Pidcock torna a colpire su strada. In mtb l’aveva già fatto…

13.08.2025
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L’Arctic Race che ha incoronato Corbin Strong, ha anche rilanciato su strada Tom Pidcock. E sottolineiamo “su strada” perché la sua estate è stata altrimenti esaltante come sempre, con un europeo di mountain bike dominato a conferma della sua superiorità nella specialità. La stagione in superleggera però era stata finora deficitaria.

Il confronto era stato, prima della Norvegia, addirittura impietoso, portando molti addetti ai lavori a ragionare su questa forbice di prestazioni inconsueta per lui, prima capace di un’uniformità di rendimento superiore anche a quella di Van der Poel, che fatica oltremisura in mtb. Noi abbiamo provato a capirne di più parlando con chi Pidcock l’ha visto da poco all’opera al suo meglio: il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino.

Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni
Il podio finale dell’Arctic Race, con Pidcock dietro al neozelandese Strong e davanti al nostro Scaroni

«Non posso nascondere che la domanda sul perché ci fosse tanta differenza me la sono posta io e tanti nell’ambiente, perché in mountain bike si vede proprio che si trova a suo agio. Come VDP anche lui sprigiona sui falsipiani dei wattaggi che i biker puri non possono raggiungere. Riescono a tenere alto il ritmo, spingere dei lunghi rapporti. Gli specialisti sono messi in difficoltà soprattutto sui percorsi veloci e quindi dove bisogna anche spingere. Ecco perché all’europeo ha fatto una grossa differenza».

Eppure privilegia la strada, questo dovrebbe penalizzarlo dal punto di vista tecnico…

Questo è il suo grande pregio: nonostante faccia tantissime gare su strada, riesce a padroneggiare la bicicletta su qualsiasi tipo di percorso. Ciò significa che tecnicamente non perde nulla, anche con un minimo periodo di passaggio, da una settimana all’altra, gli bastano pochissime sedute di mtb per riprendere confidenza.

Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Per il britannico una stagione su strada fatta di 50 giorni di gara, con 5 vittorie e 19 top 10
Secondo te da che cosa può dipendere allora la sua involuzione su strada? Prima della Norvegia, il cammino di Van der Poel era esattamente inverso, il britannico su strada ha faticato molto…

Io credo che lui e il suo staff si siano macerati di fronte a questa domanda e le sue prestazioni in Norvegia credo siano state una manna dal cielo. Mettiamoci comunque che non tutte le annate sono uguali, d’altronde anche Van der Poel in mtb ha fatto numeri esagerati in passato. Solo che in mtb fa pochissime gare e fatica molto di più nel passaggio, combinandone non poche… Mi viene da pensare che fisicamente Tom è un ottimo scalatore, ma in salita non riesce a fare quella differenza che fa in mtb e mi chiedo perché. Eppure i numeri ce li ha. Ecco, magari è un’annata un po’ così, che magari ora riesce a ingranare. Ci sono quelle stagioni che non ti va bene niente, non riesci a trovare quel colpo di pedale.

Tu hai corso al massimo livello sia su strada che in mountain bike, secondo te dov’è più facile riuscire a raggiungere il culmine delle proprie prestazioni, chiaramente considerando le caratteristiche precipue di ognuno, in questo caso del britannico?

Sono due sport completamente diversi. Su strada devi avere l’istinto anche nel saperti giocare le tue cartucce al momento giusto, perché su strada puoi essere anche il più forte, ma se sbagli a muoverti rischi di bruciare tutte le tue possibilità. In mountain bike vince sempre il più forte e anche il più fortunato perché devi avere anche tanta fortuna in base al percorso e ai più frequenti problemi meccanici. Poi c’è il fattore squadra, che su strada fa tanta differenza, portandoti nel posto giusto al momento giusto. Quindi c’è un gioco di squadra che in mountain bike non c’è. E questo è un fattore che potrebbe anche aver influito sulla stagione di Pidcock, ma non seguo abbastanza la strada per farmi un’idea. Una cosa però sul Pidcock stradista vorrei dirla…

Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Il cittì della nazionale di mtb Mirko Celestino, che in Portogallo ha visto un Pidcock devastante
Prego…

Abbiamo visto che in discesa su strada Pidcock fa grandi cose e questo me lo fa sentire vicino, perché anch’io avevo nella discesa un punto forte, mi piaceva pennellare le curve per fare la differenza. E in Pidcock mi ci rivedo.

Considerando la sua superiorità in mountain bike, secondo te potrebbe anche prendere in considerazione di spostare un po’ il peso della stagione su di essa?

Non gli conviene innanzitutto dal punto di vista economico. La strada è il sogno di tutti. Io ormai sono 9 anni che frequento i ragazzi all’interno della nazionale, il loro sogno è sempre quello della strada, il Giro d’Italia, il Tour, le classiche. In questi anni tanti all’estero hanno provato e provano il passaggio, qualcuno anche con buoni risultati. Il ciclismo su strada è quello che ti cambia la vita, anche economicamente, quindi Pidcock continuerà a essere uno stradista, magari con qualche capatina da noi… Fin quando la squadra gli permetterà di fare sia uno che l’altro, secondo me andrà avanti così. L’unica cosa è che, per me, se nelle classiche è uno dei più accreditati, non è uomo da grandi giri.

Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Per Pidcock una superiorità schiacciante in mtb, sancita anche agli europei (foto UEC)
Veniamo al tuo ruolo, come va la nazionale in quest’anno postolimpico, un po’ di transizione?

Io ho già messo nel mirino le Olimpiadi e i giovani ci sono, insieme a Luca Braidot che resta il riferimento. Ma Zanotti e Avondetto stanno crescendo e fra tre anni saranno lì, secondo me, a lottare per grandi traguardi. Loro intanto a questo mondiale saranno gli atleti che dovranno dimostrare il loro valore, mentre al femminile abbiamo Martina Berta fra le più forti e dietro Valentina Corvi, campionessa europea U23, che sta maturando come uno dei prospetti più forti in campo internazionale. Fra tre anni ci faranno divertire a Los Angeles…

A tu per tu con Celestino, che già pensa a Los Angeles

13.03.2025
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Mirko Celestino resta alla guida della nazionale di mountain bike. Dopo i tanti cambiamenti nella Federazione, il suo ruolo di commissario tecnico non ha subito variazioni, segno di una fiducia confermata e meritata. La sua nazionale continua a crescere, con un gruppo di atleti che si sta affermando pur non senza difficoltà, e con uno sguardo rivolto a Los Angeles 2028.

Assieme a Mirko (nella foto di apertura con Martina Berta) abbiamo fatto il punto su questa nuova fase del suo lavoro, sulle prospettive degli atleti a sua disposizione e sulle sfide che attendono il movimento azzurro della mountain bike.

Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Mirko, tra i tanti rimescolamenti della Federazione, tu sei rimasto al tuo posto esattamente con le stesse mansioni che avevi prima del “Dagnoni bis”. Che sensazione hai?

Diciamo che alla fine abbiamo lavorato bene, i risultati sono arrivati e sono contento di poter continuare. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, sia in passato che adesso. Vado avanti con orgoglio in questo nuovo quadriennio olimpico, sperando di arrivare a Los Angeles con un pizzico di fortuna in più. A Tokyo e Parigi soprattutto abbiamo visto cosa è successo con Luca Braidot: se fosse arrivata quella medaglia, sarebbe stata un’altra storia.

Ecco Los Angeles 2028, hai già messo l’argomento sul tavolo. Con che gruppo speri di arrivarci? Abbiamo giovani su cui lavorare?

Qualche nome verrà fuori, questo è sicuro. A parte Luca Braidot, che ha fatto un gran salto, abbiamo almeno un paio di giovani interessanti dietro di lui. Uno è Simone Avondetto, davvero un atleta che è già importante, e l’altro è Yuri Zanotti. Entrambi stanno crescendo bene e sono già nella mia testa per Los Angeles. Questo non vuol dire che Luca non possa esserci, anzi. Lui è una garanzia, ha dimostrato tanto, ma tra quattro anni avrà una certa età e dobbiamo anche guardare avanti. Mi auguro che Yuri continui la sua crescita.

E in campo femminile?

Tra le ragazze, Valentina Corvi ha dimostrato tanto. E’ al secondo anno da under 23 e ha già fatto vedere belle cose anche sul fronte internazionale. Io credo che lei e Martina Berta siano le più promettenti. Martina arriverà a Los Angeles davvero all’apice della carriera. Il tutto senza dimenticare lo zoccolo duro: Chiara Teocchi. Mentre sempre parlando di atlete giovani c’è anche Giada Specia. In generale il movimento giovanile femminile mi sembra vivace, mentre in campo maschile, specie tra gli under 23 si fatica un po’ di più a produrre nuovi talenti.

Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
A proposito di Valentina Corvi, lei è anche un’abile ciclocrossista ed è già stata tentata dalla strada. Hai paura che talenti simili possano essere richiamati dalle sirene della strada? Che insomma te li portino via?

Sì, è una possibilità concreta. Non abbiamo tante atlete in questa categoria e se va via una biker come Valentina si crea un bel buco. Allora penso a Giada Martinoli, che è un altro talento, ma parliamo davvero di atlete giovanissime, per il resto il gruppo è ristretto. Con la Federazione bisognerà lavorare per trattenerla almeno fino a Los Angeles. Le sirene della strada sono forti, ma la mountain bike ha ancora tanto da offrirle.

Spesso quando parliamo con Bragato, capo della performance della FCI, ci dice dei test a Montichiari, test per valutare i ragazzi e i ragazzini di più discipline. Il tuo settore partecipa?

Sì, facciamo diversi test con i nostri biker. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo fatto uno stage con dieci junior dopo la gara di Verona. Abbiamo provato percorsi tecnici – sulla tecnica insisto molto specie tra i giovani – abbiamo girato su una pista di BMX e poi abbiamo svolto i test in pista a Montichiari con il team performance. Tutto questo è utile per raccogliere dati e aiutare i gli atleti a crescere tecnicamente. E a noi è utile per scovare i ragazzi più promettenti su cui lavorare.

Si è parlato della possibile uscita della mountain bike dal programma olimpico. Cosa ci dici in merito?

Le voci in effetti ci sono state, soprattutto l’anno scorso a Parigi si diceva che poteva essere l’ultima volta che avremmo visto una prova di mtb alle Olimpiadi. O che al massimo si arrivasse a Los Angeles 2028. Ora tutto tace, ma non sappiamo quanto sia vero. Sarebbe un peccato, perché a Parigi c’era tantissima gente a seguire le gare e i numeri del seguito in generale mi dicono siano stati ottimi.

Piuttosto che togliere discipline come il cross country e magari immettere la break dance nel programma olimpico, bisognerebbe aggiungerle: pensiamo alla downhill. Questo aiuterebbe anche le aziende e il mercato della bici.

Esatto, però questi discorsi non dipendono da noi, ma dal CIO. Per ora sappiamo che arriveremo ai Giochi 2028 e su questi ci basiamo e siamo contenti. Spero che si faccia marcia indietro.

Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Dopo tanti anni da commissario tecnico della mtb, come senti di essere cresciuto nel tuo ruolo?

Nel tempo è cambiato molto. Il cittì oggi è più un selezionatore che un allenatore. Gli atleti hanno i loro preparatori e in una settimana di ritiro non puoi cambiare il loro lavoro. Il mio compito è organizzare al meglio le trasferte, farli stare bene, garantire serenità e concentrazione. E ammetto che quando si va alle gare mi diverto di più, anche perché ho più responsabilità.

E quando c’è da richiamare i ragazzi?

In questi anni passati con loro, probabilmente hanno capito che per me la prima cosa non è il risultato ma l’educazione, il rispetto. Il rispetto delle regole, per i rapporti umani… E questa mentalità ha pagato perché vedo ragazzi educati. All’inizio erano un po’ più montati, un po’ più pretenziosi, invece adesso hanno capito cosa voglio io. Okay vincere, però ti devi comportare bene. Alla lunga questo modo di fare mi ha dato grosse soddisfazioni perché i ragazzi mi ascoltano, c’è dialogo e quando siamo in gruppo si vive bene.

Il Celestino uomo invece quanto è cambiato in questi quasi 10 anni da tecnico?

All’inizio accusavo di più le critiche, ora ho imparato a fare filtro. A distinguere quelle costruttive da quelle inutili. Ho capito con chi ho a che fare e cerco di prendermela meno, rispettando sempre tutti.

Juniores, il primo squillo di Mengarelli, stradista e biker

07.03.2025
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C’era veramente tanta gente, domenica al GP Baronti, prima assoluta fra gli juniores. Procuratori e talent scout si sono dati convegno in Toscana per assistere alla sfida iniziale di una lunga stagione, con il cittì Salvoldi attentissimo per conoscere lo stato di salute della categoria. C’era curiosità anche per capire chi sarebbe stato il primo a sfrecciare sul traguardo, al cambio di categoria con gli apprendisti dello scorso anno che ora sono cresciuti e devono fare da contraltare a chi viene dalla categoria inferiore. Alla fine il nome che ha riassunto tutti questi concetti è quello di Matteo Mengarelli.

Il vincitore insieme al cittì Dino Salvoldi, presente a Cerbaia di Lamporecchio per valutare lo stato di salute della categoria (foto Rodella)
Il vincitore insieme al cittì Dino Salvoldi, presente a Cerbaia di Lamporecchio per valutare lo stato di salute della categoria (foto Rodella)

Su strada solo da un anno

Il diciassettenne savonese non è un vincitore comune e a spiegarne il perché è il suo direttore sportivo al Team Giorgi, Leone Malaga: «E’ impressionante constatare i progressi di Matteo se pensiamo che ha iniziato a correre su strada solo lo scorso anno. Sì, prima di approdare da noi non aveva esperienze su strada, venendo dalla mtb e questo significa che aveva un gap tecnico importante, eppure ha colmato le tappe rapidamente, ha mostrato subito di non aver paura nello stare in gruppo e di sapere come muoversi».

Malaga è felice di averlo nelle sue fila: «Un corridore così è una manna, perché puoi crescerlo, vederlo sbocciare sotto le tue mani. Mi sono accorto subito che ha un gran motore, davvero in pochi alla sua età ce l’hanno e credo che presto se ne accorgeranno tutti. E’ un passista davvero notevole, che va bene anche in salita ed è veloce. E poi è un generoso. Non ha paura di stare davanti e prendere il vento in faccia. Sa già come muoversi, ma sicuramente dal punto di vista tattico puoi fare ancora grandi progressi».

L’arrivo vittorioso di Mengarelli, partito sull’ultima salita fiaccando la resistenza dei rivali (foto Rodella)
L’arrivo vittorioso di Mengarelli, partito sull’ultima salita fiaccando la resistenza dei rivali (foto Rodella)

Attacco calibrato nei tempi

Mengarelli non sembra neanche troppo sorpreso dalla tanta attenzione che gli viene riservata, in una settimana dove le interviste si sommano alla scuola e agli allenamenti: «Volevo un risultato importante come lo voleva tutto il team – racconta – e quando a metà gara è partita la fuga e ho visto che nel gruppo non prendevano l’iniziativa sono partito insieme a un altro per colmare il distacco. Poi sull’ultima salita sentivo di stare bene e ho attaccato per non portarmi troppi rivali in volata. In cima avevo 8” di vantaggio, in discesa guidando con attenzione ho guadagnato ancora e il finale è stato una goduria».

Il fatto che sia un diamante grezzo è il fattore che incuriosisce: «Ho iniziato direttamente con la mtb dalla categoria G3 militando in una squadra del mio paese, Andora. Lì c’era l’attuale cittì della nazionale Mirko Celestino che mi ha sempre seguito, siamo molto amici. In famiglia nessuno è particolarmente legato alla bici, mi hanno accontentato per farmi fare sport, ora sono i miei primi tifosi».

Mengarelli sul podio del GP Baronti, chiuso davanti a Matteo Rossetto e al russo Iaroslav Prosandeev (foto Rodella)
Mengarelli sul podio del GP Baronti, chiuso davanti a Matteo Rossetto e al russo Iaroslav Prosandeev (foto Rodella)

E’ ancora un work in progress…

Che cosa lo ha portato allora alla strada? «Quando ho compiuto 16 anni ho capito che se volevo avere un futuro in questa che è la mia passione dovevo provare la strada, perché solo lì si può fare del ciclismo un lavoro. Celestino mi ha detto che facevo bene, ma io avevo già deciso. Prima di approdare al Team Giorgi avevo fatto un paio di garette locali con la bici da ciclocross, questa era tutta la mia esperienza».

Matteo, al di là della vittoria, si rende conto che ha ancora molto da imparare: «Ogni gara, ogni uscita è un passo in avanti. Stare in gruppo, guidare la bici sono elementi fondamentali e io sto imparando ancora adesso. Rispetto allo scorso anno mi accorgo che tantissimo è cambiato al di là della crescita fisica, mi sento molto più a mio agio ma capisco che ho ancora tanto da fare, soprattutto tatticamente».

Il ligure sta migliorando rapidamente nella sua condotta in gruppo e nelle scelte tattiche (foto Rodella)
Il ligure sta migliorando rapidamente nella sua condotta in gruppo e nelle scelte tattiche (foto Rodella)

Sognando Van Aert

Un corridore con le sue caratteristiche sembra ideale anche per le prove contro il tempo: «Sono estremamente curioso di capire come posso andare, anche perché proprio per la mia genesi, per la mia esperienza in mountain bike, la cronometro può essere un ottimo approdo. Da un mese ho iniziato a fare allenamenti specifici con la bici da crono e non vedo l’ora che arrivi l’occasione della prima gara per capire come vado e dove posso arrivare».

C’è un corridore al quale ti ispiri? «A pensarci bene forse Van Aert, con tutto il rispetto. Il belga è uno che va forte dappertutto pur senza eccellere in qualcosa di particolare e credo che sia quella figura che piace a tutti, poi anche come persona mi piace molto».

Lo scorso anno il savonese aveva vinto il GP Ucat 1907 e ottenuto 7 Top 10
Lo scorso anno il savonese aveva vinto il GP Ucat 1907 e ottenuto 7 Top 10

Aspirante a essere leader

Mengarelli, già con il nome sottolineato sul taccuino di Salvoldi, deve dire grazie anche alla squadra: «Mi trovo benissimo, mi hanno accolto come una famiglia lavorando con pazienza per insegnarmi quel che serviva e che non avevo di mio. Ora voglio ripagarli con i risultati, fare qualcosa d’importante per tutto il corso della stagione fino a meritarmi un salto di categoria in una formazione di peso».

Tornando a Malaga, questo è il primo passo per il suo che è uno dei team che fanno da baricentro alla categoria. «La vittoria di Matteo non mi ha sorpreso perché avevo visto già lo scorso anno che poteva meritarsi un palcoscenico importante. Stiamo lavorando sulla sua consapevolezza per poterne fare un leader, sappiamo che ha le caratteristiche per esserlo. Ma come lui anche altri del team, che speriamo di veder crescere nel corso della stagione italiana, nella quale affronteremo tutto il calendario con particolare attenzione alle prove a tappe».

Due super biker in gruppo: Hatherly e Pidcock. Palla a Celestino

08.02.2025
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In questo ciclismo stellare e fatto di super campioni, ci sono storie tecniche che fanno esaltare gli appassionati. Recentemente all’AlUla Tour si sono scontrati due grandissimi della mtb. Ma come, direte voi, due biker in una gara su strada? Oltre a Tom Pidcock, che tra l’altro ha vinto l’intera gara, c’era Alan Hatherly, sudafricano passato nelle fila della Jayco-AlUla.

Con Mirko Celestino, cittì della nazionale di mtb e grande ex sia delle ruote grasse che della strada, abbiamo fatto un paragone tra i due. Un confronto che ci ha consentito di conoscere meglio Hatherly. Alla fine, nel discorso è stato chiamato in causa, seppur marginalmente, anche Mathieu Van der Poel, ma il confronto con Celestino ha messo in evidenza ancora una volta la bellezza del ciclismo quando si ha a che fare con dei veri campioni del pedale. Questa commistione tra strada e mtb resta, e forse diventa sempre più, affascinante.

Mirko, un altro grande biker che passa su strada. Che tipo di atleta è Hatherly e che stradista può diventare?

Alan Hatherly è sempre stato un atleta di alto livello, ma quest’anno ha fatto il vero salto di qualità. Quando raggiungi certi risultati significa che hai maturato una crescita sia fisica che mentale che ti rende pronto per qualsiasi sfida. Io condivido questa sua scelta di provare la strada. Alla fine, sappiamo che per molti biker il sogno è la strada, quindi se c’è la possibilità è giusto provarci.

Chiaro…

Abbiamo visto alcuni tentativi falliti o non super, come quello di Nino Schurter o più recentemente di Victor Koretzky, tornati entrambi alla mtb. Ma ogni atleta ha una storia a sé. La mtb e la strada sono due mondi diversi. Personalmente, se dovessi tornare indietro, rifarei la stessa scelta: prima la strada, poi la mtb. Ma sono stato felice di aver cambiato disciplina a 33 anni, perché ho potuto capire le differenze tra i due mondi.

Secondo Pinotti, Hatherly potrebbe essere adatto anche alle cronometro (ha vinto il titolo nazionale). Ha le doti per emergere in questa specialità?

Un biker ha un’esplosività naturale che può tornare utile nelle cronometro, nei prologhi e nelle tappe in cui si parte subito forte. La mtb non lascia spazio a calcoli: devi partire a tutta e arrivare più forte possibile. Questo può essere un vantaggio su strada. Insomma, non è così strano che un biker vada bene a crono. Gli atleti della mtb sono abituati a pedalare da soli, a sostenere un impegno costante. Non so dire con certezza come potrebbe cavarsela su una crono lunga, ma in un prologo o in una crono breve potrebbe dire la sua.

Confrontando Pidcock e Hatherly, che differenze tecniche e fisiche ci sono tra i due?

Sono entrambi molto capaci tecnicamente, ma Pidcock ha impressionato di più, perché pur facendo poche gare di mtb riesce a fare la differenza anche sul tecnico. Sotto questo aspetto lo vedo più forte persino di Van der Poel e di molti biker puri.

E Hatherly invece?

Alan non è mai stato un biker da acrobazie estreme, non è mai stato il più spettacolare, ma ha altre doti. Quest’anno ha dimostrato di avere un’accelerazione sugli strappi e una progressione notevole. Per questo lo vedrei bene anche su strada, perché ha caratteristiche simili a Pidcock.

Tra i due, chi è più scalatore?

Pidcock senza dubbio è più adatto alle montagne. Hatherly ha più esplosività e forza. Posto che comunque sono relativamente simili, anche se il sudafricano è un po’ più alto (8 centimetri, ndr).

Se dovessi paragonare Hatherly a un corridore su strada, a chi lo accosteresti?

Fatte le dovute proporzioni, cosa che va premessa, direi che ha caratteristiche che lo avvicinano a Van der Poel. Ha esplosività e forza, mentre Pidcock è scattante ma anche è più scalatore.

E mentalmente, come li sembrano? Come li hai visti quando erano sul campo di gara?

Come diciamo in gergo, Pidcock ha più “carogna”, più cattiveria agonistica: lo abbiamo visto anche alle Olimpiadi di Parigi e come è entrato su Koretzky nell’ultimo giro. Hatherly non ha paura di nessuno, è maturo e sicuro di sé, ma in generale mi sembra più tranquillo.

Vista questa sua “bonta”, l’adattamento al gruppo potrebbe essere un problema per lui?

Credo di sì, ma non solo per il suo carattere. Il problema principale per un biker che passa su strada è proprio la gestione dello stare in gruppo. Non è questione di incapacità, ma di abitudine e di starci alle alte velocità. In mtb non hai il problema di stare nel gruppo a 50 all’ora. Io, quando sono passato alla mtb, faticavo nelle parti tecniche, ma in discesa su sterrati larghi e quindi più veloci staccavo tutti. Hatherly dovrà imparare a limare, a stare in gruppo, a sfruttare il vento e a risparmiare energie. Il vento poi… non è cosa scontata, sono quei trucchetti che s’imparano da ragazzi.

In tal senso Pidcock è avvantaggiato perché ha sempre fatto tutte e tre le specialità: ci mettiamo anche il cross…

Sicuro, e in fatti si vede che non ha problemi tecnico-tattici in nessuna disciplina e in nessuna situazione. Hatherly passerà da gare di un’ora e un quarto a gare di cinque ore. Pensiamo a Van der Poel, all’inizio, si spegneva nelle corse lunghe, perché non aveva ancora trovato il giusto ritmo e la corretta alimentazione. Questo sarà il vero banco di prova per Hatherly.

A proposito di Van der Poel, allarghiamo il confronto per un attimo anche a lui: l’olandese è potenza pura, l’inglese ha una tecnica sopraffina e una buona potenza. Il sudafricano dove si colloca?

Hatherly ha un gran motore, ma al momento si colloca un gradino sotto gli altri due. Se dovessi esprimere un giudizio per il futuro, potrebbe diventare un gregario di lusso, un braccio destro di un capitano importante. Non lo vedo ancora un fuoriclasse su strada, perché per arrivare a certi livelli ci vogliono anni di adattamento. Però è un ottimo atleta, sia chiaro…

La medaglia di legno di Braidot e gli altri: la mtb azzurra a Parigi

03.08.2024
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Con il commissario tecnico della nazionale italiana di mountain bike, Mirko Celestino, ci eravamo lasciati a maggio. In quel momento il tecnico si aspettava degli squilli importanti dai ragazzi e dalle ragazze che avrebbe portato a Parigi. Sin lì in effetti non si erano visti molto, ma proprio dopo quell’intervista arrivarono le risposte che Celestino aspettava.

Risposte che, nelle gare conquistate da Ferrand Prevot e Pidcock, si sono trasformate nel complesso in una buona gara a cinque cerchi da parte dei ragazzi, con un bronzo sfiorato da Luca Braidot. O forse tolto dalla malasorte. Fatto sta che il friulano, Simone Avondetto, Martina Berta e Chiara Teocchi, chi più chi meno, hanno fatto bene.

Il cittì Celestino con Martina Berta
Il cittì Celestino con Martina Berta
Mirko, partiamo ovviamente da Braidot: alla fine non male, per come si era messa. Anche se la medaglia è stata “di legno”.

Visto tutto quello che Luca ha fatto per arrivare lì, siamo venuti via con un po’ di amaro in bocca. Alla fine si accettano anche queste cose, sappiamo che la mtb è uno sport che prevede con una certa frequenza questa problematica, la foratura o il guasto meccanico. E a volte oltre alle prestazioni serve un pizzico di fortuna.

Che foratura è stata? Ricordiamo che Braidot ha forato la gomma anteriore al secondo giro…

Nasce da un suo errore. Il che ci sta in certi frangenti. E’ avvenuta in un punto “stupido”. Ci siamo stati, soprattutto con le ragazze, tutta la settimana. Tutto il tempo a dire: «Metti le ruote lì. Fai questa linea qua…». Ma niente, se non entravi bene in quel punto erano guai. E infatti quella roccia ha “battezzato” parecchie gomme.

Chiaro, venivano fortissimo, erano ancora in tanti e non si ha sempre la possibilità di scegliere la propria linea…

Esatto. Erano ancora tutti in fila, la velocità era altissima ed è bastato pochissimo perché pizzicasse la ruota anteriore.

I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
Poi cosa è successo?

E’ arrivato ai box e devo dire che i meccanici hanno fatto un bel cambio, e via. Merito a lui perché vista la situazione e i ritmi non pensavo proprio che riuscisse a reagire in quella maniera. E’ tornato vicino alla medaglia, è stato un grande per quello che ha fatto. Anche perché la sua foratura è avvenuta nel momento peggiore.

Cioè?

Proprio in quell’istante Pidcock stava attaccando. Mi hanno comunicato: «Luca ha bucato» mentre Pidcock mi passava davanti con Koretzky a ruota. Da lì si è accesa la gara e ho detto: «Addio, questa foratura la paga doppia». E invece si è è messo sotto ed è arrivato fino a 7” dal podio. L’ultimo giro lo vedevo che passava con i denti stretti. Luca ha cambiato faccia nell’ultimo giro: era trasfigurato, ma è normale. Non è mai riuscito a trovare un attimo per respirare. Ma non poteva fare altro. Si è detto: «Tiro dritto e se salto, salto…».

E degli altri, cosa ci dici?

Avondetto era contentissimo della trasferta, ma non della gara. Non era un percorso adatto alle sue caratteristiche, perché era un tracciato, come si dice in gergo ciclistico, da gente con gamba piena. Mentre lui preferisce anelli più tortuosi e tecnici, però ha finito a testa alta. La reazione che ha avuto alla fine mi è piaciuta tantissimo perché nonostante fossero le sue prime Olimpiadi, e nonostante il posto se lo sia guadagnato senza rubare niente a nessuno, all’arrivo aveva una faccia triste. Io gli ho detto: «Simo, deluso?» e lui ha risposto solo con sì. Un sì secco, senza dire altro o cercare scuse. E questa è una mentalità vincente. Sia lui che Luca sono stati due ragazzi splendidi. Luca lo conosco di più, sono ormai tanti anni che ci lavoro, ma gli si leggeva negli occhi quello che voleva fare. In otto anni da commissario tecnico non l’avevo mai visto così. Aveva la cattiveria negli occhi, la determinazione. Ogni tanto andavamo giù nel garage dove c’erano le bici e lui era lì da solo che guardava la sua. La controllava. Pensava. Poi tornava in camera. E di nuovo tornava giù.

Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Storie olimpiche…

Davvero un atteggiamento bellissimo, intenso. Quello per me è stata la vittoria. Mi piace vedere gli atleti così. E’ quello che voglio.

E le ragazze?

Da Chiara Teocchi alla fine non si poteva pretendere chissà cosa. Lei ogni tanto tira fuori il coniglio dal cilindro, come è visto in Brasile per esempio, ma ha fatto il suo. Pensavo ad una top 10 per lei, è arrivata undicesima. Siamo lì. Ha lottato molto. Un po’ più di delusione c’è per Martina Berta, ma la perdoniamo perché comunque è giovane. In realtà pensavo che tutta questa stagione riuscisse a fare qualcosa di più.

E’ arrivata 14ª, realisticamente la vedevi sul podio, oppure una top 5 sarebbe stata più alla sua portata?

Dai segnali che aveva dato in Coppa se fosse arrivata nelle cinque sarebbe stata una vittoria. Ma ripeto, è giovane. Martina ha fatto una bellissima partenza, poi però l’ha pagata giro dopo giro. Speriamo che queste gare così importanti facciano bene alle ragazze e che riescano ad arrivare all’appuntamento con la determinazione che avevano gli uomini. Ad Olimpiadi e mondiali ormai bisogna andare per vincere, non per partecipare. Tre anni fa a Tokyo si percepiva proprio nell’aria che c’era qualcosa che non andava. Sembravano tutti già appagati per il solo fatto di essere lì. 

Stavolta insomma è stato diverso…

Una delle cose bellissime che mi ha detto Luca mesi fa è stata: «Mirko, se non avrò la gamba per competere ad alto livello alle Olimpiadi, lascio il posto ad un altro. Non voglio tornare a casa come a Tokyo perché è stata una delle sconfitte più brutte della mia carriera».

Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Ultima domanda Mirko, che è più una curiosità: era giusto questo percorso per un’Olimpiade? Secondo molti era troppo veloce. Tuttavia i valori in campo sono stati rispettati…

Ha vinto il più forte, secondo Koretzky, terzo Hatherly. Sapete una cosa? Durante la mattina stavo andando sul campo gara con gli altri dello staff e gli ho detto: «Ora che siamo lontano dai ragazzi facciamo i pronostici». Ho detto il mio: Pidcock, Koretzky, Hatherly e Luca nei cinque.

Preciso…

Questo per dire che nonostante il percorso non piacesse alla maggior parte dei ragazzi (non solo italiani, ndr), i valori sono stati rispettati. In effetti sembrava più una pista infinita di pump track molto scorrevole, con tutti appoggi e velocissima.

Avondetto lancia la sfida azzurra a Pidcock

05.07.2024
6 min
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PINEROLO – Pensi a Pinerolo e ti vengono alla mente tappe epiche del Giro d’Italia e, vista la recente zampata di Tadej Pogacar di martedì, anche del Tour de France. Ci troviamo in una terra magica per il ciclismo, quella in cui nel 1949 trionfò Fausto Coppi dopo la mitica fuga in solitaria con indosso l’indelebile maglia biancoceleste. Poco sopra San Secondo di Pinerolo, ad aspettarci troviamo, in sella alla sua inseparabile Wilier, Simone Avondetto.

La sua maglia stellata di campione europeo assoluto, casacca che mai nessun azzurro aveva indossato nella storia della mountain bike, ci rapisce lo sguardo. Un breve saluto e poi il ventiquattrenne che già tra gli under 23 aveva centrato l’accoppiata titolo continentale e iridato, ci comincia a raccontare come tutto è nato, grazie anche allo stimolo del fratello maggiore Gabriele, che ha continuato a macinare chilometri in ice trike (bici a tre ruote) anche dopo un brutto male.

Un sogno che assume contorni ancora più nitidi ora che il ventiquattrenne della Wilier Triestina–Pirelli Factory Team vestirà la casacca azzurra della nazionale all’Olimpiade di Parigi 2024. La conferma è arrivata giusto oggi nella conferenza stampa organizzata da Coni e Federciclismo alla Sala Giunta del Coni.

Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo (foto UEC)
Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo (foto UEC)
Simone, che effetto fa vedere il tuo nome nella lista dei convocati per i Giochi?

Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più grande al mondo: è un onore per me poterci andare. Quando sei piccolo sogni di arrivare lì, ai Giochi, è un sogno che si avvera e sono molto emozionato di averlo tramutato in realtà. 

Quando hai iniziato a fare mountain bike?

Sin da piccolino, ho fatto tutte le categorie giovanili. Le prime gare ho cominciato a farle quando avevo 6 anni.

Perché questo sport?

I miei genitori andavano in bici e ho iniziato così. Mio papà ancora adesso ogni tanto si cimenta in qualche gara amatoriale, ma mai di alto livello. Poi mio fratello maggiore Gabriele, che ha fatto gare sino a qualche anno fa. Ci siamo sempre allenati insieme e andavamo alle gare insieme, per cui è stato bello crescere insieme in quest’ambiente. La bici non è soltanto a due ruote, ma anche a tre e sono contento di allenarmi spesso qui attorno a casa con lui, tra strada e sentieri che si possono percorrere anche col trike o con l’handbike.

Con suo fratello Gabriele, passato alla ice trike (bici a tre ruote) dopo un brutto male
Con suo fratello Gabriele, passato alla ice trike (bici a tre ruote) dopo un brutto male
La maglia di campione europeo pesa o è una spinta in più?

Per me non cambia nulla. L’europeo era un obiettivo, quello l’ho centrato, ma la stagione non è finita lì e ce ne sono altri da raggiungere. Indossare o non indossare questa maglia però non mi fa differenza, nel senso che è tutto uguale a prima e non mi ha condizionato nell’avvicinamento olimpico a Parigi.

Ci pensi però a quando sembrava soltanto un sogno lontano?

Sì, devo ammetterlo. All’europeo stavo bene, quindi puntavo a fare una bella gara, anche se non mi aspettavo di vincere. Invece, ci sono riuscito e ne sono fiero.

Che ne pensi del percorso di Parigi?

E’ un po’ diverso da quelli che siamo abituati ad affrontare in Coppa del mondo perché è tutto artificiale, con un terreno molto compatto e veloce. Anche se non è uno dei miei preferiti, so che si sono impegnati tantissimo per renderlo il più bello possibile, quindi, sono sicuro che ci divertiremo.

Il percorso di crescita Simone Avondetto prosegue: l’europeo ha seguito il mondiale U23
Il percorso di crescita Simone Avondetto prosegue: l’europeo ha seguito il mondiale U23
Hai già parlato di tattiche col ct Mirko Celestino?

Vedremo come gestire la gara. Con Mirko c’è un gran rapporto ci troviamo bene, oramai è un veterano visto che dovrebbe essere all’ottavo anno da ct. Per quanto riguarda, invece, il movimento italiano, c’è ancora tanto da fare affinché cresca e si allarghi sin dalla base. Gli altri Paesi come Francia, Danimarca e Svizzera hanno dei vivai sconfinati e te ne accorgi quando vai alle gare. Alla fine, dalla massa qualcuno forte esce sempre. 

Hai stravinto col freddo, col caldo come te la cavi?

Vedremo, non so (sorride, ndr). A Parigi per fortuna siamo abbastanza a nord, per cui speriamo che le temperature non siano troppo alte e che questo fattore non incida. 

Tante stelle della strada sono dei funamboli anche nel cross country. Dall’olimpionico Tom Pidcock al fuoriclasse Mathieu Van der Poel: che ne pensi di questa tendenza?

Fa bene al nostro mondo e loro sicuramente portano un po’ di pubblico e appassionano le folle. In più, alzano l’asticella sotto il punto di vista tecnico delle gare, per cui vedo soltanto punti favorevoli da questo. Sono tutti degli esempi, esprimono talento puro e sono convinto che ci sia sempre qualcosa da imparare da loro. Van der Poel ha detto che abbandonerà la mountain bike, dunque, penso che non lo vedremo più alle gare per un po’ dopo Parigi. Pidcock invece continua a dividersi tra strada e mountain bike

Pidcock resta un riferimento anche nel mondo della mountain bike, forse il suo preferito
Pidcock resta un riferimento anche nel mondo della mountain bike, forse il suo preferito
Che cosa ruberesti all’asso britannico?

A Pidcock probabilmente tutto, perché se è sempre lì davanti vuol dire che va molto di più di tutti gli altri. Potessi avere le sue gambe, sarebbe fantastico

Hai mai pensato di fare il percorso opposto e provare la strada?

Sinceramente no. Mi piace quello che faccio e non penso che cambierei. Mi alleno circa 20 ore a settimana e ho la fortuna che la mia passione è diventata il mio lavoro. E’ vero, ogni tanto bisogna stare tanto via da casa, ma lo faccio sempre super volentieri.

Hai qualche idolo a cui ti sei ispirato?

Su tutti Nino Schurter. Poi ancora Absalon e Kulhavy, sono cresciuto un po’ in quell’epoca. Nino non smette di correre, per cui me lo trovo sempre lì anche in Coppa del mondo. Ricordo l’emozione di vedermi al suo fianco le prime volte e fa effetto il fatto che sia ancora competitivo ad altissimo livello a 38 anni suonati e lotti sempre per la vittoria, sbagliando raramente.

Avondetto corre con la maglia del Wilier Triestina–Pirelli Factory Team
Avondetto corre con la maglia del Wilier Triestina–Pirelli Factory Team
Se non avessi fatto mountain bike, ti saresti cimentato in qualche altro sport?

Non saprei, perché a livello agonistico ho sempre fatto questo sin da ragazzino. Mi piacciono molto lo sci di fondo o il biathlon, quindi chissà. Quest’anno la neve è un po’ scarseggiata, ma quando potevo andavo a sciare anche lo scorso inverno, di solito a Pragelato.

E al mondiale di fine agosto in Andorra ci pensi?

E’ un bellissimo tracciato, su cui facevano anche Coppa del mondo per cui anche quello è sicuramente nella lista degli obiettivi stagionali

Verso Parigi. Uno sguardo alla mtb con il cittì Celestino

21.05.2024
5 min
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E’ l’anno olimpico e la mtb trova spazio anche sulle nostre pagine web. In particolare la mtb azzurra. Con la Coppa del mondo che entra sempre più nel vivo e con l’approssimarsi delle convocazioni, il cittì Mirko Celestino ci spiega chi sono i papabili olimpici e anche come sarà il cammino azzurro da qui a Parigi.

La situazione non è facile, ma neanche nera. Se senatori e senatrici sono un po’ mancati sin qui, abbiamo avuto belle risposte dai giovani. E la vittoria del team relay e di Simone Avondetto (in apertura) ai recenti europei in Romania è la prova di un buon gruppo. In attesa delle convocazioni ufficiali, che avverranno dopo la tappa di Nove Mesto ecco cosa ci dice Celestino.

Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Mirko, come procedono dunque i tuoi lavori in vista di Parigi?

Si va avanti. Veniamo da alcuni eventi internazionali importanti e ora si avvicinano alcune prove di Coppa del mondo, a partire da quella di Nove Mesto dopo la quale avrò le idee un po’ più chiare. Anche se dentro di me già lo sono.

All’europeo una bella vittoria di Simone Avondetto…

Lui è quello che sin qui ha fatto meglio di tutti e non solo all’europeo. Simone viene da un buon periodo e ha “fame”. E’ molto giovane. Nel suo ultimo anno da under 23 ha messo a segno una tripletta importante vincendo il campionato italiano, quello europeo e quello mondiale. Lo scorso anno, il primo tra gli elite, ha avuto problemi, anche fisici: una stagione non dico da buttare ma complicata. Ma è ripartito col piede giusto.

Lui quindi è chiaramente inserito nella lista lunga per le Olimpiadi. E gli altri?

Gli altri sono i fratelli Luca e Daniele Braidot, Juri Zanotti per gli uomini e per le donne Martina Berta, Chiara Teocchi, Greta Seiwald e Giada Specia. Dico che nomi importanti come Luca Braidot e Martina Berta sin qui hanno fatto vedere davvero poco e infatti già da Nove Mesto mi aspetto segnali importanti da loro. Okay, sapevo che in Brasile (prima tappa di Coppa, ndr) non sarebbero partiti forte, ma poi non hanno mai brillato. E se pensano che la condizione arrivi da una settimana all’altra si sbagliano.

Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Quindi, sono nella lista ma devono mostrare qualcosa…

Esatto. Voglio delle risposte. Risposte che mi sarei aspettato anche prima. Il fatto che fossero sicuri del pass olimpico non significa che debbano prendersela comoda. Non è giusto. E se non dovessero arrivare segnali da parte loro… mi metterebbero in grossa difficoltà. Io non dico che a Nove Mesto debbano vincere, ma voglio almeno una top dieci.

Tornano in discussione dunque?

Se tra Nove Mesto, Val di Sole e Crans Montana, le due prove di giugno, non arrivano prestazioni importanti la vedo dura anche per Parigi. La mia esperienza mi dice questo. Okay, partire più piano per essere al top a Parigi, ma già in Brasile ad inizio stagione gente che punta all’oro ha vinto, o era davanti. E da Luca Braidot e Martina Berta mi aspetto che vadano alle Olimpiadi per portare a casa una medaglia, perché hanno l’esperienza, la maturità e i numeri per farlo.

Ora come procede il tuo lavoro?

Dopo Nove Mesto, l’UCI, visti alcuni cambiamenti sul percorso di Parigi, ci ha concesso due giorni di prova, di allenamento, a fine mese (28-29 maggio). Lì porterò tre uomini e tre donne. I due titolari e la riserva. Ad ora Luca Braidot, Juri Zanotti e Simone Avondetto, tra gli uomini. E Martina Berta, Chiara Teocchi e Greta Seiwald tra le donne. Quindi non più nove atleti come lo scorso anno per il test event, quando furono cinque uomini e quattro donne. Significa che una scrematura già sarà stata fatta.

E come staff?

Anche quello sarà lo stesso che vedremo impegnato a Parigi. Quindi due meccanici, un massaggiatore e anche Nicola Casadei, ex downhiller ed endurista. Lui è bravissimo, è importante per la scelta delle linee, per i nuovi modi di guidare. E’ una figura molto determinante visti i percorsi di oggi e poi sa comunicare bene con i ragazzi.

Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Tra i nomi fatti non è emerso quello di Gioele Bertolini

Se è per questo neanche quello di Nadir Colledani. Gioele sta andando fortissimo. Ha vinto tre gare, ma serviva più costanza anche prima. Vediamo, anche per lui, come andranno queste ultime gare. 

Mirko, su strada ormai si punta forte sugli juniores, anche nella mtb è così?

Non proprio, qui la categoria under 23 ha ancora il suo bel peso. Ci sono step tecnici, fisici e tattici molto ampi. Il salto tra juniores ed elite è enorme. Anche in virtù dello sforzo fisiologico che sono chiamati a fare: ormai è un’ora e 20′ a tutta, serve una potenza enorme. Ai tempi di Kerschbaumer dopo le partenze forti c’era una fase di stallo, di studio e infatti “Kersch” recuperava. Oggi questa cosa non esiste più. 

E il nostro movimento come è messo? Come sono i numeri della base?

I numeri non sarebbero neanche male è che poi ragazzi e ragazze fanno fatica ad emergere quando bisogna fare davvero la vita da atleti, i sacrifici… Tu puoi avere i migliori mezzi, il miglior staff, ma se poi non hai quel fuoco dentro è dura. Serve fame, fame agonistica. E infatti chi sono i nuovi emergenti? Ragazzi che vengono da Romania, Brasile, Cile…

Milano-Sanremo 2003, con Celestino il film di quel giorno

26.02.2023
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Un amarcord felliniano, andando a ripescare un’epoca che ci accompagna ancora oggi con quei campioni che ora guidano il ciclismo dall’ammiraglia e ricoprono ruoli in federazione e nel mondo tecnico delle due ruote. Facciamo un salto a vent’anni fa, partendo dalla foto utilizzata in apertura per farci raccontare la Milano-Sanremo 2003. A riavvolgere il nastro della memoria ci aiuta l’unico che dei tre non aveva le mani alzate al cielo ma l’orgoglio pieno, Mirko Celestino

Per lui correre la classica di primavera era un sogno fin da bambino. Nato ad Andora, città attraversata dalla corsa, l’attuale cittì della nazionale XCO e XCM aveva un legame intimo e reverenziale. Per lui quegli anni alla Saeco erano tempi di vittorie con un Lombardia, una Tre Valli Varesine e tante altre corse che lo avevano già fatto conoscere al grande pubblico. Una delle caratteristiche che lo contraddistinguevano era il saper affrontare le discese a viso aperto, rilassato e disinvolto come una rondine in cielo. Mirko, raccontaci di quel giorno e dicci cosa ne pensi degli interpreti di oggi…

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Per cinquant’anni la Milano-Sanremo si è corsa il 19 marzo, giorno del tuo compleanno. Che cosa rappresentava per te quella corsa?

Sono cresciuto guardando la Milano-Sanremo. Il mio papà mi ha sempre portato a vederla a Capo Mele che è la salitella prima di arrivare ad Andora dove mancano 50 chilometri all’arrivo. Sono cresciuto con la visione di questi corridori che arrivavano tutti sporchi e provati. Ho in testa queste immagini epiche di campioni che passavano davanti a casa. 

Da ammirarla sei poi arrivato a correrla da professionista…

Questa passione per la bici tramandata da mio papà l’ho portata avanti dai sei anni fino a farne un lavoro e non ho più smesso. Il mio sogno era quello di partecipare alla Milano-Sanremo e così sono arrivato a farne 11 tra cui quella del 2003 dove chiusi al secondo posto dietro a Paolo Bettini

Che emozioni provasti quel giorno?

Fu come una vittoria. In quel periodo Bettini era imbattibile. Per un corridore con le mie caratteristiche arrivare nei primi in quella classica era molto difficile. A quel tempo era una gara dominata perlopiù da velocisti. Ai tempi non si riusciva a fare tanta differenza perché c’era Mario Cipollini in maglia iridata con il suo treno. Fino all’anno prima con il treno rosso non lasciava scappare occasioni e quell’anno con la Domina Vacanze il trend era lo stesso. 

Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Un secondo posto che ti tieni stretto…

Quel giorno lì sento di aver fatto un’impresa. Chi ne capisce di ciclismo può capire quanta energia avessi e quanto era la mia giornata. Anche se quel giorno “l’altro” che era nella sua giornata perfetta era proprio Bettini. 

Qual era la tattica in corsa?

Gli accordi erano quelli di avvantaggiare Danilo Di Luca, mio compagno alla Saeco, che stava bene e bisognava fare la gara dura per svantaggiare i velocisti. Mi “sacrificarono” per fare l’attacco sulla Cipressa e così è stato. 

Ti staccasti prima dello scollinamento e poi li riagganciasti in discesa…

Mi riprese quasi in cima alla salita il quartetto che era uscito dal gruppo composto da Bettini, Vinokourov, Freire e Rebellin. Ero in affanno dopo l’attacco e mi ricordo che vidi che Di Luca non c’era, così mi buttai giù in picchiata, rischiando la vita, per quella discesa che conoscevo a memoria e li ripresi. Ai tempi so che feci il record. Mi piaceva molto andare forte in discesa e riuscivo a fare la differenza anche in quelle che non conoscevo.  

Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Cosa successe sul Poggio?

Ci ripresero e imboccai il Poggio in gruppo. Poi secondo me, Di Luca partì un po’ troppo presto e fu ripreso in contropiede da Bettini, Paolini e me, che mi agganciai alla loro ruota. 

Se sulla Cipressa facesti il recupero in discesa mentre a venire giù dal Poggio tirò quasi solo Paolini…

Anche loro due erano due ottimi discesisti. Paolini lo reputavo al mio livello in discesa. Si sacrificò totalmente per Paolo e tirò parecchio sia in salita che in discesa perché era molto bravo a guidare e a disegnare traiettorie. Di Luca infatti si staccò e perse terreno da noi tre. 

Che sentimento provasti al termine di quel sogno sfiorato?

Son sempre stato una persona realista. Quel giorno lì non mi ha battuto uno a caso, ma Paolo Bettini. In quegli anni lì non sbagliava un colpo, sapevo già di essere spacciato. Mi sarebbe stato utile se al posto di Paolini ci fosse stato un altro corridore di punta in modo tale da provare un attacco da finisseur e sorprenderli. Magari si sarebbero guardati quell’attimo in più e sarei arrivato all’arrivo. Ero abbastanza scaltro in questo, infatti la Classica di Amburgo e il Giro di Lombardia li vinsi così, di furbizia. 

Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Venendo all’attualità, la vittoria di Mohoric dell’anno scorso utilizzando il telescopico e attaccando proprio in discesa che impressione ti ha fatto?

Ha colto l’attimo giusto. Sì, il telescopico può averlo avvantaggiato qualcosina, ma non lo vedo così utile in una gara su strada. Si va giù talmente forte nelle discese che quel dispositivo non ti fa fare così tanto differenza. Lì ci vuole il manico e saper gestire bene la bicicletta, distribuire i pesi ed essere tranquillo e rilassato. La rigidità è quella che ti fa fare degli errori, soprattutto alle alte velocità. Lui ha saputo sfruttare questa sua dote di discesista e ha sorpreso gli altri. E’ stato un grande. Avendo il telescopico tutta l’attenzione se l’è presa quello. 

Pensi che quest’anno vedremo più telescopici in gruppo?

Sicuramente sì. Qualcuno proverà questa carta. Anche se la Sanremo la vinci con un insieme di dettagli: alimentandoti bene, arrivando con la mentalità giusta al momento decisivo e con una gamba che risponde bene dopo 300 chilometri. 

Il telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Un telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Cosa ne pensi dei nomi che ci sono oggi? Van Aert, Van der Poel, Pogacar…

Sono tutti nomi pericolosi. Pogacar ha caratteristiche diverse dagli altri due, perciò cercherà sicuramente di anticipare tutti e metterli in difficoltà. C’è da dire che Van Aert e Van der Poel non li stacchi in salita e in più sono anche veloci. Ovviamente ci aggiungo Evenepoel e Alaphilippe che sono delle vere e proprie mine vaganti per qualsiasi corsa. Al giorno d’oggi la vita per i velocisti è sempre più dura. Dopo 300 chilometri, Van Aert e Van der Poel possono dire la propria anche in mezzo ai velocisti. Le caratteristiche vanno tutte in secondo piano. Le incognite in questa classica sono infinite. Comprese le cadute che in questa gara fanno la selezione che non ti aspetti. 

Permettici questa domanda… Mirko Celestino con il telescopico avrebbe vinto una Sanremo?

No, no (ride, ndr), in Mtb l’ho usato ma serve per altri scopi. Su strada non fa la differenza che tutti si immaginano. Mi tengo stretto quel secondo posto del 2003. 

Mondiale gravel, la nazionale e i ragionamenti di Pontoni

07.10.2022
5 min
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Domani e domenica fra Vicenza e Cittadella si correrà il primo mondiale gravel della storia. Daniele Pontoni, cittì azzurro del cross e del gravel, ha diramato nei giorni scorsi delle convocazioni inattese, con nomi come quelli di Davide Ballerini e Daniel Oss, oppure di Sofia Bertizzolo fra le donne, accanto a Barbara Guarischi.

Il mondiale l’ha organizzato Filippo Pozzato con la sua PP Sport Events e sarà destinato ad entrare nella storia di una disciplina in forte ascesa. La formula di partecipazione è inedita rispetto ai canoni delle corse su strada e ricalca semmai (anche se non del tutto) quello delle marathon di mountain bike, con gli elite e i pro’ che partono davanti agli amatori che si sono qualificati. Con il cittì della nazionale abbiamo cercato allora di capire che corsa verrà fuori, quali regole seguirà e in che modo sono state fatte le scelte degli uomini e delle donne.

«Con qualcuno – dice Pontoni – sono state delle proposte mie, ad esempio con la Guarischi. L’ho vista girare in pista a Pordenone ed è nata da lì. Di Daniel Oss invece ho parlato col team manager Amadio. Per Ballerini e altri ho fatto una serie di chiamate anche ai direttori sportivi e ai team manager, innanzitutto per capire chi fossero gli atleti disponibili, su una rosa più ampia che avevo dato, con i nomi che mi sarebbe piaciuto avere per questo mondiale».

Oss e Sagan: i due saranno entrambi al mondiale gravel. Il nome di Oss è venuto fuori da uno scambio fra Pontoni e Amadio
Daniel Oss, qui con Sagan: i due saranno entrambi al mondiale gravel
Hai valutato anche la predisposizione per il fuoristrada fatta magari nelle categorie giovanili o per le classiche del Nord? 

Quelli che avevano fatto esperienza nelle categorie giovanili erano attenzionati, ma qui non dobbiamo pensare solo al fuoristrada, perché comunque è una gara di fondo. Anche per questo siamo e sono stato orientato più su professionisti che arrivano dalla strada, soprattutto anche per il chilometraggio: sia in campo femminile sia in campo maschile. Chiaramente è stata fatta anche questa valutazione tecnica, oltre alla disponibilità degli atleti dei team.

Anche perché il percorso non appare troppo tecnico…

Infatti prima sono venuto a visionare personalmente il tracciato di gara per capire quali potevano essere le attitudini degli atleti per questo mondiale.

Pontoni assieme a Chiara Teocchi, biker, crossista e ora azzurra ai mondiali gravel
Pontoni assieme a Chiara Teocchi, biker, crossista e ora azzurra ai mondiali gravel
Come è nata ad esempio la convocazione di Sofia Bertizzolo, che pure è arrivata quarta al Fiandre?

E’ venuta fuori parlando con il suo meccanico Flavio Longhi e sapendo che lei comunque arrivava dal cross nelle categorie giovanili.

Gli atleti Specialized correranno con le Roubaix, delle bici da strada. Credi che servirà una revisione dei regolamenti?

Al momento, come è giusto essendo all’anno zero, hai una forbice molto larga e lasci libertà un po’ a tutti, come è stato negli anni 90 con la mountain bike. Quindi credo che avremo bisogno di qualche anno per normare questa specialità, che io ritengo abbia un futuro importante.

Come si svolgerà l’assistenza sul percorso?

Come nazionale abbiamo già pianificato proprio ieri sera tutti i punti. Saremo divisi in 3-4 squadre con cui copriremo le 12 postazioni. Faccio un esempio, il gruppo di lavoro che va alla postazione 1 andrà poi alla 4, alla 7 e alla 10. Chi invece farà la 2, poi andrà alla 5, alla 8 e alla 11. E chi fa la 3, poi passerà alla 6, la 9 e la 12. Sarà una corsa nella corsa, come in una Marathon di mountain bike.

Ballerini pavé
Davide Ballerini, esperto di classiche del Nord, porterà in gara la sua Specialized Roubaix
Ballerini pavé
Davide Ballerini, esperto di classiche del Nord, porterà in gara la sua Specialized Roubaix
Dove si deciderà la gara?

Secondo me si cominceranno a vedere grandi cose già all’inizio. Nei primi 35 chilometri capiremo già tanto. Ci sono le due salite e i tratti più tecnici dove tra l’altro è anche più facile bucare o avere degli inconvenienti. Poi si sa, 200 chilometri per gli uomini sono tanti, come pure 140 per le donne.

Quindi ti aspetti subito selezione?

Non si deciderà, ma si delineerà all’inizio. Nelle gare che abbiamo visto fino ad ora, anche se abbiamo poco storico, i corridori arrivano uno alla volta e con distacchi abissali. In più, un mondiale è un mondiale e potrebbe darsi che la corsa diventi anche più tattica. Noi abbiamo la nostra idea di gara e la interpreteremo in una certa maniera. Però dai primi riferimenti capiremo se dovremo adattarci ad altri schemi.

Come funzionerà l’assistenza tecnica e come avete fatto le scelte teniche?

Non si può cambiare la bici chiaramente e si può fare assistenza sono nei punti fissi. I ragazzi avranno quel che serve per essere autosufficienti. Per le scelte tecniche, abbiamo visionato il percorso con tutti i ragazzi e i due che mancano lo vedranno oggi. Abbiamo deciso assieme, anche in base alle caratteristiche dei singoli. Qualcuno si sente più sicuro magari con il 33, qualcuno col 35. Dipende anche dalla guida di ogni atleta, non sarà standardizzato per tutti.

Mathieu Van Der Poel sarà uno dei pezzi grossi al via del mondiale gravel
Mathieu Van Der Poel sarà uno dei pezzi grossi al via del mondiale gravel
C’è la tensione di un vero mondiale?

Il mondiale è il mondiale e ricordiamoci che il primo passerà alla storia. Ma aspetta che vi passo un signore anziano che vuole salutarvi, aspetta…

Chi parla?

Giro di Lombardia 1999.

E’ Mirko Celestino, commissario tecnico della nazionale di mountain bike e vincitore del Lombardia di 13 anni fa, che a Vicenza farà da spalla a Pontoni, nel segno dell’ottima collaborazione trasversale fra i vari settori.

Correrai anche tu?

No, non mi ha convocato. Non capisce niente questo qua di selezioni (ride, ndr). Ne parlavamo ieri con Daniele, mentre eravamo sul percorso con le ragazze. E ci dicevamo uno con l’altro che queste sarebbero state le nostre corse. Sembrano le corse del Belgio con queste stradine, che mi piacevano tanto…

Mirko Celestino, classe 1974, vinse il Lombardia 1999. Oggi è tecnico della nazionale di Mtb e collabora con Pontoni
Mirko Celestino, classe 1974, vinse il Lombardia 1999. Oggi è tecnico della nazionale di Mtb

Il primo mondiale gravel si disputerà fra domani e domenica, nel ricchissimo weekend del Lombardia e dell’Ora di Ganna. Come detto già a suo tempo con Pozzato, è stato organizzato tutto senza riferimenti del passato. Per questo entrerà nella storia e per questo lo seguiremo con grande curiosità. Visti i nomi al via, non sarà certo una corsa banale.