Scaroni ritrova Scaroni e adesso punta a vincere

18.12.2021
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Probabilmente non al livello di Baroncini, che è arrivato al professionismo dopo aver vinto il mondiale U23, ma anche Christian Scaroni si era presentato nel mondo dei grandi con le credenziali per lasciare il segno. La sua scelta, insolita per il periodo, era stata di andare a correre alla Groupama Continental: una decisione che il bresciano non rinnega, anche se la squadra francese, giunta al dunque, non gli diede la possibilità di salire nel WorldTour. E Scaroni dal 2020 è passato alla Gazprom.

«Negli ultimi 2-3 mesi – dice finalmente con un bel sorriso – ho dimostrato che le aspettative di partenza erano giuste. Il primo anno è stato faticoso, tra il Covid e la difficoltà di ambientarmi. Non me la sono passata benissimo. Non riuscivo a trovare più la personalità che avevo. Quasi non riuscivo a finire le corse e non sapevo come spiegarmelo. Poi finalmente ne sono venuto fuori e negli ultimi tempi mi sono ritrovato davanti nelle corse…».

L’ultima corsa di stagione è stata la Veneto Classic, chiusa al 10° posto
L’ultima corsa di stagione è stata la Veneto Classic, chiusa al 10° posto

L’hotel di Calpe ha la hall in penombra, con corridori misti a turisti del Nord che sorseggiano birre in continuazione. Fuori la temperatura si è abbassata, ma durante il giorno, si pedala a 18 gradi ed è proprio un bell’andare.

Come mai tanta fatica?

Serve pazienza. Non tutti si inseriscono bene, può servire un anno o anche due. C’è chi matura prima, chi dopo. Ma tornerei in Francia, perché mi hanno cresciuto come uomo. Mi hanno insegnato a essere un professionista e questo è stato decisivo per la mia maturazione. Ho imparato l’inglese e il francese. E’ stato un anno guadagnato.

Come hai fatto a sbloccarti?

E’ stato uno scatto mentale. Le persone intorno continuavano a ripetermi che ero sempre lo stesso, dovevo lavorare sull’aspetto mentale.

Ti sei rivolto a un mental coach?

Me l’hanno consigliato amici e compagni di squadra. Mi ha sorpreso, perché sono bastati due mesi di sedute. Adesso ho capito che la testa è la parte più importante del discorso, per cui spero di confermarmi e dimostrare che questo teorema è valido. Sono molto motivato.

Fatica alla Milano-Torino, chiusa dopo la 30ª posizione
Fatica alla Milano-Torino, chiusa dopo la 30ª posizione
Nel frattempo la squadra ha cambiato faccia…

Sedun ha portato la sua grandissima esperienza e sa quello che fa. Sembra che tutto stia migliorando e secondo me quando le cose iniziano a girare bene per tutti, arrivano anche i risultati.

Che impressione hai del nuovo capo?

Non lo conoscevo. Vuole coinvolgere i corridori e dare una bella spinta morale. Se prima rischiavo di sentirmi solo, ora capisco di fare parte di un progetto.

Che inverno è stato?

Ho staccato molto tardi, dopo la Veneto Classic, sono stato fermo circa tre settimane, con qualche giorno a Livigno con la ragazza. Un periodo di relax, poi ho ripreso piano piano con bici e relax. E qui in Spagna abbiamo cominciato a fare ore. Siamo arrivati il 4 dicembre, ce ne andiamo il 21.

Al Giro di Sicilia ha conquistato la maglia dei Gran Premi della Montagna
Al Giro di Sicilia ha conquistato la maglia dei Gran Premi della Montagna
Pensi di partire subito forte?

L’idea è quella, i primi tre mesi saranno importanti per confermare le sensazioni di fine stagione e puntare alla vittoria. Correre bene e ritrovarsi nelle prime posizioni. E’ tutto un fattore mentale. Rivedi la testa della corsa e ti viene anche più voglia di andare in bici. Comincerò alla Valenciana e poi a Murcia e tutto il blocco spagnolo. Poi penso che saremo a Laigueglia…

Non sono tanti 18 giorni di ritiro?

Probabilmente sì, ma si sta meglio qui che a casa. Con i compagni ti passa di più, conosci lo staff, si crea un ambiente bello. Anche se sei lontano da casa e anche se all’inizio non hai mai voglia di partire, una volta che ci sei, finisce che ti diverti…

Rosti all’Astana: «La prestazione è fisica, tecnica e mentale»

17.12.2021
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Nell’Astana che è ripartita da Vinokourov, è arrivato anche una vecchia conoscenza del nostro ciclismo: quel Marino Rosti che aveva fatto parte dell’entourage di Nibali fino al passaggio nella Trek-Segafredo. Rimasto al Team Bahrain, nel 2021 Rosti è uscito dal giro, ma visto che l’aspetto mentale sta diventando preponderante e che lui ha una formazione legata alle Scienze Motorie e alla Psicologia dello Sport, la squadra kazaka gli ha riaperto le porte. In questi giorni di ritiro spagnolo, abbiamo voluto sentire anche lui (in apertura fotografato sul Teide durante il riveglio muscolare del mattino), per capire in cosa consista il suo lavoro.

«Il mio rapporto con Astana – conferma il sanmarinese – c’era stato anche in passato, per tre anni. Perciò, chiuso il rapporto con il Bahrain, ho chiesto se avessero necessità. Anche perché essendo ormai in pensione, posso garantire una disponibilità superiore, non avendo più la problematica lavorativa che mi condizionava con i permessi, i distacchi e tutti quegli aspetti formali. Il mio ruolo rimane lo stesso. La definizione di psicologo dello sport potrebbe creare qualche resistenza nelle persone, quindi si parla di mental coach. E comunque è vero, perché fai una sorta di percorso con i ragazzi che cerchi di aiutare anche dal punto di vista psicologico. E’ un aiuto ulteriore…».

Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Il ritorno di Lopez rende nuovamente l’Astana uno squadrone da grandi Giri (foto Astana)
Non solo gambe, anche testa…

La prestazione è fisica, tecnica e mentale. Per la performance ci si concentra sempre sull’aspetto fisico, sulla forza, la resistenza, la velocità, i carichi di lavoro. Si lavora sulla posizione in bici e poi magari il terzo aspetto raccoglie i precedenti. Perché come diceva il buon Franco Ballerini, puoi avere anche una macchina da 1.000 cavalli, ma se la centralina non va, la macchina non rende

E tu lavori sia sul fisico sia sulla testa, giusto?

Come iter formativo, ho fatto sia il percorso di Scienze Motorie che quello psicologico, per cui abbino i due aspetti in un progetto che si chiama Benessere Psicofisico. Quando tu stai bene fisicamente, hai una corretta postura, un corretto equilibrio fisico, lavori sulla mobilità articolare e sul benessere fisico, la testa lo sente e ti permette di rendere di più

Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Le attività di risveglio muscolare e stretching di Rosti pescano molto dallo yoga
Esiste anche un rapporto individuale con gli atleti?

A volte si entra nel ragionamento e nel rapporto personale per costruire un percorso che si chiama mental training. Si lavora sulla definizione degli obiettivi, l’ansia da prestazione. Si lavora su quelli che possono essere i momenti di difficoltà a volte causati da piccoli aspetti, come magari la mancanza del risultato dopo aver lavorato tanto o problemi personali. A volte bisogna entrare in una sorta di dialogo con i ragazzi per trovare quel bandolo della matassa, che ti fa ripensare a tante cose. Quindi costruisci anche un approccio mentale, senza intestardirsi solo sull’aspetto fisico.  

A memoria, si può dire che inizi al mattino con il risveglio muscolare.

Seguiamo ogni giorno un programma ormai collaudato, che dà un certo riscontro. Grazie all’attivazione del mattino, i ragazzi si sentono meglio sulla bici. Si sentono più centrati. Mentre di pomeriggio curiamo l’aspetto del recupero, quindi facciamo allungamenti, una progressione yoga, uno stretching per ciclisti costruito sulle mie esperienze.

Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Un test a volte può essere più impegnativo di una salita, vero Boaro? (foto Astana)
Stretching per ciclisti?

Con loro bisogna lavorare su certi aspetti sulla mobilità della schiena e il recupero delle gambe. Abbiamo inserito la respirazione diaframmatica che permette di ossigenare meglio il fisico e migliorare anche da quel punto di vista. E poi facciamo rilassamento, mental imagery nel rivedere situazioni passate su cui costruire il futuro.  E così rientri nel percorso psicologico per riacquistare più fiducia in te stesso, avere più stimolo, più determinazione, più concentrazione. E’ un cerchio che si chiude. 

Nasce tutto dalla loro libera scelta?

Ovviamente! Si fa in privato e quando uno lo richiede, perché non bisogna mai imporre questa cosa come se fosse dovuta. Adesso magari sta diventando anche un po’ di moda e comunque con il dialogo più riservato si comincia a ragionare su certe cose. Ma prima il ragazzo cerchi anche di conoscerlo, capire se è disponibile o se voglia farsi seguire a livello psicologico, come è capitato che abbiano già chiesto.

Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
Rosti ha lavorato prima con la Liquigas, poi con Cannondale, Astana, Bahrain e ora è di nuovo… kazako
E se ti chiede supporto?

Allora di fa una sorta di coaching, si parla cercando di capire le cose. La risposta si trova assieme, ma il più delle volte gli dico che la risposta ce l’hanno nella pancia. Parte tutto da lì, dalle emozioni, dalle sensazioni che uno sente dentro di sé. 

I ragazzi accolgono queste pratiche?

C’è più consapevolezza, i giovani sono sensibili a questi aspetti, mentre la vecchia generazione certe cose non le non le possedeva, perché non era nel loro stile e nella loro consuetudine. Adesso arrivano con percorsi già avviati, che noi cerchiamo di spingere ancora più avanti.

Poco fa hai parlato di yoga.

Con lo yoga hai una sensazione piacevole che col tempo diventa anche una sorta di controllo del corpo, che risponde. Si crea un dialogo. Avevo cominciato a usarlo nel 2007 con la Marchiol, poi sono passato alla Liquigas assieme a Sagan e l’abbiamo portato avanti. Ero sempre collegato con Paolo Slongo, perché lui era il preparatore quindi si lavorava in sintonia. E anche oggi c’è un confronto quotidiano col preparatore, con l’osteopata e con il medico. Si lavora in equipe con report giornalieri. Magari l’osteopata mi dice che il tale corridore ha bisogno di un particolare stretching. Più questi report sono giornalieri, meglio segui l’atleta.

Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Nel ritiro spagnolo dell’Astana, fra test e uscite su strada (foto Astana)
Sarai una presenza costante al seguito della squadra?

Ai ritiri sicuramente. Però magari con qualche atleta è venuto fuori che nella terza settimana del grande Giro, quando le tensioni cominciano a essere forti, poter fare una sorta di recupero oltre fisico e anche mentale può fare la differenza. Si sta buttando giù il programma. Intanto so già che a alla fine di gennaio tornerò sul Teide. Insomma, sono tornato in mischia…

Vincere come si era immaginato: caso o tecnica mentale?

05.10.2021
4 min
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Idee che si hanno in testa, sogni. Alla fine il corridore immagina le sue vittorie. Ma un conto è sognarle e un conto è “vederle” e realizzarle. L’ultimo della serie è Sonny Colbrelli, ma poco prima era toccato a Filippo Baroncini. Il giovane azzurro, a detta sua e di chi gli era vicino, ha vinto esattamente come intendeva fare partendo nel punto in cui aveva deciso. Fortuna? Chiaroveggenza? No, di certo c’è un qualcosa di più. Un qualcosa che non è solo gambe. E’ concentrazione, convinzione e forse anche una “tecnica mentale”, ammesso si possa dire così.

Baroncini è rimasto sereno e tranquillo durante il mondiale. Eccolo mentre si stava recando al via della crono
Baroncini è rimasto sereno e tranquillo durante il mondiale. Eccolo mentre si stava recando al via della crono

Tecnica della visualizzazione

Focalizzare un obiettivo e raggiungerlo nel modo in cui si è pensato: ne parliamo con Elisabetta Borgia, mental coach della Trek-Segafredo.

«Non conosco ancora Baroncini – spiega la dottoressa – ma lo farò il prossimo anno! Come si fa? Si lavora per obiettivi. L’evoluzione dello sport ci ha portato a parlare di “goal setting”, il problema però è che oggi ancora si continua ad individuarlo come un appuntamento sul calendario. Mentre andrebbe individuato come prestazione. Cioè quel giorno devo essere al massimo, devo essere al top in tutto: fisico, testa, tecnica…

«Oggi – riprende la Borgia – si parla molto di visualizzazione, imagery in inglese. Ci sei tu al centro e ti immagini in varie situazioni. Quando poi ti immagini vincitore inneschi anche il livello emotivo. Attivi delle responsabilità su di te e non ti curi dell’esterno. I grandi atleti hanno un grande controllo su se stessi e sulla loro disciplina. Pensano al percorso e non a questo o a quell’avversario, al fatto che potrebbero forare… Pensano alla propria strategia. “Sono sul pezzo”.

«Ma questo succede quando hanno avuto un avvicinamento graduale e sono riusciti ad arrivare al massimo nel giorno X. A quel punto pensano alla salita, al rapporto da usare, ai tempi del loro attacco. Il problema semmai è opposto, vale a dire che spesso oggi gli atleti sono in balia degli eventi. E pensano meno a loro stessi.

«Un atleta forte anche mentalmente si visualizza in prima persona. Cioè non vede se stesso mentre fa l’azione, ma gli avversari, la strada, il pubblico… Un po’ come quando ai videogiochi di auto si vedono le ruote e la strada».

Anche prendere una salita nella posizione in cui si voleva può essere un obiettivo mentale in gara
Anche prendere una salita nella posizione in cui si voleva può essere un obiettivo mentale in gara

Piccoli obiettivi in corsa

In effetti questa disamina ricalca al meglio quel che è successo a Baroncini. Certo il corridore romagnolo ha dovuto attendere un bel po’, visto che su 160 chilometri di gara ha dato la stoccata quando ne mancavano solo 6. E questo succede spesso nel ciclismo moderno. Come si fa ad aspettare tanto e a restare calmi? Pensiamo alla Sanremo: si fanno 300 chilometri, ma per i primi 290 praticamente non succede “nulla”.

«Ma se io ho fatto tutto quello che dovevo fare sono tranquillo – continua la Borgia – Oggi si usa spesso una strategia di suddivisione del percorso in fasce e per ognuna ci si dà dei piccoli obiettivi. Anche perché non puoi fare la tua strategia e restare impassibile: ci sono anche gli altri e se qualcuno ti prende in contropiede e parte a 30 chilometri dall’arrivo? Devi “stare” in gara.

«Per questo è importante suddividere la gara in piccoli obiettivi. Per esempio: all’attacco di quello strappo devo essere tra i primi dieci. In quel tratto devo stare coperto, qui devo mangiare… Serve anche a non perdere la concentrazione. Che poi è restare concentrati su quello che si deve fare. Se invece siamo in un grande Giro gli obiettivi più piccoli sono le tappe: frazione piatta, oggi non devo prendere buchi, non devo cadere…».

Probabilmente Nibali nella sua ultima vittoria si è immaginato la sua azione, tanto più che correva sulle strade di casa
Probabilmente Nibali nella sua ultima vittoria si è immaginato la sua azione, tanto più che correva sulle strade di casa

Effetto Carpenter 

Di fronte a queste teorie viene da chiedersi se ci sia stato un momento in cui un atleta si chiude in una stanza a meditare e ad immaginarsi la scena.

«Oggi in molti hanno il preparatore mentale che li aiuta nella visualizzazione, ma tanti altri lo hanno sempre fatto senza saperlo. Penso a Nibali che non ha un mental coach ma riesce comunque a concentrarsi e a motivarsi. E col tempo ognuno affina le sue tecniche, che poi sono dettate dallo spirito di sopravvivenza: questo è buono lo tengo, questo non va bene lo scarto. Poi c’è anche il rovescio della medaglia. C’è chi invece meno ci pensa e meglio è. E il problema di oggi è che i corridori pensano troppo».

Infine una curiosità: visualizzare un obiettivo o un’azione apporta più energie fisiche? Un minimo sembra di sì. E non solo per la consapevolezza che si assume.

«Si chiama effetto Carpenter – conclude la Borgia – Se tu immagini un obiettivo il corpo si attiva, in una piccola percentuale… ma si attiva. Faccio un esempio: penso che devo fare gli addominali, ebbene una piccolissima contrazione addominale avviene veramente».

Filippo Ganna

Testa e perfomance. Parola a coach Beltran

11.12.2020
4 min
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Spesso si dice che quel corridore ha vinto perché ne aveva di più, ma non sempre le cose vanno così. Non è solo una questione di watt, di muscoli, di battiti cardiaci… tante, ma proprio tante, volte entra in gioco la testa. Chiamateli nervi saldi, forza di volontà, magari anche rabbia in alcune situazioni, ma gli impulsi che vengono dal cervello possono fare la differenza, sia in positivo che in negativo. La faccia di Ganna nella foto di apertura parla da sola: è ritratto pochi istanti prima dell’inseguimento iridato di Berlino 2020.

Parliamo di testa e performance con Omar Beltran, mental coach e preparatore di alcuni atleti, tra cui Gioele Bertolini. 

Pensieri ed energia

Quanto conta la testa? Pensiamo ad uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni: il Giro 2016 di Nibali. Prima della vittoria a Risoul lo Squalo era “imbrigliato” in se stesso. Come si è liberato ha spaccato le montagne. O all’incubo di Roglic nella crono finale del Tour.

«Insegno ai miei atleti che lo sport è prevalentemente gestione delle energie – spiega Beltran – Se controlliamo al 100% la nostra testa, il 100% delle energie finisce sui pedali. Ogni pensiero ha bisogno di energie e quando l’atleta pensa le va a togliere alla perfomance. Pertanto il flusso dei pensieri va gestito. Ogni pensiero ruba quel “nanogrammo” di energia che può fare la differenza tra il mettere la ruota avanti o dietro in una volata.

«Ognuno ha il suo modo di essere. Per esempio Gioele è un caso atipico. Lui è molto calmo di suo. Non ha l’ansia da prestazione e questo ci consente di lavorare su altri aspetti e di concentraci più sulla preparazione fisica».

Carapaz e Roglic
Vuelta 2020, Carapaz nell’attacco finale. Roglic insegue: chissà se rivive i fantasmi del Tour?
Carapaz e Roglic
Vuelta. Carapaz nell’attacco finale. Roglic insegue: rivive i fantasmi del Tour?

“Qui ed ora”

Ma allora se pensare ruba energie bisogna spegnere il cervello? Che tipi di pensiero influiscono maggiormente?

«Spegnere il cervello è impossibile – continua Beltran – La mia filosofia è vivere il presente, nella vita così come nel momento dello sforzo. Bisogna entrare nell’ottica del “qui e ora”, quando sei consapevole di questo, cioè di ciò che stai facendo in quel preciso momento hai fatto bingo! Che poi non è altro che recuperare il sano rapporto con le sensazioni.

«Il nostro copro ci dice continuamente cosa stiamo provando, ci dice di quel momento: vivere il presente e non essere schiavi dei pensieri. Il fatto stesso di programmare gli impegni e dire: ho lavorato, ho fatto questo, ho fatto quello e nel fine settimana vado a fare quella cosa… genera un flusso negativo, che può portare ad ansie».

Nel caso del corridore che pensa al momento della volata o dell’attacco si traduce in stress e perdita di energie nervose. In una parola: pressione.

Bertolini prima del via si scalda e si rilassa con le cuffie
Bertolini prima del via si scalda e si rilassa con le cuffie

L’importanza dell’intestino

Il mental coach estende poi il discorso anche ad aspetti apparentemente più filosofici, ma in realtà molto fisici nel vero senso della parola.

«Noi – dice Beltran – abbiamo “tre cervelli” (centraline diremmo noi, ndr): quello della mente, quello del cuore e quello della pancia, cioè dell’intestino. Spesso si tende a trascurare questa parte, ma pensiamo alla cosa più semplice: quando si ha paura spesso si va in dissenteria. Per questo prima di dare un programma ai miei atleti, la mattina sento come stanno, che sensazioni hanno e in base a queste decidiamo il da farsi.

«I dati dei computerini? In allenamento certo che bisogna osservarli, ma in gara assolutamente no. In gara, come detto, bisogna essere liberi e l’atleta deve conoscersi». In pratica il computerino fa pensare e porta via energie.

Aspettative: bene o male?

«La prima causa delle nostre angosce sono le aspettative. Ma io dico sempre che il nostro risultato non dipende dalle aspettative, ma da quello che riusciamo a dare. Spesso i miei corridori mi dicono: oggi ho vinto. E io gli rispondo: ma sei sicuro di aver vinto tu? O hanno perso gli altri?».

Che cosa si fa dunque prima di una gara? Secondo Beltran ogni persona è diversa, non c’è un procedimento standard. 

«Lavoro molto sul training autogeno. I miei atleti per prima cosa devono imparare ad essere autonomi. Con loro stipulo una sequenza di “lavori”, spesso accompagnati da “sound training” che si fa prima del via. C’è chi lo fa a ridosso della partenza, chi la sera prima e chi nei giorni precedenti».