Gianetti: la Liegi, l’Amstel e un viaggio lungo trent’anni

15.04.2025
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COMPIEGNE (Francia) – Manca più di un’ora alla partenza della Roubaix, i corridori sono chiusi nei pullman e sulla strada ci si dedica a varie chiacchiere, su argomenti seri e meno seri. Quando dall’auto del UAE Team Emirates vediamo scendere Mauro Gianetti, ricordiamo che fra le ricorrenze di quest’anno ci sono sì i 30 anni dalla prima Roubaix di Franco Ballerini, ma anche quelli dall’accoppiata Liegi-Amstel del manager svizzero. E siccome ci è giunta voce che proprio alla vigilia della corsa olandese di domenica prossima la squadra festeggerà il suo capo, approfittiamo dell’occasione per soffiare sulla brace della memoria.

Nel 1995 il calendario delle classiche era diverso dall’attuale e permetteva ai giornalisti di rimanere per due settimane al Nord. La serie delle corse vedeva il Fiandre di domenica, la Gand-Wevelgem di mercoledì e la Roubaix la domenica successiva. Quindi la Freccia Vallone di mercoledì, la Liegi domenica ( il 16 aprile, che era anche Pasqua), infine l’Amstel il sabato successivo, 22 aprile. Gianetti arrivò quinto nella Freccia Vallone vinta da Jalabert su Fondriest, Berzin e Casagrande. Vinse la Liegi battendo Bugno, Bartoli e Jalabert. Infine vinse l’Amstel su Cassani, Zberg e Ludwig.

«Erano due corse bellissime – ricorda – la Liegi fu la prima, in più davanti a un gruppo di campioni straordinari. Vinta come l’ho vinta, in una giornata di acqua, neve, freddo. Era la prima grande vittoria, per giunta in una Monumento, è quella che rimane di più. Anche l’Amstel però fu complicata. Dopo pochi chilometri, fui coinvolto in una caduta e dovetti inseguire per molti chilometri. Ma alla fine riuscii a vincere, con un Cassani a ruota per 20 chilometri che diceva in continuazione: speriamo che ci riprendano, speriamo che ci riprendano…».

Liegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e Chiappucci
Liegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e Chiappucci
Raccontasti di aver vinto puntando molto anche sull’aspetto mentale.

E’ un aspetto su cui ho sempre lavorato molto. Cercare di avere degli obiettivi, essere un visionario che lavora per i suoi traguardi e non un sognatore che rimane sul divano. Ho sempre lavorato duro sotto tutti gli aspetti e la parte mentale ha avuto un ruolo fondamentale. Avevo chiaro di essere un buon corridore, ma sapevo che per vincere avrei dovuto fare più degli altri. Essere più furbo degli altri: di alcuni in particolare. Parlo di campioni come Bugno, Jalabert, di Armstrong, quindi era importante riuscire a mettere assieme tutte le componenti.

Quelle vittorie arrivarono con la maglia Polti e un direttore sportivo che si chiama Giosuè Zenoni, approdato al professionismo dopo anni nella nazionale dei dilettanti.

Giosuè ha rappresentato moltissimo. E’ stato la persona che più di tutti mi ha aiutato a lavorare sulla parte mentale, ciò che forse fino a quel momento mi era mancato. Assieme a Stanga mi diede una consapevolezza che non sapevo di avere. Parlavano con me di preparare la corsa, di andare a provare il percorso e lo davano per scontato, come se io fossi davvero un possibile vincitore. Senza dire che dovessimo andare a vincere, era scontato che potessi correre per farlo. E questo mi ha dato una fiducia incredibile. Soprattutto con Zenoni parlavo moltissimo ed è stato una spinta veramente importante per la mia vita e per la mia carriera.

Sei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su Cassani
Sei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su Cassani
Quanto c’è di quel Mauro nel Gianetti manager di oggi?

Nel fare il manager è importante poter mettere tutti gli aspetti. Credo che essere stato atleta mi dia dei vantaggi nel mio essere imprenditore, nel pensare alle necessità dei corridori, alle esigenze degli sponsor e magari anche quelle degli organizzatori. Cerco di combinare tutte queste variabili per creare un team che sappia esattamente dove vuole andare e cosa vuole raggiungere, senza dimenticare il rispetto per nessuno: per l’atleta e per lo sponsor.

Che viaggio sono stati questi 30 anni?

Un viaggio incredibile, che mi ha portato dove sono oggi con grande soddisfazione e anche con orgoglio. La mia passione mi ha portato a costruire e dirigere la squadra oggi più forte al mondo, con un campione straordinario come Tadej (Pogacar, ndr). Soprattutto con un gruppo di 150 persone che ogni giorno arrivano alle gare col sorriso sul volto. Questa per me è la vittoria più grande, la soddisfazione più bella. Sono nel posto in cui ho sempre sognato e progettato di essere. Sono riuscito a creare tutto questo con tanto lavoro e impegno. E posso dire di andarne molto fiero.

Pogacar stanco (e deluso) ma non molla. «Tornerò ancora»

22.03.2025
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SANREMO – Saranno contenti i suoi detrattori, quelli che “tanto vince sempre lui”. Oggi Tadej Pogacar non ha vinto, ma che corsa ci ha regalato? Se questa è stata una delle Milano-Sanremo più belle di sempre, il merito è anche e soprattutto suo. Forcing incredibile sulla Cipressa, i tre favoriti che scappano e ancora scatti nei denti. Fa-vo-lo-sa.

Ma se la Classicissima numero 116 è stata bellissima, lo stesso non si può dire delle reazioni in casa UAE Emirates. Attenzione, lo ribadiamo prima di ogni benché minima polemica: nessun funerale, nessuna tragedia. Anzi, sempre massima disponibilità nel parlare, cosa non scontata in certi momenti, ma è chiaro che il terzo posto non basta. E questo dimostra quanto Pogacar e i suoi ci tenessero… e ci tengano ancora. La battuta strappata già a microfoni spenti prima di uscire dalla mix zone vale oro: «Ci riproverò ancora».

L’azione di Pogacar, VdP e Ganna è iniziata sulla Cipressa
L’azione di Pogacar, VdP e Ganna è iniziata sulla Cipressa

Terzo posto

Dunque anche i supereroi possono non vincere. La Sanremo sfugge ancora una volta a Pogacar, che da tempo non vedevamo così stanco. Quando parte lo sprint è ormai troppo schiacciato e quei cinque metri regalati a Van der Poel, forse per lanciarsi, gli risultano fatali.
«Secondo me – dice il team principal di UAE Mauro Gianetti – Mathieu se ne è accorto ed è partito. Ma non è facile». A quel punto, forse Van der Poel e soprattutto Pogacar si aspettavano che Ganna tirasse dritto. Invece, tutto si è mischiato.

Forse il terzo posto è figlio di uno scatto di troppo sul Poggio o di aver tirato troppo dopo essere scappati sulla Cipressa. Forse, forse… quanti sono. Troppi. E la storia non si fa con i “se” e con i “ma”. A mettere le cose in chiaro è stato proprio Pogacar.

«Io credo – ha detto lo sloveno stanco come poche volte lo abbiamo visto – di aver disputato una delle migliori gare della mia carriera. Nelle prime tre ore e mezza di corsa mi sono sentito davvero bene. L’ultima parte è stata bellissima. Sono felice di come abbiamo corso con la squadra. Ci abbiamo provato in ogni modo. E’ stato un ottimo lavoro. Ho dato il 100 per cento e sono arrivato terzo».

Sul Poggio scollinano in due: i tre tentativi di Pogacar non sono bastati a fare la differenza
Sul Poggio scollinano in due: i tre tentativi di Pogacar non sono bastati a fare la differenza

Nessun rimpianto

«Negli ultimi 300 metri tutti e tre abbiamo avuto le stesse possibilità di vincere. Rivedendo la volata, abbiamo iniziato a sprintare allo stesso tempo. Ripeto, non si poteva fare nient’altro, né io, né la squadra. Sono molto orgoglioso di come abbiamo corso oggi. Ogni anno facciamo meglio. Mostriamo più aggressività e volontà. Analizzeremo il tutto e vedremo se abbiamo sbagliato. Ma oggi semplicemente c’è stato qualcuno più forte».

La folla resta accalcata attorno al bus della UAE Emirates. E’ incredibile quanta gente ci sia. Tutti con gli smartphone in mano, pronti per una foto o magari un selfie con Pogacar. La gente lo ama e forse questa sconfitta lo rende ancora più grande.
«Non ho rimpianti – conclude Pogacar, che man mano ritrova un timido sorriso – Sono felice di essere riuscito a dare tutto. Per un tratto sulla Cipressa avevo cinque metri? Sì, ma non è facile fare la differenza. Dovrò aggiungere un po’ di muscolatura».

Sprint tirato, alla fine VdP che aveva quei 5 metri di vantaggio li ha mantenuti. I tre sono arrivati nell’ordine in cui erano posizionati ad inizio volata
Sprint tirato, alla fine VdP che aveva quei 5 metri di vantaggio li ha mantenuti. I tre sono arrivati nell’ordine in cui erano posizionati ad inizio volata

Che finale

«Siamo comunque soddisfatti – dice Gianetti – è stata una gara bellissima in cui tre grandissimi campioni si sono scattati nei denti senza risparmiarsi e alla fine siamo contenti. Non corriamo da soli. Certo, nei primi cinque minuti dopo l’arrivo, mentre si cambiava, non era soddisfattissimo, ma ora già va meglio».

Gianetti spiega come, in fin dei conti, si aspettassero una corsa così. Sapevano che avrebbero trovato un grande Van der Poel.
«Alla fine questa rivalità fa bene allo sport. Tadej è consapevole che non è da solo e che non è facile staccare certi corridori su certe salite. Salite che si fanno a più di 40 all’ora e a ruota si sta bene. Anche risparmiare solo 10 watt in questo ciclismo può fare la differenza. Anzi, oltre a Ganna e VdP, ci aspettavamo anche Pedersen, che alla Parigi-Nizza ha lavorato benissimo. Sapevamo che VdP ci sarebbe stato. Anche se non ha fatto una Tirreno brillante, lui è un cecchino nel centrare gli appuntamenti cerchiati in rosso e si sa preparare molto bene».

Forcing mostruoso di Wellens, prima (in foto), e Narvaez, poi, sulla Cipressa
Forcing mostruoso di Wellens, prima (in foto), e Narvaez, poi, sulla Cipressa

Cipressa diversa?

La Sanremo è andata, insomma, come si aspettava la UAE. Magari non si aspettavano il contrattacco di VdP sul Poggio, ma quello scatto poteva anche costare caro all’olandese stesso in volata. Torniamo al discorso dei “se” e dei “ma”.

Tuttavia qualcosa di più concreto c’è invece riguardo alla Cipressa. A Gianetti, infatti, abbiamo chiesto se gli è mancato un uomo, Del Toro nello specifico.

«In parte è mancato, ma non corriamo da soli. Prenderla davanti non è stato facile per nessuno: né per Tadej né per Del Toro. A quel punto, se anche lui fosse stato lì, ne avremmo avuti ben quattro che potevano giocarsi la Sanremo. Chiaro che Narvaez non avrebbe quella trenata così forte e dietro, di rimessa, ci sarebbe stato uno fra Del Toro, Wellens o Narvaez stesso. Noi volevamo fare la corsa dura sulla Cipressa e l’abbiamo fatta».

UAE Tour, riparte Pogacar. Con Gianetti nel cuore di Tadej

13.02.2025
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Mauro Gianetti è volato ieri in UAE, dove da lunedì inizierà in UAE Tour degli uomini. Quello delle donne l’ha vinto domenica scorsa Elisa Longo Borghini: maglia simile, ma società diverse. Certo Pogacar e compagni (in apertura foto Fizza/UAE) non saranno in ansia per dover reggere il confronto, ma è innegabile che andare a correre in casa dello sponsor sia sempre un’esperienza particolare. Al punto che sarebbe stato lo stesso Tadej a insistere perché lo portassero laggiù. Così almeno dice Gianetti.

«E’ la corsa di casa – spiega il manager svizzero – c’è entusiasmo per tutto quello che il Governo ha progettato e creato negli ultimi dieci anni. Anche i corridori, quando vengono negli Emirati per il ritiro, se ne rendono conto. Soprattutto Tadej ha visto la crescita, perché lui è con noi dall’inizio. Ha visto tutta l’evoluzione e quello che si continua a realizzare. In principio non era previsto che corresse il UAE Tour. Vogliamo dare la possibilità anche ad altri, ma è stato lui a chiederlo. Sentiva il richiamo di fare la prima gara del 2025 con la maglia di campione del mondo proprio negli Emirati. Il piano originario prevedeva invece che cominciasse alla Strade Bianche».

Il governo emiratino ha affiancato al team un progetto per mettere in bici i ragazzi e Gianetti è parte attiva (Photo Fizza)
Il governo emiratino ha affiancato al team un progetto per mettere in bici i ragazzi e Gianetti è parte attiva (Photo Fizza)
Sicuramente gli piace andare in bici. Lo abbiamo anche visto pedalare della Foresta di Arenberg…

Era al Nord per vedere le tappe del Tour, ve lo ha raccontato Fabio Baldato, in più quel giorno doveva fare dei test in pista. Però ha sentito che Wellens sarebbe andato a fare un allenamento sul pavé e si è offerto di accompagnarlo. Per questo lo avete visto in quel video e mi sembra che andasse anche bene. Alla fine era gasatissimo. Gli è piaciuto tanto, non aveva mai provato il vero pavé. E ha detto che un giorno andrà a fare la Roubaix, ma non quest’anno. Si diverte ed è bene così.

Quanto è popolare Pogacar negli Emirati?

Da morire, non faccio paragoni dissacranti, ma è molto popolare. Al di là dell’atleta, è qualcuno che ha fatto grande gli Emirati Arabi, li ha portati in cima al mondo. E’ amato e adorato da tutti, forse più che in Europa. In generale, chiunque faccia parte della squadra, viene visto con occhi speciali. Quello che stiamo facendo per loro è veramente percepito come qualcosa di grande, che va al di là del semplice sport.

Ci saranno eventi speciali per l’arrivo del campione del mondo?

La gara è quella. E’ chiaro che noi, anche in Europa, ormai abbiamo capito che quando andiamo alle gare con Tadej, abbiamo bisogno di una struttura che prima non avremmo mai immaginato. Forse il ciclismo prima non ne aveva mai avuto bisogno, se non con Marco Pantani e forse Armstrong. C’è bisogno di più di sicurezza attorno a lui quando si muove e negli Emirati sarà più o meno la stessa cosa.

UAE Tour del 2022: Pogacar vince a Jebel Hafeet davanti ad Adam Yates che ora è un suo compagno di squadra
UAE Tour del 2022: Pogacar vince a Jebel Hafeet davanti ad Adam Yates che ora è un suo compagno di squadra
E’ da escludere che parteciperà per fare presenza: lo immaginiamo all’attacco ogni volta che potrà…

Lui corre per vincere. E’ un agonista, uno che ha voglia e lavora tanto. Si allena, si impegna, è dedicato, è appassionato, condivide l’emozione dell’allenamento anche con i compagni. Ha accompagnato Tim Wellens a provare la Roubaix, gli piace essere con loro. Lui è veramente così e di conseguenza corre per vincere. Sa di poterlo fare quindi ci prova e non parte mai senza un obiettivo chiaro.

Se Tadej è fatto così, avete paura che il tanto successo possa cambiarlo? Ne avete mai parlato con lui?

E’ un argomento che va affrontato, anche perché la sua crescita come atleta non è finita e tantomeno come personaggio. E’ tutto in evoluzione, per cui sono discorsi e un’attenzione che discutiamo regolarmente con lui e con chi lo circonda. Quindi la famiglia, il suo agente, la squadra, il nostro gruppo. Tutti assieme vogliamo il meglio, ma prima di tutto bisogna capire cosa vuole lui. Al centro c’è Tadej. Per cui da un lato non vogliamo limitare la sua notorietà, dall’altro non vogliamo creare un fenomeno da baraccone che non sia in grado di sostenere la troppa pressione. 

Quindi è ancora tutto in divenire?

E’ un lavoro costante che dobbiamo portare avanti perché l’evoluzione del personaggio e dell’atleta è tutt’ora in corso. Bisogna stare concentrati anche su quello. Quindi è chiaro che lui deve rimanere se stesso e noi tutti attorno lavoriamo per far sì che il il personaggio coincida con il vero Tadej.

Così su Instagram, Pogacar ha svelato sorridendo il suo test nell’Arenberg
Così su Instagram, Pogacar ha svelato sorridendo il suo test nell’Arenberg
Come procede lo sviluppo del ciclismo in UAE?

A causa del Covid c’era stato un piccolo rallentamento dei nostri progetti nelle scuole, mentre negli ultimi due anni c’è stata un’impennata. Nel 2025 ripartiamo con un grosso progetto, in cui per ogni anno metteremo in bicicletta altri 3.000 bambini. E’ un progetto di sei anni, molto concreto e con molta passione da parte di tutte le scuole degli Emirati Arabi, che fanno gara per poter partecipare. Vedere la voglia dei bambini di indossare una t-shirt della squadra e imparare ad andare in bicicletta, è una cosa davvero bella.

E poi ci sono le infrastrutture?

Stiamo assistendo alla crescita velocissima del velodromo che ospiterà il mondiale pista del 2029. E poi le strutture, i chilometri e chilometri di piste ciclabili che ogni mese si aggiungono a quelle già create in questi anni. Questo è davvero bello, c’è uno sviluppo veramente rapido, veloce e appassionante.

Algeri, lo sguardo del saggio sul ciclismo di oggi

26.12.2024
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A 71 anni Vittorio Algeri è uno dei saggi del ciclismo contemporaneo. Non tanto per l’età, ormai un concetto piuttosto aleatorio, quanto per la sua esperienza e per l’occhio che da essa trae per guardare il mondo che lo circonda. Nato a Torre de’ Roveri, seguendo le orme del fratello Pietro ha vissuto tante fasi, da quella del ciclismo per gioco alle corse dilettantistiche fino al sogno olimpico solo sfiorato a Montreal 1976 (nell’edizione dell’argento di Giuseppe Martinelli), il grande rammarico della sua vita, più di tutte le gare professionistiche affrontate. Poi la vita da diesse, pilotando verso grandi traguardi gente come Bugno e Bortolami, con cui ha condiviso il trionfo al Fiandre 2001.

Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi
Nel team australiano il lombardo è spesso nella seconda ammiraglia, ma è molto ascoltato dai colleghi

Oggi Algeri è alla Jayco AlUla. E’ ancora diesse, i suoi colleghi lo guardano quasi con deferenza anche se per sua scelta raramente sale sulla prima ammiraglia.

«Preferisco dedicarmi a tutti quei compiti – e sono tanti – che sono necessari per la vita di un team, partendo dall’organizzazione dei viaggi e dalla logistica passando per lo studio dei percorsi. Il ciclismo è cambiato molto da quando ho iniziato, ad esempio allora la lingua più diffusa era il francese, ora l’inglese che io non parlo bene».

Quando iniziasti a fare il direttore sportivo com’era?

Tutto diverso, in base ai numeri. Eravamo un paio per squadra, ma dovevamo gestire gruppi molto più ristretti, non si arrivava a 15. Oggi sono il doppio e io ho più di una decina di colleghi. Ma d’altronde non si potrebbe fare altrimenti. Il ciclismo è molto diverso ora, i corridori fanno vita a sé, hanno più relazioni con figure come preparatori, nutrizionisti, una serie di professionisti che ai tempi non erano così diffusi. Molti corridori li incontro raramente, è difficile così sviluppare un rapporto umano.

Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Algeri ha iniziato la carriera da diesse nel 1988 alla Chateau d’Ax. E’ alla Jayco dal 2012
Prima invece?

Allora stavi vicino ai corridori, nei ritiri prestagionali e durante la stagione. C’era un interscambio continuo, c’era modo di trasmettere qualcosa, le proprie esperienze, confrontarsi. Oggi contano solo i numeri, la potenza, è un discorso fisico prima ancora che strategico, invece il ciclismo è fatto anche di fantasia, di invenzioni.

Non rimpiangi un po’ i tempi dei tuoi esordi da diesse, quando c’era una stragrande maggioranza di squadre italiane?

Altroché, ne avevamo anche 14, l’epicentro del ciclismo era da noi. Ma era un’altra epoca, giravano altre cifre. I soldi hanno cambiato tutto. Oggi tenere una squadra professionistica costa svariati milioni anche perché sono vere e proprie imprese con oltre un centinaio di dipendenti. Da noi ci sono addirittura più di 170 persone a libro paga. Ai tempi era inconcepibile. Noi avevamo due diesse, due meccanici, un medico e finiva lì…

Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Nel team Jayco-AlUla ci sono 3 italiani in una squadra quanto mai internazionale, con 14 Nazioni
Ma ti diverti?

Meno, anche se il ciclismo resta sempre la mia passione, ha contraddistinto quasi tutti i miei 71 anni considerando che i miei primi ricordi sono legati proprio alle due ruote, a quando giravo per la fattoria della mia famiglia con la mia piccola bici già senza rotelle. Il fatto è che il ciclismo di oggi è più asettico, ma anche più frastornante: noi facciamo anche tripla attività in contemporanea. In questo la tecnologia aiuta molto.

Prima parlavi delle figure professionali affiancate alla vostra attività. Un vecchio saggio come te come le vede?

Hanno cambiato molto, ma non si può negare che per molti versi abbiano contribuito alla crescita del ciclismo insieme ad altri fattori, come quelli tecnici, dei materiali. E’ un’altra epoca e la preparazione degli allenatori svolge un ruolo molto importante. I corridori sono molto legati a loro e non potrebbe essere altrimenti perché il livello delle prestazioni si è alzato sensibilmente. Noi abbiamo riunioni online tutte le settimane, praticamente appena finita una stagione si è già al lavoro per la successiva.

Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
Filippo Zana è uno dei talenti italiani del team. Per Algeri la strada per i nostri, senza un team di riferimento, è più dura
E i corridori li vedi diversi?

Sì, per me anche un po’ troppo schiavi dei numeri, della preparazione, della routine. Ci mettono un’energia fisica ma ancor più mentale che è superiore a quella che mettevamo noi e temo che tutto ciò avrà un costo di logorio precoce. I corridori devono seguire una marea di dettami, manca loro quel guizzo che tante volte cambiava le sorti di una corsa.

A chi sei rimasto più legato nella tua carriera?

Bugno ad esempio, è stato con me 5 anni e non era un personaggio facile, era difficile legare, per certe cose era quasi un precursore del ciclismo di oggi. Ma anche Bortolami, indimenticabile quella giornata belga, oppure Leblanc o il povero Rebellin. Lo stesso Gianetti, un grande corridore, un uomo squadra. Ecco, lui trasmette quel che ha imparato nel suo nuovo lavoro.

La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
La vittoria di Bortolami al Fiandre 2001, per Algeri la più grande soddisfazione vissuta da diesse
Il rischio è che dai corridori di oggi usciranno diesse di domani con meno capacità empatiche…

E’ vero, ma già adesso questa figura è cambiata, molto professionale. Sono tutti colleghi, pochi fra loro sono amici se si capisce quel che intendo. Manca una componente importante: anche nella costruzione di un treno per le volate, non potrà mai funzionare appieno se non si svilupperà un rapporto stretto fra i suoi componenti.

Tanti ragazzi non approdano al ciclismo professionistico pur avendo valori, capacità. E’ qualcosa che ti preoccupa?

Non tanto, perché la selezione naturale c’è sempre stata. Come diceva la canzone “uno su mille ce la fa” ma è sempre stato così. Certo, i posti sono pochi e si vanno a cercare talenti sempre più giovani, ma è questo il trend di oggi e bisogna adeguarsi, dobbiamo farlo innanzitutto noi italiani che non abbiamo un team di riferimento. Intanto però dovremmo imparare a far crescere i ragazzi senza schiacciarli dalla pressione del risultato, che conta ma non è tutto e qui lo sappiamo bene.

Dietro l’arcobaleno di Pogacar, dalla nebbia sbuca Piganzoli

05.10.2024
7 min
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BOLOGNA – Ventiquattro come le vittorie stagionali. Ventiquattro come le ore che noi comuni mortali impieghiamo a realizzare le imprese che compie ad ogni gara. Ottantasette come le vittorie in carriera. Ottantasette come i chilometri di fuga solitaria totalizzati nelle ultime due corse disputate (a Zurigo sono stati 100 quelli dell’attacco, circa 50 quelli da solo). In mezzo alla nebbia e alla pioggia del Colle di San Luca si staglia l’arcobaleno di Tadej Pogacar che trionfa al Giro dell’Emilia col suo marchio di fabbrica.

La classica bolognese era di fatto la rivincita del mondiale di Zurigo, ad eccezione di qualche assenza, ma per il leader della UAE Team Emirates non è cambiato nulla a parte la sua fiammante maglia iridata. Tutti gli avversari più accreditati sulla carta – su tutti Evenepoel e Roglic, che sul San Luca ci aveva già vinto quattro volte compresa la crono del Giro del 2019 – sono letteralmente spariti in mezzo alle nuvole basse. O schiacciati dal caterpillar sloveno, se preferite. A tenere alta con onore la bandiera italiana ci ha pensato Davide Piganzoli, terzo al traguardo a ruota di Tom Pidcock. Una soddisfazione enorme per il valtellinese della Polti-Kometa essere sul podio assieme al campione del mondo e al campione olimpico della Mtb.

Super Piganzoli

Nella prima sfida dopo la gara iridata, Piganzoli ha risollevato con una grande prestazione sulle strade emiliane le sorti di un’Italia invisibile a Zurigo. Un risultato che col passare delle ore riuscirà a metabolizzare. Lo intercettiamo due volte a cavallo delle premiazioni e sebbene sia loquace il giusto, si vede che dentro ha un uragano di emozioni.

«Sicuramente in Svizzera abbiamo fatto fatica – attacca Davide – però oggi tanti giovani italiani erano davanti. Oltre a me, c’erano Pellizzari, Calzoni, Fortunato. Oggi il livello era molto alto e noi italiani abbiamo fatto molto bene. Certo, essere sul podio con Pogacar e Pidcock mi fa uno strano effetto e so che stasera me ne renderò conto meglio guardando le foto della corsa. Questo podio è un sogno che sta coronando tutto il lavoro che abbiamo fatto. Anzi ieri Ivan Basso mi aveva detto che avrebbe firmato subito per una top 10 tenendo conto del livello altissimo di partecipazione. Oggi lui era in ammiraglia e credo che sia rimasto contento. Spero che mi dica qualcosa di bello (ride, ndr)».

Uno show in maglia iridata. Pogacar attacca al primo dei 5 passaggi sul San Luca e non lo vedono più
Uno show in maglia iridata. Pogacar attacca al primo dei 5 passaggi sul San Luca e non lo vedono più

Salto di qualità

«Pogacar credo che sia il corridore più forte degli ultimi tempi – racconta Piganzoli riferendosi alla gara – e quando è partito non l’ho neanche visto, ve lo dico sinceramente. Personalmente sapevo di avere una buona condizione e mi sono gestito al meglio. Già al secondo passaggio sentivo di stare bene. Ho provato ad attaccare, ma ho capito che non si riusciva a fare la differenza, perché ci si ricompattava subito. Ho deciso di tenere le energie per il finale, volevo fare un bel risultato. Infatti sull’ultimo San Luca ho capito che mi stavo giocando qualcosa di importante. Quando sono partito mi sono detto che era l’occasione perfetta per far vedere quello che valgo e sono riuscito a dimostrarlo».

Rispetto all’anno scorso Piganzoli ha fatto un salto in avanti che forse nemmeno lui pensava di fare. Ci congeda dicendoci che nel suo finale di stagione ci sono ancora Tre Valli Varesine e Lombardia. Ha voglia di togliersi qualche altra soddisfazione. D’altronde, come ci conferma lui stesso, finire con una buona condizione è una bella iniezione di fiducia perché significa aver lavorato bene, sapendo staccare la spina nel momento giusto.

Gianetti non riesce più a trattenere lo stupore: con questo Pogacar è quasi impossibile restare delusi
Gianetti non riesce più a trattenere lo stupore: con questo Pogacar è quasi impossibile restare delusi

Pogacar show

Mancano poco più di cinque chilometri alla fine e Pogacar si è già involato tutto solo da un po’ verso l’ennesima impresa. Di fronte al megaschermo dopo il traguardo, c’è il general manager Mauro Gianetti che guarda il suo ragazzo sotto una fastidiosa pioggerella fine. Sfruttiamo quei minuti prima di poter essere travolti dal pubblico incontenibile.

«Qualsiasi maglia indossi – spiega Gianetti – Tadej va forte. Per lui è un momento magico. E’ andato in progressione da inizio stagione. E’ partito bene, poi al Giro ha alzato il livello e al Tour ha fatto un ulteriore passo in avanti. Dopo di che ha recuperato, si è messo sotto a lavorare con l’idea del campionato del mondo. Ed è riuscito a migliorare ancora qualcosina. Oggi non era in programma un attacco, ma le condizioni meteorologiche hanno fatto la loro parte. Ha seguito Evenepoel nel suo allungo, poi ha visto che erano tutti in difficoltà e che non riuscivano a mantenere il suo ritmo. Finirà con Tre Valli e Lombardia. Lui vuole sempre vincere, però è normale che non può fare il numero ogni volta. Le prossime sono gare diverse dall’Emilia, quindi vedremo come saranno. Oggi all’Emilia ci teneva molto perché negli ultimi due anni era arrivato secondo. E vincere con la maglia iridata è bellissimo anche per noi».

Dopo averlo atteso sotto la pioggia del San Luca, il pubblico si assiepa sotto al podio per Pogacar
Dopo averlo atteso sotto la pioggia del San Luca, il pubblico si assiepa sotto al podio per Pogacar

Il bagno di folla

Statisticamente Pogacar è il primo campione del mondo a trionfare in vetta al santuario bolognese perché nel 1992 quando vinse Bugno si arrivava ai Giardini Margherita ed anche questo fa parte del suo show. Tadej in conferenza stampa è rilassato, come sempre. Non tanto per le sue dichiarazioni che hanno riguardato la corsa di oggi – il difficile confronto tra il San Luca dell’Emilia e quello affrontato all’ultimo Tour – quanto più per saper gestire il seguito di gente che riesce ad attirare ogni volta che vince. Perché si sapeva che avrebbe vinto e come, ma i tifosi, principalmente ragazzini, impazziscono per lui. Siamo certi che le stesse scene si ripeteranno in Lombardia la settimana prossima.

Poker Longo

Se tra gli uomini il pronostico era scontato, anche nella gara femminile si può dire altrettanto. Elisa Longo Borghini sbaraglia la concorrenza centrando l’ottavo successo stagionale e il quarto in cima a San Luca.

«Oggi è stata una corsa bella – ci dice in mixed zone – rovinata purtroppo da un po’ di pioggia. Dopo Zurigo avrei voluto il sole, però è sempre bello correre in Italia con la maglia tricolore. Ci tenevo a vincere perché sapevo che Luca (Guercilena, il general manager, ndr) era qui e ha chiesto esplicitamente a tutta la squadra non di divertirci, ma di vincere. E ho eseguito l’ordine (sorride, ndr).

«Mi sono sentita bene in corsa, anche se ammetto di avvertire la stanchezza di tutta una stagione molto lunga iniziata a febbraio che terminerà fra circa una settimana. Il conto alla rovescia verso le vacanze è iniziato, però sono pronta a dare il mio supporto alla squadra anche nelle prossime corse, cercando di fare buoni risultati. Ho annunciato il mio cambio di formazione, ma fino al 13 ottobre correrò con la maglia della Lidl-Trek e sono molto felice di farlo. E fino al 31 dicembre sono sotto contratto con loro.

«Sicuramente – conclude – la prima vittoria qua al Giro dell’Emilia è stata bella perché era una della poche corse che vincevo all’anno e arrivavo dal quarto posto ai mondiali di Richmond. Questa è stata la più diversa perché di solito si risolveva sempre sull’ultimo muro verso San Luca, mentre stavolta sono riuscita ad allungare in discesa, cogliendo un’occasione. Come dicevo prima, ci tenevo a fare bene anche perché era l’ultima corsa con Ina Yoko Teutenberg. Spero di aver accontentato tutti».

Seconda settimana finita: Pogacar brinda, cosa trama Vingegaard?

14.07.2024
6 min
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PLATEAU DE BEILLE (Francia) – Le ha prese anche oggi, ma Vingegaard dimostra di avere due attributi grossi così. Sarebbe potuto restare passivo, pensando a difendersi. Invece ha fatto tirare la squadra per tutto il giorno. E quando a 10,5 chilometri dalla fine Jorgenson ha dato l’ultima strappata, il danese ha attaccato. Niente a che vedere con le “aperture” dello scorso anno, ma ha comunque chiamato Pogacar allo scoperto, anche se alla fine ha dovuto cedergli 1’08”. Per definire la differenza di livello fra Giro e Tour, basti osservare che alla fine della seconda settimana del Giro, Tadej aveva già 6’41” su Thomas. Qui il suo margine su Vingegaard è ora di 3’02”. Sempre tanto, ma pur sempre la metà.

Jonas arriva e sembra ben disposto. Noi indossiamo tutti la mascherina per disposizione del Tour. La sua grande educazione in certi giorni ti incanta, al confronto con altri sportivi sconfitti che rifiutano di parlare o lo fanno con tono risentito.

Nonostante il passivo di 1’08”, Vingegaard si dice soddisfatto della sua prova. E il Tour è ancora lungo
Nonostante il passivo di 1’08”, Vingegaard si dice soddisfatto della sua prova. E il Tour è ancora lungo
Ti ha fatto tanto male?

In realtà penso di aver fatto la prestazione della vita sull’ultima salita. Per cui posso essere super felice e orgoglioso di come ho corso, di come ha corso la squadra. Tadej è stato semplicemente molto meglio, quindi congratulazioni a lui. Oggi pensavo di poterlo battere, avevo ancora delle speranze, ma ha dimostrato quanto è forte. Io sono andato al top e lui ha guadagnato un minuto? Merita di vincere.

Come dire che sei pronto ad arrenderti?

Se riesce a mantenere questo livello sino in fondo, arrivare secondo non sarebbe un disonore. Ora non ho niente da perdere, sono un po’ nel mezzo, per così dire, e attaccherò ancora. Penso ancora di poter vincere, anche se sembra difficile. Può ancora avere una brutta giornata, lo abbiamo visto negli ultimi due anni (nel 2022 e nel 2023, in occasione dei due attacchi di Jonas, Pogacar perse più di 3 minuti in un solo colpo, ndr). Quindi penso che dobbiamo sperare in questo e lavorare perché accada. Non me ne andrò da questo Tour senza averci provato sino in fondo.

E’ sembrato che quando hai attaccato, lo stessi guardando. Volevi studiarlo?

Non stavo guardando indietro, stavo solo cercando di fare il massimo che potevo. E ho attaccato. Da quel momento ho spinto il più forte possibile fino al traguardo. Questo era un piano studiato da mesi, questa tappa andava corsa così. E non ho avuto dubbi, anche se ieri è andata come sapete. Abbiamo una buona strategia e negli ultimi due anni ha funzionato. Sappiamo che posso sopportare grandi fatiche e potrei farlo anche quest’anno.

Si pensa che potrai crescere, ne sei convinto anche tu?

Se ho fatto davvero la migliore prestazione della mia vita, non so se sia possibile crescere ancora. Il Tour si vince gestendo le giornate di crisi e non calando di condizione. Io penso di poter restare a questo livello sino in fondo. Vedremo alla fine.

Tadej terrà questo livello?

Il parcheggio dei team ha facce diverse. I pullman sono a valle, a Les Cabannes, per cui i corridori hanno ricevuto i loro bei fischietti e stanno scendendo. Arthur Van Dongen, direttore sportivo con Niermann della Visma Lease a Bike, era abituato a commentare altre situazioni. Finisce di scrivere un messaggio, mette su la mascherina e poi risponde.

«Visto come è andata la gara – dice – penso sia chiaro quale piano avessimo. Dare il massimo tutto il giorno e rendere la gara più dura possibile. Abbiamo fatto un lavoro molto, molto buono. Abbiamo ammazzato tutti. A inizio salita i corridori di classifica si sono staccati subito. Ci sono stati subito distacchi importanti. Solo un corridore ci è stato superiore e ha fatto nuovamente la differenza. Jonas si sente bene e noi abbiamo ancora fiducia in lui. Sappiamo che nell’ultima settimana possono succedere molte cose. Non rinunciamo a combattere, ma dobbiamo essere realistici. Ci sono ancora montagne e una crono. Diversa dallo scorso anno, come diversi sono l’avvicinamento di Jonas al Tour e la forma di Pogacar. Tadej ora è fortissimo, aspettiamo di vedere se rimarrà a questo livello».

Il miglior Pogacar di sempre

Gianetti invece non sta nella pelle. Il Team principal del UAE Team Emirates si è fatto il giro di tutti i microfoni e adesso ragiona con calma sullo show cui abbiamo appena assistito. E poi, con una punta di saggezza, invita a mantenere la calma.

«Avevamo visto la sua crescita già da quest’inverno – spiega – poi ha fatto un gran Giro d’Italia e soprattutto una bellissima preparazione per questo Tour. Chiaro che vedere la sua differenza in questo momento con il resto degli avversari è bello. Credo davvero che sia il miglior Tadej di sempre, ma questo non deve farci abbassare la guardia. Tre minuti sono un bel vantaggio, ma la settimana finale di questo Tour de France è veramente molto impegnativa, ci saranno tante difficoltà. Oggi non abbiamo dovuto lavorare, ma pur rimanendo a ruota, è stato un giorno duro. Quindi è chiaro che ci sarà il lavoro da parte delle squadre e degli altri corridori che proveranno a migliorare la loro classifica.

«Sarà una settimana molto impegnativa, sia sotto l’aspetto fisico che mentale. Io non ho mai fatto Giro e Tour nello stesso anno, non posso neanche immaginare cosa sia. E’ qualcosa che va al di là dell’immaginazione, però questo è l’obiettivo e non l’abbiamo ancora raggiunto».

Gianetti e la UAE: un mosaico costruito minuziosamente

13.06.2024
6 min
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La Svizzera è una cartolina, la bellezza ti viene in faccia quando meno te lo aspetti allo stesso modo in cui, non appena la pendenza delle salite si fa cattiva, i corridori si trovano senza gambe. Carì si trova sulle montagne del Ticino a 1.655 metri di quota, luogo incantato per escursioni e sport invernali. Ed è proprio in un punto più verde di altri che Adam Yates, dopo l’assaggio di ieri, decide di attaccare. E’ la quinta tappa del Tour de Suisse e ancora una volta il UAE Team Emirates ha preso in mano la corsa, risucchiando i fuggitivi.

«Oggi all’arrivo le primissime parole che mi ha detto Adam Yates – fa Gianetti al settimo cielo – sono state: “Mamma mia, che lavoro di squadra”. Lo ha detto un metro dopo l’arrivo e neanche ringraziando loro, ma dicendolo a me. La squadra ha fatto il lavoro e lui l’ha solo finalizzato. Questo è uno spirito bellissimo, che mi piace. Adam e Joao Almeida sono dei ragazzi straordinari. Non sono solo dei corridori veramente fenomenali, ma delle persone molto intelligenti con le quali è veramente bello lavorare».

Il Giro di Svizzera si corre in uno scenario da cartolina, ma a volte la fatica è meno poetica
Il Giro di Svizzera si corre in uno scenario da cartolina, ma a volte la fatica è meno poetica

Yates e dietro Almeida

Yates attacca come gli scalatori di una volta: lui l’alta frequenza di pedalata non sa cosa sia. Quando dà la prima bordata, il primo a tenerlo è Bernal. Poi il colombiano cede e si fa sotto Mas, finché entrambi vengono ripresi da Almeida. Procedono così, staccati di una manciata di secondi fino al traguardo. Primo Yates, secondo Almeida a 5″, terzo Bernal a 16″, quarto Riccitello a 18″, quinto Mas a 22″. Lo scenario dei due compagni di squadra quasi appaiati ricorda l’identico scenario alla Vuelta dello scorso anno.

«Sapevamo di voler fare un ritmo serrato – racconta il leader – l’intera squadra ha lavorato davvero duramente per tutto il giorno. All’inizio la Ineos ha provato a spronarci un po’ nelle prime due salite, quindi abbiamo dovuto riorganizzarci. Poi però i ragazzi sono stati super forti. Hanno controllato la fuga e poi abbiamo fatto un gran ritmo nel finale. Soprattutto con Joao (Almeida, ndr) salivamo davvero forte. E quando dalla macchina mi hanno detto che stava risalendo, mi sono voltato e quasi pensavo di vederlo passare. So che anche lui è in ottima forma, siamo venuti qui come leader alla pari. Quindi per la squadra è stata una giornata fantastica».

Un mosaico chiamato UAE Emirates

Domani intanto si vivrà uno scenario che ricorda quello del Giro nel giorno di Livigno, ma con il dovuto anticipo. La tappa regina non si potrà fare a causa della neve e in alternativa verrà proposta una… tappetta di 42,5 chilometri. Nonostante gli sforzi, si è deciso che anche il percorso alternativo previsto per la tappa regina attraverso i passi del San Gottardo e del Furka non è fattibile. Si partirà da Ulrichen con la salita finale di Blatten-Belalp che potrebbe riservare comunque degli attacchi. Gianetti da queste parti gioca in casa e ancora una volta, dopo le meraviglie del Giro, si trova ad abbracciare i corridori dopo una gigantesca prova di squadra.

«E’ una soddisfazione – dice – dopo anni di costruzione minuziosa. Pezzo dopo pezzo, come un mosaico, ogni piccola pietrina fa parte del disegno globale. Il personale, i direttori sportivi, i massaggiatori, i meccanici, i manager, il nutrizionista, i cuochi, i fisioterapisti, gli ingegneri, i nostri partner… tutti! Ciascuno mette veramente qualcosa per far sì che questo mosaico sia un bel disegno. E’ bello perché è frutto di tanta passione».

Dopo la vittoria al Giro, al Tour si andrà tutti per Pogacar: Gianetti, grande capo della UAE, non ha dubbi sulla lealtà del team
Dopo la vittoria al Giro, al Tour si andrà tutti per Pogacar: Gianetti, grande capo della UAE, non ha dubbi sulla lealtà del team

Il segreto dell’amicizia

Yates disposto a mettersi a disposizione di Almeida, poi tutti a disposizione di Pogacar al Tour. Come si costruisce una simile intesa? Bastano gli ingaggi alti per spegnere le velleità di corridori nati per essere campioni? Gianetti ascolta. E’ stato corridore. Sa com’è quando dentro hai il fuoco della vittoria.

«Questa è la cosa della quale sono più orgoglioso – dice il Team Principal e CEO del UAE Team Emirates – perché abbiamo creato la squadra partendo dai giovani. Forse uno dei pochi innesti per cui siamo andati sul mercato è proprio Adam Yates. Però Almeida, Ayuso, Hirschi, McNulty, Bjerg, Del Toro e lo stesso Pogacar sono corridori che abbiamo forgiato noi, anche nel senso dell’amicizia. Vogliamo da subito che ogni corridore abbia lo spazio per vincere, tutti i nostri giovani quest’anno ci sono già riusciti. Sei giovane, ma non devi solo lavorare e questo dà loro una carica incredibile. Avete visto con quale personalità hanno lavorato oggi Christen, Del Toro e lo stesso Mark Hirschi? Insistiamo quotidianamente su questo aspetto, per far sì che i ragazzi abbiano rispetto uno dell’altro. Affinché ciascuno in questa squadra abbia rispetto per gli altri. Dobbiamo stare assieme tutti i giorni dalla mattina alla sera, anche in camere doppie: bisogna andare d’accordo.

«Vogliamo che abbiano una mentalità molto aperta, propositiva. Non critica, ma propositiva perché vogliamo migliorare. Voglio che ognuno possa portare qualcosa di suo. Siamo la squadra migliore al mondo perché ci sono 140 persone, tra corridori e personale, che fanno il meglio per far crescere la squadra: se stessi e il gruppo. I corridori questa cosa la sentono, la percepiscono. E’ un circolo che abbiamo costruito in maniera veramente ricercata e dettagliata e io ne vado veramente molto orgoglioso».

Bernal è stato il primo a rispondere all’attacco di Yates, poi ha pagato con 16″ di ritardo
Bernal è stato il primo a rispondere all’attacco di Yates, poi ha pagato con 16″ di ritardo

Al Tour per Pogacar

Per questo stesso motivo andranno al Tour a lavorare per Pogacar: sette capitani al servizio del più capitano di tutti. Come si fa a essere certi che uno non parta con il pugnale nascosto sotto la maglia? Mauro sorride, la situazione è sotto controllo.

«Siamo chiari dall’inizio della stagione – sorride – anzi da prima che il corridore firmi il contratto. “Vuoi venire da noi? Bene, perché vuoi venire da noi? Cosa vuoi da noi come squadra? Noi da te vogliamo questo, ma tu perché vuoi venire da noi? Vogliamo capire se siamo la squadra giusta per quello che tu vuoi”. Quindi è importante chiarire questo aspetto prima di tutto. Poi inizia la stagione e a novembre Matxin fa un lavoro straordinario, corridore per corridore, su quali siano le loro ambizioni e cosa vogliano fare.

«Okay, è chiaro, al Tour c’è Tadej e si lavora per lui: questo è scontato, quindi tutti lo sanno. E sanno che se vogliono trovare un’occasione per vincere, dovranno concentrarsi e identificare il momento in cui loro stessi avranno la squadra a disposizione. E’ frutto di una programmazione molto oculata e discussa in maniera esaustiva. Da domani Yates e Almeida faranno corsa parallela perché ovviamente non corriamo da soli. Ci sono molti avversari che proveranno ad attaccare, che proveranno a fare la corsa dura, difficile, complicata. Quindi ovviamente bisognerà correre bene, sfruttare questa situazione che ci vede al comando della classifica. E se alla fine uno dei due starà meglio dell’altro, la situazione sarà accettata in modo molto sereno».

A chi piace il taglio dei budget? Agli agenti proprio no

04.04.2024
6 min
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Se ne parlerà dal 2026, ma ad ora il budget cap per i team resta una cosa scritta. Lo ha stabilito il Consiglio del ciclismo professionistico, senza averlo chiarito troppo nei dettagli. Forse perché avendo davanti del tempo, si sarà pensato di descriverlo successivamente nei dettagli. Ad esempio non si è capito se si stia parlando di un tetto per il budget delle squadre o di un salary cap, ovvero una limitazione del monte stipendi, che forse avrebbe più senso, se l’obiettivo è evitare la concentrazione di grossi corridori nelle stesse (poche) squadre.

Puoi spendere tutti i soldi che vuoi, ma puoi farlo in ricerca scientifica e materiali: il tetto degli ingaggi farà sì che i corridori che vogliono guadagnare di più passino a un’altra squadra. Lo scopo non è farli guadagnare meno, ma ritrovarli leader in altre formazioni e rendere il ciclismo un po’ più equilibrato. Esso viene applicato nello sport professionistico americano, sarebbe se non altro curioso vederne gli effetti sul ciclismo.

E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)
E’ stato Madiot lo scorso anno a sollevare per la prima volta il discorso di un tetto al monte ingaggi (foto Groupama-FDJ)

Fra Madiot e Gianetti

Quando iniziammo a parlarne, era poco più di una boutade. Nacque da uno sfogo di Marc Madiot, rammaricato per il fatto che la semplice differenza di regime fiscale tra la Francia e altri Paesi determini una notevole differenza fra il potere d’acquisto della sua Groupama-FDJ rispetto ad altri team. Al francese rispose Mauro Gianetti, re del mercato con la UAE Emirates, dicendo che non fosse il caso di parlarne nel momento in cui grossi sponsor hanno messo il naso nel ciclismo.

E’ vero che si parla di sport professionistico, ma non possono essere i soldi la prima discriminante di cui tenere conto. Perciò è altrettanto palese che l’imposizione di un tetto non trovi d’accordo chi ha più capacità di spesa e anche chi su essa può costruire la fortuna dei propri atleti. Come dire alla gallina che può fare un numero massimo di uova d’oro e poi basta.

La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati
La UAE Emirates dispone di un grande concentrato di leader molto ben pagati

Agenti contro

Alex Carera, che di mestiere fa l’agente dei corridori e con la A&J All Sports che ha fondato con suo fratello Johnny cura gli interessi di fior di atleti (per qualità e quantità), davanti alla novità ha storto il naso. In realtà non si parla di far guadagnare meno il singolo atleta, ma di farlo guadagnare altrove, ma è chiaro che il fantasma di una riduzione di budget possa preoccupare chi deve spuntare ogni volta il miglior contratto. E’ meglio essere fra i tanti leader ben pagati della stessa squadra o essere il leader meglio pagato di un’altra?

«L’ipotesi di mettere un tetto ai budget – dice Carera – è una delle più grandi stupidaggini che potrebbero fare. A mio avviso chi ha proposto questa idea non ha capito che non risolve il problema. Semmai quello che andrebbe fatto sarebbe dare la possibilità alle squadre che hanno un budget inferiore di trovare sponsor e risorse per crescere a loro volta. Per creare più interesse e competitività, si devono far crescere le altre, non limitare le cinque migliori. Non esiste che metti dei limiti, anche perché non stiamo parlando di budget di 500 milioni di euro, parliamo di 40 milioni».

Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Lo scorso anno la Jumbo-Visma si ritrovò con i vincitori di Giro, Tour e Vuelta. Poi Roglic decise di partire
Magari fosse così per tutti…

Se il ciclismo diventasse più appetibile, credo che più manager sarebbero in grado di trovare questi soldi. Seconda cosa: se un manager trova 40 milioni e un altro ne trova 20, vuol dire che il primo è più bravo. E se uno è più bravo, la meritocrazia deve sempre essere premiata. E’ come dire: se io sono più bravo a fare una salita e impiego 5 minuti meno di te, devo mettere un peso così arriviamo insieme sulla cima.

In realtà la salita non è uguale per tutti. 40 milioni in Francia o in Italia hanno meno potere di acquisto che in altri Paesi…

Ma quella è la tua scelta. Se la soluzione è che tutte le squadre devono affiliarsi in un unico Paese, per esempio la Svizzera, per avere gli stessi costi e gli stessi benefici, allora è un discorso. Ma non è il salary cap che risolve il problema, tutt’altro. Anche perché, fatta la regola, trovi la soluzione. Quel tipo di limitazione ha grossi effetti soltanto per i grandi campioni e per loro la soluzione la puoi trovare facilmente.

Come?

Anziché fare un contratto con il pay agent, cioè la società sportiva, lo fai con lo sponsor personale e allora cos’hai risolto? Ma non è quella la via da seguire per risolvere i problemi. Bisogna fare in modo che i manager possano trovare i 20-30 milioni di euro e questo si ottiene rendendo il ciclismo ancora più appetibile. Negli ultimi 12 mesi abbiamo avuto la grandissima fortuna di avere delle aziende a livello mondiale che si sono interessate. Finalmente ci sono Lidl, Decathlon, Red Bull… Finalmente entrano grandi marchi e tutti ne hanno beneficio. I ciclisti, lo staff, gli agenti, i direttori sportivi, gli organizzatori e anche i media, se le aziende vogliono investire in pubblicità. Ma voglio aggiungere una cosa…

Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Il team Sky, ora Ineos, dominò in lungo e in largo quando era il solo team ad avere un super budget
Quale?

Negli ultimi tre anni hanno obbligato le squadre ad avere il devo team che ti costa un milione e mezzo e la squadra delle donne che oggi ti costa tre milioni, quindi in totale fanno quattro milioni e mezzo. Quindi da una parte ti dicono di adeguarti e ti obbligano ad avere un budget più grande e poi adesso mettono un tetto? Lo capite che qualcosa non torna? E poi non è solo questo…

Stai per dire che i soldi non fanno la felicità?

Non basta avere i soldi per vincere. Ineos Grenadiers ha vinto tanto da quando si chiamava Team Sky e aveva il doppio del budget di tutti gli altri. C’era un netto squilibrio di forze. Però adesso che gli altri hanno un livello più simile, perché nessuno ha il budget di Ineos ma arrivano a un 10 per cento in meno, di colpo vincono meno. Visma, UAE, Lidl-Trek e Soudal nel ranking sono davanti alla Ineos, che da parte sua non ha il devo team e nenanche la squadra femminile. Hanno 50 milioni di budget contro i 40 di Visma e UAE, che però hanno il devo team e le donne.

Quindi?

Quindi se si vuole che tutti ragionino alla pari, facciamo che prima li mettiamo tutti nelle stesse condizioni, ma non con un budget cap. Oppure, se proprio devi metterlo, facciamo che tutti ce l’abbiano e che poi si ragioni veramente alla pari.

Team WorldTour: UAE Emirates campione. Gianetti racconta

14.10.2023
6 min
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TRENTO – Due anni fa, quando la sua UAE Emirates aveva appena vinto il Tour de France e cominciava a prendere altri corridori importanti, chiedemmo a Mauro Gianetti, alto dirigente di questo team, quale fosse il loro obiettivo. E ci rispose: «Diventare i migliori al mondo».

A distanza di un paio di stagioni eccoci qui: i migliori al mondo sono loro. La UAE Emirates ha vinto la classifica a squadre del WorldTour. E lo ha fatto battendo i rivali “di sempre” nonché i campioni in carica della Jumbo-Visma (per i più curiosi qui c’è la graduatoria redatta dall’UCI).

Con Gianetti riprendiamo quel discorso, nello scenario entusiasmante della presentazione del Giro d’Italia.

Gianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating Officer
Gianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating Officer
Mauro, ripartiamo da quella tua frase: ce l’avete fatta: siete diventati i numeri uno…

Sì è vero: ce l’abbiamo fatta ed è veramente una bella sensazione. Si tratta di un traguardo importante, di un traguardo voluto non solo da me, ma anche dai nostri sponsor e da tutto il Paese degli Emirati Arabi Uniti. Abbiamo lavorato per costruire questo obiettivo tutti insieme. Chiaramente l’altro grande obiettivo era il Tour de France, non lo abbiamo vinto ma abbiamo comunque messo due corridori sul podio. Siamo stati protagonisti da gennaio a ottobre. Abbiamo interpretato bene la gestione degli atleti in tutte le gare e questo ci ha portato così in alto. Questo è davvero un traguardo importante.

Ecco, hai toccato un tema tecnico importante: avete vinto con tanti corridori. E lo avete fatto nonostante ci sia in squadra un faro catalizzatore, Pogacar, così importante. E’ stato qualcosa di ponderato?

Era proprio quello che volevamo. Abbiamo portato alla vittoria ben 18 corridori su 30 e questo è anche un’altro record a cui teniamo. Siamo una squadra con più corridori diversi che abbiano vinto almeno una gara nell’arco della stessa stagione.

Come si fa?

Fa parte di un processo di sviluppo che abbiamo in mente. Per esempio abbiamo investito e continuiamo ad investire sui giovani, ai quali diamo immediatamente spazio, ma senza mettergli la pressione del risultato. Questa non solo è una soddisfazione, ma credo sia anche uno dei motivi che spinge tanti corridori a voler venire da noi. Vedono che con noi hanno la possibilità di crescere, “malgrado”, ma per fortuna direi, ci sia Tadej Pogacar che potrebbe togliergli spazio.

Il cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo. Gianetti ha parlato di sana rivalità
Il cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo
L’anno scorso hanno vinto questa classifica i vostri grandi rivali della Jumbo-Visma: questa è la conferma che rivincere è più complicato che vincere?

E’ chiaro che ripetersi è più difficile. La competizione tra le squadre aumenta. Ci sono team come Bora-Hansgrohe, Lidl-Trek… che si sono rafforzate moltissimo. La Ineos Grenadiers magari ha avuto una stagione non proprio esaltante, ma ha dei corridori che possono fare di più. Quindi sì: rivincere l’anno prossimo questa classifica sarà difficile quanto averla vinta quest’anno, se non di più. Però attenzione, rimangono obiettivi importanti, come i grandi Giri, a partire dal Tour de France.

Il fatto che lo scorso anno avesse vinto la Jumbo-Visma è stato uno stimolo ulteriore per voi?

Tra noi e la Jumbo c’è una rivalità veramente interessante, molto sana. Una rivalità che spinge le due squadre a dare il massimo, a migliorarsi, a ricercare i dettagli. Quindi ci stimoliamo a vicenda in questa direzione. Sicuramente è stato uno stimolo, come noi lo saremo adesso per loro per l’anno prossimo. Vorranno tornare a vincere, immagino.

Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte
Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte
Si pensa che squadroni come la UAE e gli altri di vertice non pensino a certe classifiche. Tuttavia qualche settimana Matxin ci aveva snocciolato un sacco di numeri circa i punteggi elargiti durante la Vuelta: ma quindi si fanno i conti anche in UAE?

I piani e i conti si fanno, si fanno… Quest’anno magari la distanza tra le prime due, quindi noi e la Jumbo, e la terza era veramente abissale e magari abbiamo fatto qualche conto in meno. Nel mezzo invece tutto è più complicato. E si fanno perché poi questa classifica a squadre sta diventando importante… come è giusto che sia. Il ciclismo è uno sport di squadra, poi vince uno solo, ma è la squadra che gli mette a disposizione tutto il necessario per farlo. E finalmente tutto ciò viene riconosciuto. Questa classifica non è più solo l’elenco delle migliori 18 squadre che possono restare nel WorldTour. Il fatto di essere la prima, di stare sul podio o tra le prime dieci diventa un punto di prestigio e importante leva da presentare poi agli sponsor.

Organizzerete una festa per questo risultato?

Certamente! Una grande festa negli Emirati, perché per loro era un obiettivo. Il sogno si è realizzato: siamo la prima squadra al mondo in uno sport importante come il ciclismo. E’ un fatto eccezionale e lo vogliono festeggiare.

A proposito di gestione dei corridori. Ci ha colpito non poco la fermezza con cui avete gestito alcuni atleti sui loro programmi, anche magari di fronte a qualche emergenza. Pensiamo ad Ayuso, ma anche ad Almeida che sarebbe stata un’eccellente spalla per Pogacar al Tour. Invece lui era designato leader al Giro e ha corso solo in funzione di quello. Come mai?

Perché questa è una nostra filosofia di squadra. Come ho detto prima, vogliamo che i nostri corridori abbiano il loro spazio. Voi avete parlato di Almeida, io dico Adam Yates, per esempio. E’ andato al Tour, ha lavorato per Tadej, ma è finito comunque sul podio. Ha avuto il suo spazio sia in Francia che in altre gare della stagione, come al Romandia o al Catalogna, anche se poi lì è caduto. Non c’è solo Pogacar, la squadra è la squadra.

La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85)
La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85)
Chiaro…

Lo stesso lo abbiamo fatto con Ayuso alla Vuelta. Non abbiamo cambiato i programmi, Juan sapeva dall’inizio dell’anno che alla Vuelta sarebbe stato leader e avrebbe avuto tutto il supporto necessario. E così è stato.

Potete fare questa programmazione perché anche in caso di qualche defezione, sapete di avere tanti atleti super validi. Una panchina lunga parafrasando il calcio…

Sì, però alla fine devi anche avere il coraggio di portala avanti questa idea e di prenderti il rischio di mettergli a disposizione gli altri compagni. Non è così scontato.

Domanda finale un po’ estemporanea, ma che si sposa bene nel luogo in cui siamo. Quando vedremo Pogacar al Giro? I tifosi lo aspettano…

E’ un po’ presto per dirlo. Vediamo prima le presentazioni, anche quella del Tour e poi a dicembre a bocce ferme decideremo se sarà l’anno prossimo o fra qualche stagione. E’ scontato dirlo, ma per noi l’obiettivo principale rimane il Tour.