Ciclo e ciclismo, parla Slongo: come cambia il lavoro?

08.12.2024
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Dopo averne parlato con Elisa Longo Borghini, era rimasta un po’ di curiosità, che abbiamo pensato di approfondire con il preparatore e poi con il medico. Quali accortezze richiede fare ciclismo con il ciclo, sostenere i carichi di lavoro in allenamento e andare in gara? E perché Paolo Slongo e la stessa campionessa piemontese dallo scorso anno hanno iniziato a redigere un diario che ne tenga conto? E perché su piattaforme diffuse e celebrate come Training Peaks e tutte le altre questa variabile non viene mai inserita?

«Premetto che non sono un medico – dice Slongo – però per la mia esperienza è un fattore che deve essere tenuto in considerazione. Sia per quanto riguarda la gara, dove l’atleta dà quello che ha. Sia per l’allenamento. Da quello che ho visto, la casistica ha variabili individuali, però le varie fasi del ciclo comportano un rilascio di diversi ormoni che determinano dei cambiamenti nella risposta dell’atleta».

Paolo Slongo ha allenato Nibali per le sue vittorie più belle. Ora ha vinto il Giro anche con la Longo
Paolo Slongo ha allenato Nibali per le sue vittorie più belle. Ora ha vinto il Giro anche con la Longo
In che modo?

Dopo la prima fase di mestruazione in cui c’è il flusso che di solito dura a seconda delle individualità dai 4 ai 6-7 giorni, per l’azione di ormoni come l’estradiolo e il testosterone, l’atleta ha una predisposizione per l’allenamento alla forza. Invece nella seconda fase, dopo il quindicesimo giorno, quando ti avvicini al ventottesimo o al trentesimo giorno, a causa del progesterone e dell’estradiolo che si abbassa, l’atleta inizia a essere un po’ meno ricettiva alla forza e ad avere sensazioni di debolezza. Questa è per sommi capi la fisiologia, che vi invito ad approfondire con un medico. In più nella seconda fase la temperatura corporea può alzarsi e per alcune può essere un disagio.

Un problema in più per l’estate?

Se devi allenarti o gareggiare a luglio e agosto, è un disagio che si aggiunge. Per questo un allenatore deve stare attento a queste fasi, conoscere bene l’atleta e creare un dialogo aperto. In questo modo si può tendere a lavorare un po’ più sulla forza nella prima fase, prediligendo la resistenza e il fondo nella seconda.

Al punto da stabilire il calendario gare in base al ciclo?

Questo no, anche se è tema di dibattito. Il punto di partenza è che lavoriamo normalmente perché una ragazza deve essere comunque pronta ad affrontare certe sfide, anche importanti, pur avendo il ciclo mestruale. Quando parliamo con loro, capita di domandare cosa farebbero se avessero il ciclo durante un Giro d’Italia (in apertura il Tour Femmes, ndr). Qualche disagio c’è di sicuro, ma spesso ad esso si lega anche a un fattore psicologico. Se l’atleta si mette in testa che nel periodo del ciclo non riesce ad andare, si preclude tanto. E’ quello che nei maschi si è sempre pensato o detto a proposito del sesso. Se vai con la tua compagna qualche giorno prima, la prestazione ne risente? Non ci sono studi che lo dimostrino, a meno chiaramente di eccessi, però in tanti si crea il tarlo in testa, che può incidere sulla prestazione e l’approccio alla gara.

Elisa Longo Borghini ha raccontato di aver vinto il Fiandre 2024 nonostante avesse il ciclo
Elisa Longo Borghini ha raccontato di aver vinto il Fiandre 2024 nonostante avesse il ciclo
Il fatto di scrivere il calendario con Elisa serve quindi più a programmare l’allenamento che le gare?

Esatto. Ho fatto un diario Excel dove metto i vari periodi. Così vedo l’allenamento che facciamo e magari lo posso anche modulare un po’ più sulla forza o sulla resistenza. In più dall’anno scorso ho aggiunto anche le fasi lunari, che penso non abbia mai fatto nessuno. Anche qui non trovi niente nella letteratura scientifica, però è un fatto che i processi naturali ne siano influenzati. Possono avere un’incidenza sulla sopportazione dei carichi di lavoro? Non lo so ancora, però intanto annoto e osservo. E’ ricerca anche questa.

Sarebbe utile avere il riferimento al ciclo nelle piattaforme di allenamento?

Secondo me sì. Non tanto per le fasi lunari, che magari è anche troppo avanti, però sarebbe utile per l’atleta nel rileggere i suoi lavori e ancora di più per l’allenatore. Ad oggi non è previsto, per cui chi lavora con atleti donna, si organizza come meglio può, cercando di aggiungere il ciclo ai vari parametri su cui impostare il lavoro.

A proposito di condizionamento psicologico, Elisa ha raccontato di aver vinto il Fiandre nonostante il ciclo.

Esatto, ma anche lei, come certamente vi ha detto, ha dovuto sconfiggere quel famoso tarlo. Successe quando vinse un campionato italiano a cronometro e si rese conto che più della fisiologia, contava la determinazione. Si rese conto che la prestazione era rimasta al suo livello e da lì c’è stato pian piano un cambiamento, che appunto ha portato alla vittoria del Giro delle Fiandre.

Dalla prossima stagione, Slongo sarà responsabile dei tecnici al UAE Team Adq (immagine Instagram)
Dalla prossima stagione, Slongo sarà responsabile dei tecnici al UAE Team Adq (immagine Instagram)
Quindi il fatto che ci sia un flusso ematico non incide sulla fisiologia, portando ad abbassamento di valori?

Non sono un medico, lo ripeto, ma a me non risulta. E’ più un discorso di disagio e di squilibrio ormonale. Nella fase finale del flusso hai più forza, nella seconda fase quando manca circa una settimana prima di riaverlo hai una fase di spossatezza, dove hai poca forza e anche meno voglia di fare fatica.

Le ragazze parlano facilmente di questi argomenti con l’allenatore?

Bisogna creare un dialogo aperto e costruttivo anche con le giovani. E’ sempre un argomento che possono ritenere invasivo, quindi bisogna creare prima un rapporto di fiducia e poi eventualmente se ne può parlare. Non è per caso che negli anni scorsi alla Lidl-Trek e dal prossimo con il UAE Team Adq, il medico delle donne sia una donna.

Permette di aggirare il comprensibile pudore?

E’ un modo più facile, da donna a donna, per parlare di certi argomenti. Perché è difficile che possa avere con tutte lo stesso rapporto che ho ad esempio con Elisa e capisco che per le più giovani che arrivano in squadra sia meglio parlarne con una donna. Sarà poi il medico a offrire il feedback all’allenatore, tenendo conto di tutte le variabili. Perché ci sono i casi di atlete che hanno un ciclo regolare, quelle che ce l’hanno irregolare e addirittura quelle che non ce l’hanno da periodi più o meno lunghi. Le casistiche sono molteplici, il tema merita sicuramente attenzione.

Il riscatto di Elisa con Sangalli e Slongo: «La risposta giusta»

28.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – Piove senza sosta dal mattino. Le strade sporche hanno ridotto le biciclette un accumulo di tubi e fango, le ragazze che le cavalcano attraverso la zona mista hanno facce nere e le labbra che tremano. Oggi la Svizzera ha mostrato un assaggio della sua durezza e per questo sul traguardo alla fine si sono presentate solo 81 delle atlete partite. Paolo Sangalli arriva dopo aver parlato ai microfoni della televisione, con l’aspetto soddisfatto, come chi si è appena alzato da tavola e se ne va con un buon sapore in bocca. Non il migliore, probabilmente, ma comunque un bel ricordo. Il bronzo di Elisa Longo Borghini ha dato un senso a tanta fatica.

«Avevamo in testa l’oro – dice – ma è andata così. Abbiamo portato a casa una medaglia e ricordiamoci che Elisa ha battuto in volata una come la Lippert che è veloce. Dopo un certo chilometraggio, le velociste soffrono, mentre Elisa ha un gran motore. Ha vinto Kopecky, ma Elisa l’ha staccata. Da sola non poteva tirare dritto, chiaramente. Oggi Vollering non era performante e in macchina ci siamo accorti di questa cosa, come pure di Kopecky. Però lei è un corridore di classe…».

Il cittì Sangalli in zona mi sta si è detto molto soddisfatto della gara di Longo Borghini
Il cittì Sangalli in zona mi sta si è detto molto soddisfatto della gara di Longo Borghini

Un tarlo da scacciare

C’era da riequilibrare la delusione di Parigi. Da fare pace con il ruolo di leader della squadra, come anche Elisa ci aveva confidato in un video girato nell’hotel degli azzurri martedì sera, alla vigilia del Team Relay in cui ugualmente è venuto il bronzo. C’era da proseguire il filotto meraviglioso di questo 2024 che ha portato il Fiandre e il Giro d’Italia a un’atleta di 32 anni, che solo adesso sembra aver capito a fondo le sue potenzialità.

«Avevamo entrambi questo tarlo dall’Olimpiade per una giornata storta – dice ancora Sangalli – altrimenti l’Olimpiade sarebbe finita in questo modo. Oggi Elisa ha dimostrato tutto il suo valore sotto un diluvio universale e fino all’ultimo ha fatto vedere che poteva vincere. Chiaramente una come lei non la fanno andare via, ma sarebbe bastato che si fossero guardate un attimo e lei avrebbe tirato dritto. Avevamo individuato quello strappo per attaccare all’ultimo giro e per poco non riusciva il colpo. Però va bene così, una medaglia di assoluto valore in un livello di ciclismo femminile davvero alto. Mentre le altre ragazze hanno pagato questo tempo. Loro sono delle scalatrici e hanno avuto freddo, però devo ringraziare la Federazione per i mezzi che ci ha dato. La Gabba R è stata veramente fantastica. Elisa l’ha tolta prima dell’ultimo strappo ed è servita a tenerla calda e asciutta sino in fondo».

A Parigi una giornata storta, oggi Elisa ha mostrato tutto il suo valore
A Parigi una giornata storta, oggi Elisa ha mostrato tutto il suo valore

Una carriera ancora lunga

Questi 32 anni, che sembrano non essere un limite ma un grande valore aggiunto, tornano anche nei ragionamenti di Paolo Slongo. Dal prossimo anno, l’allenatore trevigiano seguirà Elisa Longo Borghini in una nuova avventura professionale e che oggi potesse essere un bel giorno lo aveva immaginato da tempo. Si potrebbe dire che lo avesse progettato, ma in un così alto livello dello sport suonerebbe come una dichiarazione impudente

«Sapevo che aveva una buona condizione – dice Slongo davanti al pullman dell’Italia – e che aveva preparato bene il mondiale. Purtroppo per un problema di salute ha dovuto saltare il Romandia che magari le avrebbe dato tre giorni di corsa in più. Però siamo arrivati comunque in buona condizione. Elisa secondo me ha corso benissimo. Non è stata come sempre troppo generosa, quindi le va dato merito di una corsa perfetta. Ha provato nel momento giusto, peccato che Vollering abbia dato tutto per prenderla e poi arrivare qui senza neanche prendere una medaglia. Questo è il ciclismo. Pensavo che il podio fosse possibile, soprattutto su un percorso così e la corsa con la pioggia. Penso che da quest’anno sia una nuova Elisa e che possa stare per altri anni a questo livello. Poi nelle donne, se guardate, le carriere si allungano rispetto agli uomini, quindi mi auguro e sono certo che sarà competitiva anche in futuro».

Longo Borghini, un altro bronzo. Nessun rimpianto e tanto cuore

28.09.2024
7 min
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ZURIGO (Svizzera) – Cominciamo dalla fine e dalle lacrime ricacciate giù a fatica, quando Elisa Longo Borghini viene invitata a parlare di Muriel Furrer, scomparsa giusto ieri mentre era in pieno svolgimento la gara degli under 23. Finora si è parlato di questo bronzo mondiale, del modo in cui è venuto, della vittoria di Lotte Kopecky e del correre incomprensibile dell’Olanda. Ma a volte è giusto anche fermarsi, alzare la testa dal manubrio e guardarsi intorno. La serata di colpo si tinge di un’umanità che finora pochi avevano mostrato e forse la grandezza della campionessa piemontese sta nella capacità di fermarsi e pensare.

«Credo che nessuno oggi al via – dice – abbia potuto fare a meno di pensare a lei. Il nostro lavoro è correre, siamo sempre molto concentrate sulla corsa e forse a volte questo non è molto corretto. Dovremmo pensare di più alla nostra salvaguardia. Stamattina, quando la corsa è partita, tutte abbiamo pensato a lei e poi però siamo tornate con gli occhi sulla strada. Correre per me oggi è stato il modo per celebrare la sua vita e quello che amava. Perché Muriel tristemente è morta facendo quello che amava. Alla fine aveva tre anni più di mia nipote e pensare che potrebbe essere toccato a lei mi ha toccata particolarmente. Ho pensato tanto a mia cognata e a mio fratello e a tutta la mia famiglia. Muriel era una ragazza che avrebbe corso con me, era una parte del gruppo».

Ha corso per sbancare Zurigo e Dio solo sa se non ce l’ha messa tutta. In corsa è stata la più forte. Nessun attacco in salita l’ha sorpresa. E alla fine, nonostante il suo attacco a fondo sull’ultimo strappo, ha avuto le gambe per fare una volata per lei magistrale. In certi sprint, Lotte Kopecky non la batti e per ottenere il bronzo Elisa ha dovuto stringere davvero i denti. Ora è stretta nella sua giacca azzurra, con le guance che iniziano a riprendere colore. La giornata è stata davvero dura, fredda e fradicia. Per arrivare in fondo è servito davvero tirare fuori ogni grammo di carattere rimasto.

Cosa hai pensato al momento di attaccare?

A due chilometri dall’arrivo mi sono detta: «Non fa niente se non vado sul podio. Sono venuta per vincere e ho fatto tutto quello che potevo». Ero orgogliosa di quello che avevo fatto fino a quel punto.

Pensavi che Vollering riuscisse a seguirti in quel tuo scatto?

Lo speravo. Il guaio è che Demi era disperata per vincere questa corsa ed è normale che quando un corridore vuole davvero troppo una corsa, alla fine non ci riesca. Non è andata perché le altre hanno avuto qualcosa di più, ma sono molto felice di questo bronzo.

Per Sangalli e Longo Borghini il mondiale è stato la rivincita dopo Parigi
Per Sangalli e Longo Borghini il mondiale è stato la rivincita dopo Parigi
Ti sei ritrovata da sola in mezzo a due belghe e quattro olandesi, eppure alla fine sul podio ci sei andata…

Ho sempre rispetto per i miei avversari. Ma faccio sempre la mia corsa. Se pensi troppo agli altri, finisce che sbagli anche tu. Per cui controllo quello che posso e per il resto mi concentro sul mio risultato.

La sensazione è che ti sia divertita, possibile?

Tantissimo! Sono contenta di come è andata la corsa, sinceramente. Ci eravamo proposti di arrivare qui con la nazionale per vincere la gara. Le ragazze sono venute per aiutare me e oggi lo hanno fatto veramente. Ci hanno provato, per cui un ringraziamento speciale va a loro. Se ci penso, in maniera particolare a Elisa Balsamo che si sposerà il primo di ottobre e oggi era qui a tirare per me. E poi vorrei spendere una parola di ringraziamento per Soraya Paladin. Sicuramente la prova di mercoledì nel Team Relay non l’ha lasciata soddisfatta ed ero sicura che quello non fosse il suo vero valore. Oggi invece ha dimostrato di essere veramente forte e ai miei occhi ha fatto una gara splendida.

In conferenza stampa qualcuno sosteneva che il bronzo possa essere una delusione, invece?

Invece no. Ci abbiamo provato, abbiamo provato in tutti i modi a vincere la corsa ed è arrivato un bronzo che mi soddisfa. Sono riuscita a dare il mio 100 per cento e anche in volata non era scontato arrivare sul podio. Invece ci sono riuscita e sono orgogliosa di me stessa.

Sei partita lunghissima, scelta ragionata?

Ho visto gambe stanche e soprattutto ho visto Vollering davvero in crisi per questa voglia di vincere. Sapevo che avrebbe tirato e così ho provato a lanciarla lunga, proprio perché so di essere un’atleta di endurance e in una gara così le volate non sono scontate. Qualche anno fa probabilmente non sarei riuscita a salire su questo podio e probabilmente questo è sintomo di una crescita sia fisica e mentale, dettata da molti fattori.

Elisa Balsamo ha accettato la convocazione e ha tirato per la Longo, con il matrimonio in programma per il primo ottobre
Elisa Balsamo ha accettato la convocazione e ha tirato per la Longo, con il matrimonio in programma per il primo ottobre
Ti sei sentita la più forte in corsa? Prima della volata, la sensazione da fuori è stata questa…

Sì, mi sono sentita la più forte. Anche Demi Vollering era forte, ma secondo me non ha avuto il giusto equilibrio. Con questo non voglio mettere in croce la povera Demi, perché alla fine anche lei avrà provato a fare il meglio, ma le cose vanno così. E quindi chapeau anche a lei che ci ha provato al cento per cento. Se penso a me, potrei aver avuto la stessa ossessione a Parigi, però a me lì sono proprio mancate le gambe.

Con Slongo si parlava di quanto sia stata positiva questa tua stagione, che ad ora forse è la migliore della tua carriera…

Sì, effettivamente ci ho pensato brevemente sul podio. Non ero molto sicura di me stessa questa estate, soprattutto quando sono caduta e sono rimasta fuori dal Tour. Mi sono sentita sciocca a cadere in allenamento e auto eliminarmi, però ancora una volta devo ringraziare tantissimo proprio Slongo. Mi ha sostenuto e mi ha detto che saremmo arrivati al mondiale in ottima condizione. Anche prima del Romandia sono stata male una notte e non sono riuscita a parteciparci, ma Paolo non ha mai perso le speranze. Per fortuna, direi, perché io invece ero un pochino indecisa.

Le ultime parole in sala stampa, prima della meritata doccia e di un bel brindisi
Le ultime parole in sala stampa, prima della meritata doccia e di un bel brindisi
Riguardo a cosa?

Nell’ultima settimana, prima di arrivare qui, gli ho disobbedito tantissimo. Sono uscita a cercare delle risposte sulle salite, a fare i miei best sui 10 minuti, a cercare di fare i tempi. Paolo continuava a dirmi che dovevo stare tranquilla perché ero in forma, mentre io cercavo risposte a destra e a sinistra. Poi alla fine mi ha ripresa e a quel punto gli ho detto: «Ok, va bene, forse hai ragione tu». Ed era vero. Anche questa volta ha avuto ragione lui.

SC Padovani: 40 anni dopo, un ritorno in grande stile

29.08.2024
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Il panorama delle squadre under 23 ed elite italiano si allarga, è notizia di questi giorni che la SC Padovani tornerà a formare una squadra nella categoria che tanti successi ha regalato in passato. Dopo 40 anni il team riprende il filo con l’ultima categoria del ciclismo dilettantistico e lo fa con un progetto giovane ma che ha al suo interno dei mix diversi di esperienza e conoscenze tecniche. Si legge, infatti, sul comunicato divulgato, che il team manager sarà Alessandro Petacchi (in apertura con Ongarato e il presidente Peruzzo, photors.it) mentre nello staff tecnico entrano figure come Paolo Slongo e Carlo Guardascione

Ritorno alle origini

Alberto Ongarato, ex corridore professionista e ora figura di riferimento per la SC Padovani, tanto da ricoprire il ruolo di vice presidente, racconta di un progetto nato anni fa ma con un obiettivo unico, concretizzato proprio in questi giorni. 

«Era da quando sono entrato a far parte del team – racconta Ongarato – nel 2012 che ragioniamo insieme a Martino Scarso (anche lui ricopre il ruolo di vice presidente, ndr) su come rendere concreta l’idea di formare una formazione under 23 ed elite. Abbiamo sempre svolto attività nel miglior modo, dapprima organizzando la Gran Fondo di Padova e poi lavorando con i più giovani. Fino a quest’anno abbiamo avuto una formazione juniores, che cesserà di esistere. L’idea è stata, fin dai primi giorni del 2012, di ambire a creare un team per la categoria massima del ciclismo italiano, chiederemo infatti l’affiliazione come continental. Il ciclismo è cambiato e si è evoluto e avere un team continental è il massimo a cui si riesce ad ambire ora. In Italia abbiamo delle formazioni professional ma sono poche, quindi le continental acquistano sempre più spazio».

La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
Le figure coinvolte fanno capire l’importanza che si vuole dare al progetto, come saranno coinvolte?

Alessandro Petacchi sarà il nostro team manager e curerà i rapporti tra i vari componenti del team: ragazzi, staff, presidente, ecc. Sarà anche l’uomo immagine e seguirà gli atleti in qualche trasferta, compatibilmente ai suoi impegni in RAI. Posso dire di averlo visto molto motivato. Credo che per un ex corridore come lui sia stimolante entrare in un team come il nostro. 

Poi ci sono i membri dello staff tecnico come Slongo e Guardascione.

La loro presenza è arrivata grazie a diverse conoscenze. Il nostro sponsor principale in questa avventura con la Padovani: Polo Ristorazione Spa, è stata accanto al team Bahrain anni fa. Una serie di conoscenze che ci hanno permesso di entrare in contatto, senza considerare il fatto che anche io sono stato professionista dal 1998 al 2011. Guardascione uguale, lo conosciamo da anni e quando gli abbiamo parlato si è dimostrato subito interessato

Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Due figure importanti da inserire in un team under 23 ed elite. 

Vero, ma dobbiamo considerare che se vogliamo fare una formazione continental l’idea è di confrontarsi con l’estero. E al di fuori dell’Italia ci sono le squadre di sviluppo delle formazioni WorldTour che lavorano con lo stesso staff dei grandi. Avere delle figure di grande conoscenza è fondamentale per crescere.

Lo staff come sarà formato?

Avremo tre diesse e uno di questi è una figura importante nel mondo dilettantistico come Lampugnani. Ci saranno anche cinque accompagnatori e dei meccanici. Alcuni membri del personale mancano ancora ma stiamo valutando tanti profili, per scegliere al meglio. La Padovani comunque parte da una base solida, in questi anni ha avuto una formazione juniores. 

I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
A proposito, il team juniores non rimarrà, perché?

No. Abbiamo deciso di toglierlo. La scelta è legata anche a diverse problematiche nate con i genitori dei ragazzi. A 17 e 18 anni i genitori sono coinvolti, ma quando sono eccessivamente presenti non è facile. Ci siamo anche resi conto che un lavoro come il nostro fosse bello a livello di formazione dei ragazzi che però poi venivano attratti anche da altri team juniores e perdevamo il lavoro fatto. 

Però in Italia ci sono 13 formazioni continental, non si rischia di entrare in un mercato già saturo?

Le voci dicono che qualche squadra si sta ridimensionando. Il rischio di non correre certe gare o di non ricevere gli inviti c’è, ma dobbiamo lavorare bene e meritarceli. All’estero ci sono tante occasioni, chiaro che vanno meritate anche quelle. Per il numero di squadre penso che sia meglio avere abbondanza, i ragazzi che vogliono correre in bici ci sono. 

Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Quanti atleti avrete?

12 o 13 in tutto. Siamo già a un buon 70 per cento di posti presi, ne avanzano cinque. Da quando è uscita la notizia siamo stati bombardati di telefonate e richieste da procuratori e atleti. Anche il fatto di avere gli elite è in funzione del ciclismo italiano. A 21 o 22 anni i ragazzi vengono considerati maturi, ma non è detto. Serve equilibrio. La nostra idea è di fare attività doppia concedendo a tutti le giuste occasioni in base alle qualità e agli impegni. 

Non resta che augurarvi buona fortuna e aspettare i primi riscontri.

Grazie! A presto.

Longo Borghini a Parigi: per Slongo sono finiti gli zuccheri

08.08.2024
7 min
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Paolo Slongo risponde da casa. Il suo impiego in questa fase dell’anno è blando. Alla Lidl-Trek infatti ha solo corridori da seguire e la sua occupazione principale è allenare Elisa Longo Borghini. I frutti si sono visti, il Giro d’Italia è solo l’ultimo in ordine cronologico. Quello che però ha colpito è stato il passaggio a vuoto di Elisa alle Olimpiadi. Nel volgere di un giro del circuito di Montmartre, la piemontese è passata dallo sferrare un attacco allo spegnersi di colpo. Che cosa è successo?

Di ipotesi ne abbiamo fatte tante. La prima è la possibilità che la “Longo” fosse obiettivamente stanca, dopo un Giro che l’ha impegnata fino all’ultimo chilometro dell’ultimo giorno. La seconda, che si somma alla prima, è che l’intervallo troppo lungo tra fine Giro e la gara olimpica non sia stato utile per il mantenimento della condizione. La terza, croce del ciclismo femminile di questi tempi, è che come tutte le atlete di valore, anche Longo Borghini è chiamata da anni a fare gli straordinari. E così dopo le classiche è venuta la Vuelta, poi il Giro di Svizzera, il Giro d’Italia, quindi le Olimpiadi e adesso il Tour, poi Plouay infine i mondiali.

Elisa Longo Borghini ha finalmente vinto il Giro d’Italia, vestendo la rosa dall’inizio alla fine
Elisa Longo Borghini ha finalmente vinto il Giro d’Italia, vestendo la rosa dall’inizio alla fine

Slongo ha il polso diretto della situazione e a sua volta gestì l’avvicinamento perfetto di Nibali alle Olimpiadi di Rio. Il siciliano arrivò fortissimo, ancorché sfortunato, dopo aver vinto il Giro e avero corso un Tour da comprimario. Proviamo pertanto a entrare con Paolo nella pianificazione della stagione di una top rider come Elisa Longo Borghini. Perché lei è fortissima e sorride, ma il serbatoio rischia ugualmente di svuotarsi.

Caro Paolo, è possibile che il Giro sia costato ad Elisa più di quanto si potesse prevedere?

Sicuramente il Giro d’Italia è costato e la cronometro che ha fatto all’Olimpiade va analizzata su due binari. Il primo binario è che a livello prestativo, per i wattaggi che ha espresso, è stata in linea con quelli della crono vinta al Giro d’Italia, ma li ha tenuti più a lungo, viste le diverse distanze. E poi però c’è il binario legato al percorso. I tanti cambi di direzione e le cadute di altre atlete hanno fatto sì che facesse le curve molto piano. Di conseguenza, oltre alla curva, c’erano da fare tutti i rilanci. Quindi probabilmente la prestazione in termini di wattaggio non si è tradotta nel tempo che ci aspettavamo.

Mentre su strada?

Alla strada è arrivata un po’ tirata. Non stanchissima, però comunque aveva lavorato anche i giorni prima a Parigi e c’era un po’ di caldo. Quindi è arrivata alla gara senza la sicurezza che ha di solito. Però comunque la corsa si era impostata bene, probabilmente là c’è stato un problema.

La crono di Longo Borghini ha mostrato valori migliori che al Giro, ma la resa non è stata la stessa
La crono di Longo Borghini ha mostrato valori migliori che al Giro, ma la resa non è stata la stessa
Di che tipo?

A mio avviso, anche avendone parlato con lei dopo la gara, può esserci stato un problema di alimentazione. Nel senso che anche non essendo al 100 per cento, Elisa non si può staccare a quel modo. Le si è proprio spenta la luce, come ha detto anche lei. Era caldo e so che gli organizzatori avevano previsto solo pochi punti per il rifornimento. Quindi probabilmente per una somma di fattori, le cose sono andate così.

Secondo te non c’è troppo lavoro nei programmi di Elisa? Giro, Olimpiadi, Tour…

In realtà, già parlando con la squadra durante l’inverno, al Tour si andrà per dare una mano. L’appuntamento di Elisa era il Giro, in Francia semmai punterà a qualche tappa che le si addice. Poi vedranno i direttori che sono là. Sicuramente sarà un una cosa strana per lei, che io ho vissuto già con Nibali.

In che senso?

L’atleta che è abituato ad essere sempre davanti, fa fatica a mollare o gli sembra brutto. Però il punto di partenza è quello di non fare classifica. Dopo il Tour andrà a Plouay (25 agosto) e poi avrà un grosso periodo di stacco che la porterà al mondiale (28 settembre). Con l’idea di arrivarci senza correre.

C’era il sentore dopo il Giro che ne fosse uscita più provata di altre volte?

E’ normale che quando fai classifica sia così. Però quello che è successo a Parigi non dipende da affaticamento, quanto dalla chiusura del… rubinetto del glicogeno. Era comunque difficile andare a medaglia, però Elisa sarebbe stata comunque protagonista sino in fondo.

Un giro prima di staccarsi, Longo Borghini attaccava: il calo di zuccheri spiegherebbe il cedimento
Un giro prima di staccarsi, Longo Borghini attaccava: il calo di zuccheri spiegherebbe il cedimento
Perché si cade in simili errori?

Per un insieme di cose. Come dicevo, c’erano pochi punti dove gli organizzatori lasciavano la disponibilità di fare il fornimento. Tra questi, c’era lo scollinamento delle salite, dove andavano a tutta e non prendevano da mangiare. Erano dei posti obbligati e questo ha fatto sì che a mio avviso Elisa non sia riuscita ad alimentarsi e bere come doveva.

Hai fatto il paragone con Vincenzo e ci sta: col fatto che vanno forte dappertutto, certi atleti sono condannati a essere sempre sulla corda.

Quest’anno Elisa ha vinto il suo primo Giro e prima aveva vinto il Fiandre. E’ l’italiana di riferimento quindi tutti si aspettano qualcosa e questa cosa ce l’hanno in comune. Però non è sempre possibile, non puoi sempre accontentare tutti. Non puoi esserci sempre, bisogna fare delle scelte come abbiamo iniziato a fare. Con Vincenzo dichiaravi che a certe gare non facevi classifica o non saresti stato competitivo, per esserlo poi in quelle cui puntavi.

Ecco il punto. Nell’anno di Rio, anche se poi cadde, Nibali andò al Tour e non fece classifica. Elisa invece ha fatto il Giro lottando fino all’ultimo giorno.

E ha tenuto la maglia dal primo all’ultimo giorno. E’ stata una corsa usurante, ma la condizione successiva non era male, però non era neanche quella del Giro. E’ sempre una transizione, la gestione del recupero e il ritorno alla condizione.

Dopo l’arrivo della prova su strada, Balsamo e le altre azzurre sono andate a rincuorare Elisa
Dopo l’arrivo della prova su strada, Balsamo e le altre azzurre sono andate a rincuorare Elisa
Sapendo che c’erano le Olimpiadi, non poteva essere il caso di non lottare per il Giro e puntare invece sul Tour?

E’ una domanda un po’ strana da fare ora… Diciamo che il Giro era un obiettivo che interessava alla squadra, ma anche a Elisa. Era una cosa dichiarata, anche se non si può mai sapere come vanno le cose. Lo stesso discorso vale per Evenepoel. Ha fatto il Tour e ha vinto l’Olimpiade, quindi non è una regola fissa che nel Grande Giro prima della gara importante non si debba tenere duro. Si individua un periodo e cerchi di andare forte in quel periodo. Arrivi al top per il Giro e cerchi di andare forte anche dopo due settimane alle Olimpiadi. Non è facile, molto meno che parlarne dopo.

Hai parlato di Evenepoel, la differenza è che il Tour è finito una settimana prima delle Olimpiadi. Sarebbe cambiato qualcosa per Elisa, che invece ha avuto due settimane dopo il Giro?

Sì, sicuro. Dopo un Grande Giro la condizione ce l’hai e se resti concentrato, più vicina e meglio è. Remco è stato avvantaggiato sotto questo aspetto.

Lefevere ha detto che al team cambia poco che Evenepoel vinca le Olimpiadi, alla Lidl-Trek cambiava qualcosa che Longo Borghini vincesse?

Diciamo che il Giro era un obiettivo della squadra e di Elisa. Le Olimpiadi sono più dell’atleta e della nazionale, sapendo che non è matematico andarci e vincere. Perciò quello che puoi fare è individuare un periodo in cui trovare e tenere la forma e poi prendo quello che viene. Visto il percorso di Parigi, Elisa sarebbe arrivata in finale con le prime. E a quel punto, scappata la Faulkner, sarebbe arrivata quinta. Alle Olimpiadi fra quinta e nona cambia poco o niente. E’ stato strano vederla spegnersi di colpo a quel modo, ma non perché non ne avesse più, ma solo perché ha avuto una crisi di zuccheri. Tant’è vero che poco prima aveva provato anche ad attaccare. Fino a un certo punto stava bene, poi, come succede, finisci il carburante. Quello buono, il glicogeno, gli zuccheri, i carboidrati.

Elisa Longo Borghini ha preparato la campagna del Nord, vittoria del Fiandre inclusa, sul Teide
Elisa Longo Borghini ha preparato la campagna del Nord, vittoria del Fiandre inclusa, sul Teide
Come si recupera freschezza dopo il Tour andando verso il mondiale?

Sicuramente farà una settimana di stacco mentale e dalla bici. Poi secondo me non perdi tutto quello che avevi prima e gradualmente ritorni al tuo livello. Dovrebbe andare ad Andorra a fare un richiamo di lavoro in altura e arrivare al mondiale senza gare. Tante volte se cambi l’altura, è anche stimolante. Non fai le stesse strade, gli stessi percorsi. Lei è stata tante volte a Sestriere, più di una volta al San Pellegrino e siamo stati una volta sul Teide. Credo che dopo un così lungo periodo di recupero, a Zurigo saremo di nuovo competitivi.

Slongo, i giovani e i Grandi Giri: non è solo un fatto di gambe

05.06.2024
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Ieri Tiberi ha lasciato il Criterium del Delfinato, confermando che nella scelta di mandarcelo ci fosse qualcosa di stonato. Ne avevamo parlato lunedì con Fabio Aru, affrontando il tema della partecipazione del laziale alla Vuelta dopo il quinto posto del Giro. E mentre Aru si era detto tutto sommato favorevole al Delfinato e meno alla corsa spagnola di agosto, qualche preparatore aveva visto proprio nell’impegno francese uno sforzo immotivato subito dopo il Giro: se non fisicamente, di certo psicologicamente. Pertanto, prima di sapere che Tiberi sarebbe tornato a casa, avevamo chiamato Paolo Slongo.

L’attuale allenatore di Elisa Longo Borghini alla Lidl-Trek era all’Astana negli stessi anni di Aru, ma dalla parte di Nibali che ha ottenuto i migliori risultati sotto la sua guida. La curiosità era andare a fondo nelle parole di Fabio, secondo cui aver partecipato a due grandi Giri per anno sin dalla seconda stagione da pro’ potrebbe averlo danneggiato (in apertura il sardo batte Froome alla Vuelta 2014, dopo il podio del Giro, ndr). Il confronto con Pogacar che invece farà l’accoppiata quest’anno, al sesto da professionista, fa in qualche modo riflettere.

«Magari sul fatto che Tiberi possa fare due Giri – spiega però Slongo – sono un po’ contro corrente. Tra Giro e Vuelta c’è tutto il tempo per recuperare e non essere troppo tirati, cosa che magari non c’è se fai Giro e Tour oppure Tour e Vuelta. Anche se Antonio è un atleta giovane, nei due anni scorsi ha già fatto una corsa a tappe per stagione, quindi il terzo anno può fare due Grandi Giri, avendo il tempo di recupero. Secondo me non è male. Piuttosto nel caso di Tiberi non approvo il fatto che stia correndo il Delfinato, proprio perché in prospettiva deve fare anche la Vuelta».

Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Nel 2020, a 22 anni, Pogacar debuttò al Tour vincendolo
Perché?

Dopo il Giro l’avrei lasciato tranquillo e non gli avrei chiesto, anche se era in condizione, di affrontare un’ulteriore gara. Perché tante volte, anche se fisicamente stai bene, per la testa certe scelte possono fare la differenza. Ci vai contro voglia dopo un ottimo Giro, in cui per la prima volta hai fatto classifica e sei arrivato quinto. Vorresti rilassarti qualche giorno, invece sei costretto ad andare a correre. Quello secondo me è controproducente, però i due Giri nello stesso anno non li vedo male.

Secondo Slongo, perché per Pogacar si è aspettato il sesto anno da pro’?

Secondo me perché puntavano al Tour e nei primi due o tre anni che sei professionista basta farne uno solo: vale sempre la gradualità del carico di quello che fai. Essendo il Tour in mezzo alle altre due corse e quindi troppo vicino a Giro e Vuelta, hanno dato la precedenza agli interessi della squadra, che come tutte, mira alla vetrina del Tour. Quindi secondo me la scelta non è stata dovuta solo alla crescita, ma anche a questo aspetto del calendario e all’opportunità di andare al 100 per cento solo in un Grande Giro.

Però gli ultimi due Tour non li ha vinti e ugualmente non lo hanno mandato alla Vuelta. Avrebbe potuto…

Probabilmente ci può essere anche una questione di gestione. Pogacar già è un talento precoce e magari, facendo così, gli allunghi un po’ la vita sul piano psicologico. Nel senso che non lo stressi troppo facendo subito due Grandi Giri, con tutto quello che gli va dietro. Quindi i ritiri, le cose fatte in una certa maniera e poi fare classifica, che è usurante anche se l’atleta è predisposto. La scelta è quella di dire: «Non gli diamo troppo subito, in modo che gli allunghiamo la vita negli anni». Questo sì ha senso.

Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Slongo ricorda che al Giro del 2007, Nibali corse in appoggio a Di Luca, che vinse la maglia rosa.
Perché secondo te Aru dice che aver fatto due Grandi Giri da subito non è stato un bene?

Forse per questo aspetto. Secondo me c’è da mettere sul piatto anche in che modo li fai. Magari ad Aru veniva chiesto di essere competitivo, come poi è stato, e questo era usurante. Probabilmente lui non era ancora pronto, forse perché gli pesava psicologicamente oltre che fisicamente, quindi avrebbe preferito una crescita più graduale e meno stressante. Ognuno è diverso e forse col senno di poi Fabio avrebbe preferito fare qualcosa di più graduale, come Pogacar nei primi sei anni di carriera.

Nibali l’avete gestito diversamente. Lui ha fatto il primo Giro nel 2007, al terzo anno da professionista.

Vincenzo ha avuto una buona gradualità. E soprattutto quello che cambiava rispetto ad oggi è che, se anche lo portavamo ai Grandi Giri, andava a imparare dai capitani. Ha avuto davanti Di Luca, Basso e Pellizotti. Lui scalpitava, però non andava in corsa con la pressione psicologica di dover fare classifica in prima persona. Questo cambia anche l’approccio rispetto al ciclismo che c’è adesso. Oggi i giovani – il Tiberi di turno, come prima Pogacar ed Evenepoel – non hanno in squadra qualcuno che faccia classifica al posto loro. Qualcuno dietro cui nascondersi, avendo una gradualità di 2-3 anni in cui possano imparare il mestiere e semmai provare a vincere una tappa o mettersi alla prova. Una volta era un ciclismo diverso, invece adesso questi giovani si trovano subito in prima linea. E anche se sono forti fisicamente, l’aspetto mentale secondo me ha un peso importante. E poi c’è un altro aspetto…

Quale?

Quello dei punteggi dell’UCI. Il 2025 è l’anno delle promozioni e retrocessioni e per le squadre i punti diventeranno nuovamente un’ossessione. Quando hai un buon budget che però non ti colloca fra le prime 4-5 squadre al mondo, hai meno corridori da far girare. Un po’ come la panchina delle squadre di calcio o di basket. Segafredo Bologna e Milano sono quelle che hanno più soldi e se mandano in campo un sostituto, sei certo che sia competitivo. Se invece quelli forti sono solo nel quintetto base e gli altri non sono all’altezza, contro gli squadroni hai un problema. Una volta per essere nel WorldTour bastavano il budget, l’etica e la professionalità: non c’era il sistema di promozioni e retrocessioni. Ora è tutto diverso. E i corridori vengono mandati in gara per fare i punti. E fra i vari punti, quelli delle classifiche generali valgono tanto.

Una bella differenza…

Una volta andavi a correre, imparavi dal capitano e intanto crescevi senza pressioni psicologiche, perché lavorare è diverso dal fare la corsa. Adesso, anche se non puoi vincere, devi andare a fare punti: anche un ottavo posto diventa importante. E a quel punto certe scelte vengono dettate dalla ragione di Stato. Per carità, la squadra paga ed è giusto che pretenda se la cosa è importante. Però queste dinamiche ti impediscono di guardare solo all’aspetto tecnico e anche come preparatore devi fare lo slalom fra le esigenze del team e quelle del corridore.

Longo Borghini tira il fiato: primavera superba e l’estate che bussa

09.05.2024
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Tre giorni senza bici dopo la Vuelta, Elisa Longo Borghini ha avvertito la voglia di ripartire. La sua primavera è stata un inno all’alto rendimento. Il terzo posto alla Omloop Het Nieuwsblad, il secondo alla Strade Bianche e poi le vittorie del Trofeo Oro in Euro, del Fiandre, della Freccia del Brabante. A seguire ci sono stati il terzo posto alla Freccia Vallone e il secondo della Liegi. Fra i tanti sorrisi delle ultime settimane, quello è stato il più tirato. Vissuto e convinto sul momento, con tanto di complimenti a Grace Brown. Ma pesante come un pranzo indigesto nei giorni successivi.

«Ogni tanto viene su – ammette Elisa con un sorriso rassegnato – però più ci penso e più credo che Grace Brown quel giorno non potesse che vincere. Se uno fa dieci volte quella rotonda come l’ha fatta lei, cade undici. Lei invece è rimasta in piedi e quello è stato il segno che avrebbe vinto. E poi è sempre un cliente scomodo nelle volate, perché è forte…».

Nessun problema a farsene una ragione se fossi stata la Elisa di due anni fa, che perdeva volate in serie. Ma da quando hai pure imparato a vincerle…

E non ditelo a me! Io ci ho creduto fino a 25 metri dall’arrivo, poi mi ha passato a doppia velocità e quando l’ho vista ho detto: «No! Ma che vuole questa? No!». Sai quando resti male perché ti cade il gelato o la fetta biscottata dalla parte della marmellata? E’ stato uguale…

Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering
Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering
Torniamo alla Vuelta: era un obiettivo o il modo per chiudere la primavera?

Era in programma dall’inizio. Solo che ci sono arrivata con la condizione probabilmente già al limite. L’ho finita un po’ stanca. Alle Ardenne andavo veramente tanto forte, ma il clima non ci ha aiutato. Io sono una che non soffre troppo il freddo, invece l’ho sentito e quelle ghiacciate ti rimangono addosso. Con Slongo avevamo messo in conto che sarei arrivata alla Vuelta un pelo stanca, quasi al limite e alla fine non è andata così male. Mi è solo dispiaciuto che Gaia si sia dovuta ritirare, quella caduta non ci voleva (Gaia Realini si è ritirata per una caduta, dopo essere stata anche leader, ndr). Siamo partite entrambe leader, ma lei aveva seguito un diverso avvicinamento.

Hai capito subito che non fosse una Vuelta da dare fastidio a Vollering?

Vollering secondo me era alla portata, non è imbattibile o non ha lo stradominio dell’anno scorso. Piuttosto ero io in fase calante, ero abbastanza stanca e quindi non sono riuscita a tenerle tanto testa. Ma alla fine sul primo arrivo in salita mi sono mancati gli ultimi 700 metri e lei nella penultima tappa è stata battuta dalla Muzic, quindi non era irraggiungibile.

Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:
Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:
Resta il fatto che gli obiettivi di primavera erano le classiche e ora verrà il Giro, giusto?

Sì, adesso come primo obiettivo c’è il Giro d’Italia. Al Tour de France andrò veramente più in appoggio e per fare le tappe, con un approccio mentale diverso. Invece al Giro sarebbe bello poter fare classifica sul serio.

Come si concilia la generale del Giro che finisce il 14 luglio con la prospettiva, in caso di convocazione, di andare alle Olimpiadi che si corrono il 4 agosto?

Diciamo che adesso sto affrontando un periodo di stacco dopo la Vuelta. Poi avrò due settimane in cui ricomincerò ad allenarmi qui a casa, prima del training camp a San Pellegrino dal 27 maggio all’11 di giugno. Poi farò lo Svizzera e il campionato italiano, quindi avrò tempo di essere fresca sia fisicamente sia mentalmente, prima di affrontare un blocco di corse importanti come Giro d’Italia, Olimpiadi e Tour. Ho di fronte a me praticamente una quarantina di giorni per poter riprendere fiato, recuperare energie mentali e fisiche e poi ributtarmi nella stagione.

Come funziona il riposo a casa di Elisa Longo Borghini?

Ho fatto tre giorni senza andare in bici. Finché ha piovuto, ho detto: «Vabbè dai, riposa perché sta piovendo». Poi il tempo è migliorato e mi girano già un po’ le scatole a star ferma. Dopo la Vuelta ho sentito la necessità di stare ferma. Mi è venuto mal di gola, ho sentito un po’ di stanchezza, tutte le cose che ti vengono quando sei cotta. Quando Vollering mi ha staccato negli ultimi 700 metri della prima tappa che ha vinto (ad Alto del Fuerte Rapitàn, quinta tappa, ndr) ho capito che ero in calando.

Da cosa lo hai capito?

Già a inizio salita avevo iniziato a sentire che mi facevano troppo male le gambe. E poi quando sono esplosa e lei ha vinto, mi sono resa conto che a cose normali avrei tenuto quei wattaggi senza problemi e ho capito che stavo raschiando il fondo del barile. Sono sintomi che ormai conosco bene, tipici di quando sono al lumicino. Non riesco più a riposare bene e inizio a capire che il mio corpo sta dicendo basta.

Quinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua Vuelta
Quinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua Vuelta
E se queste sono le sensazioni di sfinimento, come va quando si riparte dopo tre giorni?

Inizio a pensare di non essere sulla mia bicicletta. Sono talmente abituata ad uscire tutti i giorni, che anche dopo tre giorni, penso che il manubrio sia strano e l’altezza sella diversa. Un motore ingolfato, come quando cerchi di accendere la Vespa dopo tutto l’inverno che è stata in garage. Come dopo le ferie, insomma. Se invece stacchi due giorni dopo aver fatto il ritiro di gennaio, è tutto diverso. Il ritiro è stressante anche a livello di testa, perché ci sono centomila impegni. E se fai due giorni tranquilla dove mangi e riposi bene, quando risali in bici sembra che non hai neanche staccato.

Qual è stato il giorno dell’anno in cui ti sei sentita più forte?

Quello del Fiandre, avrei potuto fare ancora 20 chilometri. Stavo veramente bene. Di solito scendo dall’altura e alla terza corsa vado forte. Avevo fatto la Gand e la Dwars door Vlaanderen come gare di rodaggio e al Fiandre mi sentivo veramente bene e mentalizzata. Non era l’obiettivo stagionale e nessuno ne aveva parlato, neppure in squadra. Ci eravamo solo dette di arrivare al Koppenberg, perché lì si capisce sempre tutto. E quando ci siamo arrivate è stato come se, senza essercelo dette, tutte volessimo fare qualcosa di grande. E lo abbiamo fatto.

Eppure non era un tuo obiettivo, come le prime gare in cui sei andata forte: sarà che ormai hai raggiunto una base di forza che ti permette di essere competitiva anche quando non sei al top?

Forse in un certo senso è vero, però questo livello di base ho dovuto recuperarlo quest’inverno. Credo che aver lavorato tanto a bassa intensità mi abbia dato le fondamenta della forma. Quindi da questa base posso avere dei buoni picchi, ma non dei down incredibili. Poi magari mi smentirò tra qualche mese o tra qualche settimana, però ho visto che la mia condizione media va bene, basta anche per essere vincenti. Magari non in tutte le corse, ma ci si va vicino. In fondo alla Vuelta ero in fase calante, però mi sono difesa e alla fine sono salita sul podio.

Caccia ai 5 Monumenti, chi farà prima: Pogacar o Van der Poel?

28.04.2024
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Prima di chiudere definitivamente il capitolo classiche – solo una settimana fa eravamo alla Liegi e sembra passato un secolo – restiamo ancora un po’ sul tema. E lo facciamo con Paolo Slongo, preparatore di lungo corso. Lui ha vinto classiche anche “fuori portata” con i suoi atleti, uno su tutti Nibali alla Sanremo, quindi ha una certa esperienza. La questione in ballo è: chi farà prima a conquistare tutti e cinque i Monumenti, Tadej Pogacar o Mathieu Van der Poel?

Lo sloveno e l’olandese sono stati i mattatori di questa prima parte della stagione. Il corridore della Alpecin-Deceuninck più di quello della UAE Emirates. In ogni caso i due fuoriclasse sono 3 a 3 in questa spettacolare rincorsa ai cinque monumenti che, ricordiamo, nella storia sono riusciti a conquistare solo tre corridori: Eddie Merckx, Rick Van Looy e Roger De Vlaeminck.

Già solo poter tornare a parlarne dopo tanto tempo è un piccolo traguardo. Il ciclismo ci sta regalando dei campioni assoluti e ce li dobbiamo godere. Pogacar ha vinto: Lombardia, Liegi e Fiandre. Van der Poel: Sanremo, Fiandre e Roubaix.

Paolo Slongo è oggi uno dei preparatori della Lidl-Trek
Paolo Slongo è oggi uno dei preparatori della Lidl-Trek
Paolo, dunque, chi dei due potrà arrivarci prima? Ammesso che sia possibile…

La Sanremo è difficile per Pogacar. Non è una corsa impossibile, ma proprio per questo è difficile da vincere… per tutti. Van der Poel già l’ha messa nel sacco, Pogacar no. Due anni fa, ricordo che incontrai Tadej a Cittiglio, era venuto a vedere la sua compagna Urska Zigart al Trofeo Binda. Glielo dissi: «Vincerai la Sanremo quando diverse cose si metteranno insieme, a partire dal clima particolare».

Cioè?

Mi riferisco ad un insieme di cose che potranno agevolarlo. Lui è uomo da corse a tappe, da grandi Giri quindi rispetto ad altri spende di meno, pertanto se incontra una giornata difficile, magari con freddo e pioggia le sue possibilità aumentano. Quando vinse Nibali era freddo, incontrammo due, tre acquazzoni e questo cambiò certi equilibri e il dispendio energetico. E infatti nel finale Vincenzo era più fresco di altri. Per la Sanremo quindi a Tadej, ma anche ad altri, serve anche un pizzico di fortuna e che tutto giri per il verso giusto. Alla fine non la vincemmo con Sagan… ed era la corsa perfetta per lui!

E la Roubaix? Lo stesso Pogacar ha fatto intuire che sente più fattibile la corsa delle pietre che non la Classicissima: perché? E’ questione anche di tecnologia che favorisce uno più leggero come lui?

La tecnologia credo che favorisca tutti, quindi il gap eventualmente resterebbe lo stesso. Piuttosto la Roubaix è una corsa meno aperta. Con meno sorprese. Per certi aspetti somiglia alla Strade Bianche, non tanto per il fondo particolare quanto per i settori, che siano pavè o sterrati appunto, che ti portano ad andare in soglia o fuorisoglia. In più è una corsa lunga, di resistenza, di sfinimento… in cui il dispendio energetico è enorme e uno come lui potrebbe avere meno problemi ad emergere. 

Insomma confermi che la Roubaix è più “facile” per Pogacar?

Sì, da un punto di vista tecnico il suo vero tallone d’Achille è la Sanremo, la Roubaix potrebbe esserlo da un punto di vista della programmazione.

Nella tappa del pavè del Tour 2022 Pogacar si è trovato a suo agio, ma si sa che le pietre della Roubaix sono un’altra cosa
Nella tappa del pavè del Tour 2022 Pogacar si è trovato a suo agio, ma si sa che le pietre della Roubaix sono un’altra cosa
Cosa intendi?

Che lui punta anche ai grandi Giri e la Roubaix è rischiosa. Magari rimanda un anno, rimanda un altro alla fine perde occasioni ed esperienza.

Passiamo a Van der Poel, per lui mancano all’appello Liegi e Lombardia…

Sono due corse simili, ma differenti e in periodi differenti. Sono distanti tra loro pertanto bisogna vedere con che calendario arriva al Lombardia soprattutto. In teoria essendo uomo da mondiale, potrebbe sfruttare la condizione, ma poi lì subentrano anche le strategie di squadra, che priorità danno.

Più Liegi quindi o Lombardia per VdP?

Per la Liegi ha dimostrato di poter lottare, certo è che dovrebbe tralasciare la prima parte di classiche, quella a lui più congeniale (e qui torna il discorso delle priorità del team, ndr) o quantomeno la Roubaix. Quella ti resta nelle gambe ed è vicina alle classiche delle Ardenne si è visto anche come stava all’Amstel. La Liegi è più fattibile del Lombardia.

Perché?

Perché le salite sono più lunghe e può sfruttare un po’ meno le sue caratteristiche di forza ed esplosività.

Sin qui per Van der Poel una sola partecipazione al Lombardia: era il 2020 e arrivò 10°
Sin qui per Van der Poel una sola partecipazione al Lombardia: era il 2020 e arrivò 10°
Quanti chili dovrebbe perdere Van der Poel per queste due classiche?

E’ difficilissimo rispondere, anche perché non ho i suoi dati. Ma poi siamo sicuri che possa dimagrire? Perché un conto è essere grossi e muscolati e un conto è essere “grassi”. Magari lui è già al 4-5 per cento di massa grassa e cosa vai a limare? Van der Poel ha una muscolatura ben definita e e bisognerebbe andarlo a snaturare e abbiamo visto che chi lo ha fatto spesso ci ha rimesso. E’ andare contro natura.

E il discorso dei carboidrati l’ora in teoria dovrebbe agevolare uno come VdP che può “dare da mangiare” ai suoi muscoli di più che in passato. Ci può stare questa teoria?

Non credo, ormai tutti si alimentano bene e con grande cura. E’ un po’ come il discorso della tecnologia e vale per entrambi.

Hanno un limite di tempo per questa assalto ai cinque Monumenti?

Un limite preciso non c’è. Questo dipende soprattutto da loro e dai loro stimoli più che dai loro fisici. E sotto questo aspetto Van der Poel è leggermente avvantaggiato perché lui non è uomo da corse a tappe. Queste ti usurano di più sia durante la gara stessa che nell’avvicinamento. Per Mathieu è più facile prendersi delle pausa nel corso della stagione.

Quindi secondo te ce la possono fare?

Possono senza dubbio invadere l’uno il campo dell’altro, come è già successo al Fiandre. Dico che hanno più o meno le stesse probabilità, tutto sta a quanto sono disposti a trascurare altre corse per raggiungere questi due obiettivi.

Quel Fiandre stupendo è nato sul Teide. Slongo racconta

03.04.2024
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Fra i ringraziamenti di Elisa Longo Borghini dopo la vittoria del Fiandre, forse quelli più sentiti sono arrivati a Paolo Slongo, che la corsa l’ha vista in tivù dopo un allenamento di cinque ore sul Teide con alcuni ragazzi del gruppo Giro. Nella Lidl-Trek, il trevigiano si è calato con umiltà in un ruolo dietro le quinte che a giudicare dai risultati porta davvero ottimi frutti. Fu lui lo scorso settembre a fermare la piemontese dopo la terza tappa del Romandia e ad imporle lo stop più lungo della carriera. L’obiettivo era resettare un sistema in crisi a causa dei tanti intoppi e con il senno di poi si può dire che l’operazione sia andata a buon fine.

Tre Fiandre per Vdp, due per la Longo: una grafica celebrativa
Tre Fiandre per Vdp, due per la Longo: una grafica celebrativa
Che effetto fa sentirsi ringraziare a quel modo da una campionessa che ha appena vinto il Fiandre?

E’ stato un piacere, è il mio lavoro e lo faccio sempre con passione. Conosco Elisa da una vita e l’anno scorso ci siamo resi conto di dover recuperare la persona dopo un anno davvero sfortunato. Era partita benissimo, vincendo il UAE Tour. Poi aveva preso il Covid con la febbre altissima. Accelerammo perché fosse pronta per le classiche e, pur non al suo meglio, fece terza al Fiandre e seconda nella Liegi. Poi siamo andati al Giro, ha vinto una tappa e poteva giocarsi la classifica con la Van Vleuten, invece è caduta e il Giro è andato. Al Tour si andava pure bene, ma è venuto fuori il problema a quella ghiandola e a questo punto l’abbiamo fermata. Lei avrebbe voluto riprendere, ma sarebbe stato un inutile tirarle il collo.

Fermarsi è stata forse la parte più difficile…

A Elisa piace allenarsi, stare sulla bici. Dirle di fermarsi è parsa una bestemmia. Per fortuna il matrimonio e il viaggio di nozze l’hanno aiutata a uscire dalla solita routine e questo ha fatto sì che il sistema si sia resettato.

A dicembre continuava a dire di andare pianissimo…

Quando riprendi dopo così tanto tempo, sembra sempre di andare piano. Bisogna ricostruire un passettino alla volta. Davvero conosco Elisa da quando era junior, perché davo una mano a Rigato quando era alla Fassa Bortolo. Così a un certo punto le ho detto: «Devi fidarti fi me. E vedrai che andrai più forte degli anni scorsi».

E lei?

Si è fidata, anche se a volte mi mandava delle foto in cui si vedevamo valori bassini. Siamo ripartiti da tanti dubbi: «Tornerò più come prima?». E ancora una volta le ho detto di non pensare così tanto e alla fine sono arrivati i primi riscontri.

E’ vero che la vittoria del Fiandre è nata sul Teide?

Prima delle classiche eravamo quassù noi due. C’era anche la Niewiadoma con la sua squadra e anche Marianne Vos, ma noi ci siamo messi lì a fare il nostro lavoro da soli, ciascuno nel suo ruolo. Siamo innamorati di quello che facciamo e i risultati sono iniziati ad arrivare. C’era già un morale diverso. Il secondo posto alla Strade Bianche aveva detto che c’era, anche se mancavano dei pezzettini.

Pensavi che avrebbe potuto vincere il Fiandre?

Quando lavori bene, i risultati arrivano. E il Fiandre era perfetto come percorso e anche per il fatto che piovesse. Lei è come quello che allenavo prima (sorride alludendo a Nibali, ndr), ha grande fondo e si esalta con il brutto tempo.

Per Elisa Longo Borgini, che ha 32 anni, il Fiandre è stato la vittoria numero 42 della carriera
Per Elisa Longo Borgini, che ha 32 anni, il Fiandre è stato la vittoria numero 42 della carriera
La stagione scorsa così frammentata le ha in qualche modo tolto qualcosa?

Non credo, ha tenuto i suoi buoni livelli. A inizio anno, aveva già qualcosa più dell’anno precedente, ora manca un altro saltino. La cosa che fa piacere infatti è aver vinto, essere davanti sapendo che manca ancora un 10 per cento di condizione da trovare.

Elisa ha vinto il Fiandre nel 2015 e poi nove anni dopo: in cosa è cambiata?

Lei è rimasta forte, il ciclismo è cambiato. Sei sempre su una strada con una bicicletta e lei a 23 anni fece vedere di essere davvero forte. Nove anni dopo ha mantenuto la capacità di dominare le altre e l’ho trovato davvero molto bello.

La vittoria in volata era così scontata?

C’era un po’ di rischio. Io sono quassù e con noi c’è anche suo marito Jacopo (Mosca, ndr). Per cui siamo rientrati dall’allenamento in tempo per seguire la gara delle donne. Eravamo a tavola a chiederci perché mai non attaccasse. In realtà poi Elisa ci ha raccontato che Shirin Van Anrooij era stanca per aver lavorato tanto. Anche Niewiadoma faticava quando doveva passare a tirare quindi Elisa è andata alla volata davvero fiduciosa. E proprio sulla volata c’è un aneddoto.

La volata era un rischio, am questa volta Elisa l’ha lanciata con la certezza di vincerla
La volata era un rischio, am questa volta Elisa l’ha lanciata con la certezza di vincerla
Sarebbe?

Quando facevamo gli sprint sul Teide, per provocarla le dicevo di fare qualche best. E dato che non c’è mai riuscita, le dissi che ne avrebbe fatto qualcuno in gara. Ebbene, nei giorni prima del Fiandre, una delle attivazioni era fare anche delle volate e lei per due giorni consecutivi ha fatto il suo best in volata. Stava bene e la sensazione bella è avere ancora margine e la capacità di tenere questa condizione ancora per parecchio.

Elisa farà la Roubaix?

No, si resta fedeli al piano originario. E visto che l’obiettivo è fare bene alla Liegi, la Roubaix era una suggestione, ma la guarderà anche lei in televisione.

E tu invece ormai vivi sul Teide?

E’ parte del mio lavoro, corse in proporzione ne faccio davvero poche. Ora siamo qua con una parte del gruppo del Giro e non siamo in hotel, ma in alcuni appartamenti che sono stati sistemati per farci alloggiare gli atleti, visto che ormai non si trova più posto. Siamo in casa col cuoco e per avere la corrente bisogna accendere il gruppo elettrogeno. Una mezza avventura, ma si lavora bene. Torniamo giù il 14 aprile, poi vedremo cosa ci sarà scritto nel programma.