Prima in volata. Per Elisa Longo Borghini non è un esito abituale, per questo ieri sera, dopo la vittoria a Black Mountain al The Women’s Tour, la piemontese era particolarmente soddisfatta. Nei messaggi che si scambiano fra atleti e giornalisti, la promessa che prima o poi le avrebbe battute anche allo sprint circolava da tempo come una scommessa, che ieri si è concretizzata.
Certo non si può dire che la Longo abbia vinto una volata in pianura: Black Mountain è comunque una salita di 7,2 chilometri, con pendenza media del 5,3 per cento e punte al 21. Ma chi ha visto lo sprint e poi lo ha rivisto ancora, potrebbe essersi stupito per la lunghezza della sua azione sui pedali. Anche questa poco abituale.
Il punto con Slongo
Così, lasciando in pace Elisa, che attualmente occupa la prima posizione della classifica a pari tempo con Grace Brown e oggi è attesa dall’ultima tappa per velociste, abbiamo rotto un po’ le scatole a Paolo Slongo. Il veneto si trova invece al Delfinato e davanti ha il tappone di Vaujany, con il Galibier e la Croix de Fer prima della salita finale. Si darà fiducia a Tiberi, motivato dalla recente vittoria, ma si trova anche il tempo per fare il punto sulla Longo.
Paolo, ti aspettavi che Elisa potesse vincere così?
Diciamo che una volata dopo 4 chilometri di salita dura non è una volata in pianura, non per velocisti insomma. Ma mentirei se dicessi che non ci abbiamo lavorato.
Elisa si è preparata per il rientro alle gare nell’altura di Sestriere (foto Instagram)Elisa si è preparata per il rientro alle gare nell’altura di Sestriere (foto Instagram)
Racconta, allora…
Dopo la vittoria della Roubaix, c’è stato un lungo periodo di stacco. Venti giorni, la durata del Giro d’Italia, in cui lei un po’ ha riposato e un po’ è andata in altura a Sestriere. Ha lavorato bene, non le manca la voglia di fare le cose per bene. Ci eravamo lasciati con l’impegno di tornare subito competitivi, per non dover soffrire a ritrovare la condizione. E proprio a Sestriere è arrivata la novità.
Che sarebbe?
Per la prima volta in carriera, credo, Elisa ha fatto tre giorni di lavoro dietro moto in salita, come quelli che facevo al San Pellegrino con Vincenzo (Nibali, ndr). E quelli, parlo per esperienza, se fatti bene, pagano sempre.
Davvero era la prima volta?
Elisa ha lavorato spesso dietro moto per preparare le crono, ma in salita se non era la prima volta, sarà stata sicuramente una delle prime.
Longo Borghini si è seduta soltanto negli ultimi 10 metri per tagliare la riga
La Trek-Segafredo ieri ha lavorato per lei, portandola alla salita nella posizione migliore
Longo Borghini si è seduta soltanto negli ultimi 10 metri per tagliare la riga
La Trek-Segafredo ieri ha lavorato per lei, portandola alla salita nella posizione migliore
Che tipo di lavori ha fatto?
Tutti incentrati sul cambio di ritmo, per simulare la gara. Devi fare scatti di 20″-30″ fuori dalla moto. E quando ti riaccodi, la moto va però a velocità di gara.
Ideale per cercare brillantezza?
Già negli ultimi tempi era migliorata grazie alle partenze da ferma, ma certo se nasci con fibre non troppo bianche, quindi sei un’atleta più resistente che esplosiva, il miglioramento oltre un certo limite non arriva. Diverso se parliamo anche di consapevolezza e tattica. A questo aggiungete il fattore del peso.
Sul traguardo di Black Mountain, la soddisfazione di una vittoria allo sprintSul traguardo di Black Mountain, la soddisfazione di una vittoria allo sprint
Ne avevamo parlato prima delle classiche…
Esatto, ci eravamo detti che per certe corse non fosse un fronte particolarmente sensibile. Invece questa volta, senza aver fatto chissà quali rinunce, siamo scesi di 2 chili. E questi aiutano a essere più efficienti e brillanti, soprattutto nel fare certe azioni.
Prossimo step il Giro d’Italia?
Prima il tricolore crono, che vuole fare bene. Poi quello su strada, che è da capire, perché è piatto come un biliardo. E poi sarà tempo per il Giro d’Italia.
Lo aveva detto Visconti l’ultima volta che l’abbiamo incontrato: «Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo dell’allenamento di quantità, ora si fa tanta qualità».
Le sue parole si sono sommate all’osservazione di abitudini diverse. Il rendersi conto che quasi più nessuno fa le vecchie distanze di sette ore. E che sempre meno corridori alla vigilia di una corsa importante aggiungono ore o chilometri alle gare precedenti. L’eccezione ovviamente c’è sempre, dato che dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali (di 147 chilometri), Van der Poel se ne è tornato a Riccione in bicicletta (40 chilometri), per poi vincere a Waregem.
Dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel ha allungato di 40 chilometri fino all’hotelDopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel è tornato in hotel in bici
Un limite alle ore
Di questo e delle nuove tendenze parliamo con Paolo Slongo, una vita con Vincenzo Nibali e ora nello staff della Trek-Segafredo (in apertura Pedersen e Stuyven ieri in allenamento sul percorso del Giro delle Fiandre). Il progresso di cui parla Visconti si è verificato tutto sommato in un periodo limitato che il trevigiano ha attraversato adattando le metodiche di lavoro.
«Ho sempre detto – spiega – che all’inizio della carriera magari fai un incremento progressivo di ore. Poi arrivi a sommare tante stagioni di professionismo, com’è stato per Visconti e Nibali e chi ha qualche anno sulle spalle, e non puoi aumentarle di tanto. Comunque più di 25-30 ore al massimo per settimana non riesci a farle. Così vai ad aumentare la qualità».
Vincenzo Nibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedentiNibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedenti
Mantenendo il tempo di allenamento?
Siccome quello resta uguale, aumenti la qualità. In teoria un bravo allenatore dovrebbe aumentarla gradualmente. Se l’anno scorso il corridore faceva dei volumi, quest’anno ne farà un po’ di più. Quindi devi avere sotto controllo tutti questi aspetti. Anche 10-15 anni fa c’era questa attenzione, ma era meno esasperata. Se l’atleta ha l’attitudine mentale di vivere per un po’ di anni solo per la bici, tra preparatori, alture e nutrizionisti, se è in grado di… esasperare il suo lavoro, riesce davvero a fare la differenza. Ci sono vari modi di interpretare le cose. Quello che cambia è altro.
Che cosa?
Si è passati dall’allenamento classico a qualcosa di diverso. Lo schema di una volta rimane ancora come scuola di pensiero: un allenamento graduale, sia di qualità che di quantità. Due-tre giorni di carico e uno di scarico. Due-tre settimane di carico e una di scarico. Oggi oltre a questo ci sono altre opzioni.
Quali?
Ho letto che Van Aert fa l’allenamento inverso, nel senso che inizia proprio d’inverno a fare qualità senza aver una base di lavoro, che farà in un secondo tempo. E’ quello che ho visto fare lo scorso anno da Nibali, anche se non lo seguivo più. E poi c’è un terzo modo di allenarsi, più vicino alle squadre anglosassoni ed è quello polarizzato.
Nel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inversoNel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inverso
In cosa consiste?
Fanno una settimana di qualità o potete chiamarla anaerobica o di VO2Max, prevedendo un blocco di lavoro di soglia, fuori soglia o magari capita anche la gara che sarebbe l’ideale. Nelle due settimane restanti fanno tantissimo volume di lavoro, tante ore quasi senza riposi, lavorando prevalentemente su frequenze aerobiche. Fai tanta sella, tanto medio, tanto lungo, quindi un lavoro più blando. E poi ricominci allo stesso modo.
Perché questa divisione?
Partono dal presupposto che la parte aerobica inizi a perderla in due settimane, invece quella anaerobica la mantieni per più di tre. Quindi da una volta che si aveva l’allenamento classico un po’ per tutti, adesso ci sono queste possibilità. Vi dirò che l’allenamento inverso lo faceva già qualche russo o negli anni della DDR, è una cosa già vista. Invece il polarizzato è più recente e secondo me è nato prevalentemente col ciclismo inglese.
Sono schemi cui gli atleti si adattano tutti allo stesso modo?
Il punto è questo. Qua secondo me la differenza sta nella bravura di conoscere l’atleta e fargli il metodo su misura. Van Aert ha dichiarato di allenarsi al contrario degli altri con il programma inverso, che con lui funziona. Altri hanno provato lo scorso anno, ma non hanno raccolto i frutti sperati. Ognuno deve assecondare le sue caratteristiche, anche perché quel metodo a Van Aert probabilmente va bene perché d’inverno vuole essere già brillante per il ciclocross.
La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)
Il polarizzato può funzionare anche durante la stagione?
Per chi lo fa a livello professionistico, direi proprio di sì. Se uno fa per esempio la Coppi e Bartali e Larciano, che si possono considerare come una settimana di lavoro, nelle due settimane successive comunque starà tanto in sella. Magari senza grande intensità, però farà 25-30 ore a settimana, che vuol dire quasi 5 ore al giorno. Vige il principio che l’intensità l’hai acquisita, recuperi e ti resta. E magari a casa ti dedichi alla parte che tendi a perdere, quella più aerobica.
Come cambia la situazione se l’atleta è molto giovane?
Il principio resta uguale, ma per i carichi di lavoro farà meno di un corridore che ha 5 anni di più. Come ad esempio la Balsamo sta facendo meno della Longo Borghini, perché la Longo Borghini ogni anno ha aumentato di un po’. La Balsamo che è più giovane e ha un’altra storia, fa molto meno, ma fra 5 anni dovrà anche lei arrivare a volumi superiori.
Questi carichi minori non li rendono però meno performanti…
No, perché ci sono altri fattori. Innanzitutto non hanno problemi di peso, perché hanno un metabolismo più veloce che consuma di più e quindi magari il chilo lo perdi più facilmente o non lo prendi neanche. Secondo punto, riescono a essere brillanti subito, prima degli altri, con meno gare e meno volume di lavoro. Gli atleti maturi diventano un po’ più diesel, hanno bisogno di più allenamento.
La misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazioneLa misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazione
Resta dunque nella soggettività il ragionamento sull’opportunità di introdurre cambiamenti nella propria preparazione dopo anni di scelte sempre uguali. Difficilmente l’atleta si stacca dallo schema che gli ha dato i risultati migliori, rinunciando forse con questo a esplorare aspetti che potrebbero essere ugualmente redditizi. Visconti aveva ragione, anche se adesso più che mai, in questo ciclismo così capillare, l’imperativo è personalizzare.
Aveva tagliato il traguardo della Strade Bianche da pochi secondi, ed Elisa Longo Borghini aveva subito voluto mettere le cose in chiaro circa la sua prestazione (un buon ottavo posto) e sul fatto che il ciclismo femminile fosse cambiato. «Il livello – disse Elisa – si è notevolmente alzato in campo femminile. Non è più come una volta, non posso pretendere di andare forte da febbraio a ottobre. Servono dei picchi di forma oggi anche per noi donne».
Effetto del WorldTour femminile. Tutto sta cambiando. E queste sue parole le abbiamo “girate” al suo preparatore, Paolo Slongo.
Paolo Slongo segue direttamente la preparazione della campionessa italianaPaolo Slongo segue direttamente la preparazione della campionessa italiana
Tre picchi
«Beh sì, Elisa ha detto bene – spiega Slongo – non può essere in forma per tutto l’anno. Storicamente Elisa era sempre costante, in una buona condizione per tutto l’arco della stagione. In qualche appuntamento prefissato andava un pelo di più ed in altri un pelo di meno. Ma quest’anno abbiamo voluto cambiare qualcosa».
«Abbiamo deciso di partire un po più calmi, anche con un chiletto in più di peso. Una scelta ponderata proprio per partire con più energia, per arrivare progressivamente in forma».
Slongo ha previsto quindi un crescendo per la Longo Borghini. Ma presto già potrebbe andare bene, meglio di quanto fatto in Toscana.
«Penso – spiega il coach – che già dalle classiche del Nord, nelle Ardenne, farà un bello step. Però bisogna guardare a tutta la stagione, soprattutto a una stagione che aggiunge al già fitto calendario il Tour de France».
«E poi ci sarà il Mondiale in Australia, dove comunque per le donne potrà diventare una corsa dura e quello strappo vicino all’arrivo ne fa una corsa che le si addice».
Insomma i picchi dell’atleta della Trek Segafredo saranno tre: Ardenne, Giro-Tour che sono distanziati di una ventina di giorni l’uno dall’altro, e il mondiale a fine stagione. Ha ragione Elisa: il ciclismo femminile sta cambiando e sempre più somiglia a quello degli uomini.
Per Elisa Longo Borghini un 8° posto alla Strade Bianche Per Elisa Longo Borghini un 8° posto alla Strade Bianche
Il cambio di ritmo
Ardenne, Giro, Tour… oggi per vincere serve esplosività, che è un po’ il tallone d’Achille della fuoriclasse piemontese. Ma Slongo assicura che stanno lavorando anche sotto quell’aspetto.
«Quel cambio di ritmo e la volata sono le cose che gli vengono un po’ a mancare, lo sappiamo. Ci stiamo lavorando, ma rendiamoci anche conto che ad un certo punto è anche una questione di fibre muscolari.
«Quindi sì: può sempre migliorare, però non si può cambiare quello che la natura ci ha dato. Penso che la forza di Elisa sia la resistenza».
Paolo Slongo ed Elisa proprio prima del via della corsa senesePaolo Slongo ed Elisa proprio prima del via della corsa senese
Rivoluzione mentale?
E psicologicamente, un’atleta come Elisa, sempre pronta e “abituata” ad impostare in un certo modo la sua stagione agonistica come lo recepisce un cambio così importante? E’ una bella rivoluzione a ben pensare…
«Un bel cambio sì. Ne abbiamo parlato apertamente quest’inverno – ammette Slongo – per certi aspetti mi sembra di essere tornato un po’ con Vincenzo (Nibali, ndr). Il campione vorrebbe sempre essere competitivo e quando non lo è se ne dispiace. Comunque Elisa sa che c’è un progetto, un programma ben preciso e lo vive bene».
«E poi anche alla Strade Bianche non era molto distante dalle migliori, anzi. E’ arrivata sotto l’ultima salita con le migliori sei. E questo a mio avviso è molto importante, specie se si considera che di fronte a lei ci sono dei gradini di forma da acquisire. E’ un grande segno per il prosieguo della stagione. E credo che nella sua testa anche lei pensi questa cosa».
Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne 2021Elisa nella crono del Giro del Giro d’Italia Donne 2021
Giro sì, pressione no
Slongo ha parlato di Giro d’Italia e Tour de France. Giusto ieri si è saputo qualcosa di più sulla corsa rosa. Una corsa che sulla carta sembra meno dura degli altri anni con il suo arrivo in quota del Passo Maniva. Un percorso così può far sognare la Longo Borghini.
«La nostra idea – dice Slongo – è quella di non creare pressione per quel che riguarda la classifica generale delle corse a tappe. Noi non partiamo al Giro per fare classifica. Poi vedremo come andranno le cose. Però non starei qui a fare annunci, né dichiarazioni.
«Elisa è anche un’atleta da corse di un giorno e non è sempre facile fare bene anche nella generale. Intanto pensiamo a classiche tipo Liegi e non dimentichiamo che dopo il Giro ci sarà anche il Tour».
Come Evenepoel, Grace Brown vince l'oro della crono di Zurigo dopo quello olimpico. Eppure a fine anno si ritira. E lo spiega con le lacrime agli occhi
Dall’ammiraglia dei grandi campioni tra gli uomini, a quella delle grandi campionesse tra le donne: Paolo Slongo sta vivendo nuove e stimolanti esperienze con il team WorldTour della Trek-Segafredo femminile.
Il tecnico veneto, in carriera aveva già lavorato con le ragazze. Già lo scorso anno aveva seguito il Girod’ItaliaDonneproprio dall’ammiraglia, ma i suoi impegni “di qua” sono in aumento.
Alla Volta Comunitat Valenciana Feminas, Slongo ha aperto il suo 27° anno da direttore sportivo e da preparatore. E lo ha fatto col solito entusiasmo. Lo stesso con il quale ci racconta questa avventura.
Slongo tra le sue ragazze alla Volta Comunitat Valenciana Feminas (foto Facebook)Slongo tra le sue ragazze alla Volta Comunitat Valenciana Feminas (foto Facebook)
Tattiche a confronto
«Il ciclismo – dice Slongo – resta uno sport universale sia per gli uomini che per le donne e molte cose sono simili. Cambia un po’ la strategia di gara e l’approccio. Tra gli uomini ormai il canovaccio spesso è questo: fuga, fase di controllo e chi è interessato va a chiudere.
«Nelle donne invece no, è un po’ diverso. La strategia di gara è meno delineata. E’ difficile assistere a fughe più corpose, almeno su percorsi ondulati o piatti. Di solito c’è la fuga di una o due ragazze, ma raramente l’attacco prende un largo margine. Questo perché la corsa è più controllata, non vive quasi mai una fase di stallo».
«Ho seguito il Giro Donne lo scorso anno e mi ritengo fortunato rispetto ad altre squadre, anche WorldTour, per l’organico di qualità che abbiamo ma soprattutto per l’affiatamento che ho visto tra le ragazze stesse. E’ stato davvero bello vedere che tutte erano contente per la prima vittoria della campionessa del mondo, Elisa Balsamo».
«Quel giorno Elisa si era un po’ staccata in salita, ma le ragazze hanno interpretato la corsa al meglio. Le sono state vicino, l’hanno attesa e l’hanno riportata sotto per lo sprint, che poi ha vinto. Questo per dire che anche tatticamente ho trovato un team con meccanismi ben oliati».
Che esordio per Elisa Balsamo! Primo giorno di gara del 2022, prima corsa con la Trek-Segafredo e subito una vittoriaChe esordio per Elisa Balsamo! Primo giorno di gara del 2022, prima corsa con la Trek-Segafredo e subito una vittoria
«Forse – prova a spiegare Slongo – perché ancora non sanno veramente fin dove possono arrivare… Ma parliamo di un ciclismo che sta cambiando adesso. La fuga si vede nell’attacco finale o in quelle gare che richiedono gamba. Pensiamo alla Longo Borghini lo scorso anno al Trofeo Binda».
«Per radio le ragazze comunicano molto. Anticipano radiocorsa dicendo quante atlete ci sono in fuga, chiedono, ascoltano… C’è una bella comunicazione. Noi in Trek-Segafredo abbiamo un gruppo di 13-14 elementi e si aiuta la capitana. Ma la si aiuta non in quanto leader designata o per ordine gerarchico prestabilito, ma perché quel giorno è colei che va più forte».
«Io credo che il ciclismo femminile si stia evolvendo. Che le cose siano cambiate salta anche agli occhi. Penso ai mezzi prima del via, ai bus, e vedo quasi tutti gli stessi team che ci sono tra gli uomini. Inizia ad esserci anche personale maschile. La Movistar per esempio è stata la prima ad avere i direttori sportivi degli uomini anche per le donne.
«E l’arrivo in ammiraglia di direttori sportivi che hanno alle spalle esperienze diverse cambia l’approccio alla corsa. Anche la nostra Ina-Yoko Teutenberg per esempio seguirà alcune gare degli uomini. Tutto ciò fa migliorare il movimento.
«Io ricordo quando ero il tecnico della nazionale femminile juniores e ci si affidava a qualche appassionato per fare la squadra». Come a dire che di strada se ne è fatta. Basta pensare allo stipendio minimo.
Per Slongo le tattiche sono meno delineate, ma sempre più spesso si vedono squadre in testa a tirare (qui la Movistar)Per Slongo le tattiche sono meno delineate, ma sempre più spesso si vedono squadre in testa a tirare (qui la Movistar)
Solidarietà femminile
Slongo ci porta sempre più nel cuore della corsa e del ciclismo femminile. E la differenza maggiore forse non è riposta nei watt, ma proprio nel carattere diverso tra uomini e donne.
«Quello che cambia secondo me – riprende Slongo – è che tante volte gli uomini quando hanno finito il loro lavoro, o non si sentono al top mollano. Le donne no. Queste ragazze ci muoiono sulla bici. Danno sempre il 110%. Tra gli uomini, magari fai una tattica e poi perché qualcuno non si sente benissimo molla e inceppa quel meccanismo che si era studiato. Tra le donne non succede. O è più difficile che accada».
«E poi devo dire che c’è più riconoscimento del lavoro. Gira qualche “grazie” in più… e fa piacere. Ma questo credo dipenda anche dal carattere differente fra uomini e donne. Per noi è scontato, parliamo meno… Io per primo! La Van Dijk invece alla fine della Valenciana ha ringraziato tutto lo staff e ha detto che è stato bello correre così».
Nella corsa spagnola, la Trek-Segafredo schierava un team di qualità, ma al tempo stesso molto affiatatoNella corsa spagnola, la Trek-Segafredo schierava un team di qualità, ma al tempo stesso molto affiatato
Il giro delle stanze
A Paolo chiediamo anche come si comporta nei giorni della corsa, prima e dopo la tappa. Per esempio chi va nelle stanze? Piccole cose che magari vengono sottovalutate…
«Facciamo la riunione sul bus prima della gara – conclude Slongo – mostriamo le slide sullo schermo con le criticità del percorso, stiliamo la tattica di gara. Poi la sera Ina fa il giro delle stanze e riferisce anche a me.
«Come detto, il ciclismo femminile cresce e tutto è sempre più simile al mondo degli uomini. Merito, nel nostro caso, anche di Luca Guercilena che ha gestito i ritiri con uomini e donne insieme».
Dopo la Gand di Hailu Girmay, Balsamo realizza un altro capolavoro e vince quella delle donne. Gran lavoro della Trek, ma Elisa ha una solidità meravigliosa
Viaggio nella nutrizione con Elisa Longo Borghini nei giorni dell'altura. Borracce, barrette, gel, carboidrati. Come si mangia in allenamento e in gara?
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Il Covid ci sta mettendo lo zampino nuovamente. E speriamo che si sia fermato solo alla Vuelta a San Juan, originariamente in programma dal 30 gennaio al 6 febbraio. E’ qui, dall’Argentina, che sarebbe dovuta ripartire la stagione agonistica di molti team, alcuni grandi, alcuni grandissimi, altri più piccoli come quelli locali.
La tappa sudamericana era ormai diventata un riferimento per molti atleti per iniziare la propria stagione agonistica. Il fatto che sia “saltata” come intacca i programmi dei team? Quanto incide ai fini della preparazione? Ne abbiamo parlato con alcuni tecnici: due preparatori e due diesse.
Paolo Slongo, in Argentina ai tempi dell’Astana quando si correva a San Luis. Dietro, Pizzorni, addetto stampa del team a quei tempiPaolo Slongo, in Argentina ai tempi dell’Astana quando si correva a San Luis
Slongo: stop sì, ma per tutti
Iniziamo da Paolo Slongo, che molto spesso ha aperto le danze a quelle latitudini, soprattutto ai tempi di Nibali.
«Noi – spiega il preparatore della Trek-Segafredo – avevamo un gruppo in cui c’erano soprattutto velocisti. L’idea era di farli partire con una corsa in più in vista del UAE Tour, la prima gara WorldTour dell’anno. E lavorare al caldo sarebbe stato importante. Però è anche vero che come salta per noi, salta anche per gli altri e nessuno ne trae vantaggio».
«A questo punto credo che dirotteremo su Mallorca, che non era in programma e lì recupereremo delle giornate di gara per qualche corridore. Quindi cambia sì, i programmi cambiano un po’ ma tutto è ben gestibile. Se invece dovessero saltare anche le corse del mese di febbraio si complicherebbero le cose. Ma anche in questo caso resto dell’idea che salterebbero per tutti».
«Bisogna cambiare i piani e negli ultimi anni ci siamo abituati. Li abbiamo rivisti tante volte. L’allenamento diventa fondamentale e si simulerebbe di più il ritmo gara. Tra lavori di gruppo e dietro moto si trasformano alcuni allenamenti in vere tappe.
«Noi già eravamo in ritiro e lì avevamo la possibilità di lavorare in gruppo. Magari chi doveva andare in Argentina anziché fare una settimana in meno di ritiro per partire alla volta di San Juan, resta fino alla fine».
L’aumento dei casi Covid ha indotto le autorità locali a fermare la corsa
Cucinotta: tutto sotto controllo
Più o meno dello stesso parere di Slongo è Claudio Cucinotta. Per il preparatore dell’Astana tutto è ancora sotto controllo…
«Alcuni dei nostri corridori avrebbero dovuto riprendere dall’Argentina, ma anche per altre squadre è così. Vediamo se ripartire dal Saudi Tour o dall’Oman, come gare alternative. Ma non bisogna essere troppo preoccupati. Il calendario è folto sin da febbraio e alla fine si tratta d’iniziare una settimana o dieci giorni dopo. In più noi non saremmo andati con una squadra di big.
«La preparazione per ora resta quella di base. Non andremmo a rimpiazzare quel periodo con della qualità, ma facendo appunto ancora della “base”. Tanto più che per San Juan nessuno sarebbe andato per finalizzare. Magari qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa di più ed era leggermente più avanti, ma ripeto, cambia poco… Se salta solo l’Argentina. Rimescoleremo un po’ i vari partecipanti nelle varie gare».
Miguel Florez, vince sull’Alto del Colorado per l’allora Androni GiocattoliMiguel Florez, vince sull’Alto del Colorado per l’allora Androni Giocattoli
Spezialetti: allenarsi e vincere
«Cosa cambia senza l’Argentina? Beh, per fortuna noi avevamo già dato l’okay alle gare di Mallorca, Vuelta Murcia e Costa de Almeria – dice Alessandro Spezialetti,diesse della Drone Hopper – il problema sarebbe stato se non ci fosse stato Mallorca. In generale comunque dispiace visto che sono due anni che l’annullano.
«Per noi è una gara importante, facciamo spesso bene ed abbiamo anche vinto come con Florez in un arrivo in salita. Era importante per mettere giù chilometri e iniziare a correre e magari anche a vincere.
«In più quest’anno si doveva andare giù una settimana prima ed era l’ideale per allenarsi al caldo, accumulare, come ho detto, chilometri, insomma sfruttare il buon clima e le alte temperature per fare un buon allenamento. Ci sarebbe stato solo da stare un po’ attenti al ritorno con il freddo che c’è ancora da noi e poi era buona anche perché il fuso orario è abbastanza ridotto, solo quattro ore in una settimana si recupera subito».
La Drone Hopper rispetto ai team WorldTour partiva con qualche velleità in più. Alla fine la Vuelta San Juan è una ghiotta occasione per mettersi in mostra in una gara che ha molta visibilità proprio perché ci sono le squadre WorldTour, le quali però (forse) non sono ancora al top.
«Partivamo per sfruttare qualche occasione – aggiunge Spezialetti – queste erano le nostre velleità. Avremmo portato tre scalatori e tre ragazzi per fare le volate».
La Israel Start-Up Nation era presente nell’edizione 2020. E vinse la prima frazione con BarbierLa Israel Start-Up Nation era presente nell’edizione 2020. E vinse la prima frazione con Barbier
«Dal punto di vista della preparazione cambia molto poco – dice Cozzi – mentre incide di più sulla rotazione dei corridori, anche perché non si è ancora sicuri che si svolgeranno Saudi Tour e Oman, questo potrebbe essere un problema.
«Noi abbiamo stilato un calendario fino alla fine di febbraio e, poiché ci sono di nuovo delle incertezze abbiamo parlato a tu per tu con i corridori e lo faremo ancora in questo ritiro. Sfrutteremo al massimo dei training camp anche in altura, Teide o Etna. Training camp che avevamo già programmato, ma che abbiamo atteso a confermare. A quel punto stabiliremo le date con i corridori.
«Inizieremo a correre a Mallorca e poi seguiremo il programma spagnolo. In particolare la gara sull’isola si gestisce molto bene. E’ una challenge: cinque giorni di gara, due per gli sprinter, tre un po’ più mossi. Andremo lì con un numero maggiore di corridori e cercheremo di farne correre il più possibile».
Concluso il ritiro della Trek-Segafredo ad Altea, Simon Pellaud ha preso un volo da Valencia a Ginevra e da lì con due ore di treno è risalito a Martigny, la città in cui vivono i suoi genitori. Portava negli occhi lo stupore della nuova squadra e nel petto l’orgoglio di essere finalmente arrivato in una WorldTour. Le fughe del Giro con la maglia Androni Giocattoli e il podio di Milano per quelle classifiche portate a casa resteranno per sempre nel suo pedigree, ma la sensazione è che si sia appena aperta la porta su un mondo più ampio.
«C’è sempre da pedalare forte – dice lo svizzero, in apertura con Simmons – forse anche di più. Mi sono trovato in questo ritiro e sono rimasto senza parole per il livello di materiale che abbiamo ricevuto e che possiamo utilizzare. Dalle bici all’abbigliamento Santini. Siamo l’unica squadra che ha per nome il marchio delle bici, vediamo lo sforzo della produzione al nostro servizio. Si cerca di più la performance, abbiamo più armi per raggiungere i nostri obiettivi».
Nelle ultime due stagioni alla Androni, si è distinto per le fughe e i traguardi volantiNelle ultime due stagioni alla Androni, si è distinto per le fughe e i traguardi volanti
L’italiano è una delle cinque lingue che parla, assieme al francese, il tedesco, lo spagnolo e l’inglese. Il discorso scorre fluente, in un continuo rimasticare le parole, cercando il senso più profondo.
Quando è nato il contatto con Trek-Segafredo?
Prima del Giro d’Italia è venuto fuori il discorso. Trek mi ha fatto sempre sognare, penso sia il team più adatto alle mie caratteristiche. E’ una squadra internazionale, che va con la mia personalità, le cinque lingue che posso parlare e i due mondi dove vivo, tra Svizzera e Colombia. L’ho sempre seguita con interesse, perciò l’anno scorso ho provato per la prima volta a mettere il mio nome sulla lista e quest’anno è successo presto. Appunto all’inizio del Giro ci siamo stretti la mano con Luca Guercilena e abbiamo chiuso il mercato. Quando è arrivata l’offerta, non ho avuto neanche un dubbio. Era il salto che sognavo, nella squadra che sognavo. Non c’è stato neanche da trattare, ho preso quello che offrivano. Era ancora l’inizio di giugno, si poteva aspettare e sperare in qualcosa di più, però questa mentalità non è la mia. Ho avuto questa opportunità e ho fatto una scelta di cuore. Sono sicuro che abbiamo tanta strada da fare insieme.
Negli ultimi due anni ti sei fatto notare per le tante fughe, cambia qualcosa adesso?
Sicuro che qualcosa cambierà, avrò la possibilità di cercare le fughe un po’ più giuste. Diciamo le fughe che mi fanno sognare e che arrivano. Le classifiche dei traguardi volanti o dei chilometri in fuga, che per l’Androni erano molto importanti, in una squadra come la Trek contano meno. Sono sicuro che ci sarà da lavorare di più. Abbiamo una squadra fortissima, anche se non c’è un grande capo che farà classifica nei grandi Giri. Però avrò libertà e opportunità. Se mi hanno fatto firmare, è per le mie le mie qualità e non per fare qualcosa di completamente diverso.
Al ritiro con la Trek-Segafredo, lo stupore di Pellaud per la disponibilità di materialiAl ritiro con la Trek-Segafredo lo stupore per la disponibilità di materiali
Avete già fatto i programmi di corsa?
Per grandi linee, è già tutto pianificato. Le mie caratteristiche mi permettono di adattarmi a tutti i lavori, anche se il gruppo classiche è veramente fortissimo e ci sono tantissimi corridori. Quanto al resto, sono capace di fare parte del treno di un velocista, di lavorare anche in salita o di fare le mie fughe. Sono capace di stare un po’ dappertutto. La mia idea era di avere almeno un grande Giro. Di avere alcuni periodi un po’ più tranquilli per tornare in Colombia ed essere lì in preparazione o in in un momento di scarico. E di correre anche le gare di casa, il Tour de Romandie o il Giro di Svizzera. E alla fine mi hanno dato tutto questo.
Quale grande Giro farai?
Normalmente la Vuelta, ma prima tutte le classiche italiane che si fanno a partire da Laigueglia, che mi piacciono e sono importanti per Segafredo e Pirelli. Sarò invece riserva per il Giro, aspettando per vedere come inizierà la stagione e come staranno gli altri corridori. So che il grande Giro mi dà una grande condizione. Anche facendo troppi sforzi, dopo il Giro d’Italia non ero bruciato e sono uscito con una gamba impressionante, a livello mio ovviamente…
Andrai in Colombia durante le Feste?
Questo è il punto che volevo raccontare. La direzione della squadra sa che se un corridore arriva felice alle gare, sarà più performante e si sentirà più forte. Perciò mi hanno lasciato questa grande libertà e l’opportunità di passarci tutto il mese di gennaio. Di non fare il prossimo training camp e di preparare in Colombia il mio primo obiettivo di stagione, che sarà la Vuelta San Juan in Argentina. Va bene per l’altura e va bene per il caldo. Perché in Svizzera, in Italia e penso in tutta Europa è arrivato il freddo e laggiù si sta meglio e più spensierati. Perciò passo Natale con i miei e poi parto.
Ad Antioquia, regione di Medellin, Pellaud ha costruito la sua casa (foto Instagram)Ad Antioquia, regione di Medellin, Pellaud ha costruito la sua casa (foto Instagram)
Hai già prenotato l’hotel, insomma…
La mia ragazza è colombiana e abbiamo costruito una casa. Quando sono laggiù sto in casa, mentre in Svizzera sto con i miei genitori, dove non ho lo stesso spazio che posso trovare in Colombia.
Ma tu, sotto sotto, ti senti più colombiano o più svizzero?
Mi definiscono el suizo-colombiano, lo svizzero colombiano. Credo che mi vada bene. Sono svizzero, con la mia mentalità di svizzero, però con l’allegria e la felicità dei colombiani. E’ un mix interessante, è il mio equilibrio. Sono proprio due anime completamente diverse, è curioso il cambiamento fra quando entro nell’aereo a Ginevra e quando scendo a Medellin. Però è anche quello che mi fa cambiare la routine, che mi permette di essere sempre motivato per allenarmi rompendo le abitudini che avrei se stessi per tutto l’inverno in Svizzera.
Chi seguirà la tua preparazione?
Ho la fortuna e l’opportunità di lavorare con Paolo Slongo che sarà il mio nuovo allenatore. Stiamo parlando di un bel pezzo d’Italia, di storia e di esperienza. Sono stato più per 10 anni con lo stesso allenatore, Raphael Faiss, che ha fatto il suo dottorato sull’allenamento in altura e mi ha dato veramente tantissimo. Però era il momento giusto per cambiare un po’ il metodo. Credo che anche questo sarà importante.
Dopo Natale, Pellaud volerà in Colombia per intensificare la preparazione (foto Instagram)Dopo Natale, Pellaud volerà in Colombia per intensificare la preparazione (foto Instagram)
Che cosa ti resta dell’esperienza con l’Androni?
Sono stati due anni per me grandi, anche se di mezzo c’è stata questa pandemia che ha veramente rovinato tutto. Porto con me due stagioni veramente belle. So bene che non era la squadra che mi faceva sognare e che dopo la IAM speravo in altro. Però alla fine mi hanno dato il loro meglio, un buon calendario e un gruppo veramente interessante. Un direttore come Giovanni Ellena, che è una grande persona e che mi ha fatto vedere un bel pezzo del ciclismo italiano. Ho imparato tantissimo. E soprattutto, senza l’Androni, non so se adesso sarei in una WorldTour.
Ci sei arrivato a 29 anni, potevi arrivarci prima?
Lo staff e tutti gli altri mi chiedono quanti anni ho, perché con la mia faccia da bambino non riescono a credere che ne ho già 29 e che ho già vissuto tutto quello che ho potuto vivere. Però sono anche passato per un paio di anni… esotici, diciamo così. Due stagioni gratuite che per me non contano. Per me ho ancora 25 anni e sono ancora fresco. Però è veramente strano essere a tavola con corridori del 2002, con Tiberi che è del 2001 e pensare che sono quasi di 10 anni più vecchio. Ma questa è un po’ una caratteristica speciale del Pellaud di oggi, del corridore che sono diventato con il tempo. Fiero di quello che ho fatto, curioso di quello che potrò fare…
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Questa scelta della Federazione francese che cancella la limitazione dei rapporti nelle categorie giovanili e le motivazioni addotte hanno dato da pensare. L’aver bloccato lo sviluppo metrico per i più giovani rientrava in una gestione a tutela del loro sviluppo: per cui rapporti bloccati negli juniores e crescita graduale da under 23.
«Quando sono passato under 23 alla Zalf – ci ha detto Manuel Quinziato, attualmente agente di atleti e prima professionista dal 2002 al 2017 – al primo anno mi fecero correre col 13, poi mi diedero il 12 e solo al terzo anno, quando vinsi gli europei a cronometro, mi diedero l’11».
Agli europei di Trento 2021, la squadra francese ha dominato (qui il vincitore Gregoire)Agli europei di Trento 2021, la squadra francese ha dominato (qui il vincitore Gregoire)
Da junior a pro’
Oggi tutto questo in apparenza non c’è più, oppure sta sparendo in alcune realtà prima che in altre. I ragazzi passano dagli juniores direttamente nelle continental e si ritrovano a debuttare a Laigueglia o Larciano: basta un inverno di preparazione per colmare il gap di potenza necessaria per girare il 53×11 dopo due anni con il 52×14? E la forzatura sta nei rapporti o nel buttarli così presto nella mischia?
Ne abbiamo parlato con Paolo Slongo, preparatore della Trek-Segafredo e membro della Commissione scientifica federale, incaricata anche di simili approfondimenti. Un paio di settimane fa a Musile sul Piave, il trevigiano ha tenuto un convegno sulla selezione del talento e su come si rischi di perdere atleti se i criteri di selezione sono basati unicamente sul risultato. La scelta francese va in questa direzione: vediamo perché.
Cosa pensi della scelta francese?
Bisogna pesarla bene e capire cosa c’è sotto. Se come scrivono il nodo è la prestazione, allora non mi sembra una grande idea. Per contro, col tempo si è capito che si può allenare la forza anche nelle categorie minori, dopo anni in cui la palestra e i pesi erano praticamente vietati.
Che cosa succede dando il 53×11 a uno junior di primo anno?
Potrebbe succedere che l’età biologica aumenti il divario fra ragazzi. Mi capita spesso di vedere allievi di secondo anno più sviluppati di alcuni che sono già juniores. Se gli metti il rapporto, le differenze si amplificano. Io poi sono sempre stato un sostenitore del lavoro ad elevate cadenze di pedalata. Temo che il rapportone possa viziare le abitudini.
Negli juniores la precocità fisica fa grande differenza: ecco Simmons, iridato 2019, accanto a MartinelliNegli juniores la precocità fisica fa grande differenza: ecco Simmons, iridato 2019, accanto a Martinelli
Difficile schierarsi?
Difficile capire bene, anche perché ai mondiali poi si correrà comunque con il 52×14. Però, anche non volendosi sbilanciare, resta il problema della selezione dei talenti, come si disse quella sera a Musile.
Spiega…
Partiamo dall’assunto che al passaggio fra allievi e juniores si perde circa il 30 per cento dei corridori. Se consideriamo, come detto anche prima, che l’età biologica degli allievi di secondo anno è 17-18 anni, i precoci che passano rischiano di fare risultati migliori di quelli che hanno tempo di maturazione più lento e magari hanno più talento. La liberazione dei rapporti accentua la differenza e impedisce di aspettare lo sviluppo di alcuni ragazzi.
Però dicono anche che se il problema è la forza, sulle salite la differenza è lo stesso evidente.
Certo, puoi fare partenze da fermo e salite con un rapporto più duro e ugualmente privilegi l’aspetto della forza. Quindi secondo me alla fine il vero problema sta nelle selezione di atleti per il futuro.
Cioè?
Cioè si privilegiano prestazione e risultato a scapito del talento effettivo. Non so se possiamo permetterci di perdere dei talenti per una scelta tecnica di quel tipo…
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La cornice è intima, il luogo è una palestra nel paese di Musile di Piave in provincia di Venezia. Viene da chiedersi perché Paolo Slongo sia qui. L’allenatore della Trek-Segafredo meriterebbe di parlare a platee più gremite e perché no, paganti. Ma non appena veniamo accolti sul posto e le sedie iniziano a riempirsi, si capisce che qui lo sport sia educazione e rispetto.
L’intervento di Slongo ha un fine ben preciso. Sensibilizzare e trasmettere la sua esperienza a genitori e allenatori. Con l’obiettivo preciso della delicata “ricerca del talento” (titolo della sua presentazione), senza però esasperare la ricerca o l’atleta stesso. I punti sono davvero tanti e riassumerli tutti sarebbe impossibile. Infatti ascoltando le parole del preparatore trevigiano, si capisce che questo tipo di incontri dovrebbero avere luogo in tutte le realtà che trattano di ciclismo giovanile e non solo.
A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD polisportiva Musile A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD Polisportiva Musile
Che cos’è il talento?
Dopo una breve introduzione delle autorità comunali presenti, comincia l’intervento. Slongo inizia ringraziando chi ha dato spazio e allo stesso tempo gode della sua presenza: «Ringrazio per l’invito Tarcisio Bettin della polisportiva Musile e Giuseppe Moro per aver organizzato questo incontro».
Il primo punto è una domanda, a cui tutti vorremmo una risposta. Che cos’è il talento?
«Secondo me il talento – dice Slongo – è un’attitudine innata o personale. Avere talento significa riuscire a fare facilmente con naturalezza qualcosa che risulta difficile a quanti non sono dotati di quel talento».
Una definizione che racchiude tanta esperienza e potrebbe già essere un mantra. «Al talento però – continua il diesse – va aggiunto il duro lavoro. I primi anni che ho lavorato con Nibali alla Liquigas, non nascondo che abbiamo avuto parecchie frizioni. Non capiva tutta l’importanza che davo alla preparazione nonostante le sua doti. Nel 2010 dopo il terzo posto al Giro d’Italia e la vittoria della Vuelta, ha cambiato mentalità e abbiamo iniziato il nostro percorso insieme».
Paolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di PiavePaolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di Piave
Impegno e calma
Ci sono esempi di tutti i tipi nel mondo del ciclismo e storie che potrebbero riempire libri interi. In tutte queste è presente il talento. Con il duro lavoro questo può essere esaltato e far diventare l’atleta un campione o un fuoriclasse.
«Il fuoriclasse – spiega Slongo – ha quattro aree completamente sviluppate: cuore, testa, fisico e tecnica/tattica. Due esempi sono Nibali e Sagan. Il campione invece non ha una di quelle quattro aree, ma ha lavorato per chiudere le eventuali lacune. Basso e Aru tra questi».
Lo schema presentato è semplice, ma fine a se stesso se non c’è una lettura da parte di qualcuno. Gli allenatori infatti devono scovare e fare crescere i corridori senza però mettere pressione. Stesso discorso vale per i genitori che spesso sono l’ago della bilancia per la realizzazione di una carriera sportiva.
Un altro punto è la calma. «Nel 2010 – racconta Paolo – Sagan vinse due tappe alla Parigi-Nizza da giovanissimo. RCS chiamò Roberto Amadio, allora team manager della Liquigas, per avere Sagan alla Milano-Sanremo. Ma Roberto decise di non mandare Peter. Aveva la paura potesse vincere la Sanremo e bruciare le tappe».
La sinossi è chiara. Un percorso diretto al successo può portare a pressioni elevate e responsabilità difficili da sopportare da giovani o a inizio carriera.
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per la squadra italianaKreuziger e Nibali: due dei campioni passati per la Liquigas
Se il talento si nasconde
Scorrono le slide, le nozioni e i consigli sono preziosi. I ragazzi, i genitori e gli allenatori seduti sono attenti e interessati. Compare sul telo del proiettore unafoto emblematica. Un podio del campionato U23 del mondo totalmente dominato dall’Italia. Lugano 1996, primo Giuliano Figueras, a seguire Roberto Sgambelluri e Gianluca Sironi. L’unico senza medaglia, al quarto posto, con sguardo pensieroso, è Paolo Bettini.
«Non devo certo dirvi chi sia Paolo Bettini – dice Slongo – ma pensate se da quel quarto posto avessimo perso un talento così. I numeri e i risultati non devono essere l’unico metro di giudizio per scovare i talenti. Bisogna guardare le prestazioni».
Ai mondiali U23 del 1996, Bettini quarto (fra Sgambelluri e l’iridato Figueras): fu l’unico ad avere una carriera importanteBettini, quarto ai mondiali U23 del 1996, fu l’unico ad avere una carriera importante
Dalle intuizioni di Slongo sono giunti alla ribalta nomi del calibro di Vincenzo Nibali, Elia Viviani, Elisa Longo Borghini e Peter Sagan. Lo slovacco è un altro esempio lampante.
«Peter– spiega Paolo – venne scartato dalla Quick Step in seguito ai valori ritenuti nella media da un università che collaborava con la squadra».
Il bacino di utenza
Gli esempi che vengono proiettati dal diesse sono quelli di campioni e fuoriclasse che sono migrati da altre discipline per venire ad eccellere nel ciclismo.
Greg Van Avermaet calciatore fino a 20 anni, così anche Remco Evenepoel fino ai 17 anni. Oppure Primoz Roglic saltatore con gli sci fino ai 22 anni. Un altro esempio citato a chilometro zero è Roberto Menegotto di San Donà di Piave, anche lui calciatore prima, diventato ciclista professionista poi.
«Una volta era più facile trovare il talento – riprende Slongo – per risorse e quantità di praticanti. Al giorno d’oggi bisogna attingere anche da altri sport per poter allargare gli orizzonti. Un altro punto legato a questo discorso è la variazione delle discipline. Si arriva troppo presto alla specializzazione. Un atleta deve poter praticare più sport. Se sceglie il ciclismo deve poter fare più discipline, dalla pista alla Mtb e il ciclocross».
Il pubblico composto da giovani, allenatori e genitori ha seguito attentamente ogni passaggio del diesse trevigianoIl pubblico ha seguito attentamente ogni passaggio del trevigiano
Età biologica ed età anagrafica
L’intervento di Slongo è ormai al termine. Un ultimo punto viene toccato e riguarda le età degli atleti. La differenza tra quella anagrafica e quella biologica. Si sofferma sulla categoria degli allievi, dove secondo lui la differenza tra sviluppo fisico e carta d’identità fa più “danni”. Le prime convocazioni arrivano e i risultati iniziano a essere importanti per gli atleti.
«Secondo uno studio fatto dalla FCI – mostra sulla lavagna il diesse – i primi tre degli ordini d’arrivo degli allievi, hanno un’età biologica superiore di quasi due anni. Il grosso rischio per i selezionatori è di prendere strade sbagliate, mentre gli atleti rischiano di smettere precocemente per mancanza di risultati».
Dal pubblico sorge una domanda su questo argomento. Ed è proprio Roberto Menegotto, uno degli esempi citati prima a porla: «Il rischio più grosso di perdere opportunità è proprio legato a questo aspetto. Ogni fisico è fatto a suo modo e ha un proprio tempo di sviluppo. Come si potrebbe risolvere questo equivoco?».
La risposta di Paolo Slongo è semplice e diretta: «Facendo più incontri come questi, trasmettendo il messaggio di lavorare con calma e non pensare solo ai risultati. Si devono guardare le prestazioni, l’intelligenza, le lacune e lavorare duramente, senza esasperare alcun aspetto».
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«Nella mia carriera di preparatore ho visto il ciclismo cambiare drasticamente. Si va sempre più all’esasperata ricerca del miglior rapporto Watt/Kg, che porta l’atleta ad essere maniacale. Sbagliare quando si è al limite è un attimo»
Abbiamo ascoltato le testimonianze di diversi professionisti e professioniste a proposito dei disturbi del comportamento alimentaree delle difficoltà che hanno dovuto superare al riguardo. Ora, iniziamo a vedere la problematica dal punto di vista della squadra con Paolo Slongo, preparatore di team professionisti, per anni al fianco di Nibali, nonché tecnico della nazionale femminile juniores nei primi anni del 2000 (in apertura Anna Zugno, iridata juniores nel 2002, fotografata ai mondiali di Varese) e attualmente preparatore della Trek-Segafredo.
Dopo aver guidato la nazionale delle donne junior, Slongo è approdato al professionismo con la LiquigasDopo aver guidato le donne junior, Slongo è approdato al professionismo con la Liquigas
Pressioni crescenti o atleti più deboli?
Abbiamo visto diversi corridori scendere dalla bicicletta, chi per un periodo sabbatico, chi definitivamente, nonostante fossero ancora nel pieno della loro carriera. Considerati gli emergenti problemi con l’alimentazione, abbiamo chiesto a Paolo se trovasse a tutto ciò una possibile spiegazione.
«Non credo che i corridori siano sottoposti a pressioni maggiori – dice – né ho avuto esperienze dirette con casi così gravi. Ma gli atleti ora raggiungono il top della forma per uno specifico appuntamento, quindi il livello delle gare si è alzato molto. Se un campione è all’80 per cento della condizione ottimale, non riesce più a vincere come 10 anni fa, quindi anche i dettagli fanno la differenza. I ciclisti lo sanno e per questo sono sempre più pignoli sul peso e negli allenamenti».
L’evoluzione del ciclista
«Una volta si pedalava e si mangiava. Ora per limare ulteriormente peso, gli atleti fanno allenamenti mirati anche al dimagrimento e alla definizione della parte superiore del corpo, e questo influisce così sulla percentuale di grasso totale. Ho visto tante trasformazioni, quella di Wiggins ad esempio, che confermano l’importanza del peso in questo sport. Dal rapporto Watt/Kg non si scappa, la differenza tra i primi tre è spesso di 10 Watt, che in salita si traducono in circa un chilo, ma per la salute dell’atleta, non bisogna oltrepassare il limite».
Bisogna ricordare, tuttavia, che l’estrema ricerca della perfezione e il controllo maniacale del peso sono alcuni dei campanelli d’allarme proprio per i disturbi alimentari, che spesso sono nascosti e negati dagli atleti che ne soffrono. In casa Astana, Paolo ha lavorato con Aru e Brajkovic, che hanno raccontato di avere vissuto con l’ossessione del peso durante la loro carriera.
Janez Brajkovic ha raccontato di aver sofferto di pesanti disturbi alimentariJanez Brajkovic ha raccontato di aver sofferto di pesanti disturbi alimentari
«Ho sempre collaborato col dottor Magni prima e con varie nutrizioniste successivamente, bilanciando le diete dei corridori a seconda dei periodi e degli obiettivi. Non ho mai percepito particolari disagi da parte dei miei atleti a riguardo. Nessuno esagerava negli allenamenti per compensare, né ha mai detto di subire determinate situazioni a tavola. Ricordo solo che durante un ritiro al Teide avevo mandato una mail al team per segnalare che il peso di Brajkovic era fin troppo basso. Lui è sempre stato un autodidatta, sia per gli allenamenti che per l’alimentazione, ma probabilmente il limite per la sua salute era già stato superato. In lui era scattato qualcosa per cui negava il problema e a quel punto è stato difficile aiutarlo».
Pressioni e commenti
«Spesso è l’atleta che da solo si pone il problema del peso in modo ossessivo e, per ignoranza o cattiva informazione, gestisce male la sua dieta. Io ho lavorato sempre in equipe col dottore, cercando di analizzare le performance in modo più obiettivo possibile. Puoi dire a un atleta professionista che gli manca un chilo al peso forma con cui l’anno precedente ha vinto, sulla base dei dati reali e senza generare frustrazione. Invece è sbagliato pretendere che un atleta perda peso a prescindere dalle sue caratteristiche fisiche e dall’andamento storico del suo peso».
Donne e fai da te
Dalla recente esperienza al fianco della Trek al Giro Rosa, Paolo ha notato con piacere che anche i team femminili ora si stanno affidando a figure sempre più professionali e le atlete, come i colleghi maschili, sono molto più attente al peso rispetto ad anni fa.
Soraya Paladin ha raccontato di recente in che modo sia cambiato il suo rapporto con il ciboSoraya Paladin ha raccontato di recente in che modo sia cambiato il suo rapporto con il cibo
«Anche le donne sono più magre rispetto a una volta. Il problema credo esista, anche se non ho mai avuto esperienze dirette. Le donne sono più sensibili e psicologicamente subiscono di più questo esasperato controllo del peso. Inoltre c’è quella deformazione culturale per cui la donna deve essere per forza magra e longilinea. D’altra parte per essere competitiva devi adeguarti a come fanno le avversarie, ma restando alla soglia tra la salute e l’ottimizzazione della performance. Non si può sbagliare né essere approssimativi con il fai da te».
La soluzione
Infine la domanda d’obbligo, perché se c’è un problema bisogna cercare di risolverlo e non nasconderlo. Paolo ci ha offerto un punto di vista differente, forse meno focalizzato sull’oramai esasperato ciclismo giovanile, ma ugualmente valido e che dovrebbe far riflettere soprattutto i genitori.
«Sono realista – dice – e non si può chiedere ai team giovanili di impegnarsi ulteriormente fornendo anche la figura del nutrizionista. Per evitare la mala informazione, in particolare dal web, si dovrebbe agire a livello scolastico, perché l’educazione alimentare non serve solo agli atleti. Con la dieta si prevengono tante malattie, le cui cure impattano molto sulle tasche dello Stato. Iniziare da juniores con il nutrizionista ed il preparatore è ancor più esasperante. Bisogna ritornare a far divertire i ragazzi in bici e trattarli come professionisti solo quando lo diventano effettivamente».