«Nella mia carriera di preparatore ho visto il ciclismo cambiare drasticamente. Si va sempre più all’esasperata ricerca del miglior rapporto Watt/Kg, che porta l’atleta ad essere maniacale. Sbagliare quando si è al limite è un attimo»
Abbiamo ascoltato le testimonianze di diversi professionisti e professioniste a proposito dei disturbi del comportamento alimentare e delle difficoltà che hanno dovuto superare al riguardo. Ora, iniziamo a vedere la problematica dal punto di vista della squadra con Paolo Slongo, preparatore di team professionisti, per anni al fianco di Nibali, nonché tecnico della nazionale femminile juniores nei primi anni del 2000 (in apertura Anna Zugno, iridata juniores nel 2002, fotografata ai mondiali di Varese) e attualmente preparatore della Trek-Segafredo.
Pressioni crescenti o atleti più deboli?
Abbiamo visto diversi corridori scendere dalla bicicletta, chi per un periodo sabbatico, chi definitivamente, nonostante fossero ancora nel pieno della loro carriera. Considerati gli emergenti problemi con l’alimentazione, abbiamo chiesto a Paolo se trovasse a tutto ciò una possibile spiegazione.
«Non credo che i corridori siano sottoposti a pressioni maggiori – dice – né ho avuto esperienze dirette con casi così gravi. Ma gli atleti ora raggiungono il top della forma per uno specifico appuntamento, quindi il livello delle gare si è alzato molto. Se un campione è all’80 per cento della condizione ottimale, non riesce più a vincere come 10 anni fa, quindi anche i dettagli fanno la differenza. I ciclisti lo sanno e per questo sono sempre più pignoli sul peso e negli allenamenti».
L’evoluzione del ciclista
«Una volta si pedalava e si mangiava. Ora per limare ulteriormente peso, gli atleti fanno allenamenti mirati anche al dimagrimento e alla definizione della parte superiore del corpo, e questo influisce così sulla percentuale di grasso totale. Ho visto tante trasformazioni, quella di Wiggins ad esempio, che confermano l’importanza del peso in questo sport. Dal rapporto Watt/Kg non si scappa, la differenza tra i primi tre è spesso di 10 Watt, che in salita si traducono in circa un chilo, ma per la salute dell’atleta, non bisogna oltrepassare il limite».
Bisogna ricordare, tuttavia, che l’estrema ricerca della perfezione e il controllo maniacale del peso sono alcuni dei campanelli d’allarme proprio per i disturbi alimentari, che spesso sono nascosti e negati dagli atleti che ne soffrono. In casa Astana, Paolo ha lavorato con Aru e Brajkovic, che hanno raccontato di avere vissuto con l’ossessione del peso durante la loro carriera.
«Ho sempre collaborato col dottor Magni prima e con varie nutrizioniste successivamente, bilanciando le diete dei corridori a seconda dei periodi e degli obiettivi. Non ho mai percepito particolari disagi da parte dei miei atleti a riguardo. Nessuno esagerava negli allenamenti per compensare, né ha mai detto di subire determinate situazioni a tavola. Ricordo solo che durante un ritiro al Teide avevo mandato una mail al team per segnalare che il peso di Brajkovic era fin troppo basso. Lui è sempre stato un autodidatta, sia per gli allenamenti che per l’alimentazione, ma probabilmente il limite per la sua salute era già stato superato. In lui era scattato qualcosa per cui negava il problema e a quel punto è stato difficile aiutarlo».
Pressioni e commenti
«Spesso è l’atleta che da solo si pone il problema del peso in modo ossessivo e, per ignoranza o cattiva informazione, gestisce male la sua dieta. Io ho lavorato sempre in equipe col dottore, cercando di analizzare le performance in modo più obiettivo possibile. Puoi dire a un atleta professionista che gli manca un chilo al peso forma con cui l’anno precedente ha vinto, sulla base dei dati reali e senza generare frustrazione. Invece è sbagliato pretendere che un atleta perda peso a prescindere dalle sue caratteristiche fisiche e dall’andamento storico del suo peso».
Donne e fai da te
Dalla recente esperienza al fianco della Trek al Giro Rosa, Paolo ha notato con piacere che anche i team femminili ora si stanno affidando a figure sempre più professionali e le atlete, come i colleghi maschili, sono molto più attente al peso rispetto ad anni fa.
«Anche le donne sono più magre rispetto a una volta. Il problema credo esista, anche se non ho mai avuto esperienze dirette. Le donne sono più sensibili e psicologicamente subiscono di più questo esasperato controllo del peso. Inoltre c’è quella deformazione culturale per cui la donna deve essere per forza magra e longilinea. D’altra parte per essere competitiva devi adeguarti a come fanno le avversarie, ma restando alla soglia tra la salute e l’ottimizzazione della performance. Non si può sbagliare né essere approssimativi con il fai da te».
La soluzione
Infine la domanda d’obbligo, perché se c’è un problema bisogna cercare di risolverlo e non nasconderlo. Paolo ci ha offerto un punto di vista differente, forse meno focalizzato sull’oramai esasperato ciclismo giovanile, ma ugualmente valido e che dovrebbe far riflettere soprattutto i genitori.
«Sono realista – dice – e non si può chiedere ai team giovanili di impegnarsi ulteriormente fornendo anche la figura del nutrizionista. Per evitare la mala informazione, in particolare dal web, si dovrebbe agire a livello scolastico, perché l’educazione alimentare non serve solo agli atleti. Con la dieta si prevengono tante malattie, le cui cure impattano molto sulle tasche dello Stato. Iniziare da juniores con il nutrizionista ed il preparatore è ancor più esasperante. Bisogna ritornare a far divertire i ragazzi in bici e trattarli come professionisti solo quando lo diventano effettivamente».
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