Bartoli secco: Sagan contro VdP? La differenza la fa la fame

05.11.2021
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Chiacchiere da bar, come capita fra amici quando ci si incontra e si comincia a parlare di ciclismo. Così accade di sentirsi con Bartoli e di mettere nel mirino due… bestie da classiche come Sagan e Van der Poel, riallacciandosi al discorso che si scrisse qualche giorno fa: chissà se Peter rivede in Mathieu, nei suoi gesti e nel suo modo di correre, il se stesso di qualche anno fa. E Michele, che quando correva e stava bene non era certo meno spettacolare, sta al gioco. Forse perché i campioni fra loro si riconoscono, forse perché qualche affinità c’è davvero.

«E certo che c’è – dice con un sorriso tutto toscano – hanno in comune la forza, lo strapotere rispetto alla media del gruppo. Ce l’hanno entrambi. Ora Sagan purtroppo si è un po’ perso, non so il motivo. Ma Peter al 100 per cento contro Van der Poel al 100 per cento sarebbe un bello scontro. Van der Poel forse in salita tiene un po’ di più. L’altro forse per quello che prometteva non si sa dove poteva arrivare, ma per me potrebbe farlo ancora».

Chiacchiere da bar, ma a dire il vero il Sagan di oggi sembra più pesante e meno convinto…

A volte muscolarmente, soprattutto quando non lavori troppo, ti gonfi un po’. Io sono convinto che Sagan allenato, preparato, tirato, curato con l’alimentazione tornerebbe ad affinarsi. Io sono sempre stato tifoso suo, mi piaceva anche l’atteggiamento che aveva. E questo è che per qualità è paragonabile a Van der Poel e anche a Van Aert. Non è inferiore, assolutamente.

Per tutti c’è in comune il fuoristrada.

Io sono convinto che anche la mountain bike ti dia attitudini diverse, come il ciclocross. Sono qualità importanti per vincere le gare. Perché sono tutti sforzi massimali, picchi molto alti. Alla fine per vincere devi andare più forte degli altri senza neanche un cedimento e questa è un’attitudine che la mountain bike e il ciclocross ti danno indubbiamente. Lo so bene cosa vuol dire fare ciclocross, perché l’ho praticato tanti anni anche io. E lì significa fare ogni volta una cronometro, perché vai sempre al massimo.

Forse a voler essere puntigliosi, il miglior Sagan è più furbo di Van der Poel che ne spreca proprio tante…

Infatti tatticamente Sagan lo vedo più come Van Aert, che come Van der Poel. Van Aert tatticamente è un genio, ma lo è anche Sagan. Peter sa correre. Diciamo che lui è la sintesi fra la testa di Van Aert e l’esplosività di Van der Poel, perché quando raggiunge il suo 100 per cento non sbaglia niente. E’ un cecchino, ha vinto tre mondiali quasi senza squadra. Sarebbe bello vederli insieme al massimo della forma. Alla Roubaix o al Fiandre farebbero scintille.

Secondo molti, Peter è avviato sul binario della pensione.

Badate bene… l’atleta, il fisico non finisce mai. E’ la testa che ti dà una percezione anticipata del limite rispetto a quando sei in bolla. E quindi ti sembra di essere a tutta, ma in realtà non lo sei. Proprio per la percezione della fatica che ti fa calare il rendimento. Per questo se Peter si scuote e torna ad avere stimoli veri, il fisico dai 30 ai 38 non cambia tanto. Il rendimento sembra che cambi, la verità è che dai trent’anni subentra quell’effetto di fatica anticipata e lo sforzo lo sopporti meno. Ma non è una questione di qualità della forza, è una questione mentale.

Forse allora gli servirebbe un direttore sportivo scomodo che lo spinga oltre quel limite?

I primi anni era molto ambizioso, ora sembra un pochino più appagato. Sono segnali. Forse davvero gli servirebbe un Ferretti, come fu per me. Uno che lo rimetta in linea e gli dia anche la grinta. O vai o smetti. Che magari nella nuova squadra crei il clima per cui creda un po’ di più in se stesso.

Si può ritrovare quella rabbia?

La differenza fra Sagan e Van der Poel è un po’ legata alle differenze fisiche, ma è chiaro che il vero solco ora lo scava la fame. Van der Poel ha una fame paurosa, anche se ha già vinto tanto. Questo ha voglia di prevalere su tutti, si vede. Anche solo quando scatta, le prime tre pedalate le fa da cattivo. Una volta lo faceva anche Sagan, che con uno scatto di 10 metri ne guadagnava subito tre.

Destino segnato?

Ci sta che dopo anni ti appaghi, non gliene farei una colpa: succede a tutti in una carriera. E’ per far capire che sarebbe ancora in grado di fare il salto, di tornare al suo livello, di fare ancora Hulk. Io faccio il tifo perché ci riesca. Deve crederci lui per primo e togliersi quello sguardo vuoto che di recente ho visto anch’io.

Wout sfinito? Viaggio tra i preparatori per studiare il suo stacco

06.10.2021
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«Ho bisogno di tre settimane di stacco». Wout Van Aert ha apertamente reclamato il suo riposo al termine della classica delle pietre. L’asso belga tra il mondiale e la Roubaix è sembrato stanco. O quantomeno non brillantissimo.

Anche un fenomeno quindi ha bisogno di riposo? E cosa succede a non fermarsi mai e a tirare costantemente la carretta? E con il ciclocross che lo aspetta come farà? Quanto è importante riposarsi? Tutte queste domande le abbiamo poste a quattro preparatori, anche di generazioni differenti, del panorama italiano ma dal richiamo internazionale: Paolo Slongo, Michele Bartoli, Pino Toni e Paolo Artuso.

Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata
Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata

Slongo: il picco contro Ganna

«E’ fondamentale staccare e recuperare – dice il preparatore della Trek Segafredo – Van Aert, per parlare del caso specifico, era uscito dal Tour, ha puntato poi alle Olimpiadi e al mondiale… quindi dopo questo lungo tour de force è giusto che stacchi tre settimane. Ma anche quattro direi. Ci stanno tutte.

«Se stacchi in stagione, può andare bene anche una settimana, ma d’inverno no. Poi lui ha il cross. Riprenderà soffrendo nelle prime corse e visto che il mondiale sarà a fine gennaio, sarà pronto per quel periodo, quindi se si ferma subito è in tabella per farsi trovare pronto. E poi bisogna vedere come stacchi. Stare fermo, fermo è una cosa, se invece si va a camminare, nuotare o in Mtb… è tutt’altra. 

«Van Aert non si ferma mai? Ma alla lunga tutto ciò logora. Logora chiunque, anche un campione come lui. Se tu programmi bene i tuoi impegni puoi fare tutto, ma se non stacchi mai e sei sempre sul pezzo alla fine salti. E soprattutto ti accorci la vita come atleta. Non credo che lui sia andato in overtraining, ma che sia in calando di forma sì. Per me il picco lo ha raggiunto nella crono iridata. Per stare a pochissimi secondi da Ganna ha sviluppato wattaggi enormi. Ha provato a dare il tutto e per tutto, ma da lì in poi il calo è stato evidente».

Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro
Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro

Toni: staccherà di meno

«Stacco tre settimane: queste parole dette dopo una Roubaix ci stanno – dice Toni – Una gara del genere ti resta addosso per giorni. Pensiamo solo alle mani. Per un po’ neanche riesci ad appoggiarti al manubrio. Io per esempio temevo per le donne, invece la Bastianelli ne è uscita alla grande.

«L’entità dello stacco dipende anche da che atleta si ha di fronte. C’è chi corre e chi rincorre (o deve lavorare per altri) e non tutti fanno la stessa fatica. Quindi si arriva in certi momenti della stagione con un livello di fatica differente. Poi un campione come lui in teoria ha un’altra capacità di recupero ed ha necessità di staccare meno».

«Lo stacco è importantissimo, ma sinceramente tre settimane mi sembrano tante. Con dieci giorni un atleta del genere torna come nuovo. Se pensiamo che dopo un Tour con 5-6 giorni di riposo vanno fortissimo e vincono le Olimpiadi… Bisognerebbe avere il calendario alla mano per sapere le sue gare. Ci sono due tipi di stop: quello nel bel mezzo della stagione e quello alla fine, in cui è importante staccare anche di testa. Anche perché, non dimentichiamolo, lui ogni volta ha corso per vincere e questo conta tanto». 

Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono
Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono

Artuso: tanti “sforzoni” al Tour

«Una gara come la Roubaix la senti anche per dieci giorni a livello muscolare – spiega Artuso – magari sul piano metabolico la smaltisci in un giorno o due come un tappone, ma su quello fisico i piccoli danni muscolari che vai a creare non sono pochi, quindi ci sta che fosse molto stanco in quel momento.

«Per dire se 3-4 settimane sia tanto o poco bisognerebbe conoscere i suoi impegni a venire. Di certo lui è a tutta da tanto tempo: la primavera, il Tour, le Olimpiadi, il mondiale… e non ha mai corso al risparmio. Anche al Tour, dopo il ritiro di Roglic soprattutto, la squadra ha corso in modo diverso ed è stato chiamato a dei super “sforzoni”. La fatica si è accumulata nei mesi e la Roubaix è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non so che carichi di lavoro abbia fatto: sarebbe interessante per capire.

«Ci sono due tipi di stacco: quello nella stagione, che serve per assimilare il lavoro fatto (over reaching). E poi c’è quello più profondo, in cui devi perdere la condizione per ritrovare poi altri picchi. E quest’ultimo è importante per ristabilirsi anche a livello ematico e mentale».

Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada
Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada

Bartoli: deve scegliere

E partendo da quest’ultima frase ci si può collegare a Michele Bartoli, per il quale ripristinare le scorte è fondamentale.

«Vero, Van Aert era stanco e secondo me anno dopo anno si troverà sempre più in difficoltà – dice secco l’ex grande corridore toscano – e come lui anche Van der Poel. Sono due campioni, ma sono due umani, non due macchine e le energie fisiche non sono infinite. Se pensate che io dico ai miei atleti, che non fanno il cross, di staccare 3-4 settimane, figuriamoci lui. Dico ai miei ragazzi di non pensare di essere ciclisti in quel periodo. Certo, un po’ di vita la devono fare, ma devono staccare soprattutto a livello mentale. Se ne dovrebbero andare ai tropici!

«Per Van Aert che ha il cross, staccare è più difficile. Io non credo che lui starà tre settimane senza bici, altrimenti comprometterebbe la sua stagione del ciclocross. Potrebbe aver detto quella frase sulla base di uno sconforto momentaneo».

«Avesse 34 anni okay: fai 2-3 anni a tutta, cross e strada, e via… ma è ancora giovane. Cosa succede a non staccare? Che non reintegri mai le riserve della stagione precedente. Chi non riposa bene recupera al 99%. Se ogni anno togli l’1% al tuo motore dopo dieci anni hai perso il 10%. E per ripristinare le scorte e azzerare le fatiche fisiche e mentali c’è solo una cosa: il riposo. Altro che corsa, Mtb, piscina… a cosa serve fare queste cose ai fini della prestazione di tanti mesi più in là per atleti di questo livello? Non si riposano bene e basta. Se Wout dovrà scegliere? Glielo auguro presto. Ho sempre detto che mi piace più di tutti e non vorrei perdesse la sua supremazia».

Corridori al limite, ma le squadre spingono…

02.10.2021
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E’ tutto un casino. I corridori sono stanchi, fisicamente e mentalmente, che poi è la parte peggiore. Le squadre hanno ancora il calendario da riempire e premono perché siano tirati a lucido. I preparatori nel mezzo a tirare una coperta che a fine stagione è sempre più corta. Se poteste ficcare il naso senza essere visti, siate pur certi che la scena sarebbe la stessa in ogni team WorldTour e figurarsi nei più piccoli.

Michele Bartoli
Nel 2002 Bartoli vinse il Lombardia dopo 44 giorni di corsa. Vinse anche l’Amstel. Prima vittoria a febbraio. Per Van Aert nel 2021, 48 giorni
Michele Bartoli
Nel 2002 Bartoli vinse il Lombardia dopo 44 giorni di corsa. Vinse anche l’Amstel. Per Van Aert nel 2021, 48 giorni

E se ti ritrovi ai primi di ottobre con la Roubaix, il Lombardia, le classiche italiane, qualcuna in Francia e le nuove gare in Veneto, ti chiedi se ce la faranno ad essere forti come li vogliamo o se piuttosto qualcuno, anche i più grandi, non inizierà a perdere pezzi. E allora magari capisci che il Van Aert dei mondiali non è per caso…

La lettura di Bartoli

Michele Bartoli fa il preparatore trasversalmente alle squadre, preferisce non parlare degli atleti che segue per richiesta degli stessi team, ma ha chiaro il polso della situazione, perché probabilmente con la realtà descritta in avvio fa i conti anche lui.

Quest’anno Vdp ha corso per 33 giorni, ma dopo il Tour si è fermato per la Mtb. Prima vittoria a febbraio in UAE
Quest’anno Vdp ha corso per 33 giorni, ma dopo il Tour si è fermato per la Mtb. Prima vittoria a febbraio in UAE

«Ho smesso di correre alla Csc – dice – perché volevano fare troppi ritiri, figurarsi se avrei potuto farlo oggi, che non sono mai a casa. Poi è chiaro che a fine stagione siano sfiniti. In ogni caso anche negli anni 90-2000 era finito il tempo delle corse di allenamento e dovevi sempre essere pronto per vincere. Facevi i salti mortali, dosando giorni di carico e il poco recupero che riuscivi a trovare. Oggi però è peggio. Il picco di fine stagione è sempre stato più basso di quello di primavera, per cui è chiaro che il Van Aert di aprile fosse molto più forte di quello di ottobre. Ad aprile aveva cinque scatti vincenti, adesso ne ha due. E se gli servono per chiudere su Alaphilippe, ecco che gli equilibri cambiano».

Nel 2021 per Alaphilippe 61 giorni di corsa. Prima vittoria a marzo alla Tirreno-Adriatico
Nel 2021 per Alaphilippe 61 giorni di corsa. Prima vittoria a marzo alla Tirreno-Adriatico
Se non altro a fine stagione non c’è più l’assillo di andare in altura.

Non crediate, qualcuno è andato lo stesso. Secondo me l’altura va dosata, non funziona sempre. Chi punta a Giro, Tour e mondiale, è bene che vada per tre volte e poi basta. La mia teoria, che sarà pure solo mia però mi ha dato grandi soddisfazioni, è che in altura devi andarci con una buona condizione, altrimenti ottieni solo di mettere il fisico in difficoltà. E se ci devi andare che stai bene, lo fai a ridosso dell’appuntamento. Andarci a inizio stagione ha poco senso, se non per stare magari con la famiglia in un bel posto. Ma secondo me anche questo cambierà.

Che cosa cambierà?

Perché i corridori devono stare sempre in montagna? Che vita fanno? Torneremo indietro perché le squadre con dei buoni atleti dovranno imparare a gestire anche i ritiri. Ripetere ogni anno lo stesso percorso di preparazione funziona al massimo per 4-5 stagioni. Poi gli atleti saltano di testa e i risultati calano. Guardo alla Ineos, per fare un esempio. E allora bisognerà che i direttori sportivi comincino ad ascoltare i corridori, quando gli dicono che vogliono saltare qualche ritiro. Siamo al limite.

Trentin nel 2021 ha fatto (finora) 68 giorni di corsa. Prima vittoria a settembre, debutto a fine gennaio
Trentin nel 2021 ha fatto (finora) 68 giorni di corsa. Prima vittoria a settembre, debutto a fine gennaio
E in ogni caso, a fine stagione sarai sempre meno performante che all’inizio?

Per forza. Anche per un fatto di freschezza. Ad aprile arrivi da un mese di vacanze e da lavori ben fatti per costruire la condizione. A settembre-ottobre i corridori arrivano da una stagione piena, in cui i lavori li hanno un po’ messi da parte, sono meno freschi e il livello della prestazione per questo è più basso.

Ad esempio ha avuto senso che dopo il mondiale tanti siano andati a correre l’Eurometropole Tour invece di riposare?

No per chi ad esempio aveva in programma di fare la Roubaix. C’è anche bisogno di recupero, perciò magari qualcuno si è ritirato. Ma il calendario è ancora pieno, guardate quanto è pieno…

Alla Vuelta bis di Storer e tre punti da rivedere con Bartoli

24.08.2021
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C’erano due elementi in particolare che oggi potevano caratterizzare la decima tappa della Vuelta e renderla scoppiettante: il giorno successivo al riposo (e quindi gambe fresche) e il Puerto de Almacar (fughe e scatti). E questi due elementi si sono ben fusi, dando origine ad una pozione esplosiva. Il risultato? La fuga è andata in porto e ha vinto Storer, la velocità è stata folle quasi 45,5 media con 2.350 metri di dislivello totale, Roglic ha perso la maglia rossa a vantaggio di Eiking e Landa è saltato. Di fatto sono tre punti che abbiamo commentato con Michele Bartoli.

Per Eiking, classe 1994, questa è la prima maglia rossa. Vanta tre vittorie da professionista
Per Eiking, classe 1994, questa è la prima maglia rossa. Vanta tre vittorie da professionista

Brava Intermarché

Se la Dsm si porta a casa un’altra tappa e lo fa ancora con Micheal Storer, la Intermarché Wanty Gobert non è da meno. La squadra belga aveva già alzato le braccia al cielo con Rein Taaramae e aveva conquistato la maglia rossa. Oggi ne torna padrona e lo fa con il norvegese Odd Christian Eiking. Insomma la Intermarché Wanty Gobert non è più la cenerentola del World Tour.

«Si vede la mano di Valerio Piva – commenta Bartoli – lui è bravo. E’ un diesse capace, che sa di ciclismo e meriterebbe un top team. Riesce sempre a raccogliere il massimo con quel che ha disposizione. Anche al Giro hanno vinto una tappa nell’unico modo che potevano, altrimenti non ce l’avrebbero fatta».

I segni della caduta di Roglic a fine tappa. In discesa stava guadagnando qualcosina a fronte di un grande rischio
I segni della caduta di Roglic a fine tappa. In discesa stava guadagnando qualcosina a fronte di un grande rischio

Roglic, troppi errori

Dicevamo di Roglic. Primoz si è esposto a un rischio eccessivo. E ha mostrato ancora una volta qualche limite tecnico e tattico.

«Oggi – dice il campione toscano – non mi è piaciuto. Dopo la scatto mi aspettavo un rendimento più dirompente, invece ha preso quei 9” e se li è portati fino in cima. E stava spingendo forte, si vedeva. E poi ha rischiato troppo. E’ caduto e adesso quelle botte in qualche modo se le porta dietro. Mi verrebbe da chiedergli: ma chi te lo ha fatto fare? Se fai una differenza netta, guadagni 40”-50” okay, ma se prendi 50 metri anche se fai la discesa a tutta e non ti riprendono alla fine guadagni 15”. Ma quanto spendi? Quanto rischi? Non ha senso».

A questo punto facciamo notare che forse in certi momenti emergono i limiti di un ragazzo che ha iniziato tardi (ricordiamo che viene dal salto con gli sci). «In parte sì, ma le radioline? Un errore simile potevi commetterlo quando non c’erano. Possibile che l’ammiraglia non gli abbia detto: ohi ma dove vai?».

Landa aveva scricchiolato già qualche giorno fa, ma aveva limitato i danni, oggi è crollato. Il suo distacco: 21’41” da Storer
Landa aveva scricchiolato già qualche giorno fa, ma aveva limitato i danni, oggi è crollato

Landa nel baratro

Infine, la Roquetas de Mar – Rincón de la Victoria ci ha detto che Landa ha alzato definitivamente bandiera bianca. Lo spagnolo della Bahrain Merida, partito con i gradi di capitano, ha incassato 21’41” da Storer e 9’51” da Roglic e gli altri big della generale.

«Davvero non so spiegarmelo – dice Bartoli – Eppure a Burgos era andato bene, mostrandosi in crescita e anche nel primo arrivo in salita era andato bene. E posso dirvi che sul Pico Blanco non puoi nasconderti. Non è una di quelle salite che dà respiro, che anche se sei “impiccato” riesci un po’ a salvarti. E’ davvero un punto interrogativo, Mikel. Lo conosco bene e se recupererà bene potrà farci divertire in salita, ma con altri obiettivi chiaramente».

Tokyo, umidità, fatica e crampi: Bartoli, ci spieghi tu?

31.07.2021
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Sabato, nella gara olimpica di ciclismo su strada, abbiamo visto Alberto Bettiol abbandonare qualsiasi possibilità di medaglia a causa dei crampi. Pochi giorni dopo nella crono stesso destino per Ion Izagirre (immagine Eurosport di apertura), costretto addirittura al ritiro nella crono

Per approfondire e capire appieno il problema che ha afflitto gli atleti a Tokyo, abbiamo chiamato Michele Bartoli, vincitore fra le tante di Fiandre, Lombardia e Liegi e oggi preparatore di alcuni atleti che abbiamo visto sfidarsi anche alle Olimpiadi.

Quando le fibre smettono di allontanarsi fra loro, arriva il crampo (immagine Fisiocalcio)
Quando le fibre smettono di allontanarsi fra loro, arriva il crampo (immagine Fisiocalcio)
Iniziamo con il capire cosa sono i crampi

Facendola semplice, il muscolo si contrae in continuazione. A un certo punto può capitare che non riesca più ad espellere il calcio presente all’interno delle fibre e queste non riescono più ad allontanarsi fra loro, rimanendo contratte. E a quel punto ti blocchi.

Perché succede?

Ci sono tre cause: stress, disidratazione e sforzo eccessivo. I crampi da stress sono legati ad un fattore psicologico, di gestione delle emozioni, mentre pedali ti arrivano delle micro-contratture nervose che affaticano il muscolo e possono causare i crampi.

Quelli da disidratazione?

Sono i più frequenti e sono dovuti a una scarsa assunzione di liquidi legata ad una sudorazione molto elevata, cosa che avviene nei climi caldi e umidi in particolare (come a Tokyo, ndr). Quelli invece scaturiti da uno sforzo eccessivo, derivano dal mancato allenamento, ovvero il muscolo non è abituato a fare fatica. E superato il limite di sopportazione, cede.

A circa 14 chilometri dall’arrivo, Bettiol costretto a smettere di pedalare (immagini Eurosport)
A circa 14 chilometri dall’arrivo, Bettiol costretto a smettere di pedalare (immagini Eurosport)
I crampi che hanno colpito Bettiol come li interpreti?

Allora, escluderei a priori quelli da stress, ha già corso gare importanti e non mi sembra uno che subisce psicologicamente la corsa. Direi che sono un misto delle altre due cause, disidratazione e sforzo eccessivo. Il clima era parecchio caldo ed umido e questo ha influenzato, poi non correva da un po’, non era abituato a fare certi sforzi.

Quindi dici una preparazione inadeguata?

Sì, come si è visto chi ha fatto bene all’Olimpiade arrivava direttamente dal Tour de France, un dato non casuale. Ai miei tempi, come ora, chi esce dai grandi Giri ha sempre una settimana di forma ottimale, basta guardare l’ordine di arrivo e si capisce subito.

L’avvicinamento alla gara attraverso la Settimana Italiana in Sardegna è stato troppo blando?

A mio modo di vedere sì. Poi consideriamo che non hanno neanche fatto tutte le cinque tappe ma solo tre: troppo poco per riabituare il fisico alle gare. Anche Nibali, che ha fatto due settimane di Tour, avrebbe dovuto quantomeno finirlo.

Il gruppo se ne va, Bettiol si ferma. Carapaz e McNulty sono già lontani (immagini Eurosport)
Il gruppo se ne va, Bettiol si ferma. Carapaz e McNulty sono già lontani (immagini Eurosport)
Che differenza c’è tra la preparazione attraverso un grande Giro o con degli allenamenti a casa?

Quando finisci un Tour o un Giro d’Italia hai un’alta capacità di soglia, quindi di correre per lunghe distanze a ritmi elevati. Perdi in esplosività, ma hai una condizione troppo superiore. Preparandoti attraverso degli allenamenti classici, invece, hai molta più esplosività, ma non hai sviluppato la capacità di soglia. E’ una dote che alleni solo in corsa, come un grande Giro o una serie di corse ravvicinate.

Come la campagna del Nord in primavera?

Esattamente, chi punta al Fiandre o alla Roubaix corre 4-5 gare prima, abbastanza ravvicinate con lo scopo di aumentare questa capacità di soglia, in quel caso però non si sforza troppo per mantenere un’esplosività elevata.

L’Olimpiade era una corsa di un giorno ma ha vinto un corridore da corse a tappe.

Questo dato lo allaccio a quel che dicevo prima e aggiungo: il percorso di Tokyo era duro, con molto dislivello ma non richiedeva esplosività. Infatti tutti quelli che si sono giocati la vittoria finale, sono corridori da corse a tappe. Lo stesso vincitore, Carapaz è adatto a quel genere di corse. Quei corridori, con una grande capacità di soglia, hanno alzato ancor di più il livello e hanno scavato un solco tra sé e gli altri. Van Aert per me è un corridore da corse a tappe, va forte anche in quel genere di gare ormai.

La telecamera è alle spalle di Bettiol e coglie il momento (immagini Eurosport)
La telecamera è alle spalle di Bettiol e coglie il momento (immagini Eurosport)
Tu hai detto anche che uno dei problemi potrebbe essere stata la disidratazione. Come avrebbe potuto sconfiggerla, magari arrivando prima in Giappone per adattarsi meglio al clima?

Sinceramente no, penso che Alberto si sia dimenticato di bere a sufficienza (alla fine dell’ultima salita non ha preso la borraccia ndr). Il corridore non è una macchina che quando manca la benzina si accende la spia, lui deve imparare a sentire certe cose, ma più che altro deve ricordarsi di bere costantemente e tanto.

Quindi un’Italia che è rimasta a metà del guado?

Ripeto, pochi giorni di gara alle spalle, considerando poi il tipo corsa fatta (Settimana Ciclistica Italiana, ndr) e l’acclimatamento, che non reputo comunque un problema, è stato troppo breve. O si arrivava prima a Tokyo oppure si faceva il Tour e si andava diretti alle Olimpiadi.

Risolto il mistero della posizione di Colbrelli: ha voluto una S

23.06.2021
5 min
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E poi capita che guardando qualche foto recente di Sonny Colbrelli, l’occhio si soffermi sulla sua posizione e ti accorgi di un dettaglio: ma quanto è corto sulla bici? Sarà la foto, probabilmente, ma il campione italiano sembra un corridore del chilometro da fermo. Corto, avanzato, basso di sella: sembra Lamon quando lancia il quartetto.

Chiaro che bisognerebbe approfondire il discorso con lui, ma Sonny è in volo verso il Tour. Allora, sapete che cosa facciamo? In attesa che Colbrelli atterri, mandiamo le foto a Bartoli e vediamo cosa ne pensa. Un po’ perché la sua posizione quando correva era da invidia e un po’ perché parte del suo attuale lavoro è migliorare la posizione in sella degli atleti che a lui si rivolgono. Perciò gli mandiamo le foto, contiamo fino a dieci ed eccoci qua…

Qui al Delfinato, pedala in punta di sella su un telaio in apparenza corto
8 agosto 2020, Milano-Sanremo: la posizione sembra meno avanzata
Qui al Delfinato, pedala oin punta di sella su un telaio in apparenza corto
8 agosto 2020, Milano-Sanremo: la posizione sembra meno avanzata
Cosa ti pare?

E’ cortissimo, in effetti. Ha gli angoli tutti chiusi. Guardando la foto dell’anno scorso è simile, soprattutto l’angolo fra il busto e il braccio, forse però era un po’ più lungo. Ovvio che sono considerazioni davanti a delle foto, si fa per il gusto di ragionare. Di sicuro in tivù non ti soffermi a guardare, non mi ero mai accorto della sua posizione.

E’ un gioco tecnico, certo. La sensazione è che oltre che corto sia anche tanto avanzato. Guarda quanto sono vicine le ginocchia al manubrio…

E’ avanti e spinge tanto con i quadricipiti. E stando così alto, quasi seduto, chiaro che sposti il peso sulla schiena, ma non credo che questo sia un problema. Però come posizione sarebbe da rivedere su più punti.

A Imola questa posizione estrema ha pagato in termini di brillantezza
A Imola questa posizione estrema ha pagato
Ad esempio?

E’ corto, lo abbiamo detto. Chissà che allungandolo non si possa rivedere l’avanzamento della sella. Nella foto ha il piede in basso, ma si deduce che quando la pedivella è orizzontale, la perpendicolare per il ginocchio supera di molto l’asse del pedale. Quindi spinge tanto con i quadricipiti e meno con i glutei.

E questo è grave?

Si potrebbe cercare una posizione in cui la spinta sia al 50 per cento a carico dei quadricipiti e il 50 per cento a carico dei glutei. Lo sforzo non peserebbe su un solo distretto, ma sarebbe ripartito e in tre settimane di corsa ne vedresti il beneficio.

Visto che parliamo di quadricipite, sembra piuttosto chiuso anche l’angolo fra busto e coscia.

E’ vero, quando la pedivella è in alto, si chiude proprio tanto. E’ come fare la pressa partendo con le ginocchia al petto, non ce la fai a partire.

Quando va in punta di sella, le ginocchia sono a filo del manubrio
Quando va in punta di sella, le ginocchia sono a filo del manubrio
Diciamo che una posizione così è molto redditizia in volata?

La volata è soggettiva, perché col fatto che la fai in piedi, riesci a compensare anche eventuali difetti di posizione. Invece in salita il problema si risolve parzialmente, perché si tende a spostare il peso indietro e la spinta riguarda parzialmente anche glutei e dorsali. Fatico a pensare che altrimenti possa utilizzarli molto. A ciò si aggiunga che una posizione così chiusa incide anche sulla respirazione.

Però va molto forte lo stesso?

Infatti stiamo parlando per ipotesi, bisognerebbe valutare gli angoli in modo completo. Di solito per quello fra busto e braccia si va intorno ai 90 gradi e lui è ampiamente al di sotto, questo se non altro in base alle teorie mia e di Giovanni Stefanìa che collabora con me. E comunque non è detto che se uno va forte non possa andare anche meglio. Ultima cosa…

Prego.

Magari è un caso, lo scatto di quel momento e basta. Però nella foto con Masnada sembra che tenda a buttare fuori le ginocchia, come essendo basso di sella e cercando un modo per avere maggiore distensione. Per questo però sarebbe curioso sapere che pedivelle usa. Avrà per caso le 175?

La sua Reacto è una taglia S per richiesta espressa di Colbrelli
La sua Reacto è una taglia S per richiesta espressa di Colbrelli

Sonny atterra e svela il mistero

A questo punto il volo è finito, Sonny è atterrato e risponde. E bastano poche battute per svelare il mistero: qualcosa in effetti c’è…

Che pedivelle usi? E soprattutto, quest’inverno hai rifatto la posizione in bici? Guardavamo le foto: sembri cortissimo…

Uso le 172,5 con un 54-39. No no, la posizione è sempre quella. Solo ho voluto una taglia in meno di bici: non più una M, bensì una S. Sono corto, sì.

Ecco dov’è il trucco, come mai?

Preferisco cosi. Mi trovo meglio, la bici è più reattiva e più maneggevole per me. O per la mia testa, non so. Sapete che noi ciclisti abbiamo le nostre fisse…

Ne stavamo parlando con Bartoli, adesso si spiega bene tutto.

Sì sì, lo so che sono corto e basso.

L’altezza di sella è sempre quella e hai allungato l’attacco?

Sella uguale, attacco uguale al precedente. Col manubrio integrato preferisco un attacco più corto, cosi diventa una cosa unica.

Svelato l’arcano, una Reacto taglia S al posto della M dello scorso anno e così si spiega anche la foto del 2020. I corridori hanno davvero le loro fissazioni. E soprattutto avevamo visto giusto. Come andare con la bici di Pozzovivo. Forse per questo in salita a Imola, Sonny andava così forte…

Michele Bartoli Giro delle Fiandre 99

Suole sempre più rigide, c’è un limite? Lo spiega Bartoli

14.06.2021
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Le scarpe sono uno dei componenti fra i più importanti, infatti la forza prodotta dall’atleta passa tramite esse e si trasferisce ai pedali: più precisamente è la suola a svolgere il ruolo chiave in questo senso. Ci siamo chiesti se esista un limite alla rigidità delle suole in carbonio. Per capire come si è evoluta questa parte delle scarpe abbiamo parlato con Michele Bartoli, nella foto di apertura impegnato nel Giro delle Fiandre del 1999.

I dubbi del patron di Sidi

La scelta di consultare il campione pisano, non è stata fatta a caso, in quanto Michele Bartoli è stato professionista dal 1992 fino al 2004, e se ci pensate bene sono proprio gli anni in cui si è passati dalle suole in materiale plastico alle attuali in carbonio. Inoltre oggi segue alcuni corridori professionisti di primissima fascia. Quindi chi meglio di un corridore di alto livello come Bartoli per capire l’evoluzione di questa parte tanto importante?
«Mi ricordo che Dino Signori (il patron di Sidi, ndr) era contrario alle suole troppo rigide – esordisce così Bartoli – perché diceva che si sentivano maggiormente le sconnessioni della strada. Questo fattore poteva portare a dei fastidi ai tendini». Ricordiamo che Michele Bartoli è stato un atleta che ha calzato durante la sua carriera le scarpe Sidi.

Suole Sidi Sixty
La suola Vent Carbon della Sidi Sixty
Suole Sidi Sixty
La suola Vent Carbon della Sidi Sixty è tutta in carbonio

Le prime soluzioni in carbonio

«Dovetti discutere con Dino per convincerlo a fare le suole in carbonio – continua il pisano – anche perché a me sono sempre piaciute le scarpe molto rigide». E sappiamo che quando i corridori si mettono in testa una cosa è difficile schiodargliela dalla testa, soprattutto se sono dei campioni.
«La soluzione iniziale fu che Sidi ci fornì le scarpe con una fascia di carbonio inserita al centro della suola e poi con il passare del tempo si è arrivati ad avere la suola tutta in carbonio, come sono oggi».

Suola più rigida rendimento migliore

Abbiamo chiesta a Michele se c’era qualche corridore della sua epoca che ha preferito continuare con le suole in plastica e che proprio non digeriva l’evoluzione con il carbonio.
«Che io mi ricordi, non c’erano corridori che preferivano le vecchie suole, anzi il pensiero generale era che più la suola era rigida e meglio la scarpa rendeva».

Le Northwave Extreme Pro Team con le suole Full Carbon
Le Northwave Extreme Pro Team con la suola Full Carbon
Le Northwave Extreme Pro Team con le suole Full Carbon
Le Northwave Extreme Pro Team con la suola Full Carbon

Il segreto è il plantare personalizzato

Arrivando ai giorni nostri, ci sono dei corridori che si lamentano di dolori perché le suole sono troppo rigide?
«Oggi tutti hanno le suole in carbonio indeformabili, molto rigide – ci spiega Michele – perché comunque è la soluzione che trasmette meglio la forza ai pedali».
E’ qui che l’esperienza di Bartoli viene fuori e pone l’accento su un altro componente a volte sottovalutato dal grande pubblico degli appassionati.
«E’ il plantare che dà le correzioni di cui ogni atleta ha bisogno. Questo è molto importante – e poi aggiunge – alcuni atleti non li usano, ma sono sempre meno. Se un corridore ha qualche dolore ai tendini si agisce con un plantare personalizzato che va a risolvere il problema. Oggi i corridori usano le scarpe standard ma la differenza la fa il plantare interno».

Pochi cambiamenti

Arrivando a correre fino al 2004, Michele Bartoli ha usato delle scarpe di concezione pienamente moderna, ma quali differenze c’erano con gli attuali modelli?
«Rispetto a quelle che ho usato a fine carriera è cambiato poco, quasi nulla. Più che altro si cerca sempre di limare qualcosa in termini di peso, che rimane un elemento molto importante».

Scatto su sterrato a 710 watt massimi: come ha fatto?

21.05.2021
4 min
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Lo scatto di Egan Bernal sullo sterrato di Campo Felice è stato uno dei momenti più entusiasmanti del Giro fino ad ora tanto da far scomodare paragoni con Marco Pantani o, più recenti (e meno blasfemi), con il numero di Van der Poel alla Strade Bianche. Gran merito di questa esaltazione è da attribuire alla difficoltà del gesto, eseguito su un suolo insidioso dopo una tappa durissima. La prima reazione di tutti è stata: «Ma come ha fatto?».
Noi abbiamo provato a rispondere, perché quell’entusiasmo di tutti è stato anche il nostro. Per farlo ci siamo avvalsi di Michele Bartoli che con il colombiano ha lavorato al debutto tra i professionisti e che a sua volta da corridore ci ha lasciato più volte increduli con azioni impossibili su terreni difficili. Con lui analizziamo l’aspetto tecnico e fisico della accelerazione del corridore della Ineos.

Terzo ai mondiali juniores Mtb del 2015, l’anno dopo passerà su strada
Terzo ai mondiali juniores Mtb del 2015, l’anno dopo passerà su strada

Grazie mountain bike

Partiamo dall’inizio: manca un chilometro e mezzo al traguardo, Bernal parte da seduto, poi mette il 53 e si alza sui pedali. E’ il momento dello scatto.

«Questo è stato il suo primo vantaggio. Il rapporto più lungo ti porta una pedalata più rotonda, perciò molto meno scivolosa che con un rapporto agile. Sapeva quel che faceva»

Se questo è stato il primo vantaggio, vuol dire che ce ne sono stati degli altri, quali?

Ad esempio una cosa che non si vede dalla televisione: sarà stato molto attento a spostare il peso sulla ruota posteriore per dare ancora più motricità. Queste sono abitudini consolidate per lui, essendo praticamente un biker.

Abbiamo notato che teneva le mani sopra il manubrio e non sotto, c’entra qualcosa con questo discorso?

Potrebbe essere stata una scelta per migliorare la distribuzione del peso. Mettendo le mani troppo in basso tendi a spostare il peso in avanti.

Per cui in queste situazioni la posizione deve essere piuttosto arretrata?

Esatto, ma stando attenti a mantenere una pedalata che faccia la differenza, uno che è abituato riesce a farlo. Per esempio dopo attacchi come quello sul Grammont a me chiedevano: «Come hai fatto a scattare in piedi sullo sconnesso e fare tutta quella velocità?». La risposta è che con il ciclocross mi ero costruito un bagaglio tecnico che mettevo in pratica naturalmente. Come Van der Poel, Van Aert e appunto Egan.

Il momento decisivo. Fuggitivi nel mirino, catena sul 53, sgommata e… scatto
Il momento decisivo. Fuggitivi nel mirino, catena sul 53, sgommata e… scatto
Torniamo alla sua esperienza fuoristrada allora, in che altro modo lo ha aiutato?

In mountain bike devi spesso modificare la posizione del corpo in base al fondo stradale. Per lui è un attimo riconoscere la necessità del momento, non deve neanche pensarci. Questi automatismi nella guida, nello scegliere le traiettorie, rappresentano una grande superiorità e la deve tutta al suo essere stato un ottimo biker. Non solo, anche l’espressione di forza mostrata all’arrivo di Campo Felice viene da lì.

Gli viene tutto naturale quindi e così risparmia energie mentali. Anche questo gli ha permesso di dare continuità all’attacco e di gestire bene lo sforzo?

Certo. Si metteva seduto per alleggerire la muscolatura. Quando stai in fuorisella la stressi molto di più, a lui però sono bastati pochi secondi per recuperare e ripartire.

E difatti ha alternato perfettamente i tratti di… riposo con quelli sui pedali.

Esatto. Si è alzato nei punti in cui c’era più pendenza. Chiudiamo il discorso del vantaggio, appunto. Lui è riuscito ad usare la posizione più redditizia nei punti più duri, mentre gli altri non riuscivano, probabilmente proprio perché scivolavano troppo.

Grazie madre natura

Il suo recupero in questi strappi è spaventoso e oltre la tecnica, alla base di tutto c’è un livello atletico impressionante: 23,7 km/h e 560 watt in media e 36,4km/h e 710 watt di massima questi i suoi dati secondo Velon nei 54 secondi dell’attacco. Come ce lo spiega Bartoli?

Io Egan lo conosco bene, è fortissimo ma è anche un atleta esplosivo, ce l’ha nelle fibre muscolari. Metabolicamente e muscolarmente è molto completo.

Felice dopo l’arrivo, per la sua prima vittoria di tappa al Giro
Felice dopo l’arrivo, per la sua prima vittoria di tappa al Giro
C’è da considerare anche il fisico relativamente minuto?

In realtà la prestazione è data dalle qualità muscolari, non tanto dal peso. Certo di solito chi è dotato di buone fibre bianche, quelle un po’ più veloci ha il fisico più possente, ma non è detto e Bernal ne è la dimostrazione. Il perfetto compromesso delle caratteristiche di velocità e resistenza.

Questo livello di equilibrio ce l’aveva già nei tempi in cui lavoravi con lui o ci ha dovuto lavorare?

No no, questa è madre natura! Con la bacchetta magica ti dà le qualità e te le porti sempre dietro. Poi bisogna comunque allenarle per renderle produttive, ma il talento naturale è determinante.

Le forze però devi comunque trovarle, come si fa?

Devi focalizzare il momento. Lui sapeva che doveva arrivare allo scatto al 100 per cento delle energie e per farlo doveva alimentarsi bene, correre bene senza prendere aria, guidare bene la squadra nei momenti difficili che in una tappa ci sono. Non è così semplice come sembra in televisione. E’ per questo che si chiamano campioni, perché riescono ad applicare a tutti i chilometri della gara tutte queste attenzioni e a fare la differenza nei finali. Hanno “la marcia in più”.

Luca Paolini, Freccia del Brabante 2004

Freccia del Brabante, nata nel segno di Pino Cerami

13.04.2021
4 min
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La Freccia del Brabante ha avuto nel corso della sua storia 6 vincitori italiani (Pambianco nel 1964, Bartoli nel ’94 e ’99, Pianegonda nel ’97, Paolini nel 2004, in apertura, Colbrelli nel 2017) eppure il primo nome a comparire nel suo albo d’oro è italiano che di più non si può, ma non per passaporto: Pino Cerami, nel 1961. E la sua storia è di quelle che vanno raccontate.

Pino Cerami è morto nel 2014 a Gerpinnes, in Belgio. Era nato in Sicilia il 16 marzo del 1956
Pino Cerami è morto nel 2014 a Gerpinnes, in Belgio

Pino era nato nel 1922 a Misterbianco, piccolo centro catanese, ma pochissimo tempo dopo quei colori così verdi e quei profumi tipici erano per il bimbo già un ricordo, cancellato dalle brume e dal freddo di Montignies-sur-Sabre, nei sobborghi di Charleroi. Suo padre, che voleva andare a fare fortuna negli Usa, aveva dovuto ripiegare sul Belgio, trovando posto in un altoforno.

Una bici, una maglia, una vittoria

Tanto lavoro, poco tempo per la famiglia, pochissimi svaghi: uno di questi erano le corse di bici. Andando a vedere i campioni dell’epoca, quell’ometto si era invaghito delle due ruote e il padre mise da parte quanto poteva finché a 7 anni gli regalò la sua prima bici, una Finet artigianale, della quale Pino andava fiero, con i suoi colori blu e giallo. Girava e girava, pedalava e correva, finché il padre provò a iscriverlo a una gara.

Bartoli primo nel ’94, battendo il compagno di fuga Den Bakker. terzo fu Bugno a 10″
Bartoli primo nel ’94, battendo il compagno di fuga Den Bakker

Era un circuito a cronometro, che poi era semplicemente il giro di una piazzetta. Pino vinse, naturalmente, con la maglia di lana che la madre gli aveva fatto a mano per l’occasione.

Voleva dar seguito a quel successo, alla sua passione, ma il padre fu inflessibile: «Non se ne parla, la scuola viene prima di tutto». Va bene, pensò Pino. E si mise con lena a studiare, prendendo il diploma di meccanico d’auto.

Un corridore senza patria

Poi fu libero, libero di correre e di seguire le sue aspirazioni. Ma all’inizio fu dura, tanta polvere da mangiare. Ripensandoci negli anni, Pino diceva che quando correva aveva tutti contro, gli italiani perché era in Belgio, i belgi perché era italiano.

Gianluca Pianegonda vince la Freccia del Brabante nel 1997
Gianluca Pianegonda vince la Freccia del Brabante nel 1997
Gianluca Pianegonda vince la Freccia del Brabante nel 1997

Spesso raccontava un episodio risalente al 1949: «Alla Freccia Vallone andammo in fuga io e Fausto Coppi, un gran signore oltre che campione, Ma i belgi erano furiosi, non vincevano una classica da anni e così Van Steenbergen e Peters si misero dietro un’auto per venirci a prendere. Alla fine primo Van Steenbergen, secondo Peters, terzo Coppi e io fuori dal podio».

L’ultimo acuto italiano è datato 2017, la volata vincente di Sonny Colbrelli
L’ultimo acuto italiano nel 2017, la volata vincente di Colbrelli

L’ultimo Cerami, il più grande

A un certo punto Cerami disse basta e nel ‘56 prese la cittadinanza belga. D’incanto i belgi non gli corsero più contro, trovò maggiori spazi e la sua carriera prese il volo, a 35 anni suonati: nel ‘60 vinse la Parigi-Roubaix e pochi giorni dopo si prese quello che aveva visto sfuggire 11 anni prima, la Freccia; non pago, al mondiale in Germania conquistò anche il bronzo.

L’anno dopo, inaugurarono la Freccia del Brabante e lui iscrisse il suo nome mettendo in fila una lunga serie di belgi, lasciandoli a 55”, per poi in autunno andare a conquistare la classica regina per i velocisti, la Parigi-Bruxelles, lui che in volata era praticamente fermo.

In questa storica foto d’epoca, Cerami all’attacco nella sua vittoriosa Parigi-Roubaix
In questa foto d’epoca, Cerami nella vittoriosa Parigi-Roubaix

Ritiratosi nel ’63, dall’anno successivo istituirono il GP Cerami, divenuto presto una delle classiche del calendario belga e non solo. Il siculo-belga non mancava mai, fino al 2014 anno della sua scomparsa: «Di solito queste corse le organizzano in memoria di qualcuno, ma io sono vivo e vegeto e ci vengo sempre per ricordarlo a tutti…».