Adesso che piano piano Colbrelli inizia a farsene una ragione, proprio adesso si comprende quanto sia stato psicologicamente enorme quello che gli è capitato. Nel giorno di quella famosa conferenza stampa di metà novembre, Sonny rese merito pubblicamente alla sua mental coach.
«Mi ha fatto capire quanto valgo – disse il bresciano, in apertura nella foto Bahrain Victorious – e che sono più forte di quanto pensassi. Ho capito che posso fare cose importanti anche non essendo più un corridore. Ora la vedo così, magari domani mi chiudo nei miei silenzi. Non è facile».
Il tramite di Pozzato
Paola Pagani è di Como, ma vive a Bergamo. Conobbe Colbrelli nel 2019 per l’intuizione di Pozzato, che con lei aveva collaborato attorno al 2013, in uno dei momenti più faticosi della sua carriera. Fu Pippo a intuire che Sonny fosse pronto per il salto di qualità e avesse solo bisogno di sgombrarsi la testa. E così andò. Le vittorie del tricolore, del campionato europeo e della Roubaix del 2021 facevano pensare che il lavoro stesse dando ottimi frutti e che la carriera sarebbe stata un continuo crescendo, invece di colpo all’inizio del 2022, tutto si fermò. Il cuore e la sua strada.
«E’ durissima – spiega la mental coach – per un ciclista come Sonny, come per chiunque arrivi veramente ai vertici della propria carriera, precipitare bruscamente a terra, per qualcosa che non dipende assolutamente da lui. Sonny ha dovuto ovviamente mettere la testa su tutto quello che può ancora fare, grazie al fatto che è riuscito a farcela. Ma sopravvivere all’inizio è stato veramente difficile. Stavamo programmando il 2022 e doveva essere una stagione coi fiocchi. Voleva riconfermarsi per dimostrare che effettivamente il 2021 non era stato un caso».
Stamattina abbiamo intervistato un corridore di 32 anni (Villella, ndr), rimasto senza squadra, ed è lì che spacca in quattro il capello per capire chi abbia sbagliato e perché.
Qui però è un po’ diverso. Il ragazzo che a 32 anni smette di andare in bici perché non ha una squadra, può fare una sorta di analisi su se stesso, per capire quello che è stato fatto e quello che non ha funzionato. Oppure può indagare sulla mentalità che ha avuto e che gli ha impedito di arrivare ai risultati. Per Sonny è diverso, perché lui stava facendo tutto bene e una squadra ce l’aveva. Si è trattato di affrontare qualcosa su cui non aveva nessun tipo di controllo. Il ragazzo che smette a 32 anni forse qualche responsabilità la può avere. Magari poteva fare qualche gara impegnandosi di più. Oppure, se si è impegnato, poteva iniziare a lavorare sulla sua mentalità, per essere un campione che sfruttasse i suoi talenti molto più di quanto li ha sfruttati lui.
Invece Sonny?
Sonny non ha avuto nessun problema per le sue abilità e questo rende tutto meno gestibile. Nel senso che non hai nulla su cui ragionare. E’ passato dal correre normalmente al rischio di morire. Mi ricordo benissimo la gara in Spagna. Facevo il tifo alla televisione. L’ho incitato, dopodiché mi sono allontanata e dopo mezz’ora mi son trovata con messaggi che arrivavano dappertutto su cosa gli fosse successo…
Come si fronteggia l’imprevisto?
Non c’è nessun tipo di controllo su certe cose che spesso ci possono succedere. Perciò dobbiamo essere abbastanza forti da riuscire a rialzarci e a reinventarci una strada diversa dalla precedente. Per continuare ad essere le persone spettacolari che comunque restiamo, perché Sonny era spettacolare come ciclista e può essere spettacolare giù dalla bicicletta. E’ difficile. Quando sei abituato a essere un campione e la tua vita ruota intorno alla bici, è difficile mollare tutto.
Tanto che per un po’ ha pensato di tornare…
Sonny ha smesso di pensare di poter tornare a correre quando ormai era chiaro che non gli avrebbero dato il nullaosta. Per correre hai bisogno dell’idoneità. Eriksen gioca a calcio, fa goal e vince partite, però si muove su un campo molto più ristretto rispetto ai ciclisti. Quindi è anche comprensibile che l’UCI non acconsenta.
Come si passa dal preparare le grandi classiche ad allenarsi per sopravvere?
Si tratta di gestire la mente di un atleta che si prepara per vincere e dall’altra parte di un uomo che si deve rialzare. Per me è sempre una gara, ma più difficile: diversa. E’ una competizione sconosciuta, nel senso che una persona abituata a fare gare, sa com’è la gara. Sa quali sono le emozioni collegate alla gara, sa cosa significa vincere e sa cosa significa perdere. Quando invece ti trovi ad affrontare qualcosa totalmente sconosciuto, diventa tutto più difficile. Però essendo una competizione, dicevo sempre a Sonny che questa era la più importante della vita. Si trattava di rialzarsi e tornare in sella su un altro tipo di bicicletta.
Si lavora molto sulle motivazioni?
C’è l’aspetto motivazionale, ma soprattutto un aspetto molto personale per capire che la persona ha un valore e un talento legati non soltanto alla bravura come corridore, ma alla persona. E quei talenti si possono usare in un altro modo, in altri campi.
Sono dinamiche di vita che accadono spesso?
E’ una casistica molto diffusa. Dico a tutte le persone con cui lavoro che “la vita succede per noi”. E quindi in ogni caso, che vada bene o che vada male, comunque succede per noi. Se va bene, celebriamo e stappiamo lo champagne. Se invece non va come vogliamo, dobbiamo trovare cosa c’è di buono in quello che è successo.
E come si fa?
La domanda che faccio sempre è se quello che di negativo ti è successo non sia in realtà la cosa migliore che ti potesse capitare, quello di cui avevi proprio bisogno. E’ ovvio che quando lo dici a qualcuno che era in vetta e improvvisamente si trova ai piedi della montagna, senza neanche capire come abbia fatto a scivolare giù, non sono domande facili da accettare. Però quando ti fermi un attimo e inizi a pensare e a riprenderti, inizi a vedere le cose in una prospettiva diversa. E allora puoi anche rialzarti e reinventarti in modi anche migliori rispetto a quanto immaginavi. Perché noi non sappiamo effettivamente cosa ci può riservare la vita, però l’importante è usare quello che la vita ci dà per creare la vita che vogliamo.
A un certo punto Sonny ha cominciato a dire che sarebbe potuta andargli molto peggio…
Certo, assolutamente. L’ho fatto sempre riflettere sul fatto che comunque lui è stato preso per i capelli, perché ci sono state tante circostanze che hanno giocato a suo favore. A quest’ora poteva anche non esserci più. E’ stato salvato, ha una famiglia splendida e comunque quello che gli è successo è capitato all’apice della sua carriera. C’è tanta gente che ancora lo cerca, tanta gente ancora che lo apprezza. Quindi è anche uno dei momenti migliori per potersi reinventare. Non è come quando cadi e sei già nell’oblio, allora certo è più difficile. Ma il suo cammino è ancora lungo e ha le gambe per farlo.
E’ stato faticoso riprendersi?
E’ stato molto faticoso. Caspita, mettiamoci nei suoi panni. Dal pomeriggio alla sera ti si cambia completamente la vita. Hai 32 anni. Sei giovanissimo. Pensi di aver davanti ancora 3-4-5 anni per poter fare ai massimi livelli la professione che ami e che adori. E improvvisamente tutto ti cambia per qualcosa che non capisci. Però è stato bravissimo, assolutamente.