco da 25 chili a casa pieno di vestiti. L’ho aperto subito, un regalo di Natale bellissimo. 

Come ti senti tra i grandi?

Più che bene, sento di poterci stare. Inizialmente mi dispiaceva l’idea di correre poco in Italia, sarà per il prossimo anno. Magari farò le gare di fine stagione, ma non ne sono sicuro ancora. 

Altri corridori, come Piganzoli, sono rimasti in una professional un altro anno per correre il Giro da protagonisti e una volta fatto questo passo saranno pronti per il WorldTour. Tu ti senti già pronto?

Penso che da grande voglio essere un corridore vincente. Per fare ciò, questo era il passo giusto da fare. Provare a essere un atleta vincente e conquistare un Grande Giro vuol dire anche fare un passo come questo. Sono sicuro che se andrò forte avrò le mie occasioni e penso di essere nella squadra giusta. Qui mi possono dare il sostegno giusto, se puntano su un corridore lo fanno al 100 per cento.

EDITORIALE / Ubi maior, minor cessat

16.12.2024
5 min
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Ubi maior, minor cessat. Quando l’altro giorno Matxin ha annunciato la presenza di Ayuso al Giro d’Italia e poi ha aggiunto che potrebbe esserci anche Pogacar, il giovane spagnolo non ha fatto salti di gioia. Ovviamente ne avevano già parlato, ma sentirsi chiedere dalla stampa se per lui cambierebbe qualcosa, ha costretto Ayuso ad aprire gli occhi e fare l’inchino. Se ci sarà Pogacar, si correrà in modo completamente diverso, perché sarà lui il capitano.

Poche ore dopo, dal ritiro mallorquino della Red Bull-Bora è arrivata la conferma che anche Roglic correrà il Giro d’Italia, già conquistato nel 2023 (in apertura, immagine Red Bull-Bora). Lo sloveno, che è ironico e realista, ha dichiarato che farà i suoi programmi sulla base di quelli di Pogacar, andando dove non sarà Tadej. Era una battuta? Se c’è Pogacar, non si vince: ubi maior, minor cessat. Anche per questo nei giorni scorsi anche O’Connor ha spiegato il motivo per cui al Tour bisogna comunque andare. E l’apice del ciclismo, si partecipa pur consapevoli di essere sconfitti.

Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo
Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo

Pellizzari e il Giro

Il ciclismo non è una scienza esatta, lo ha spiegato bene Matej Mohoric, ma si sta lavorando perché lo diventi. Pogacar ha ringraziato perché nel 2024 gli è andato tutto liscio. Ricorda bene infatti la caduta della Liegi 2023 che gli costò la Doyenne e la preparazione per il Tour. E magari è consapevole che un Vingegaard al meglio gli avrebbe reso la vita più dura. Tuttavia il suo strapotere spingerà sempre di più gli avversari a concentrarsi sugli obiettivi raggiungibili.

Per questo motivo, la Red Bull-Bora-Hansgrohe del Giro vedrà accanto a Roglic gregari come Hindley, Martinez, Aleotti, Sobrero e Moscon. Manca Tratnik, che verosimilmente sarà il pilastro per la squadra del Tour. E manca anche Pellizzari, stella nascente del ciclismo italiano, che per ora è riserva e dovrà semmai guadagnarsi il posto a suon di risultati. Sarebbe un peccato non vederlo nuovamente al via, ma anche nel suo caso, la regola è ancora la stessa. Ubi maior, minor cessat. Piace la scelta di Piganzoli di insistere ancora un anno con la Polti-Kometa. Si metterà nuovamente alla prova nel Giro, prima di diventare un numero (pur importante) in squadre più grandi.

Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro
Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro

Chiude il CT Friuli

E’ notizia di poche settimane fa che il Cycling Team Friuli chiuderà la sua storia di successi fra gli under 23, diventando a tutti gli effetti il devo team della Bahrain Victorious. Roberto Bressan le ha provate tutte per difendere l’identità della sua squadra, ma alla fine è stata fatta la scelta più logica. Andrea Fusaz era da tempo uno snodo decisivo fra i preparatori del team WorldTour e dispiace semmai che Fabio Baronti, cresciuto alla sua scuola, non abbia trovato posto e sia passato alla Jayco-AlUla.

Proprio la squadra australiana nel frattempo ha assorbito la Hagens Berman Jayco di Axel Merckx, protagonista di una storia di talenti lanciati nel WorldTour. Mentre la Lotto-Kern-Haus è entrata nell’orbita della Ineos Grenadiers. Anche in questo caso, neanche a dirlo: ubi maior, minor cessat.

I team WorldTour sono gli unici a possedere le risorse per mandare avanti uno sport diventato costosissimo, con buona pace degli altri che per sopravvivere hanno la doppia opzione di restare piccolini finché ce la fanno o farsi assorbire. L’esempio della BePink-Bongioanni di Walter Zini è perfetto per illustrarlo. Il team manager milanese aveva adocchiato uno sponsor polacco che gli avrebbe permesso di fare il salto tra le professional, ma alla fine l’azienda ha preferito diventare il terzo nome della Canyon-Sram. Essere il terzo nome di una grande squadra è stato ritenuto più redditizio dell’essere il primo di un team più piccolo. Ubi maior, minor cessat, tanto per cambiare.

Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli
Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli

L’esempio di Piemonte e Friuli

In questo quadro, cosa dovrebbe fare il presidente della Federazione ciclistica italiana? Può a nostro avviso concentrarsi sulla base, puntando a riportare in alto i numeri dei tesseramenti che da troppi anni a questa parte vivono una picchiata apparentemente incontrollata. Va bene preoccuparsi per le società U23 che spariscono, ma varrebbe forse la pena lavorare prima su quelle di base che intercettano i talenti e gli danno una forma.

Vi siete mai chiesti come mai il Piemonte e il Friuli, regioni che pure non hanno grandissime squadre, sfornano o hanno sfornato atleti di primissima fascia? Ganna, Longo Borghini, Sobrero, Barale, Covi, Balsamo, Gasparrini, Mosca, De Marchi, Viezzi, Cimolai, Buratti, Olivo, Fabbro, Milan, Cecchini, Skerl. Sono bandiere nate negli anni da società giovanili che lavorano bene e portano ragazzi sani e motivati fin sulla porta delle categorie internazionali. Li prendono dalla strada, la pista, il cross e anche dalla mountain bike. Hanno tecnici competenti e capaci anche di essere animatori del movimento. Coinvolgono le famiglie come si è sempre fatto e come in realtà accade sempre meno di frequente.

Anche in quelle categorie ci sono genitori purtroppo sensibili alla corte di team più grandi. Ne è l’esempio quanto accaduto di recente nella squadra di Jacopo Mosca. Se non si lavora su numeri e non si fa capire che c’è un tempo per essere grandi e uno per crescere, la sorgente si esaurirà. E a quel punto saranno guai seri. E’ vietato, parlando di bambini, rassegnarsi al cinismo di “Ubi maior, minor cessat”. Dal futuro presidente federale, ci aspetteremmo la determinazione nel fare scelte impopolari, assieme al coraggio di lasciar andare qualche medaglia. Meglio investire sul futuro o continuare nella conta dei trofei?

Sobrero alla ricerca dei giusti equilibri in vista del 2025

20.11.2024
5 min
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La prima stagione di Matteo Sobrero con la Red Bull-Bora Hansgrohe ha due volti: uno felice e l’altro un po’ meno. Quando è stato chiamato per dare supporto ai capitani, il piemontese ha risposto presente, mentre nelle occasioni in cui ha avuto spazio per sé qualcosa non è andato. 

«Ero a conoscenza del ruolo nel team – spiega Sobrero, che in questi giorni ha riagganciato le tacchette ai pedali in vista della prossima stagione – che mi era stato assegnato fin dal primo ritiro, ovvero a dicembre dello scorso anno. Nei Grandi Giri avrei dovuto dare una mano ai capitani, mentre in altre gare avrei avuto lo spazio per provare a dire la mia e fare la corsa».

Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale
Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale

Le fatiche gialle

Alla fine Sobrero ha corso il suo primo Tour de France, quello che gli era stato promesso lo scorso anno e che poi era sfumato senza troppe spiegazioni. Alla Grande Boucle ci è andato, consapevole del lavoro che avrebbe dovuto svolgere per il capitano unico: Primoz Roglic

«Sento di essere arrivato a fine anno scarico e tirato – racconta – con la squadra abbiamo parlato proprio di questo. Ci sono stati dei piccoli errori o comunque delle situazioni che non è meglio non rifare. Con l’arrivo di Red Bull il team ha investito tanto sul Tour, forse fin troppo. Non ero mai stato abituato a certi carichi di lavoro. Siamo partiti il 10 maggio, senza mai praticamente tornare a casa fino all’ultima tappa. Ho anche saltato il campionato italiano».

La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
Come si è svolta la vostra rincorsa al Tour?

Siamo partiti per andare a fare qualche ricognizione di tappa. Poi da lì ci siamo spostati ad Andorra per il ritiro in altura, abbiamo corso il Delfinato e infine siamo tornati in ritiro a Tigne. Una volta finita la preparazione c’è stata la presentazione ufficiale di Red Bull in Austria e pochi giorni dopo la partenza da Firenze. Sono sforzi che fai e che non ti pesano, soprattutto con l’adrenalina del momento.

Poi li senti?

Una volta che ti fermi, ti salgono addosso la stanchezza e la fatica. Tutti i miei compagni che hanno finito il Tour hanno detto di aver risentito del lungo periodo di stress. Ed è una cosa che personalmente mi sono portato fino all’ultima gara della stagione, nonostante abbia staccato tra la fine del Tour e le altre gare. Si tratta di trovare il giusto ritmo e di abituarsi a certi carichi di lavoro e di stress. Tutte le squadre fanno un programma simile prima del Tour.

Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Si deve cercare il giusto equilibrio…

In un ciclismo che chiede di essere sempre al 100 per cento, essere al 95 vuol dire rincorrere. Io ho pagato più mentalmente che fisicamente. Non avevo mai preparato un Grande Giro in questo modo, l’anno prossimo sarebbe diverso. Sarei pronto. Però d’altra parte tornare a casa qualche giorno sarebbe stato utile per riposare e ripartire al massimo. Mi sono reso conto che sono arrivato alla partenza di Firenze già stanco.

Parliamo dei tuoi obiettivi, eri partito bene con AlUla e Sanremo.

Avevo trovato una buona condizione e sentivo di stare abbastanza bene. Poi mi sono ammalato in vista delle Ardenne e nel finale di stagione, come detto, non ero al 100 per cento. Se guardo alla mia stagione personalmente non posso essere soddisfatto, mentre se penso al mio lavoro per il team posso esserlo. 

Devi trovare il modo di incastrare tutto?

Sì, così da essere soddisfatto di entrambi gli aspetti. Anche perché la squadra mi concede le occasioni. Nel caso gli spazi per il 2025 dovessero essere gli stessi, sarà importante trovare qualche accorgimento per arrivare pronto ai miei obiettivi. Questi possono essere la Sanremo, le Ardenne o le gare di fine stagione. Vero che non abbiamo ancora un calendario, quindi parlare di impegni è difficile, ma vorrei trovare un equilibrio migliore. 

Ora che li hai messi tutti in cascina quale pensi sia il migliore per conciliare i tuoi obiettivi e quelli di squadra?

Sono consapevole che sarò di supporto per i capitani. Mi piacerebbe tornare al Giro perché è una corsa meno stressante e frenetica. Dal punto di vista di ciò che lo circonda il Tour de France è mentalmente impegnativo, spendi il doppio. Ci sono tanti tifosi, media, pressione, ecc… 

Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
La differenza la farà tanto quale Grande Giro correrà Roglic, quest’anno lo hai affiancato parecchio. 

Mi sono trovato molto bene con lui fin da subito, abbiamo un ottimo rapporto. E’ un leader diverso da quelli che ho avuto in precedenza, ha proprio il carisma del campione. Per il momento non sono ancora totalmente legato a lui, potrei correre in supporto di altri capitani. Vedremo cosa verrà fuori dal ritiro di dicembre, manca poco. Si parte il 10.

Gasparotto: «Su Pellizzari non ci poniamo limiti, ma serve tempo»

29.10.2024
5 min
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Il finale di stagione di Enrico Gasparotto e della Red Bull-Bora-Hansgrohe coincide con la programmazione del 2025. Nel quartier generale austriaco è andato in scena il primo raduno che proietta la squadra verso gli impegni del prossimo anno. Una settimana insieme per conoscere i membri dello staff, i preparatori, i direttori sportivi, il reparto manageriale. Insomma, per i nuovi una prima infarinatura su come funziona un team destinato a pensare in grande e che da poco ha annunciato la nascita della formazione development.

Gasparotto risponde al telefono da Lugano, domani (oggi per chi legge) volerà a Parigi per la presentazione del Tour de France.

«Questi due mesi, ottobre e novembre – dice il Gaspa – saranno i più importanti dell’anno per me. Da ora svolgo il ruolo di Head of Sport Directors e la programmazione è diventata il momento cruciale dell’anno. Andrò in vacanza a febbraio, quando le corse partiranno ufficialmente e il meccanismo sarà avviato. Ora ci sono da coordinare tante cose: dal team professionisti a quello under 23. Non opero direttamente in tutti e due, quello dei giovani ha il suo staff dirigenziale, ma un occhio di riguardo ci va. D’altronde qualche ragazzo verrà a correre con i grandi, per iniziare a fare esperienza».

Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni
Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni

Il giovane Pellizzari

Tanta curiosità gira intorno al nome di Giulio Pellizzari, il giovane corridore che ha salutato la Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ed è pronto a spiccare il volo con lo squadrone austriaco. Come entrerà nel progetto uno dei giovani più interessanti del nostro movimento? Riuscirà a preservare il suo cammino di crescita?

«Va detto, prima di tutto – ci spiega Gasparotto – che per Pellizzari questo è uno step importante, come lo è per noi della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Rispetto all’inverno 2023 tutto è più grande e fatto in maniera differente, più metodologica. Abbiamo tante figure esterne da inserire e imparare a conoscere: ingegneri, nutrizionisti, uno staff performance profondo. Quella di Pellizzari è un’esperienza fondamentale, rivedo il cammino fatto da me in Intermarché. Il rischio di uno “shock” è alto, da una realtà familiare passa a un team strutturato e con 170 persone che ci lavorano, se consideriamo anche le squadre U23 e U19».

Stimolo a imparare                              

Il passo in un team WorldTour può spaventare, ma in un certo modo lo stimolo a cui si è sottoposti è enorme. Serve la testa giusta per goderselo e per portare a casa un insegnamento nuovo ogni giorno. Arrivare qui a 21 anni per Pellizzari può essere importante, ma tutto va calibrato nel modo giusto.

«Lo stimolo nel correre accanto a campioni del calibro di Roglic, Hindley, Vlasov e Martinez non è da sottovalutare (continua Gasparotto, ndr). Gli investimenti negli anni sono stati importanti e vogliono portarci a vincere il Tour de France, perché no anche con ragazzi cresciuti, o comunque modellati, da noi. Pellizzari può essere tranquillamente questo profilo, ma l’inserimento va fatto in maniera graduale e logica. Ha tutto da scoprire: dalla ricerca dei materiali al loro sviluppo.

«Ci sono tanti dettagli che nella sua carriera non ha curato – prosegue – e quindi di lui non si conoscono i limiti di crescita perché è tutto da scoprire. Pellizzari ha fatto vedere tanto con i Reverberi e con lui si può fare molto, sicuramente non è un giovane “spremuto”.

Futuro da scrivere

La crescita di Pellizzari passerà tanto dalle sue qualità, vero, ma anche dalle occasioni che potrà avere con la Red Bull-Bora- Hansgrohe. Come si garantisce la maturazione di un giovane così promettente?

«Penso che sia talmente grande quello che lui può scoprire di se stesso e noi di lui – analizza Gasparotto – che dire cosa farà è fin troppo limitato. E’ ancora molto giovane, quindi penso che affiancare un corridore come Roglic o Vlasov in una grande corsa a tappe possa essere d’insegnamento per capire e imparare cosa serve per essere un capitano. Avere la percezione di cosa serve per diventare un grande corridore. Correre ancora in una professional non gli avrebbe dato questa dimensione, che invece penso sia importante avere.

«Sono situazioni – dice – che ho vissuto anche io per primo quando correvo. Affiancare un grande corridore in un Giro d’Italia e vincere ti dà sempre qualcosa. Noi Pellizzari lo aspettiamo, è anche vero che ha bisogno di step, con l’iniziare ad essere protagonista in corse di una settimana nel WorldTour. Poi il fatto che io ricoprirò questo ruolo può essere un fattore importante perché sarò la figura di riferimento e con me potrà parlare in italiano. Il suo preparatore invece sarà Paolo Artuso. La prima cosa da fare quando un corridore arriva in un contesto del genere è tutelarlo e mettergli accanto persone che possano comunicare facilmente con lui».  

Bouwman lascia la Visma e parla di Roglic e dell’anno nero

28.10.2024
7 min
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La maglia azzurra messa sulle spalle nel 2022, quella rosa conquistata dal suo capitano Roglic nel 2023 e quella giallonera riposta quest’autunno definitivamente nell’armadio dopo un decennio in casa Visma. Koen Bouwman guarda con curiosità al 2025 che lo vedrà vestire un nuovo completo, quello della Jayco-AlUla, la formazione australiana che l’anno prossimo punterà fortissimo su Ben O’Connor nei Grandi Giri.

Le corse di tre settimane sono il pane quotidiano per il trentenne olandese, che vuole tornare a disputarle dopo averle viste da spettatore nel 2024. Il successo alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali in primavera, infatti, non ha poi portato fortuna per il resto dell’annata e la voglia di rivalsa è tanta per il corridore oranje che compirà 31 anni il prossimo 2 dicembre.

Finalmente in vacanza?

In realtà non proprio, perché ho appena comprato casa con la mia fidanzata e ci hanno consegnato le chiavi da poco, per cui ho un po’ di appuntamenti e lavori da fare. Abbiamo deciso di prenderla nella città in cui sono nato e cresciuto: Ulft, nella parte orientale dei Paesi Bassi, vicino al confine con la Germania. Avevo pensato di trasferirmi in Andorra, a Girona o da qualche altra parte, ma essendo spesso in ritiro, quando sono a casa preferisco essere davvero a casa e in questo posto mi sento così.

Il tuo 2024 si è chiuso col Tour di Guangxi: qual è il tuo bilancio?

Direi che è stato un mix di sensazioni contrastanti. Era cominciato in Australia, quasi inaspettatamente, ma mi sentivo già bene pur senza troppi allenamenti ed è stato positivo direi fino al Romandia. Alla Parigi-Nizza, così come alla Coppi e Bartali, ho raggiunto il livello più alto della stagione. Era dall’inverno che puntavo a vincere almeno una corsa e direi che con quest’ultima ho centrato l’obiettivo, poi sono andato ad allenarmi in altura. Non dovevo fare Grandi Giri, ma ero riserva per il Giro d’Italia, per cui volevo farmi trovare pronto in caso di rinunce o infortuni. Sono andato al Romandia e lì purtroppo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre quasi a 40 per una settimana e così, pur essendo arrivata la chiamata per il Giro, ho dovuto rinunciare. Dal Tour of Norway in poi, non ho più ritrovato le sensazioni giuste. In Polonia non è stato niente di eccezionale, poi ho fatto qualche gara di un giorno e ad Amburgo sono caduto male, incrinandomi qualche costola con annessi problemi a un rene. Ho fatto di tutto per esserci al Guangxi per dare il mio ultimo supporto alla squadra e finire in sella la mia lunga avventura in giallonero e non con una caduta.

Com’è andata?

Sono arrivato in Cina con appena 25/30 ore di allenamento ed è stata una corsa durissima. Negli ultimi giorni ero davvero al limite, ma alla fine sono felice di esserci stato e di aver chiuso così il capitolo con la Visma. 

Com’è stata l’ultima stagione dopo la partenza di Roglic e cosa ti porti dietro di questo decennio?

Il 2023 è stato un anno pazzesco perché ci è mancata soltanto una Monumento, ma per il resto è stato tutto incredibile. Il 2024 è stato tutto il contrario perché, dopo una stagione come quella, non siamo riusciti a raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati in inverno, anche a causa di diversi episodi sfortunati. Salverei Matteo Jorgenson, che ha avuto una grande stagione e ha mostrato quello di cui è capace, ma per il resto tutte le cadute dei leader hanno mandato in frantumi i sogni di gloria. Forse un’annata così può comunque far bene alla squadra, per far capire che quello che abbiamo ottenuto nel 2023 è stato qualcosa di fuori dal normale e che sedersi sugli allori non basta. Nel complesso, non è stata una stagione pessima perché tutti abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma al tempo stesso non è stata facile. Lo si è visto anche in Cina dove eravamo soltanto in 6 a causa dei vari acciacchi. Alla fine però, bisogna accettarla per quello che è stata. 

Che cosa ti ha portato a cambiare squadra?

Il punto di svolta è stato già lo scorso inverno, quando abbiamo cominciato a pianificare il 2024 con lo staff. In quel momento, conosci il tuo calendario per la prima parte di stagione e anche un pezzo della seconda. Per me è stata una grande sorpresa non essere nelle liste per un Grande Giro ed ero molto contrariato sul programma che mi avevano assegnato e la preparazione era totalmente differente rispetto al 2023. Lì ho capito che era il momento di cambiare. Abbiamo parlato un po’ con la squadra, ma ho cominciato a guardarmi attorno. Verso metà aprile, sono cominciati i dialoghi con la Jayco-AlUla e in breve tempo abbiamo trovato un accordo.

Che cosa ti aspetti dalla nuova sfida?

Sono molto felice di questa scelta e sono certo che così potrò di nuovo focalizzarmi sui Grandi Giri e avere qualche occasione di vincere gare di un giorno. Non so ancora se supporterò Ben (O’Connor, ndr) per la classifica generale in un Grande Giro o se aiuterò Dylan (Groenewegen, ndr) per gli sprint, perché è ancora tutto da decidere. A dicembre ne capirò qualcosa di più, ma non vedo l’ora, soprattutto di tornare ad avere libertà in alcune corse.

Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Quali sogni di vincere, se potessi scegliere?

Domanda difficile, ma forse direi un’altra tappa al Giro o alla Vuelta: sarebbe un sogno arrivare a braccia alzate.

Se avessi tu in mano il pallino, che Grande Giro vorresti fare?

Beh, un giorno mi piacerebbe andare al Tour de France. Ma anche l’accoppiata Giro e Vuelta mi stuzzica, per cui davvero non saprei scegliere. So solo che le corse di tre settimane si addicono alle mie caratteristiche e adoro anche tutta la fase di preparazione per arrivarci. Mi auguro di mostrare una buona forma sin dall’inizio e poi vedremo che sarà.

Hai aiutato Roglic a vincere un Giro: che suggerimento daresti a O’Connor per ripetere un’impresa simile?

Ben forse non è del livello di Vingegaard, Roglic e Pogacar, ma senza dubbio gli è molto vicino e quest’anno ha dimostrato di essere uno dei contendenti quando si parla di Grandi Giri. A parlare saranno le gambe, ma sono sicuro che con la nostra squadra potremmo aiutarlo in questa sfida.

Che emozione è stata la cavalcata rosa con Primoz?

Il momento più bello è stato al Monte Lussari. Sin dal primo camp in altura, Primoz parlava soltanto del Monte Lussari e ci era già andato a piedi in inverno, durante una passeggiata con sua moglie. Era certo che il Giro si sarebbe deciso lì. Non è stato facile perché durante le tre settimane ha avuto momenti in cui non stava benissimo ed è stato speciale vivere tutti quei momenti da così vicino, sia quelli positivi sia quelli negativi. È stato incredibile, poi persino col salto di catena. Quando ha tagliato il traguardo e abbiamo capito che aveva vinto, è stato un momento che non mi scorderò mai, un’esplosione di emozioni.

Bouwman in azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
In azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
Che ne pensi della sua dichiarazione recente in cui afferma che correrà dove non ci sarà Pogacar al via?

Conosco Roglic abbastanza bene per i nove anni fatti insieme e per il grande rapporto che ci lega. Posso affermare che il 90% di quello che dice è solo per divertimento. So che lui vuole vincere il Tour più di ogni altra cosa, per quanto anche un altro successo al Giro o alla Vuelta sarebbero davvero grandiosi, per cui non mi stupirei di vederlo di nuovo in Francia.  

Come sei arrivato al ciclismo da bambino?

Giocavo a badminton e calcio, ma già da piccino avevo chiesto a mamma e papà di regalarmi una bici e se non ricordo male, la prima è arrivata quando avevo 4 anni. Giocavo abbastanza bene a calcio a livello regionale, ma quando ho iniziato ad allenarmi tre volte a settimana sul rettangolo verde oltre alla bici, ho capito che era arrivato il momento di scegliere.

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
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TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.

Aleotti: il rinnovo, Guangxi e il futuro con la Red Bull-Bora

06.10.2024
5 min
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Nel momento in cui chiamiamo, Giovanni Aleotti è nel bel mezzo dei preparativi della valigia per il Giro dell’Emilia (corso ieri). E’ stato strano pensare al corridore di Mirandola che fa i bagagli per la corsa di casa, ma così impone il ritmo della Red Bull-Bora hansgrohe. Saranno più impegnativi i preparativi per l’ultima corsa dell’anno, il Tour of Guangxi in Cina. Aleotti ci aveva detto che gli sarebbe piaciuto andare a correre l’ultima corsa WorldTour dell’anno, magari con obiettivi maggiori. Per ora il biglietto con il suo nome è pronto, i gradi che metterà sulle spalle della sua divisa saranno da decidere nei prossimi giorni. 

«Non so chi ci sarà con me in Cina – ha detto – o almeno in maniera ufficiale. Sicuramente le forze rimaste in corpo saranno contate, d’altronde la stagione è stata bella lunga. Io stesso ho messo insieme parecchi giorni di gara (ad ora 77, compreso il Giro dell’Emilia, ndr) e tanti ritiri. Per la prima volta in carriera ho partecipato a due grandi corse a tappe: il Giro e la Vuelta. E’ stata una stagione positiva, nella quale mi sono ritrovato. Proprio a voi lo scorso anno, in Cina, dissi che il 2023 fu la peggior stagione in assoluto. Tanto da definirla non classificabile».

Cattaneo e Aleotti erano entrambi nella lista di Bennati, dopo la Vuelta sono arrivate le decisioni del cittì
Cattaneo e Aleotti erano entrambi nella lista di Bennati, dopo la Vuelta sono arrivate le decisioni del cittì

Fiducia ritrovata

Invece ora la voce dall’altra parte del telefono suona felice e decisa. Aleotti ha trovato di nuovo la fiducia nei propri mezzi e anche la vittoria: al Giro di Slovenia. Un 2024 che lo ha portato nell’orbita della maglia azzurra. La convocazione per Zurigo alla fine non è arrivata, ma essere preso in considerazione fa sempre piacere.

«Penso che partecipare a un mondiale – prosegue Aleotti – sia il sogno di ogni ciclista. Il numero di atleti è limitato e qualcuno deve rimanere fuori. La scelta di Bennati l’ho presa con il giusto piglio. Lui mi ha spiegato le sue scelte e io mi sono sentito di ringraziarlo per avermi preso in considerazione. Anche essere parte di quella lista era un obiettivo, vista la stagione scorsa. E’ chiaro che partecipare mi avrebbe fatto piacere, ma il cittì prende le sue decisioni. Non sono sempre facili e io le rispetto».

Prima e dopo la Vuelta Aleotti ha parlato con il cittì Bennati che però ha preferito altri nomi per Zurigo
Prima e dopo la Vuelta Aleotti ha parlato con il cittì Bennati che però ha preferito altri nomi per Zurigo
Torniamo alla Red Bull-Bora, Gasparotto ci ha detto che i capitani ti vogliono ovunque, si fidano ciecamente di te. 

Lo ringrazio per le parole. Io cerco di essere sempre onesto con me stesso, riconosco i miei limiti e so dove posso arrivare al momento. In una corsa di tre settimane cerco di dare il mio supporto, anche perché sono consapevole di non essere allo stesso livello dei capitani

Come si crea questa fiducia con i leader?

Attraverso delle belle relazioni che si coltivano durante tutto l’anno. Sono qui da molto tempo, tra l’altro ho appena rinnovato per altri due anni, ho incontrato tutti i leader e legato con loro. Sono una persona in grado di adattarsi a diverse situazioni, ma sono stato tanto fortunato perché Roglic, Vlasov, Martinez e Hindley sono prima amici che capitani. Nel momento in cui devi spenderti per qualcuno lo fai con maggior impegno se ci stai bene insieme. 

Aleotti ha corso due grandi corse a tappe nel 2024: la prima è stata il Giro in appoggio a Martinez
Aleotti ha corso due grandi corse a tappe nel 2024: la prima è stata il Giro in appoggio a Martinez
Hai detto di voler continuità, che cosa intendi?

Questa squadra è il posto giusto per crescere e per il mio futuro. Sicuramente è solida grazie a Red Bull e Bora. Allo stesso modo tale situazione crea una concorrenza maggiore. Tanti investimenti permettono di prendere molti corridori forti. Io sono dell’idea che ci si guadagni il posto su strada e con le prestazioni. 

E tu ne hai fatte in questi anni.

Quando ho avuto l’occasione me la sono presa, al contrario quando c’è stato da lavorare mi sono messo a disposizione completa. In una squadra del genere è difficile pensare di andare alla Giro, al Tour o alla Vuelta e pensare di fare il capitano. Come detto per prima cosa, sento di dover essere onesto con me stesso, ora non sono al loro livello. 

Alla Vuelta, invece, Aleotti ha supportato Roglic nella conquista della sua quarta maglia rossa
Alla Vuelta, invece, Aleotti ha supportato Roglic nella conquista della sua quarta maglia rossa
Cosa ti manca? Pensi potrà mai arrivare?

E’ difficile prevedere una crescita, non ho l’arroganza di dire «sì». Cercherò di impegnarmi e saranno la strada e il tempo a confermare o smentire. 

Sei qui dal 2021, l’ambiente è cambiato tanto…

Ho vissuto il cambio d’identità. Quando sono arrivato c’era ancora Sagan e la squadra puntava tanto sui velocisti. Poi negli anni c’è stato lo switch e siamo passati alla formazione che conoscete, in grado di vincere un Giro e una Vuelta. Sono anche orgoglioso di dire che ero presente in entrambe le squadre.

Un anno dopo Aleotti tornerà in Cina con motivazioni e ambizioni diverse
Un anno dopo Aleotti tornerà in Cina con motivazioni e ambizioni diverse
Pensi ci possa essere spazio per un ragazzo che cresce dall’interno?

Il team porta vanti bene i progetti e valorizza il lavoro per i capitani. Non sapremo in futuro quale ruolo potrò ricoprire. Ora ho dei limiti ma non è facile capire quali sono, in un anno possono cambiare tante cose. Si matura e si cresce. Punto ad arrivare ad una certa età in cui i miei valori si stabilizzeranno, ora mi sento in una fase ascendente. Sono giovane, ho appena compiuto 25 anni. Dopo due stagioni difficili, mi godo anche la fiducia ritrovata. 

Dovuta a cosa?

Al lavoro fatto con il mio nuovo preparatore, Paolo Artuso. Non che prima mi trovassi male, ma Paolo mi ha preso quando avevo il morale a terra. Ci ha creduto lui prima che lo facessi io. A dicembre 2023 mi diceva che avremmo puntato al Giro di Slovenia. Ora mi sento ritrovato, riesco a vedere i frutti del mio lavoro e tutto diventa più semplice. Ho voglia di fare bene in Cina, staccare e godermi la pausa e da dicembre ripartire. Penso che inizierò in un modo ancora migliore rispetto allo scorso inverno, mentalmente mi sento sereno e fiducioso. 

Intuito Tratnik: arriva Pogacar, si rialza e lo lancia verso l’iride

03.10.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – «Ho capito che Tadej stava arrivando – dice Tratnik – perché quando con la fuga abbiamo iniziato la salita, avevamo un vantaggio di circa due minuti e mezzo. Poi improvvisamente è sceso a un minuto e mezzo: un minuto in meno in pochissimo tempo. A quel punto la moto passando mi ha detto che avevano attaccato. E poi, qualche minuto dopo, ho visto sulla tabella che il numero 22 aveva 20 secondi di vantaggio sul gruppo: il numero 22 era Tadej. Da lì ho capito che era da solo e in quel momento ho deciso di aspettarlo per cercare di fargli risparmiare un po’ di energia».

Restiamo ancora un po’ sul mondiale. Le parole di Vanthourenhout hanno riportato l’attenzione su Jan Tratnik. Averlo visto nella prima fuga, ha raccontato il tecnico del Belgio, faceva pensare che Pogacar si sarebbe mosso. E sia pure con imprevedibile anticipo, così è stato. A quel punto i belgi si sono ritrovati con l’inseguimento sulle spalle, mentre Tadej davanti scriveva la storia. Ma non era solo, con lui c’era il compagno di nazionale.

Tratnik, 34 anni, era al via del mondiale in supporto per Pogacar o Roglic
Tratnik, 34 anni, era al via del mondiale in supporto per Pogacar o Roglic

Attacco a sorpresa

Tratnik era là, solido e pronto. La sua è stata finora una carriera a metà fra il protagonismo e la generosità. E’ stato capace di vincere un europeo U23 a crono, poi una tappa al Giro e anche l’ultima Omloop Het Nieuwsblad. Ma ha anche scortato capitani come Caruso, Roglic, Kuss e Vingegaard verso grandi risultati. E questa volta si è ritrovato davanti al mondiale con il più giovane connazionale che a suo modo era partito verso un’impresa leggendaria.

«Sono venuto a Zurigo – racconta – solo per aiutare Tadej e Primoz. Non ho mai nemmeno pensato alle mie possibilità personali. Sapevamo che loro due erano i nostri capitani e siamo andati lì solo per aiutarli. Però non mi aspettavo di vederlo arrivare così presto. Quando sono andato in fuga, sapevo che in qualche modo Tadej avrebbe avuto un vantaggio dalla mia presenza, ma pensavo che si sarebbe mosso nel giro successivo. Mi ha davvero sorpreso che abbia attaccato così presto, il piano non era assolutamente questo».

Un giro dopo aver lasciato Pogacar, Tratnik si è fermato e lo ha atteso al traguardo col resto della squadra (foto Vid Ponikvar)
Un giro dopo aver lasciato Pogacar, Tratnik si è fermato e lo ha atteso al traguardo col resto della squadra (foto Vid Ponikvar)

A tutta fino alla cima

Immaginate la scena, oppure riavvolgete il nastro e andate a rivederla. Tratnik è nella fuga in cui viaggia anche Cattaneo. Sembra tutto normale, come può essere normale essere inseguito da un gruppo così pieno di campioni. Eppure di colpo si rialza e smette di collaborare. Gli altri lo guardano e qualcuno capisce.

«Quando i ragazzi della fuga hanno visto che non tiravo più – sorride – hanno capito che forse stava succedendo qualcosa dietro. Quando poi mi sono staccato e mi hanno visto rientrare con Tadej, hanno smesso immediatamente di collaborare. Sapevano esattamente cosa stavamo facendo. Tadej non mi ha chiesto niente. Io invece gli ho detto di stare seduto alla mia ruota e di non fare niente. Ci avrei pensato io fino alla cima della salita, poi però avrebbe dovuto cavarsela da solo. Il mio compito era quello e poi vederlo andare via a tutto gas.

«Le poche cose che ci siamo detti sono state per dirgli di stare calmo, che avrei tirato io. E una volta sulla cima, gli ho augurato il meglio possibile e gli ho detto che speravo che sarebbe diventato campione del mondo. Io invece dopo un altro giro mi sono fermato e ho chiuso lì il mio mondiale».

Tratnik assicura che anche il lavoro di Roglic è stato prezioso per la conquista di Pogacar
Tratnik assicura che anche il lavoro di Roglic è stato prezioso per la conquista di Pogacar

Il lavoro di Roglic

Dal prossimo anno, Tratnik tornerà con l’amico Roglic alla Red Bull-Bora. Eppure in nazionale ogni rivalità sparisce. Soprattutto quando, come quest’anno, tutta la squadra sa di poter portare in patria la maglia iridata, che per ultimo Mohoric era riuscito a conquistare nel 2013 da under 23.

«Con Tadej siamo buoni amici – dice Tratnik – ci alleniamo insieme a Monaco, a volte andiamo a cena insieme. Siamo amici ed è un tipo che mi piace. E’ davvero rilassato e un vero campione. L’atmosfera della nazionale attorno ai nostri leader era davvero buona. Anche Primoz ha fatto un lavoro incredibile. Forse non si è visto, magari la televisione non lo ha inquadrato, ma praticamente ha lanciato lui l’attacco di Tadej. Si è molto impegnato. Abbiamo vinto la maglia e chiaramente Tadej è stato il più forte, ma Primoz lo ha aiutato molto. E’ stato anche lui una parte importante di questa vittoria.

«La sera la squadra era felice. Abbiamo festeggiato davvero bene e non importa in quale team corriamo. Eravamo semplicemente felici che questa nuova maglia fosse in Slovenia e che tutti abbiano lavorato per portarcela. A partire dai corridori, tutti hanno fatto un lavoro incredibile e tutti si sono impegnati. C’era davvero una bella atmosfera anche da parte dello staff e delle persone che ci hanno aiutato. Posso dire che è stato davvero bello». 

Sul pullman, anche per Tratnik la foto ricordo della fantastica avventura iridata di Pogacar (foto Vid Ponikvar)
Sul pullman, anche per Tratnik la foto ricordo della fantastica avventura iridata di Pogacar (foto Vid Ponikvar)

Orgoglio sloveno

Il tempo di tornare a casa e mettere nella valigia i capi con i colori della Visma-Lease a Bike e Jan Tratnik tornerà a lavorare per la sua squadra. Per festeggiare il mondiale, ne siamo certi, ci sarà tutto l’inverno, prima di andare magari nel raduno di Soelden con cui la sua nuova squadra tedesca è solita aprire la stagione.

«Dal prossimo anno – ammette – sarò di nuovo in squadra con Roglic. Penso che Primoz sia una persona adulta e sappia che questa volta Tadej era il più forte ed è anche per questo che lo ha aiutato. Qui non ci sono rancori, alla fine, siamo tutti amici. Forse non è neanche questo. Siamo sloveni, quindi se possiamo aiutarci a vicenda, lo facciamo. Poi però nelle gare normali, gareggiamo l’uno contro l’altro. Quindi nessun rancore o risentimento per aver aiutato un rivale. Avevamo un obiettivo chiaro. Volevamo vincere questa maglia, volevamo farlo e tutto ha funzionato alla perfezione. E io sono davvero felice di averne fatto parte».