Nella pancia e nella storia del Kuipke, il tempio delle Sei Giorni

16.11.2023
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GAND (Belgio) – Il Kuipke si trova nel centro della città, di preciso all’interno del Parco Cittadella, in questo momento un tappeto di foglie gialle a terra. Apparentemente sembra uno stabile come gli altri. Difficile dire che le sue alte vetrate custodiscano uno dei velodromi più prestigiosi e storici d’Europa.

Oltre 100 anni

Il Kuipke è stato costruito nel 1913, ma non era come adesso e neanche nello stesso punto. Si trattava di una pista ciclabile, un anello di 210 metri, ricavato all’interno del Palazzo Floreale, ma sempre nel Parco Cittadella. Nel 1922 viene realizzato il velodromo, smontabile, come oggi del resto. Quello definitivo risale agli ’60. La sua particolarità è di essere molto corto, 166,66 metri, e per questo è considerato super tecnico.

Sempre al 1922 risale la prima Sei Giorni di Gand, da allora è un vero monumento. Merito soprattutto delle mitiche edizioni in cui potevi vedere girare negli anni Buysse, Van Steenbergen, Ockers, Terruzzi, Merckx, De Vlaeminck, Sercu… fino ad arrivare a Villa, Martinello, Wiggins, Cavendish, Viviani.

Gand resiste

Oggi il Kuipke ospita quella che da molti è ritenuta l’ultima vera Sei Giorni. Non ci aspettavamo di vedere tanta gente e soprattutto tanto coinvolta. Una festa continua. Una gran voglia di partecipare a quello che, in qualche modo, diventa anche un evento mondano per la città.

Battiti alti: parola d’ordine sia per chi è sul parquet, sia per chi vive le emozioni della corsa sugli spalti e intorno.

Dal momento in cui si varcano le porte del Kuipke si entra in un altro mondo. Il mondo del ciclismo. S’inizia dal tardo pomeriggio con gli under 23 e si tira fino all’una di notte. Man mano che si svuotano gli uffici, si riempiono gli spalti e lo spazio al centro della pista. E’ qui che si fa “casino”. Sembra che stare lì senza una birra sia vietato!

Oltre la corsa

Ed è qui che stazionano anche i tifosi più caldi. Martinello ci aveva avvertito che il pubblico locale si sarebbe fatto sentire, specie con i propri beniamini: bè, ne abbiamo avuto la prova! Cori, balli e calici in alto soprattutto per Jules Hesters e Fabio Van den Bossche, entrambi di Gand.

Tutto è in movimento e in fermento. Gli atleti che girano in pista. I massaggiatori che sistemano le cabine all’interno del catino, preparano i sali o fanno il bucato. Sì, avete capito bene. I corridori si cambiano almeno un paio di volte in questa giostra continua e accanto alle cabine ci sono delle piccole lavatrici-asciugatrici.

Il pubblico intanto si muove. Le sedie sono occupate, ma intorno e nei tunnel per accedere al centro del velodromo è un brulicare continuo.

Il bar di Keisse

E la festa è anche fuori. A 200 metri dal Kuipke c’è un bar, che bisogna visitare. E’ il De Karper ed è della famiglia di Keisse. Lo gestisce il papà di Iljo. Lo scorso anno proprio sulla pista di casa il corridore della Deceuninck-Quick Step diede l’addio alla carriera. Fu omaggiato da città, tifosi e corridori. Un altro momento storico per il velodromo. 

Alle pareti e sul soffitto del bar ci sono foto e maglie. E c’è anche un pezzetto di Giro d’Italia. La bottiglia del 2015 quando Keisse vinse una tappa.

In molti passano lì per una birra (la scelta è immensa) prima di entrare al velodromo. Si respira ciclismo. Di solito ci sono gli irish pub, questo è un “belgian pub” e anziché i San Patrizio alle pareti, si venerano le bici!

Spirito invariato

Qualcuno ci ha detto che le Sei Giorni di una volta non ci sono più. Ma una cosa semplice quanto bella ce la dice Fabio Masotti, oggi tecnico della Fci ed ex pistard. «Vedete – ci spiega – oggi è cambiato tutto. Materiali, corse più brevi… ma lo spirito è lo stesso e certe cose come le cabine nella pista (foto di apertura, ndr) sono identiche a quelle di un tempo».

Intanto, mentre scriviamo, il velodromo si è riempito anche stasera. La musica è alta. L’interno della pista è pieno. Si fa festa. Il dj riesce persino a far fare la hola ai corridori mentre sono in corsa. E il Kuipke ti entra dentro.

Barbieri, l’addio alla pista e il tentativo di Villa

12.11.2023
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“Barbieri, il passaggio alla DSM e l’addio (sofferto) alla pista”. Con questo titolo giovedì abbiamo raccontato la scelta di Rachele Barbieri, in procinto di passare al Team DSM-Firmenich, di lasciare la pista proprio nell’anno delle Olimpiadi.

«Penso di avere dato tanto alla pista – ci ha detto – è il mondo in cui ho raccolto i risultati più importanti. Ho mandato un messaggio a Villa per dirgli che ho scelto di puntare tutto sulla strada e non aver ricevuto neanche una risposta mi ha fatto rendere conto che ho fatto la scelta giusta».

L’abbraccio fra Barbieri e Villa agli europei del 2022, dopo la vittoria della madison
L’abbraccio fra Barbieri e Villa agli europei del 2022, dopo la vittoria della madison

La riunione di Glasgow

Come correttezza e curiosità impongono, abbiamo contattato il tecnico della pista azzurra, che dopo le Olimpiadi di Tokyo ha ricevuto l’incarico di seguire anche il settore femminile della pista. Non è un mistero che dopo i mondiali di Glasgow e alcune prestazioni non proprio esaltanti delle ragazze, Villa si fosse sfogato invitando le azzurre a frequentare con più assiduità la pista.

«Non siamo riusciti a trovare la quadra – spiega – mentre gli uomini ormai sanno gestirsi meglio. Niente di troppo grave, il WorldTour femminile c’è da soli tre anni e le ragazze sono giovani e devono trovare gli equilibri giusti. Per questo dopo i mondiali, Amadio ha fatto una riunione chiedendo loro chi volesse garantire il proprio impegno in pista. Rachele era già ripartita, per cui questa cosa le fu riportata».

Agli europei del 2022, oltre alle medaglie su pista, per Barbieri il bronzo nella prova su strada, dietro Wiebes e Balsamo
Agli europei del 2022, oltre alle medaglie su pista, per Barbieri il bronzo nella prova su strada, dietro Wiebes e Balsamo

La reazione di Villa

Amadio diede alle ragazze una scadenza entro la quale fornire la risposta richiesta, quella di Rachele è arrivata oltre quel tempo e nei toni a Villa è parsa molto netta in favore della strada.

«A me dispiace che abbia scelto in questo modo – prosegue Marco – perché so quanto ha dato alla pista. Nel 2022 agli europei vinse tutto, quest’anno non ha avuto una stagione troppo buona, ma sono cose che possono succedere. Mi dispiace pensi che sia tutto deciso, perché non è vero. Ascoltando i singoli, ognuno ha le argomentazioni più convincenti. Io però ho otto atlete e devo farne correre cinque, per cui devo avere una visione di insieme. Non le ho risposto subito perché prima ho voluto confrontarmi con Nicola Assuntore, responsabile delle Fiamme Oro, per capire se possa parlarci lui e se ci sia margine di ripensamento. Non voglio che tutto questo diventi un botta e risposta sui media. Ma risponderò certamente a Rachele». 

Frattanto la nazionale sta per iniziare il percorso di avvicinamento all’anno olimpico. Dal 15 al 19 novembre tutte le ragazze sono attese a Noto per il primo ritiro del nuovo anno. Pedaleranno prevalentemente su strada, ma il velodromo Pilone poco distante dall’hotel sarà comunque il loro punto di riferimento. A differenza dello scorso anno, le azzurre candidabili a un posto per Parigi 2024 saranno tutte presenti, come chiesto da Amadio in quella riunione a Glasgow.

Gand in vista: Martinello ci porta nel mondo delle Sei Giorni

09.11.2023
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La Sei Giorni di Gand della prossima settimana apre la stagione invernale dei velodromi. E’ un mondo tutto da scoprire, nel quale ci accompagna un vero esperto: Silvio Martinello. Oggi in realtà le Sei Giorni non se la passano benissimo, non c’è più un calendario vero e proprio. Ne sono rimaste poche e l’unica di un certo livello è proprio quella belga, che si terrà dal 14 al 17 novembre. Ma il format resta quello. Divertimento, gare, testa a testa, spettacolo.

Tra presente e passato, il campione olimpico su pista di Atlanta 1996, che di Sei Giorni ne ha vinte 28 (tre più del mitico Nando Terruzzi), ci introduce nei meandri di queste splendide kermesse sul parquet. Si evocano, a volte quasi con un filo di emozione, amici e ricordi.

Gand resiste

«Attualmente – va avanti il padovano – di Sei giorni di livello c’è solo Gand, anche Berlino è stata portata a tre giorni e Rotterdam è stata ridotta. Ci sono sempre degli ottimi corridori, ma non del livello che c’era un volta. Gand è un ambiente caldo. Conosciamo bene la tradizione ciclistica di quelle zone, sia su strada che su pista».

E il motivo per cui le Sei Giorni sono calate è sostanzialmente economico. Non è un motivo di calendario, dovuto magari anche all’avvento della Track Champions League. Villa stesso ci ha detto che avrebbero ancora la loro valenza, ma che manca il tempo per farle.

«Se avessero l’impatto di un tempo i corridori andrebbero alle Sei Giorni e non lì, ve lo assicuro. Marco Villa ha fatto una valutazione tecnica, giustamente. Ma in una sei Giorni non c’è solo l’aspetto agonistico. C’è anche quello del business. Viene da chiedersi perché sia diminuito l’interesse. Io credo per i costi: il solo affitto del velodromo per dieci giorni, tra allestimento, gare e riconsegna, è altissimo.

«Le Sei Giorni più importanti erano tutte o quasi tedesche: Berlino, Monaco, Stoccarda, Brema, Colonia, Dortmund… ognuna aveva una sua peculiarità. A Monaco il pubblico era competente e prevaleva la parte tecnico-agonistica, a Brema quello della festa. Indirettamente hanno pagato i problemi di doping che hanno avuto in Germania all’inizio degli anni 2000 e successivamente la maggiore difficoltà a reperire sponsor(specie dopo la crisi finanziaria del 2008, ndr). Una volta i corridori – e non solo loro – erano molto interessati a parteciparvi, gli ingaggi erano davvero buoni. Lo dico senza problemi».

Il derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancare
Il derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancare

Tutto diverso

E allora oggi chi vedremo in pista? Chi sono e come vengono formate le coppie? Secondo Martinello i metodi con cui vengono allestite le coppie è quello di un tempo, ma cambiano gli interpreti. Una volta c’erano i grandi campioni e gli organizzatori si affidavano a quelli per richiamare il pubblico e rientrare delle spese. Adesso i corridori sono sempre abili, ma hanno un appeal più locale.

«Di grandi coppie attuali – riprende Martinello – non ce ne sono, per il semplice fatto che non ci sono più le Sei Giorni. L’organizzatore pertanto ingaggia gli atleti e forma le coppie secondo criteri tecnici, ma anche di appeal. E allora si punta sull’appeal locale, dai parenti ai tifosi, e in Belgio è ancora buono. In generale oggi si punta più sui giovani e di sicuro vedremo ottime prestazioni. Andranno forte».

Villa e Martinello, indimenticabili

A questo punto si fa un passo indietro. Si parla di vecchie coppie e Martinello sfoggia, ricorda e inanella emozioni. Mostra di fatto che la pista “è casa sua”. Lui e Marco Villa negli anni ’90 soprattutto ci hanno fatto divertire. Chi scrive, per esempio, all’epoca era un adolescente e ricorda la mamma che dall’altra stanza diceva: «Spegni la tv». Ma quelle nottate a godersi i duelli Villa-Martinello contro Risi-Betschart restano indelebili.

«Io e Marco – racconta Martinello – abbiamo rappresentato una bella fetta delle Sei Giorni. E parlano i numeri. Ne abbiamo vinte 16. Prima di noi in Italia c’erano stati Ferdinando Terruzzi e Severino Rigoni, ma parliamo degli anni ’50-’60. Sin lì eravamo sempre rimasti in seconda linea».

«Le Sei Giorni erano in Germania e, soprattutto dopo il mio titolo olimpico, mi chiamavano nelle principali gare tedesche… e non solo. Non essendo tedesco, a volte ho avuto ingaggi importanti anche con altri compagni. Ho corso con il povero Kappes, con Zabel, con Aldag… ».

Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu

C’era persino Merckx

Ma certo i duelli storici erano quelli con gli svizzeri Risi-Betschart, due grandissimi interpreti secondo Silvio. E poi il fatto che erano di madrelingua tedesca li avvicinava molto al pubblico della Germania. 

«Fu un dualismo importante, grande. Ci fu anche l’idea di farmi correre con Risi, ma poi non si concretizzò».

Altre coppie del passato sono state formate da stradisti e pistard. Lo stesso Martinello ha corso anche con Bjarne Riis, dopo che aveva vinto il Tour.

In passato, forse, la coppia delle coppie fu Patrick Sercu ed Eddy Merckx, neanche a dirlo: entrambi belgi.

«Ricordo – conclude Martinello – aneddoti divertenti di Sercu quando raccontava le sue Sei Giorni con il Cannibale. Diceva che Merckx voleva fare come su strada. Sapete che in pista basta un giro per vincere? Ebbene, Eddy voleva vincere con minuti di distacco anche sul parquet, non gli bastava “solo” il giro».

Juniores, il mondo ci guarda. Ma Salvoldi alza l’asticella

07.11.2023
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Qualche giorno di vacanza per ricaricare le batterie e Dino Salvoldi ha cominciato a sfogliare l’album dei ricordi per progettare la prossima stagione degli juniores, di cui è tecnico azzurro. Che sia per merito o qualche casualità, i migliori azzurri visti in pista e nelle gare internazionali su strada, hanno spiccato il volo verso i Devo team stranieri. Qualche eccezione c’è, come ad esempio Fiorin appena approdato al Team Colpack. Dato che il passaggio del tecnico bergamasco dalle donne agli juniores serviva per risvegliare la categoria e conferirle uno spessore superiore, sentire cosa pensi della… migrazione ci è parso un passaggio interessante, prima di chiedergli che cosa ci sia nell’immediato futuro della sua nazionale.

Salvoldi agli europei con Fiorin, autore di uno splendido omnium chiuso al secondo posto
Salvoldi agli europei con Fiorin, autore di uno splendido omnium chiuso al secondo posto
Che cosa ti pare del fatto che i tuoi azzurrini finiscano quasi tutti nei Devo team all’estero?

E’ difficile dare delle opinioni personali, perché potrebbero innescarsi delle critiche per tutte le motivazioni di cui si discute in questo periodo. Però sono osservazioni che hanno una base di verità, per cui mi viene da dire che, al netto delle opinioni personali, bisogna lavorare per mettere queste generazioni nella condizione di avere una prospettiva. Se le loro scelte siano giuste o sbagliate lo scopriremo nel futuro. Le loro prospettive in questo momento di carriera, di ambizioni e di sogni passano per l’attività nei Devo team, che in Italia in questo momento non ci sono. Poi si entra chiaramente nelle valutazioni personali. Vanno solo per il nome oppure c’è sostanza?

Tu cosa pensi?

Dal punto di vista dei ragazzi, quella è la prima scelta, un’evoluzione. Cinque anni fa il massimo obiettivo per uno junior erano la Zalf e la Colpack, adesso non è più così. Una cosa mi incoraggia nel modo di scegliere da parte di queste squadre.

Delle Vedove corre nella Circus-ReUz, ma prosegue l’attività su pista (foto Instagram)
Delle Vedove corre nella Circus-ReUz, ma prosegue l’attività su pista (foto Instagram)
Quale?

I parametri di valutazione che adottano nei Devo team sono le prestazioni correlate ai risultati nell’attività internazionale. Non esclusivamente il risultato e tantomeno le valutazioni funzionali, che trovo tanto limitative. Devo dire che già rispetto all’anno scorso, quest’anno nell’attività che abbiamo fatto nella Nations Cup, ad esempio, ho visto regolarmente gli osservatori di squadre del WorldTour. C’è uno scouting che in tutti gli altri sport è la normalità da 15 anni, cui noi stiamo arrivando in ritardo.

Per te è gratificante che questi ragazzi abbiano acquisito valore anche grazie all’attività in maglia azzurra?

La percezione di quest’anno mi farebbe di sì. Abbiamo la sensazione di essere seguiti dall’intero movimento. Poi penso che si deve provare a cambiare o anticipare i tempi per quello che dipende direttamente da noi. Se non ci sono i soldi e non c’è una squadra WorldTour, che effettivamente farebbe da traino per il movimento, bisogna provare a cambiare l’atteggiamento in allenamento e conseguentemente i regolamenti in gara. Sono convinto, come ho letto da qualche parte, che sia prematuro passare nel ciclismo WorldTour a 18 anni, mentre solo due anni prima eri un allievo. Non tanto per la gara singola, perché questi atleti vengono gestiti bene e i risultati lo dimostrano. Mi sembra prematuro per quanto riguarda l’attività su strada, non assolutamente su pista. E allora forse bisognerebbe cambiare le regole. Per cui alla domanda se per me sia gratificante, rispondo “ni”, perché vorrei fare di più. Vorrei avere più di tempo per prepararli anche a questa prospettiva.

Il quartetto azzurro iridato con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra: battuta in finale la Germania (foto Uci)
L’Italia ha vinto vinto il mondiale del quartetto con Favero, Fiorin, Grimod e Sierra (foto Uci)
Servirebbe il terzo anno da juniores di cui si parlava un tempo?

Quello, oppure rivedere la categoria under 23. Studiare una soluzione per modificare le categorie attuali ed evitare che in futuro, cambiando qualche regola, si ritrovino professionisti a 16 anni come già accade nel calcio. Se andiamo avanti così, verranno a pescarci gli allievi, anche solo per portarli a fare gli juniores nelle loro squadre under 19.

Come sostituirai l’ottima infornata di juniores che passano fra gli under 23?

A inizio ottobre abbiamo fatto delle valutazioni. Non è il periodo ideale per farlo e guardare i numeri in assoluto, dato che si è a fine stagione. Però chiaramente, rapportati tra loro e con lo storico che abbiamo, mi sono accorto da subito che c’è un margine enorme sull’allenamento, rispetto a quando passano da allievi. Perciò dico che su strada, se si riconfermeranno i 2006, avremo una squadra molto forte, con gli inserimenti dei 2007. Su pista invece dobbiamo ricominciare. Se vengono ad allenarsi a Montichiari con continuità, perché quello è l’unico segreto, magari non faremo i tempi o i risultati di quest’anno, ma non ci arriviamo lontano.

Ai mondiali di Glasgow, Sierra ha conquistato il quarto posto nella prova su strada
Ai mondiali di Glasgow, Sierra ha conquistato il quarto posto nella prova su strada
Sai se nei Devo team consentiranno ai ragazzi di proseguire con la pista?

Il fatto che Fiorin sia stato inserito nel gruppo pista è un bel segnale di continuità. Sinceramente non so se Villa abbia preso contatto con le squadre in cui andranno gli altri. Non so se gli permetteranno di continuare, mentre magari Fiorin, che andrà alla Colpack, questo permesso ce l’ha. E’ un passaggio che mi manca. I cinque che avevo saranno under 23 per quattro anni, quindi sono un investimento. Li ho visti l’altro ieri e non sapevano ancora quasi nulla dei programmi della squadra. Di conseguenza credo che per sapere se continueranno con la stessa frequenza a fare pista bisognerà aspettare che vengano fuori i programmi.

Quando ricomincerete con gli allenamenti a Montichiari?

Mercoledì e giovedì di questa settimana ci saranno i primi incontri per avere le indicazioni sul programma che vorrei svolgere il prossimo anno. Poi la mia idea sarebbe quella di cominciare a Montichiari nella settimana dell’11 dicembre. A quel punto saremo lì per due pomeriggi alla settimana. Chi vuole può venire a farci visita…

Cina amara per Thomas, tornato a casa con le ossa rotte

24.10.2023
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GUILIN (Cina) – Aveva tutto il programma pronto e definito, invece Benjamin Thomas è ripartito con le ossa ammaccate e la paura (poi scongiurata) di essersi davvero rotto qualcosa. Colpa della caduta nel finale della quinta tappa del Tour of Guangxi, quella vinta da Molano nella stessa Guilin da cui è partita l’ultima frazione.

«Poteva andare peggio – dice – sono scivolato in discesa e finito nel fosso, cadendo sulla schiena. Ho dovuto fare degli esami per verificare di non essermi rotto la scapola. Però ugualmente ho preso un bel colpo e mi hanno prescritto tre settimane di riposo. Questo significa che non potrò correre la Sei Giorni di Gand, perché è rischioso riprendere così forte dopo la botta. Ho un ematoma profondo che può metterci diverse settimane a guarire e fare cambi all’americana a tutta non è il massimo per la schiena».

Thomas campione europeo della madison 2023, davanti a Consonni: entrambi alla Cofidis
Thomas campione europeo della madison 2023, davanti a Consonni: entrambi alla Cofidis

Il Viviani di Francia

Benjamin Thomas sta alla Francia come Elia Viviani sta all’Italia e anche lui, come il veronese, si divide fra la strada e la pista con risultati a volte migliori, a volte peggiori. Ciò che li accomuna è anche la difficoltà nel fare risultato su strada, in questo ciclismo di confronti sempre al vertice. Come Viviani, anche Thomas se ne va dal 2023 con due vittorie su strada, cui ha aggiunto l’europeo nell’omnium. La prossima stagione lo proietterà sulle Olimpiadi che si correranno per giunta in Francia, ma questo anziché togliergli il sonno non lo distrae dalla dimensione di stradista.

«A livello dei risultati – dice – non sono arrivate grosse cose. E’ stata una stagione lunga con molti viaggi e forse per la prima volta, ho sofferto la doppia attività: la strada e la pista. Ho avuto qualche infortunio. Mi sono ammalato al Delfinato e ho dovuto saltare il Tour de France. Insomma, una stagione un po’ così, ma si va avanti».

Uno come te, che in pista ha fatto forse i risultati migliori, riesce a essere concentrato ugualmente su entrambi i fronti o la pista ha più spazio?

E’ difficile essere uguale in entrambe. Quest’anno ho provato a dare più spazio alla strada, ma il calendario della pista resta impegnativo. Ho fatto ad esempio la trasferta in Canada ad aprile e mi sono ritrovato alle corse in Europa con il fuso orario da recuperare. Poi ci sono stati i mondiali dopo il Tour, che sono stati difficili a livello di programmazione. Alla fine quasi niente è andato per il verso giusto, quindi stiamo già ragionando su come fare l’anno prossimo, probabilmente riducendo gli impegni per fare meglio.

Anche il prossimo anno non avrà una gestione facile, fra Olimpiadi e Tour.

L’anno prossimo quasi sicuramente non farò il Tour de France. Avrò un calendario diverso, però bisogna adattare i giorni dei ritiri o delle gare in pista con le competizioni su strada, per essere competitivo in entrambi. Perché io non voglio puntare solo alle Olimpiadi ad agosto, ma anche fare un bell’inizio di stagione. Vorrei vincere e fare bei risultati per arrivare sereno a Parigi.

Viviani ha detto di avere bisogno di correre di più su pista per ritrovare automatismi e tecnica. Per te è lo stesso?

Siamo un po’ allo stesso punto. Quest’inverno mi sarebbe piaciuto rifare una Sei Giorni per riprendere l’abitudine all’americana, i riflessi. Perché alla fine quest’anno ho corso solo tre madison, che per me è pochissimo. Vedremo se trovarne un’altra al posto di Gand, stando però attento a non fare troppo.

L’Italia della pista riparte dal velodromo di Noto come lo scorso anno: cosa farà la Francia?

Noi abbiamo un ritiro sul Teide a cavallo del 10 dicembre. Più che di vera preparazione, servirà per iniziare a lavorare sul gruppo (con la prima prova di Nations Cup il 2 febbraio ad Adelaide, chi vorrà partire forte, farà un mese di dicembre ad alta intensità, ndr). Anche se ancora non conosco i miei programmi per la prossima stagione.

Speedmax CFR Track: la Canyon perfetta per la pista

17.08.2023
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Canyon toglie il velo dalla sua nuova bicicletta da pista: la Speedmax CFR Track. Si tratta del lavoro coordinato di diverse collaborazioni tra ingegneri, sviluppatori ed i professionisti più veloci al mondo. Il risultato è la bici più veloce prodotta dalla casa tedesca, arrivata dopo due anni ininterrotti di lavoro. In questo periodo si contano 442 prove al supercomputer e 312 analisi in galleria del vento. Per perfezionare la Speedmax CFR Track, inoltre, sono state svolte 155 ore di test in pista. 

La Speedmax CFR Track è stata testata in pista per tante ore dai migliori atleti al mondo
La Speedmax CFR Track è stata testata in pista per tante ore dai migliori atleti al mondo

Tutto conta

La Speedmax ha già portato i suoi atleti a conquistare diversi titoli mondiali: nel triathlon in particolare. Questo perché quando ogni secondo, watt e grammo hanno un peso importante tra successo e vittoria gli atleti si affidano alla Speedmax. 

«Con la Canyon Speedmax CFR Track sapevamo di avere l’opportunità di creare qualcosa di veramente eccezionale – ha dichiarato Daniel Heyder, Team Manager Product Management Road di Canyon – collaudata ai massimi livelli del triathlon, la Speedmax è servita come base perfetta di partenza. Siamo tornati al tavolo da disegno e abbiamo collaborato a lungo con il team di nostri partner per l’aerodinamica: Swiss Side. Per garantire che ogni aspetto di questa bicicletta fosse scolpito per garantire la massima efficienza aerodinamica alle altissime velocità e alle condizioni uniche del velodromo».

ll design e l’aerodinamica della bici permettono di performare al massimo in ogni disciplina
ll design e l’aerodinamica della bici permettono di performare al massimo in ogni disciplina

Al limite

Nel ciclismo su pista tutto deve essere votato alla massima prestazione. Ogni tubo e giunzione della Speedmax CFR Track sono studiati per fendere l’aria in maniera perfetta. Su pista il design delle biciclette è ampiamente maturato fino a raggiungere un livello che rasenta la perfezione, arriva il momento in cui la ricerca del prossimo livello di eccellenza richiede una completa rivisitazione delle regole.

Ai massimi livelli, gli atleti sono perfettamente in sintonia con le loro biciclette, ma le esigenze dei diversi tipi di ciclismo su pista non sono mai state soddisfatte. Grazie alla sua impareggiabile versatilità, la Canyon Speedmax CFR Track è pronta a competere all’apice di qualsiasi disciplina del ciclismo su pista, eliminando così la necessità del cambio di bici. 

Si tratta di un modello progettato in collaborazione con Swiss Side per un’aerodinamica senza pari e che vanta un’enorme rigidità, necessaria per affrontare e gestire le incredibili forze generate all’interno di un velodromo. L’esclusivo cockpit della bicicletta, frutto di un’intensa collaborazione con la rete di collaudatori professionisti di Canyon, mette il ciclista in una posizione super-aerodinamica. 

Canyon

Milan “poco brillante”? Fusaz ci spiega perché

10.08.2023
4 min
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Ne avevamo parlato direttamente con Jonathan Milan e lo stesso friulano ha ribadito il concetto dopo l’inseguimento iridato: «Sono stanco. Ho fatto fatica a recuperare dopo il Giro d’Italia». Il tutto con un bronzo al collo! Il che non può che farci ben sperare. Pensiamoci un po’: se a 23 anni, dopo aver preso parte al tuo primo grande Giro, con giusto una manciata di giornate in pista per allenarti arrivi terzo in un mondiale, il bicchiere è decisamente mezzo pieno.

Tuttavia con il suo coach, Andrea Fusaz abbiamo voluto analizzare meglio la situazione del “Jonny nazionale” e capire meglio il perché di questo recupero lento e di questa stanchezza latente rimasta nelle sue gambe.

Jonathan Milan (23 anni da compiere) bronzo iridato nell’inseguimento individuale
Jonathan Milan (23 anni da compiere) bronzo iridato nell’inseguimento individuale

Il primo GT

Fusaz fa un discorso semplice, ma al tempo stesso importante, che lega il grande Giro alla stanchezza delle gambe, ma anche a quella mentale. E c’è un aspetto che in tutto questo discorso resta sempre centrale. E questo aspetto non è tanto il grande Giro, quanto il primo grande Giro. Una differenza fondamentale.

«Sicuramente – spiega Fusaz – Milan non aveva la stessa brillantezza che si può avere prima di un grande Giro, ma tutto ciò per me è normale, tanto più alla sua età. Jonathan è partito per la corsa rosa senza pressioni, nessuno gli ha chiesto nulla. Poi è stato lui stesso a mettersele a suon di risultati, con la vittoria, la maglia ciclamino… tutto ciò lo ha portato a tirare un po’ troppo la corda non solo fisicamente». Gli mancava cioè quel guizzo che ti fa andare oltre i tuoi limiti.

Giro d’Italia 2023, Milan vince la seconda tappa a San Salvo
Giro d’Italia 2023, Milan vince la seconda tappa a San Salvo

Calo fisiologico

Secondo Fusaz la stanchezza mentale incide quando non si “performa” – come si dice adesso – o almeno non lo si fa a livelli che vanno oltre certi limiti. Perché comunque va ricordato che Milan non è andato piano. A Glasgow si è espresso su standard molto alti ed importanti. E parlano i risultati: terzo con un 4’05″868.

«A volte – riprende Fusaz – ci si dimentica che siamo di fronte a degli esseri umani e non a delle macchine. Tecnicamente Milan non era stanco, altrimenti non sarebbe riuscito a fare ciò che ha fatto. Come ho detto, era meno brillante.

«Non cambierei nulla del suo post Giro. Abbiamo rispettato le tempistiche necessarie. Dopo il tempo di recupero bisognava riprendere a lavorare per gli obiettivi successivi, però è chiaro che se esci stanco ci metti un po’ di più a ritornare al top. Ma torniamo al solito discorso, al punto di partenza: Milan era al primo grande Giro. In più bisogna considerare che a metà stagione è più difficile recuperare. Non è come lo stacco d’inverno in cui puoi stare davvero due settimane senza fare nulla totalmente.

«E’ fisiologico per un ragazzo della sua età, al primo grande Giro pagare un po’. Non stiamo parlando di un ragazzo di 28-30 anni che di Giri ne ha fatti già due, quattro o sette… Jonathan si è ritrovato di fronte ad un carico di lavoro enorme per 20 giorni per la prima volta e per di più con degli obiettivi importanti». Non poteva mollare, come invece hanno potuto fare altri “girini”».

Milan ha sofferto in qualifica, mentre è cresciuto nella finale ed è arrivato il bronzo
Milan ha sofferto in qualifica, mentre è cresciuto nella finale ed è arrivato il bronzo

Guardando avanti

Questo non vuol essere un processo. Il ricordo va ai mondiali di Roubaix 2021 quando Ganna fu terzo nell’inseguimento individuale e tutti restammo scioccati. Lo stesso Villa ha ricordato quell’episodio. Tra l’altro a giocarsi l’oro ci andò proprio Jonny!

«Sento parlare di certi risultati quasi come se fossero negativi – dice Fusaz – ma alla fine siamo stati secondi al mondo nel quartetto, primi e terzi nell’individuale. La Danimarca aveva atleti che fanno solo pista. I nostri vengono dalla strada e questo conta… Siamo ad eventi di portata mondiale: qualcuno che ti mette la ruota davanti lo puoi anche trovare».

Il quadro di Fusaz va a braccetto con le parole del cittì Marco Villa, il quale pensando alle Olimpiadi del prossimo anno ha già indicato la via: dopo il Giro tutti all’appello da lui. E’ chiaro che il tutto rientra in un programma più generale. In cui si progettano con ampio anticipo certi “macrocicli” di lavoro. Queste esperienze, vedi il Ganna sfinito a fine 2021 o il Milan poco brillante dopo il Giro di quest’anno, non fanno altro che tracciare la via. Quella giusta chiaramente.

Milan: «Vi spiego perché a Glasgow farò la pista»

30.07.2023
5 min
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Jonathan Milan, l’uomo dai doppi impegni. La strada e la pista, poi il Tour de Pologne e la Clasica San Sebastian. Lo aspettavamo qui in Polonia, ma il campione olimpico del quartetto era nei Paesi Baschi ad aiutare Pello Bilbao. Mentre da ieri sera è già a Montichiari in pista.

Milan, maglia ciclamino all’ultimo Giro d’Italia, era l’oggetto del desiderio del cittì Daniele Bennati per i mondiali di Glasgow. Ma era anche l’oggetto del desiderio del cittì della pista, Marco Villa. Il corridore della Bahrain-Victorious si è così ritrovato tra due fuochi amici mica da ridere. Due passioni, due sogni, due squadre e due enormi possibilità e due enormi responsabilità.  Ricostruiamo dunque il tutto con il talento friulano stesso.

Milan (classe 2000) giganteggia tra i suoi compagni al via della Clasica San Sebastian
Milan (classe 2000) giganteggia tra i suoi compagni al via della Clasica San Sebastian
Jonathan, prima di tutto: come stai?

Un po’ stanchino! A San Sebastian ho fatto un buon lavoro per la squadra e per Pello Bilbao. Chiaramente la classica basca è un po’ dura per me, ma ho cercato di prenderla come un allenamento, tra virgolette. Di andare più in là possibile.

San Sebastian, Polonia: eri annunciato da entrambe le parti. Come è andata?

In effetti avrei dovuto fare il Polonia, ma con le tempistiche che c’erano in vista degli impegni con la nazionale per i mondiali, non lo avrei finito. La squadra cercava qualcuno per completare la formazione di San Sebastian e, in accordo anche con i tecnici, ho chiesto di andare in Spagna.

Invece sul fronte della condizione come stai? Come hai lavorato?

Bene – risponde con un tono sicuro – ho lavorato tanto e bene. Ho fatto tanta pista, tanta forza e sono soddisfatto di quanto svolto. Adesso ci aspettano gli ultimi giorni per rifinire la gamba, fare le ultime prove…

Non che lo scorso anno sul quartetto siano state investite meno energie ed attenzioni, ma dalla mole del lavoro svolto in pista, dai ritiri di Villa, sembra che l’aria sia cambiata di nuovo. Un’altra determinazione. E’ così?

E’ così, le Olimpiadi sono più vicine. Il mondiale è sempre importante, ma un mondiale con l’Olimpiade a seguire lo è ancora di più. Vogliamo arrivarci bene per confrontarci con le altre nazionali, penso alla Nuova Zelanda o all’Australia… Anche loro si faranno trovare pronte. Siamo curiosi di vedere come hanno lavorato, a che livello sono, chi portano, che materiali useranno.

Primo Giro d’Italia, quanta fatica verso le Tre Cime, ma che esperienza per Milan
Primo Giro d’Italia, quanta fatica verso le Tre Cime, ma che esperienza per Milan
Ti vuole Villa, ti vuole Bennati…

Purtroppo, e ci tengo a dire che mi è dispiaciuto, ho dovuto scegliere. Quest’anno il programma iridato è complicato con le date. Non so chi lo abbia fatto, né che senso abbia un programma simile. Io subito dopo il Giro d’Italia ci pensavo al mondiale su strada, eccome… Avrei saltato anche l’individuale se fossi stato bene.

E invece cosa è successo?

Non sono stato male, ma ci ho messo un po’ a recuperare le fatiche del Giro. Ho avuto qualche problema intestinale la sera prima della tappa delle Tre Cime e ho faticato tantissimo fino a Roma. Non immaginate cosa abbia passato per concludere la frazione delle Tre Cime, quasi mi staccavo nel trasferimento su un falsopiano. Quindi sono uscito molto stanco. Sono stato fermo diversi giorni e quando sono ripartito sentivo che il mio corpo aveva ancora bisogno di riposo. A quel punto non era più fattibile preparare entrambi i mondiali, strada e pista.

Chiaro, però alla fine fa piacere essere desiderati da una parte e dall’altra. E’ anche motivo di orgoglio…

Sì, fa piacere, ma questa scelta come ho detto a me è dispiaciuta. Mai avrei pensato di arrivare a chiedermi: «Ah, che mondiale faccio quest’anno?». Se le due prove fossero state un pelo più distanziate le avrei fatte entrambe. La cosa sarebbe stata più fattibile. Ci sarebbe stato più recupero, ma così no (sabato sera finale dell’inseguimento a squadre, domenica la strada, domenica sera inseguimento individuale, ndr). Avrei rischiato di farle male tutte e due e a me non piace.

Jonathan (qui in ultima ruota agli europei di Plovdiv 2020) tiene molto al quartetto. Probabilmente dietro la sua scelta c’è anche una promessa fatta a questa “famiglia”
Jonathan (qui in ultima ruota) tiene molto al quartetto. Probabilmente dietro la sua scelta c’è anche una promessa fatta a questa “famiglia”
Hai detto che sei stato male dopo il Giro, che sentivi il bisogno di recuperare: questo ha inciso un bel po’ nella scelta tra strada e pista il post Giro?

Sì, ha inciso. Se verso le Tre Cime non ci fossero stati i miei compagni a scortarmi e ad incitarmi per tutto il tempo, non ce l’avrei fatta. Poi sapete com’è: finché sei in corsa in qualche modo ti sostieni, ma appena è finito il Giro, è calata l’adrenalina e mi sono proprio sentito vuoto. Quindi ha inciso perché non me la sentivo più di provare a farle entrambe. Anzi, per un momento ho pensato che non sarei stato pronto neanche per la pista.

E i tecnici cosa ti hanno detto?

Siamo stati concordi. Loro mi hanno detto di decidere e dopo aver parlato tutti insieme ho scelto la pista.

Come mai la pista?

Perché siamo alla vigilia delle Olimpiadi. Vorrei fare il quartetto e l’inseguimento individuale e la scelta è stata fatta soprattutto in questa ottica. Poi c’è un’altra cosa (sappiamo che a Jonathan non piace improvvisare, ndr). All’inizio dell’anno sapevo che avrei dovuto fare i mondiali su pista, ma quelli su strada no. Mai mi sarei immaginato che Bennati mi chiedesse di andare con lui. La corsa su strada è di 270 chilometri, devi arrivarci bene. Non si può improvvisare.

Miriam Vece, da Glasgow a Parigi per entrare nella storia

26.07.2023
6 min
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FIORENZUOLA – «Negli ultimi anni Miriam Vece è stata la portabandiera della velocità. Facciamo pure tutti gli scongiuri possibili ma, ranking alla mano, al 99 per cento è qualificata per Parigi sia nella velocità che nel keirin. E sarebbe un evento storico perché mai nessuna italiana aveva partecipato alle olimpiadi nelle discipline veloci». Così Ivan Quaranta ci introduce la sua conterranea cremasca durante gli appuntamenti pre-mondiale. La rassegna iridata di Glasgow produrrà anche gli ultimi posti a cinque cerchi per la pista.

E Miriam Vece come vive tutto questo momento? Staccare un biglietto per Parigi 2024 è un traguardo importante sia per lei che per tutto il movimento. Ogni volta che incontriamo Quaranta non si può fare a meno di constatare quanto la velocità italiana sia cresciuta rispetto all’ultima volta. La 26enne di Romanengo è nel pieno della maturazione psicofisica. E’ nella fase ideale in cui contemporaneamente può crescere ancora per raggiungere risultati di rilievo ed essere un riferimento per le più giovani. Ne abbiamo parlato con lei.

Miriam quanto è cambiata la velocità da quando eri junior?

Tanto, tra materiale e voglia di fare. Otto anni fa avevo anche la scuola e la maturità a cui pensare quindi non riuscivo a dedicarmi totalmente alla bici. Ora con tecnologia e attrezzature nuove ci sono tanti secondi che ballano nelle discipline veloci. Poi bisogna considerare un aspetto mentale. Era un’altra epoca per noi velocisti. Non avevamo tanti appoggi, eravamo quasi isolati, ti allenavi da solo. Ora c’è Ivan che ci aiuta, è un mondo completamente diverso. Siamo un gruppo di ragazzi giovani che ha tante motivazioni.

Come ti trovi con loro?

Molto bene. Sono la più anziana, se così possiamo dire, visto che il più vecchio di loro ha 21 anni (ride, ndr). Vanno più veloce di me e per me sono un grande stimolo in allenamento, visto che sono spesso l’unica ragazza del gruppo. In pista cerco di seguirli e fare molte cose con loro. Rispetto a prima, penso che avere questo tipo di gruppo sia la differenza principale, poi a mio avviso ci va a ruota tutto il resto. Essere più serena di testa fa bene alla mia attività. Io sto bene con loro e ci tengo. I miei compagni hanno fiducia in me così come Marco e Ivan (rispettivamente il cittì Villa e Quaranta, ndr) che mi hanno supportata nei momenti più difficili come il mondiale dell’anno scorso dove è stato tutto in salita.

A certificare la tua considerazione internazionale ci sono state le partecipazioni anche alla UCI Track Champions League. Che effetto fa rappresentare l’Italia nella velocità?

Quello è un evento certamente spettacolare e di grande visibilità però faccio un discorso un po’ più ampio. Sono convinta che, se non nei prossimi due anni, per Los Angeles 2028 il nostro gruppo di giovani crescerà e riuscirà a far vedere che c’è anche l’Italia. Ora i ragazzi si scontrano con atleti forti ed esperti come Lavreysen o Hoogland. Però se continuiamo a lavorare così sono sicura che anche alla Champions League ci saranno più italiani nella velocità.

Miriam Vece correrà i mondiali di Glasgow per ottenere la certezza definitiva di essere a Parigi 2024
Miriam Vece correrà i mondiali di Glasgow per ottenere la certezza definitiva di essere a Parigi 2024
A proposito di grandi eventi, alle prossime olimpiadi ci sarai anche tu e non sarà una partecipazione qualunque per i nostri colori…

Se dovessimo chiudere oggi il ranking sarei dentro a Parigi ma come vedi sto toccando ferro (ride mentre con una mano è attaccata ad una transenna sciogliendo le gambe sui rulli, ndr). Battute a parte, sarò la prima donna italiana a partecipare nelle discipline veloci e sono orgogliosa. Riflettevo che è strano come una nazione come la nostra non abbia avuto nessuna atleta prima di me in una competizione così importante. Manca ancora un anno, incrocio le dita ma sto lavorando sodo per quell’obiettivo. Prima però c’è ancora Glasgow in cui voglio fare molto bene, uno step in più e in funzione di Parigi.

A che punto è la velocità italiana?

Sta crescendo e lo vedete anche voi. Per me è una questione di orgoglio sapere di avere compagne giovani come Beatrice e Carola (rispettivamente Bertolini e Ratti, ndr) che ambiscono a fare ciò che ho fatto io. Mi chiedono consigli, si ispirano a me, addirittura mi hanno chiesto di fare il team sprint con loro agli italiani. Vi dirò che spero che possa essere il primo di tanti da fare con le junior. Piuttosto, un problema potrebbe essere un altro…

Quale?

Parto dal mio caso personale ma vale per tutti. Nel mio piccolo ho raccolto risultati importanti ma in Italia, come sempre, si sa poco (sorride, ndr). Prima anche le discipline endurance erano poco seguite poi è arrivato l’oro di Elia a Rio 2016 e quello del quartetto a Tokyo. Anche a noi della velocità manca la medaglia del colore più bello per far capire a tutti il nostro valore. Già al mondiale ne basterebbe comunque una. Quello che facciamo non è da meno di quello che fanno gli altri. E’ vero che partire quasi da zero non ha aiutato a far parlare di noi, in termini di risultati. Con una medaglia qualcosa potrebbe cambiare ed utilizzo il condizionale apposta. L’anno scorso i ragazzi sono stati protagonisti agli europei U23. Bianchi ha vinto l’oro nel keirin davanti a Napolitano e nel chilometro. Hanno vinto il bronzo nel team sprint. Eppure siamo sempre lì, nessuno ne parla come dovrebbe o se lo ricorda.

Europei 2022, Miriam conquista il bronzo nei 500 metri
Europei 2022, Miriam conquista il bronzo nei 500 metri
Per la velocista Miriam Vece possono coesistere pista e strada?

Da junior penso che si possa fare velocità in pista e strada, dove magari non sei un fenomeno. Quando poi passi di categoria bisogna prendere una decisione. La scelta giusta forse non esiste. Devi fare quello che ti piace e devi essere realista con te stessa. Non bisogna impuntarsi come vedo in alcune ragazze che faticano su strada e la velocità non gli piace. Su strada si prendono più soldi ma il mondo della pista sta cambiando. La visibilità internazionale sta cambiando. La Champions League di cui parlavamo prima dà trentamila euro al vincitore, ad esempio. Di sicuro i corpi militari possono aiutare questo sviluppo con l’apertura di nuovi concorsi. Siamo partiti da poco ma loro stessi stanno vedendo che anche per noi ci sono già speranze per andare a Parigi e ancora di più per le prossime olimpiadi. E questo farà molto bene al nostro movimento.