Paolo Simion

Dall’Everest alla pista, il ritorno di Simion

24.12.2020
5 min
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Paolo Simion è un personaggio, ragazzi. Un atleta davvero interessante. Fresco laureato in scienze motorie, ex (e di nuovo) pistard, stradista, viaggiatore “estremo” quando stacca dalla bici. Dietro ai suoi occhiali dalla montatura quadrata, Paolo racconta la sua storia, la passione che lo lega a questo sport e a questo ambiente, tanto da aiutare i ragazzini delle squadre giovanili di casa nei ritagli di tempo.

Il ritorno

Villa ci ha detto che Simion aveva chiesto di rientrare e che lui la porta l’avrebbe lasciata aperta, specie a chi ci mette impegno. Inoltre un elemento in più avrebbe fatto comodo al gruppo.

«Sono qui con Villa – dice Simion – perché avevo lasciato il discorso della pista cinque anni fa. Ho dato a Marco la mia disponibilità per essere utile alla causa. Se manca qualcuno posso dare il mio contributo negli allenamenti, più siamo e meglio è. Ti alleni di più, ci sono più stimoli. Nella pista siamo una nicchia ed essere in buon numero conta».

Paolo Simion
Il veneto in cammino verso il campo base dell’Everest lo scorso anno
Il veneto in cammino verso il campo base dell’Everest lo scorso anno

Tuttavia Simion non fa parte del gruppo che sta lavorando per Tokyo.

«Ma è logico! Non sono tornato per rubare il posto a nessuno. A Tokyo non ci penso. I ragazzi hanno lavorato tanto e il livello della pista è elevatissimo, mi servono anni per tornare a quei valori. Io voglio ripartire da capo. Parigi 2024 può essere un obiettivo. La pista non sono mai riuscito a farla bene come dico io. Stefano Giuliani (il nuovo team manager della Giotti Victoria Savini Due, il club dove militerà, ndr) mi supporta in questa mia scelta. Lui è stato anche nella Mtb e approva il discorso di fare più discipline». 

Trainer di se stesso

«Dopo essere stato alla Bardiani CSF seguivo una tipologia di allenamenti e volevo dare una svolta totale dopo il passaggio a vuoto nella squadra cinese.

«E’ vero, mi preparo da solo. Visto quello che stavo apprendendo negli studi viste le mie esperienze ho deciso di fare per conto mio. Di sperimentare e di mettere in pratica quello che studiavo. Mi sono laureato a settembre, anche un po’ prima dei tempi previsti. Così ho preso le nuove metodologie e già a febbraio quando ho capito che non ci sarebbe stato nulla da fare tra squadra cinese e covid ho iniziato a fare i rulli in un certo modo. Molta intermittenza a grandi intensità. L’obiettivo era di richiamare molte fibre muscolari e questo mi ha consentito di riportare su il mio picco di watt negli sprint che a forza di fare allenamenti lunghi era sceso molto. Ho preso questa strada anche in previsione di tornare in pista. Quando la lasciai l’addio fu doloroso».

Paolo Simion
A Formia anche allenamenti in palestra
Paolo Simion
A Formia anche allenamenti in palestra

Dall’Everest alla pista

Per quest’anno nessuna avventura esotica dopo il termine della stagione, tra impegni e covid era meglio evitare.

«Eh sì mi piace viaggiare. Venti giorni a fine anno li faccio sempre. Due anni fa sono andato in Sudafrica, Lesotho, Swaziland e l’anno scorso ho fatto il trekking dell’Everest Base Camp dal lato nepalese. Un’avventura incredibile. Io non sentivo troppo la quota, ma dopo i 3.800-4.000 metri cambiava tutto. Di notte avevo 90 battiti quando di solito ne ho 40. Ma è stata un’esperienza unica e l’Everest è enorme. Quando ci sei sotto sono oltre 3.000 metri di parete, come una Marmolada… ma partendo da Venezia! E’ gigantesco. Quest’anno, come detto, non ho viaggiato e dovrò recuperare».

Una personalità così non può essere banale e il fatto di essere tornato in pista per Villa è un valore aggiunto.

«E poi a me piace voltare pagina. Quel che ho fatto negli ultimi cinque anni non conta. Ogni anno io ripartivo da zero, anche quando le cose andavano bene. Non stavo a dire ho vinto questo o quello».

Un lustro, una nuova era

In cinque anni di assenza dal parquet deve essere cambiato molto. E Simion non solo ne è consapevole, ma lo conferma.

«La mia ultima apparizione internazionale sulla pista risale al 2014. In cinque anni è cambiato tutto. Nell’ultimo quartetto che feci girai con il 54×14, adesso la corona più piccola che ho utilizzato è il 60. Prima c’era la Pinarello Matt, adesso la Bolide… è un altro mondo. Sul lanciato già faccio gli stessi tempi di quando ero al top, per dire quanto si siano evoluti i materiali.

«Anche l’allenamento è cambiato molto. Oggi la forza è fondamentale. Serve potenza. Mi ricordo che nel quartetto si girava in 15”, cioè a 60 all’ora, adesso ci si gira nell’inseguimento individuale».

Simion (28 anni) ha corso cinque stagioni alla Bardiani CSF
Paolo Simion
Simion (28 anni) ha corso cinque stagioni alla Bardiani CSF

L’olio sulla scarpa

Il veneto ritrova quindi i suoi amici di sempre. Ha iniziato a 10 anni, perché pesava 80 chili e la mamma decise di fargli fare sport. Prima gara da G5, poi man mano che perdeva peso andava sempre più forte e sono arrivate le prime vittorie.

«Mia mamma parlò con il papà di un mio compagno di scuola che era il ds del Martellago, la squadretta locale. All’inizio facevo anche un po’ di Mtb, poi la strada e da esordiente è arrivata la prima vittoria. Sono stati Sergio Bianchetto e Cipriano Chemello a portarmi in pista. Ci mettevano dietro moto. Eravamo in 7-8 e i quattro che restavano attaccati facevano parte del “quartetto A” del Veneto. Che tempi! Me la ricordo ancora quella moto, una Cagiva che perdeva olio dalla marmitta. Ogni volta che tornavo a casa dalla pista dovevo ripulire subito la scarpetta destra sporca di olio. Il bello è che quei quattro eravamo sempre noi: Liam (Bertazzo, ndr), Scarte (Scartezzini, ndr)… e certe storie ancora vengono fuori».

Marco Villa

Verso Tokyo, Villa traccia la strada

24.12.2020
6 min
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Il centro Coni di Formia è un via vai di campioni. Ci sono i tennisti, i ragazzi e le ragazze dell’atletica leggera, le bellissime “farfalle” della ginnastica ritmica e poi ci sono loro, i pistard di Marco Villa.

Vestiti di azzurro, i ragazzi si preparano ad uscire per la distanza. Anche per loro adesso è il tempo di fare la base su strada. Cinque ore sulla litoranea laziale e sulle montagne che si affacciano sul mar Tirreno. Bellissimi, nessuno osa suonare il clacson di fronte a loro. Il fascino della maglia azzurra vince anche sugli automobilisti.

ritiro Formia
Ore 9,45 pronti a partire per la distanza: il programma prevede 5 ore
ritiro Formia
Ore 9,45 pronti a partire per la distanza: il programma prevede 5 ore

Gare simulate

Con Villa vogliamo fare il punto sull’anno (olimpico) che verrà. In qualche modo il 2020 è alle spalle e le Olimpiadi stavolta non scapperanno.

«Cerchiamo di copiare il programma che avevamo fatto per lo scorso anno – dice Villa – non voglio arrivare a Tokyo con un anno e mezzo d’inattività in pista. I mondiali a marzo non ci saranno e gli europei sono stati spostati, abbiamo un buco e voglio riempirlo».

«La mia idea è di simulare un “mondiale” a marzo come picco. Abbiamo fatto questi stage, qui a Formia e prima ancora in Sicilia, correremo la Vuelta a San Juan e poi li voglio in pista per fare degli allenamenti “tipo gara” come se fosse un campionato europeo. A quel punto i ragazzi inizieranno la loro attività su strada tra classiche, Tirreno, Sanremo… Certo, credo sarà difficile averli tutti insieme negli stessi giorni. Quello che voglio è che, se sono a casa una settimana anche in quel periodo, vengano a girare in pista almeno un giorno. Però – e il tono si fa più deciso – voglio averli tutti dopo il Giro nelle sei settimane pre-olimpiche».

ritiro Formia
Gli azzurri sulle strade di Formia
ritiro Formia
Gli azzurri sulle strade di Formia

I ragazzi di Villa

Quando parla di impegno su strada, di andare almeno un giorno a settimana in pista, della difficoltà di averli tutti assieme, si capisce che Villa vuol mantenere alta la concentrazione sull’obiettivo a cinque cerchi. E allora ci chiediamo: è un’imposizione che arriva dalla Fci stessa quella di averli? E’ una lotta con le squadre? O al contrario i ragazzi vogliono esserci? Il cittì risponde puntando forte sul gruppo.

«No, non è un’imposizione. Il gruppo ci crede. Per arrivare al nostro obiettivo servono sacrifici comuni, a maggior ragione adesso che i ragazzi sono consapevoli che possono raggiungere risultati importanti. E’ stato bello arrivare sin qua, ma il lavoro va finito. Siamo forti, ma perché? Perché abbiamo tanti elementi e se uno o due si staccano il gruppo s’indebolisce.

«I tempi fatti ai mondiali di Berlino ce lo dimostrano: sono stati fatti arrivandoci normalmente, senza fare nulla di che. Pippo (Ganna, ndr) aveva corso puntando alla classifica in Argentina e ha fatto 3’46”, il record del mondo. Consonni tre giorni prima era all’Algarve».

Viviani cosa fa?

Però i rapporti con i team non sempre sono scontati. Viviani è un capitano della Cofidis e ha degli impegni con la sua squadra. Lui che è il nome più in vista e ha un titolo da difendere potrà avere carta bianca o si dovrà adeguare alle richieste di Villa? Proprio ieri avevamo riportato le parole di Damiani, il quale diceva che non essendoci un calendario definito di Coppa, Viviani non vi avrebbe partecipato.

«Elia in questi due anni ha mollato un po’ con la pista – riprende Villa – e infatti ha perso qualcosa. Io a lui, come a tutti, chiedo di essere presente assolutamente nella preparazione olimpica in quelle sei settimane prima dei Giochi. Per quel che ho sentito io, con Elia problemi non ce ne sono. Se poi è cambiato qualcosa questo non lo so».

ritiro Formia
I ragazzi sullo strappo di Sperlonga
ritiro Formia
I ragazzi sullo strappo di Sperlonga

«Io voglio andare a Tokyo con un gruppo forte per provare a vincere delle medaglie nelle tre discipline in cui siamo qualificati: inseguimento a squadre, madison e omnium. Se gli atleti sono impossibilitati che me lo dicano prima. Per quel che riguarda la Coppa del mondo, ci sono tre appuntamenti: uno in Inghilterra, uno in Colombia e uno ad Hong Kong. Quello inglese è il più fattibile e andremo con la squadra dei grandi, negli altri due andrò con i più giovani. Poi ci saranno quelle famose sei settimane».

Il credo di Villa

Marco punta molto sul gruppo, come abbiamo detto prima e come abbiamo visto in questi anni. Lavora su una base di atleti finalmente ampia e quando ci parla dei suoi atleti e stila l’elenco, il cittì sembra già più dispiaciuto per chi non ci sarà piuttosto che sorridente per chi andrà in Giappone.

«Ganna, Consonni, Viviani, Milan, poi Lamon, Bertazzo, Moro, Scartezzini e Plebani sono la base. A questi si aggiungono Pinazzi, Gidas e Simion che è rientrato da qualche mese. L’ossatura del quartetto arriva fino a Plebani, seguendo l’elenco di prima. Tutti loro hanno fatto le visite all’Acqua Acetosa che richiede il Coni per i probabili olimpici. Da questi ne devo prendere 6 da portare ai Giochi sapendo che cinque di loro saranno solo punzonati il giorno prima dell’inizio delle gare su pista».

Il regolamento dice che due del quartetto debbano fare anche la madison e uno l’omnium. Questo potrebbe essere un’ostacolo nel poter schierare o meno il poker più veloce.

«Per questo io ho sempre detto a Viviani di puntare al quartetto. Però deve essere in grado di starci. Da quanto ho visto dagli europei 2019 non ha difficoltà, ma se poi girano a 3’46” come ai mondiali le cose cambiano. Puoi avere le doti che vuoi, ma se non fai dei lavori specifici ti stacchi. Se c’è un corridore che deve essere contento dello slittamento di un anno delle Olimpiadi questo deve essere proprio Elia. Per lui può essere un vantaggio, però ora deve lavorarci».

Marco Villa, Francesco Lamon
Marco Villa e Francesco Lamon prima della finale del quartetto agli europei di Plovdiv
Marco Villa, Francesco Lamon
Villa e Lamon prima della finale del quartetto agli europei

Lamon e le partenze

Francesco Lamon è fra i più esperti del gruppo. Anche Ganna lo chiama il “Conte”. Un elemento molto importante, che più di altri potrebbe pagare lo scotto di quel regolamento.

«Il quartetto aveva l’handicap della partenza negli anni precedenti – spiega Villa – Dai lavori in pista vedevamo che sul lanciato eravamo sui tempi dei migliori, da fermi ottava-decima posizione, se andava bene. Quindi ho capito che bisognava lavorare sulla partenza. Non potevamo più perdere 2-3” nel primo chilometro, anche perché questo significava che avremmo perso anche dopo in quanto ci saremmo stabilizzati su una velocità di crociera più bassa. Così è arrivato questo chilometrista, Lamon. Io ho un libro dei tempi e sulle partenze lui era sempre il vincitore, così sono partite le sfide. All’inizio era il quarto, ma quella posizione mi serviva per Ganna. Francesco non era convinto, poi è stato mentalizzato ed è stato supportato anche dal gruppo. E siamo migliorati.

«Tutti sanno della sua importanza però quest’anno ha lavorato poco e si è visto. Francesco è stato richiamato all’impegno. Non poteva e non può vivere sul fatto che parte forte e quindi è dentro, perché agli europei si è staccato da Milan e questa cosa non mi è piaciuta.

«Non so chi farà parte del quartetto quel giorno a Tokyo – conclude Villa – ma chi ci sarà dovrà essere dispiaciuto per gli assenti e contento per chi ha intorno».

Jonathan Milan, europei Plovdiv, 2020

Milan/2. Ma c’è anche (e soprattutto) Tokyo

23.12.2020
3 min
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Seduti su una panchina sul Monte di Buja, tra ombre sempre più lunghe, foglie morte e la corona delle Alpi Giulie imbiancate di fronte a noi, continua l’intervista con Jonathan Milan. Stavolta l’argomento principale è quello della pista.

Con il quartetto azzurro si può davvero sognare e lui e Ganna possono essere due locomotive incredibili, a prescindere poi da chi lo comporrà nel giorno della gara.

Jonathan, vieni da un 2020 super in pista, a partire dai mondiali di Berlino e dagli europei di Plovdiv: cosa farai per il 2021?

Mi seguiranno Paolo Artuso, Marco Villa e Andrea Fusaz. Con Fusaz e Villa ho già lavorato bene quest’anno nell’inverno 2019-2020. Fusaz mi seguiva per la strada e Villa per la pista e non credo ci saranno problemi. Artuso e Fusaz dovranno incontrarsi per stilare bene il programma, ma sono contento di mantenere il rapporto con Andrea per quest’anno e magari anche per il futuro.

Jonathan Milan
Jonathan Milan su una panchina in cima a Monte Buja
Jonathan Milan
Jonathan Milan, U23 nel CT Friuli
Dopo che se ne è andato via Ellingworth, il tuo mentore per la pista in Bahrain-McLaren, ti sei fatto sentire con la squadra?

Cavolo! Ho detto: che succede? Ma loro mi hanno subito dato certezze. Mi ha chiamato Vladimir Miholjevic (direttore sportivo, ndr) e mi ha assicurato che il programma non sarebbe cambiato.  Ma io ero già tranquillo, alla fine è anche interesse della squadra che io vada forte alle Olimpiadi e quindi fare l’attività su pista.

Che appuntamenti di avvicinamento avrai in vista di Tokyo? 

Cercheremo di avere il picco di forma centrale (che di solito è quello più alto, ndr) per le Olimpiadi e, credo, il primo per gli europei, che hanno spostato a giugno. Ma lì sarà più importante vedere come stiamo lavorando, come vanno le cose, che il risultato. Poi credo che da quel momento la strada andrà sempre a diminuire. Chiaramente non per gli allenamenti, ma non credo farò più gare fino a Tokyo.

Quante volte ti allenerai su pista?

Penso 3-4 giorni a settimana e magari in mezzo ci saranno anche delle gare. Vediamo cosa decideranno Artuso, Fusaz e Villa.

Parli sempre alla terza persona plurale: decideranno, vedranno… Sembra quasi che tu sia staccato, che il discorso della preparazione non ti riguardi…

Perché mi fido e perché non ho le qualità per decidere io del mio picco di forma. Loro tre collaborano e per me è okay.

Jonathan Milan, rapporti, Montichiari, 2020
Milan, una pausa durante un ritiro a Montichiari
Jonathan Milan, rapporti, Montichiari, 2020
Milan, una pausa durante un ritiro a Montichiari
Parliamo dei materiali. Cosa arriverà per Tokyo?

Spero arrivi il manubrio 3D anche per me. Dovevamo andare in galleria del vento proprio in questi giorni prima di Natale, ma con il Covid non è stato possibile. Poi non so in casa Pinarello se bolle in pentola dell’altro. Comunque la novità è il manubrio, anche perché i materiali da portare alle Olimpiadi sono già stati presentati e non possono essere cambiati. Non è stato un caso che Ganna abbia usato già ai mondiali di Berlino il 3D, altrimenti non avremmo potuto utilizzarlo a Tokyo.

E’ lecito parlare di rapporti? State lavorando magari per spingere un dente più duro?

Si cerca il rapporto per andare il più forte possibile. Non è detto che sia più duro. Faremo i test anche sulla pista di Tokyo prima di sceglierlo.

Strada-pista, pista-strada: come riesci a passare da una bici all’altra?

Mi adatto bene, ci sono abituato e ho la fortuna di avere una buona sensibilità. Quindi se qualche misura non torna, se c’è qualcosa che non va me ne rendo conto subito.

Sentirai la pressione? Questo quartetto ha davvero grandi possibilità…

Per adesso no, anche perché io dico che ancora non so se ci andrò. Ma credo che la sentirò, come tutti del resto. Poi di base io avverto molto la pressione e anche per questo mi rivolgo spesso a Fred Morini (il fisioterapista della nazionale ndr). Lui mi fa i massaggi, mi mette il taping, ma soprattutto sa come farmi rilassare. Sono due anni che è con noi e mi conosce bene.

Miriam Vece, Migle Marozaite, velocità, europei Plovdiv 2020

Vece, valigia, risate e gambe d’acciaio

17.11.2020
5 min
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Parlare con Miriam Vece è uno spasso. Forse perché è abituata all’esilio svizzero e non vedeva l’ora di parlare un po’ italiano. Oppure perché come ogni velocista che si rispetti, ha in circolo la giusta dose di follia. La sua storia è singolare e qualcuno l’ha gia raccontata. Ma un po’ di compagnia non guasta, per cui dopo gli europei abbiamo bussato alla sua porta, trovandola in Italia, prima che sparisca nuovamente in Svizzera.

Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Miriam Vece, un bel sorriso dopo il bronzo nei 500 metri
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Il bronzo nei 500 metri vale un bel sorriso

Le cose vanno così. Miriam vive a Romanengo, provincia di Cremona. E quando inizia a correre, si rende conto che la salita non fa al caso suo. In più dicono che la mischia delle volate la renda nervosa e così pensa di passare alla pista. Non immagina ancora che cosa significhi in Italia essere una velocista, ma lo scopre alla svelta. Infatti nel 2018, anno in cui vince due titoli europei U23 nei 500 metri e nella velocità, il cittì Salvoldi le propone di entrare nel centro Uci di Aigle. Qua non avrebbe compagne con cui allenarsi, ad eccezione di Elena Bissolati con cui divide i ritiri azzurri. Lassù migliorerà di certo. Il dado è tratto e a fine 2018 scatta il piano. I risultati iniziano a vedersi. Ai Giochi Europei di Minsk 2019 arriva il bronzo nei 500 metri. Agli europei dello stesso anno, l’argento nei 500 metri e il bronzo nella velocità. Ai mondiali di Berlino 2020 il bronzo nei 500 metri. Mentre ai recenti campionati europei di Plovdiv, Miriam è rimasta fuori d’un soffio dalla semifinale della velocità e ha preso il bronzo nei 500 metri, a 50 centesimi dall’argento.

Perché sei una velocista?

Correvo su strada e ho visto che la salita non mi piaceva. Non ci ho messo tanto, giusto tre gare da junior (ride di una risata contagiosa, ndr).

Così hai scelto la specialità meno affollata d’Italia…

Quella è proprio la parte più dura. Sei da sola. In palestra. In pista. Un mondo completamente diverso. Stando in Svizzera almeno c’è un gruppetto di 5-6 ragazzi con cui scambiare due parole.

Miriam Vece, 500 mt, europei pista 2020
E’ il momento di lanciarsi, una spinta e si va…
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Pronta a scattare, una spinta e si va
Come funziona la settimana lassù?

Di solito tutte le mattine, rulli o wattbike (una bici statica su cui fare potenziamento, ndr). Poi due sessioni a settimana in palestra. Due o tre sessioni in pista. Il sabato uscita su strada e la domenica riposo.

Sembra divertente quanto un corso ufficiali! Certo immaginando gli stradisti che escono e fanno ripetute all’aria aperta…

A volte è divertente anche un allenamento durissimo (sorride, ndr), ma il caffè al bar ci tocca soltanto il sabato.

A cosa pensi vedendo il vuoto di vocazioni nella tua specialità?

Penso che se faccio risultato, si crea movimento, ma la vedo dura. Penso che in Italia non ci sia la mentalità, perché si tratterebbe di abbandonare la strada. E poi le ragazzine hanno l’esempio della Paternoster e del quartetto. E da quest’altra parte ci siamo soltanto Elena ed io.

Di recente Daniela Isetti, candidata alle elezioni federali, ha detto di voler potenziare il settore velocità perché assegna parecchie medaglie olimpiche.

Ci sono tre medaglie, non poche. Ma c’è anche l’adrenalina e l’emozione. L’ansia prima della gara, la concentrazione. Non sono discipline banali.

Si percepisce il cambio di passo. Sulla logistica si può scherzare, ma la passione è una cosa seria. La fatica quotidiana per andare più forte è un fronte su cui non si transige. Ed è giusto così.

Serve tanta forza. Con quali rapporti gareggi?

Nei 500 metri, uso il 56×15, che è il più agile e i permette di guadagnare nel primo giro. Nei 200 invece passo al 62×15.

Su strada si guarda al rapporto potenza/peso: nella velocità?

Il peso non incide tanto, ti agevola solo nelle partenze da fermo. Ma sono altre le cose da guardare, fra tecnica e forza.

Gli scalatori sognano Pantani, i velocisti vanno appresso a Sagan. E tu?

Per me c’è solo Miriam Welte, anche se ha smesso. Un po’ perché si chiama come me. Un po’ perché nella velocità olimpica fa il primo giro come me. E poi perché ha vinto il mondiale nei 500 metri che sono la mia specialità.

Ti senti con Salvoldi o sei completamente in mano agli svizzeri?

E’ stato Dino a darmi la possibilità di andare su e ci sentiamo spesso, anche se il lavoro lo impostano i tecnici di Aigle.

Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Due velociste azzurre: Miriam Vece ed Elena Bissolati
Miriam Vece, Elena Bissolati, europei pista 2019, velocità olimpica
Elena Bissolati e Miriam Vece, poi quasi il vuoto…
Torni spesso a casa?

Poco, prima delle gare o un weekend al mese.

Corri mai su strada?

Non farebbe male, ma vanno forte e anche solo stare in gruppo sarebbe una faticaccia.

Com’è la sistemazione di Miriam Vece nella… caserma Uci?

Stanza singola per tutti e da quest’anno il bagno in camera. Il bagno in corridoio era proprio brutto (risata argentina, ndr).

E dove si mangia?

Per fortuna adesso si mangia nel dormitorio, grazie al Covid (sospiro di sollievo, ndr). Prima si faceva tutto in pista e non era proprio simpatico. Adesso almeno mi sveglio coi miei tempi, faccio colazione, mi preparo…

A che ora ti svegli?

Alle 8 per essere in pista alle 10.

E la sera cosa si fa?

Gran vita (scoppia a ridere, ndr). Giochiamo a carte, Play Station, internet, televisione. Nei weekend si fa magari un giro sul lago. Praticamente è come essere in ritiro a vita.

E quest’inverno?

Non sappiamo molto, non si sa quando si faranno gli europei ed è certo che non ci saranno gare di classe 1 e 2. Starò un po’ a casa, poi tornerò a Aigle. Meglio non perdere tempo.

Questa intervista è stata davvero uno spasso…

Non sono una delle più forti, ma almeno sono divertente.

Ma la domanda a questo punto è la seguente: la permanenza di Miriam Vece in Svizzera finirà dopo Tokyo oppure è un… ergastolo?

Da una parte spero sia un ergastolo. Sono arrivata su che stavo già facendo dei buoni tempi grazie alla preparazione con Dino, poi da quando son lì sono in continuo miglioramento. E francamente credo sia uno dei pochi modi per vedere fino a dove posso arrivare.

Elia Viviani, Rio 2016

Viviani, come si passa dalla strada alla pista?

14.11.2020
3 min
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L’ultimo concetto approfondito con Elia Viviani in tema di preparazione riguardava il tempo necessario affinché i lavori più duri su pista si trasformino in vantaggi su strada. Resta però aperta una questione molto importante legata alla posizione in bicicletta, dato che le ultime tendenze hanno reso molto più esasperato l’assetto in sella del pistard.

Elia Viviani, Rio 2016
Rispetto a Rio, la bici per prove di gruppo è più lunga di 3 centimentri
Elia Viviani, Rio 2016
Rispetto a Rio, la bici per prove di gruppo è diversa
Com’è passare dalla bici da strada a quella da pista e viceversa?

Non è mai stato traumatico, vediamo se lo diventa con il passare del tempo. Ora in pista si spingono rapporti esagerati e la posizione non è certo da meno. La bici della corsa a punti, uguale per uomini e donne, ha il telaio di 3 centimetri più lungo rispetto a quella di Rio. Si chiama Maat, in più ha il manubrio da 38 anziché da 42 come su strada e i cornetti che ci sono in cima servono per piegarsi di più. Si deve essere aerodinamici al massimo anche nelle prove di gruppo, quindi si fa in modo di allungarsi al limite.

Elia Viviani, manubrio bici De Rosa, 2020
Il manubrio da strada di Viviani è largo 42, quello da pista scende a 38
Elia Viviani, manubrio bici De Rosa, 2020
Manubrio da strada da 42, per Viviani, in pista da 38
Parlavi dei rapporti.

A Rio ho usato il 53-54×14 adesso mi pare si stiano allungando anche quelli. Ma siccome l’incognita del passaggio fra le due bici ce l’ho ben presente, si è deciso che in tutti i ritiri avrò con me la bici da pista, fosse anche per farci i rulli al mattino o quando è brutto. Saremo nell’anno olimpico e questa attitudine va coltivata.

La posizione sulla tua De Rosa da strada è cambiata in parallelo o quella non si tocca?

Non la tocco da quando sono neopro’. L’altezza di sella e l’inclinazione non si cambiano, altrimenti lo pago con le ginocchia. L’altezza del manubrio l’abbiamo sistemata a fine 2015 con Sky ed è perfetta. Pedivelle da 172,5 su strada e su pista e il 54 che ormai usano tutti i velocisti.

Non solo i velocisti, a dire il vero.

Sono stati gli ultimi uomini del treno a usare il 54 o il 55 per fare delle progressioni più regolari. Poi di riflesso anche i velocisti. Ai campionati italiani sono rimasto colpito dal fatto che Nizzolo abbia usato il 56, però ha un senso. Solo di recente Giacomo ha un treno, per cui dovendo fare le volate di rimonta da dietro, il 56 si spinge bene. E se viene duro, puoi sempre usare il 12. 

Elia Viviani, Tre Sere di Pordenone 2020, De Rosa

Elia, la settimana tipo tra Monaco e la pista

14.11.2020
4 min
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Dopo tre giorni a Brunico in una spa con Elena Cecchini, rilassandosi, mangiando e bevendo del buon vino, Elia Viviani è tornato a Monaco. E in attesa che con la prossima si concluda la quarta settimana senza bici, il veronese della Cofidis ha… sbobinato l’ultima stagione, cercando le responsabilità della prima volta senza vittorie da quando è nato.

«Non fare gli europei in pista – dice – è stata una buona idea, avrei avuto più dubbi che altro. Nel 2020 ho fatto 70 giorni di gare. Magari ti viene la voglia di recuperare qualcosa, ma non sarebbe stato intelligente farlo».

Come procede il debriefing?

Ci stiamo confrontando su cosa non è andato, con il team e anche con me. Bisogna essere obiettivi e capire perché non avessi nelle gambe quel che cercavo.

Villa dice che è stata la mancanza dei lavori in pista.

Ci sta che abbia ragione. La regolarità in pista e i lavori ad alto lattato nelle gambe sarebbero serviti. Li abbiamo fatti dopo il Tour, ma ormai era tardi ed è stato un inseguire. Da questo inverno in avanti ci sarà molta più pista nei miei allenamenti. Farò un primo mese su strada, poi inizierò delle sedute di tre giorni a Montichiari. 

Viviani al Tour
Tanto lavoro in salita per Sanremo e Tour de France: un errore?
Viviani al Tour
Tanto lavoro in salita prima del Tour
Per forza fino a Montichiari?

In Francia c’è il velodromo di Hyeres, che però è semi-coperto. Allora, tanto vale andare a Montichiari per tre giorni e poi tornare a casa per lavorare su strada. Farò le cose con semplicità, senza cercare la luna. L’errore quest’anno potrebbe essere stato causato dalla Sanremo.

Vale a dire?

E’ la corsa dei miei sogni. Per vincerla il velocista deve superare bene le salite. In più c’era il percorso del Tour, che anche nelle tappe cosiddette piatte, aveva mille salitelle. Così, anziché andare in pista, ho puntato su Livigno. Mi ha sempre fatto bene. Però probabilmente ho privilegiato resistenza e salita a scapito della brillantezza. Ricordate cosa avevo detto alla ripresa?

Che non erano ammessi errori?

Dissi che chi arrivava alla ripresa un po’ indietro era spacciato. Non credo alla sfortuna o a una stagione maledetta: quelli che hanno vinto sono gli unici ad aver lavorato giusto. A parziale discolpa, c’è il fatto che non ero mai restato così a lungo senza correre e che ho sempre odiato l’indoor cycling, i rulli.

Come è fatta la settimana di Elia fra strada e pista?

Ragioniamo da lunedì a domenica. E siccome la pista è quella in cui si fatica di più, soprattutto a inizio stagione, diciamo che i tre giorni di Montichiari vanno da lunedì a mercoledì. Per cui, viaggiando da Monaco il lunedì mattina, immaginiamo cinque sessioni di lavoro, ogni sessione mezza giornata.

Primo giorno.

Lunedì pomeriggio. Si parte piano, è il ritorno in pista. Si gira dietro moto e poi si fanno tanti sprint lanciati. Di solito ci sono Villa, oppure Fabio Masotti e Diego Bragato. Non bisogna sovraccaricare le gambe. Per cui si usa la bici da corsa a punti.

Secondo giorno.

Martedì mattina. Prima si fa riscaldamento, quello c’è sempre. Poi faccio 20 partenze da fermo, in cinque serie da quattro. Ed è un carico che fa esplodere le gambe. Si fanno in piedi. Da seduto. Per mezzo giro. Per un giro intero. Usiamo la bici del quartetto, con rapporti che inizialmente sono il 60×16-17. E poi aumentando con il 60×14-13-12 che poi sono i rapporti con cui facciamo i lavori di forza.

E il pomeriggio?

Bisogna recuperare e metabolizzare gli sforzi del mattino. Per cui si fa velocizzazione e poi magari lavori con il quartetto per 4-5.000 metri a pedalate da gara, ma con rapporti più agili.

Fernando Gaviria, Elia Viviani, Vieste, Giro d'Italia 2020
Al Tour e poi al Giro ad Elia è mancata la brillantezza in volata
Fernando Gaviria, Elia Viviani, Vieste, Giro d'Italia 2020
Al Giro gli è mancata la brillantezza
Siamo arrivati a mercoledì.

Si fanno lavori di forza lanciati. Di solito 4-5.000 metri con il 60×12 al 90% del ritmo gara. Mentre il pomeriggio, tenendo conto del fatto che poi dovrò guidare, uso la bici della corsa a punti e faccio una mezz’ora di americana, perché il meccanismo del cambio va comunque allenato.

Tre giorni belli tosti, niente da dire. E il giovedì sei di nuovo a casa?

Ed è un bel giorno di riposo. Si fa al massimo il giro caffè, un paio d’ore. Che poi adesso i bar sono chiusi…

Cosa fai il venerdì?

Tre o quattro ore su strada, aggiungendo 5 volate lanciate nell’ultima ora. Sforzi di 15 secondi e se non c’è la moto da cui lanciarmi, cerco strade che scendono leggermente.

Ecco il weekend. Sabato…

Lavori brevi in salita, tipo le ripetute 40-20 o uno dei tantissimi lavori che si possono fare. Ma visto che la forza l’ho fatta bene in pista, su strada non carico troppo. Tenete conto però che non vado in pista se prima non ho raggiunto un certo livello.

Caro Elia, non resta che la domenica.

In cui faccio cinque ore con un po’ di salite, guardando il panorama. Solo ore e resistenza. Arrivo a sette ore solo se c’è da preparare una classica.

Dopo quanto tempo ti ritrovi nelle gambe i frutti di quei… lavoracci?

Un paio di mesi. Se faccio dicembre e gennaio, me li ritrovo a febbraio-marzo.

Quella brillantezza ti è mancata su strada?

Fa parte della nostra analisi. Puoi fare il picco a 110 pedalate, come a 125 che ovviamente è meglio. Ma se resti in piedi fino a 117 e poi ti siedi, ovvio che qualcosa manca e perdi lo spunto.

Fin qui, dunque, la parte atletica. Ma il file è ancora pesante, per cui vale la pena spezzarlo. Nell’articolo correlato, si parlerà dunque di come siano cambiate le posizioni in sella dai giorni di Rio e delle scelte per la stagione che viene.

Dino Salvoldi, Martina Alzini, Martina Fidanza

Salvoldi, a Plovdiv per chiudere in bellezza

11.11.2020
3 min
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Per le ragazze di Salvoldi, gli europei di Plovdiv saranno l’ultimo sforzo della stagione. Non essendo previste le prove di Coppa del mondo, dopo le gare bulgare inizierà finalmente il meritato riposo. Per il tecnico lombardo l’ultima non è stata certo un’annata serena, per cui parlare di sport è il modo migliore per andare avanti, tenendone fuori altri discorsi più adatti semmai ad altre sedi.

Il gruppo appena arrivato in Bulgaria è forte delle sue migliori individualità, con l’eccezione di Letizia Paternoster, rientrata in gara ai campionati italiani del 31 ottobre e poi spedita in Spagna per la Vuelta assieme ad altre azzurre come Balsamo e Consonni.

Dino, con quali ambizioni siamo in Bulgaria?

La qualità del gruppo ci consente sempre di gareggiare per qualcosa di importante, nonostante il contesto non ci abbia consentito di lavorare e progredire come volevamo.

Che cosa intendi?

Siamo stati fermi per due mesi. A maggio siamo andati avanti con allenamenti individuali. I due mesi prima che riprendessero le corse su strada sono stati i più proficui sul piano tecnico. Abbiamo fatto lavori specifici, migliorato le posizioni, quello che altrimenti si ha poco tempo per fare.

Rachele Barbieri, Martina Alzini
Per Rachele Barbieri e Martina Alzini, defaticamento sui rulli
Rachele Barbieri
Rachele Barbieri, defaticamento sui rulli
Tutto senza Paternoster…

E’ stata la sola eccezione alla normalità. L’aspetto positivo è che finalmente non ha più male al ginocchio.

Obiettivo Tokyo?

Facendo però una considerazione. Non ho mai fatto segreto dicendo che le Olimpiadi per noi rappresentano un passaggio importante, ma intermedio. Per questo gruppo si tratta della prima volta, per cui non sarà facile garantire il risultato al cospetto di avversarie al top che magari proprio a Tokyo saranno al culmine della propria parabola atletica. Andiamo per fare il nostro meglio, per fare esperienza e con l’idea di dominare nel 2024. Cercando di fare del nostro meglio per primeggiare in questo nuovo ciclismo globale.

Martina Alzini
Martina Alzini correrà l’inseguimento a squadre
Martina Alzini
Alzini per il quartetto
Chiarisci il concetto?

Se fossimo una squadra come accade nel calcio, potremmo allenarci sempre insieme e saremmo in grado di pianificare meglio il lavoro. Dipende dalla cultura sportiva del Paese in cui nasci. Il contesto italiano per certi versi è splendido, per altri ha dei limiti che con il passare del tempo si acuiscono. Il reclutamento da noi avviene tramite le società sportive, basate spesso sul volontariato ma senza una grande competenza tecnica. All’estero ci sono dei centri federali in ogni città, in cui si viene immessi da subito in un percorso più qualificato. Senza che la strada abbia il peso che ha da noi.

Anche fra le ragazze è così?

In questo momento per fortuna c’è grande collaborazione con i team. Più che fra gli uomini si riesce ad avere una buona alternanza, ma tanto è merito loro. Sono campionesse, hanno vinto i loro titoli, riescono a guadagnarci qualcosa e di conseguenza impongono la loro voce anche nei club.

Dino Salvoldi, Martina Fidanza, Montichiari, 2020
Ripetute per Martina Fidanza a Montichiari
Dino Salvoldi, Martina Fidanza, Montichiari, 2020
A Montichiari, ripetute per Martina Fidanza
Come fai a farle andare d’accordo, così tante e così forti?

Ne parliamo spesso insieme. Sono consapevoli loro per prime della qualità di ciascuna e sanno che il posto si guadagna con i tempi. Detto questo, sta a noi ricercare l’equilibrio affinché nessuna si senta esclusa. Devo dire che funziona. Quest’anno è entrata forte anche Silvia Zanardi, c’è da lavorare perché tutto giri nel modo giusto.

Catena massiccia per resistere alle frustate

11.11.2020
2 min
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Quando si parla di velocità, di pista, di scorrevolezza si pensa quasi sempre all’aerodinamica. Certo, riuscire a fendere l’aria in modo efficiente conta eccome, ma non è la sola cosa. Il ciclismo di oggi si sta “formulaunizzando”: per fare la differenza si ricorre ai dettagli. E’ più facile migliorare 10” che una volta arrivati al limite migliorare 3 decimi. E questi decimi si possono “trovare” nella catena.

Nel blitz fatto a Montichiari una delle cose che più ha destato la nostra attenzione è stata la trasmissione.

Catene massicce

Rispetto alle bici da strada, quelle su pista hanno una catena decisamente più massiccia: è più larga e le maglie sono più robuste. Come i pignoni del resto. Il perché è presto detto. I pistard scaricano sui pedali una forza enorme e lo fanno in modo violento, specie nelle partenze. Inoltre il rapporto è fisso, non c’è bilanciere che possa “attutire” tensioni maggiori. Pertanto la trasmissione deve essere “robusta” e affidabile. Quando nelle partenze arrivano quelle frustate da 1800 watt devono resistere e trasmettere al meglio l’energia.

Maglie più larghe e robuste, così come i denti
Maglie più larghe e robuste, così come i denti

Lubrificazione al dettaglio

E poi subentra il discorso delle tensione e della lubrifricazione, che più di tutti incidono sulla scorrevolezza.

«Le catene che i ragazzi utilizzano sulle Pinarello da gara – spiega Massimo Cisotto, meccanico degli azzurri – sono trattate diversamente. Vengono lubrificate con molta cura. Nessuna “pozione magica”, si utilizzano prodotti d mercato, ma che vanno ricercati con cura. Tuttavia una vera lubrificazione parte da una pulizia accurata della catena, perché se è sporca o oliata male finisce che è peggio. Rispetto alla strada sul parquet si tira su polvere e finissime particelle di legno, “segatura”».

Tensionatura

«Poi c’è la tensionatura – riprende Cisotto – Noi ormai andiamo ad occhio e sappiamo individuare quella migliore. Se infatti la catena è toppo tirata aumenta l’attrito delle maglie sui denti. E si perde qualche watt. Può capitare che nel quartetto qualcuno tenda averla un po’ più tesa, perché si dice che si avverte il “ritorno” del pedale e quando si sta a ruota si spende meno, ma parliamo davvero di sensazioni minime, che influiscono pochissimo.

«Se al contrario è troppo lenta al contrario c’è dispersione e si rischia che la catena salti, ma è davvero difficile che possa succedere in pista». Questo rischio semmai si verifica soprattutto nelle fasi di lancio.

Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020

Cassani, il cross e un cambio di mentalità

10.11.2020
4 min
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Il ranking Uci aggiornato al 3 novembre, facciamo notare a Cassani, dietro gli sloveni Pogacar e Roglic, vede 4 corridori (Van Aert, Fuglsang, Van Der Poel, Alaphilippe) uniti da un comune denominatore. Hanno tutti un passato, che per alcuni è anche un presente, di campioni anche in altre specialità ciclistiche. Sono i leader di una nuova tipologia di ciclista, che non vede più la bici da strada come unico strumento per la propria attività e che ha nella multidisciplinarietà un caposaldo della propria evoluzione. Secondo Fausto Scotti qui da noi si tratta più di una chimera che di una prospettiva concreta. Ma è un concetto che nel ciclismo attuale è diventato fondamentale per capire la crescita di Paesi che non hanno una tradizione radicata come la nostra.

Il rilancio del ciclismo italiano deve passare obbligatoriamente attraverso questa nuova cultura e Davide Cassani, coordinatore delle attività nazionali oltre che cittì azzurro su strada (che nella foto di apertura è con Nizzolo fresco campione europeo), lo sa bene. Sin dall’inizio del suo mandato sta lavorando sulla base del movimento per rimodellarla su nuovi parametri.

«Il principio di base è che la bici è una – dice Cassani – ma può variare nel modello e nell’utilizzo. Per i bambini pedalare a lungo può essere noioso. L’attenzione ha un tempo limitato, hanno bisogno di cambiare spesso. Le caratteristiche specifiche emergeranno poi e chi continuerà potrà indirizzarsi verso la disciplina che più gli si adatta. E’ chiaro che poi bisogna scegliere, perché casi come Van der Poel o Van Aert sono più unici che rari. Ma sono molti i professionisti che d’estate fanno uscite in Mtb per cambiare e affinare la capacità di guida. Gli stessi Ganna e Viviani, attraverso la pista, sono cresciuti anche su strada.

Matteo Trentin, San Fior 2016
Trentin si è dedicato al cross, ma sempre meno con il passare degli anni (foto Billiani)
San Fior 2016, Trentin e il cross (foto Billiani)
Nazioni come la Francia hanno sempre basato lo sviluppo partendo dai bambini con le Bmx: sarebbe un primo passo attuabile anche in Italia?

Sarebbe sicuramente un grande passo avanti e si sta lavorando in tal senso. La Bmx si basa principalmente sul divertimento in spazi sicuri e ristretti. Il problema italiano è che mancano gli impianti, ma dall’inizio del mio incarico la situazione è migliorata, ora ne stanno costruendo due a Imola e Sant’Ermete, ultimamente ne ho visitato uno di 5.000 metri quadri, utilizzato anche per Mtb ed enduro, che ha richiamato oltre 80 bambini. E’ attraverso iniziative simili che si allarga la base di praticanti. Ne servirebbero sicuramente di più, ma è importante anche il lavoro dei volontari, tutto l’ambiente deve contribuire. E’ necessario però che siano i tecnici sul campo a mettere in pratica questo concetto, non indirizzando troppo presto i ragazzi verso la strada.

Elia Viviani 2019
La pista ha dato a Viviani armi infallibili su strada
Elia Viviani 2019
La pista ha dato tanto su strada a Viviani
Dall’ambiente del ciclocross arrivano spesso lamentele in questo senso e si citano esempi come Trentin e Aru…

Nel ciclocross, dopo l’uscita di scena di Pontoni e Bramati, abbiamo perso molti anni. Ora i numeri stanno crescendo, ma ci vorrà tempo per tornare a quei livelli. Intanto però ci sono molti giovani interessanti e alcuni di loro potrebbero trovare spazio anche su strada. Abbinare le due discipline ad alto livello è pressoché impossibile, la strada ormai va avanti da febbraio a ottobre, però il ciclocross può essere utile come forma di allenamento, permette di fare lavori diversi e molto utili. Lo stesso Alaphilippe non gareggia più sui prati da anni, ma non ha mai smesso di usare quella bici.

Quanto si dovrà attendere secondo Cassani per trovare un italiano capace di emergere su strada e in altre specialità?

Ci vorrà un intero quadriennio olimpico, poi qualcosa comincerà ad emergere. Ogni cosa ha i suoi tempi, molti giovani ad esempio passano al professionismo troppo presto, non avendo le basi per poi restare a quei livelli. Noi abbiamo perso un’intera generazione di scalatori perché per anni il calendario U23 prevedeva una sola corsa a tappe, il Giro della Val d’Aosta. Ora che da qualche anno è tornato il Giro d’Italia di categoria, cominciamo a vedere qualche nuovo talento, ma bisogna avere pazienza.