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Team WorldTour: UAE Emirates campione. Gianetti racconta

14.10.2023
6 min
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TRENTO – Due anni fa, quando la sua UAE Emirates aveva appena vinto il Tour de France e cominciava a prendere altri corridori importanti, chiedemmo a Mauro Gianetti, alto dirigente di questo team, quale fosse il loro obiettivo. E ci rispose: «Diventare i migliori al mondo».

A distanza di un paio di stagioni eccoci qui: i migliori al mondo sono loro. La UAE Emirates ha vinto la classifica a squadre del WorldTour. E lo ha fatto battendo i rivali “di sempre” nonché i campioni in carica della Jumbo-Visma (per i più curiosi qui c’è la graduatoria redatta dall’UCI).

Con Gianetti riprendiamo quel discorso, nello scenario entusiasmante della presentazione del Giro d’Italia.

Gianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating Officer
Gianetti (a sinistra) Team Principal & CEO della UAE Emirates, con Andrea Agostini, Chief Operating Officer
Mauro, ripartiamo da quella tua frase: ce l’avete fatta: siete diventati i numeri uno…

Sì è vero: ce l’abbiamo fatta ed è veramente una bella sensazione. Si tratta di un traguardo importante, di un traguardo voluto non solo da me, ma anche dai nostri sponsor e da tutto il Paese degli Emirati Arabi Uniti. Abbiamo lavorato per costruire questo obiettivo tutti insieme. Chiaramente l’altro grande obiettivo era il Tour de France, non lo abbiamo vinto ma abbiamo comunque messo due corridori sul podio. Siamo stati protagonisti da gennaio a ottobre. Abbiamo interpretato bene la gestione degli atleti in tutte le gare e questo ci ha portato così in alto. Questo è davvero un traguardo importante.

Ecco, hai toccato un tema tecnico importante: avete vinto con tanti corridori. E lo avete fatto nonostante ci sia in squadra un faro catalizzatore, Pogacar, così importante. E’ stato qualcosa di ponderato?

Era proprio quello che volevamo. Abbiamo portato alla vittoria ben 18 corridori su 30 e questo è anche un’altro record a cui teniamo. Siamo una squadra con più corridori diversi che abbiano vinto almeno una gara nell’arco della stessa stagione.

Come si fa?

Fa parte di un processo di sviluppo che abbiamo in mente. Per esempio abbiamo investito e continuiamo ad investire sui giovani, ai quali diamo immediatamente spazio, ma senza mettergli la pressione del risultato. Questa non solo è una soddisfazione, ma credo sia anche uno dei motivi che spinge tanti corridori a voler venire da noi. Vedono che con noi hanno la possibilità di crescere, “malgrado”, ma per fortuna direi, ci sia Tadej Pogacar che potrebbe togliergli spazio.

Il cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo. Gianetti ha parlato di sana rivalità
Il cambio di alcuni materiali ha spinto la UAE a migliorare, sull’onda di quanto fatto in precedenza alla Jumbo
L’anno scorso hanno vinto questa classifica i vostri grandi rivali della Jumbo-Visma: questa è la conferma che rivincere è più complicato che vincere?

E’ chiaro che ripetersi è più difficile. La competizione tra le squadre aumenta. Ci sono team come Bora-Hansgrohe, Lidl-Trek… che si sono rafforzate moltissimo. La Ineos Grenadiers magari ha avuto una stagione non proprio esaltante, ma ha dei corridori che possono fare di più. Quindi sì: rivincere l’anno prossimo questa classifica sarà difficile quanto averla vinta quest’anno, se non di più. Però attenzione, rimangono obiettivi importanti, come i grandi Giri, a partire dal Tour de France.

Il fatto che lo scorso anno avesse vinto la Jumbo-Visma è stato uno stimolo ulteriore per voi?

Tra noi e la Jumbo c’è una rivalità veramente interessante, molto sana. Una rivalità che spinge le due squadre a dare il massimo, a migliorarsi, a ricercare i dettagli. Quindi ci stimoliamo a vicenda in questa direzione. Sicuramente è stato uno stimolo, come noi lo saremo adesso per loro per l’anno prossimo. Vorranno tornare a vincere, immagino.

Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte
Il giorno più duro per Pogacar sul Col de Loze all’ultimo Tour. Soler vicino a Pogacar. Adam Yates invece libero di potersi giocare le sue carte
Si pensa che squadroni come la UAE e gli altri di vertice non pensino a certe classifiche. Tuttavia qualche settimana Matxin ci aveva snocciolato un sacco di numeri circa i punteggi elargiti durante la Vuelta: ma quindi si fanno i conti anche in UAE?

I piani e i conti si fanno, si fanno… Quest’anno magari la distanza tra le prime due, quindi noi e la Jumbo, e la terza era veramente abissale e magari abbiamo fatto qualche conto in meno. Nel mezzo invece tutto è più complicato. E si fanno perché poi questa classifica a squadre sta diventando importante… come è giusto che sia. Il ciclismo è uno sport di squadra, poi vince uno solo, ma è la squadra che gli mette a disposizione tutto il necessario per farlo. E finalmente tutto ciò viene riconosciuto. Questa classifica non è più solo l’elenco delle migliori 18 squadre che possono restare nel WorldTour. Il fatto di essere la prima, di stare sul podio o tra le prime dieci diventa un punto di prestigio e importante leva da presentare poi agli sponsor.

Organizzerete una festa per questo risultato?

Certamente! Una grande festa negli Emirati, perché per loro era un obiettivo. Il sogno si è realizzato: siamo la prima squadra al mondo in uno sport importante come il ciclismo. E’ un fatto eccezionale e lo vogliono festeggiare.

A proposito di gestione dei corridori. Ci ha colpito non poco la fermezza con cui avete gestito alcuni atleti sui loro programmi, anche magari di fronte a qualche emergenza. Pensiamo ad Ayuso, ma anche ad Almeida che sarebbe stata un’eccellente spalla per Pogacar al Tour. Invece lui era designato leader al Giro e ha corso solo in funzione di quello. Come mai?

Perché questa è una nostra filosofia di squadra. Come ho detto prima, vogliamo che i nostri corridori abbiano il loro spazio. Voi avete parlato di Almeida, io dico Adam Yates, per esempio. E’ andato al Tour, ha lavorato per Tadej, ma è finito comunque sul podio. Ha avuto il suo spazio sia in Francia che in altre gare della stagione, come al Romandia o al Catalogna, anche se poi lì è caduto. Non c’è solo Pogacar, la squadra è la squadra.

La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85)
La UAE Emirates ha vinto il WT con 30170,18 punti, alle sue spalle la Jumbo-Visma (29177,45) e la Soudal-Quick Step (18529,85)
Chiaro…

Lo stesso lo abbiamo fatto con Ayuso alla Vuelta. Non abbiamo cambiato i programmi, Juan sapeva dall’inizio dell’anno che alla Vuelta sarebbe stato leader e avrebbe avuto tutto il supporto necessario. E così è stato.

Potete fare questa programmazione perché anche in caso di qualche defezione, sapete di avere tanti atleti super validi. Una panchina lunga parafrasando il calcio…

Sì, però alla fine devi anche avere il coraggio di portala avanti questa idea e di prenderti il rischio di mettergli a disposizione gli altri compagni. Non è così scontato.

Domanda finale un po’ estemporanea, ma che si sposa bene nel luogo in cui siamo. Quando vedremo Pogacar al Giro? I tifosi lo aspettano…

E’ un po’ presto per dirlo. Vediamo prima le presentazioni, anche quella del Tour e poi a dicembre a bocce ferme decideremo se sarà l’anno prossimo o fra qualche stagione. E’ scontato dirlo, ma per noi l’obiettivo principale rimane il Tour.

EDITORIALE / Baci e abbracci, Roglic se ne va

02.10.2023
5 min
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Che la grande fusione fra Soudal-Quick Step e Jumbo-Visma avvenga o meno, resta il senso di malinconia per il cinismo dei due attori e la gestione miope da parte di chi dovrebbe scrivere le regole. In gruppo se ne parla. La fusione di due grandi team mette sul piatto i destini degli atleti e ancor più del personale, che oggi potrebbe ricevere la lettera di licenziamento. E si parla anche della volontà delle squadre del Nord Europa di contrastare lo strapotere economico di quelle arabe. UAE Emirates, Bahrain e AlUla stanno infatti formando un blocco importante. Il primo a prenderne atto e andarsene è stato Roglic, altri seguiranno?

Plugge è il manager della Jumbo-Visma che nel 2023 ha vinto Giro, Tour, Vuelta e altre 60 corse
Plugge è il manager della Jumbo-Visma che nel 2023 ha vinto Giro, Tour, Vuelta e altre 60 corse

Sport e quattrini

Sport e quattrini vanno da sempre a braccetto. Ma se i quattrini diventano dominanti rispetto allo sport, allora il giocattolo si rompe e il sistema smette di essere interessante. Lo dicono gli analisti di Buzz Radar, che hanno messo sotto la lente il crollo di interesse della Formula Uno per lo strapotere Red Bull. Il calo è del 70 per cento sul fronte delle menzioni social nei primi cinque mesi del 2023 rispetto al 2022. Il calo di nuovi follower è del 46 per cento. Il ciclismo non c’è ancora arrivato, ma il malcontento per lo strapotere Jumbo-Visma è ricorrente. E se nelle corse di un giorno i discorsi sono ancora aperti grazie ad attori come Van der Poel ed Evenepoel, nei Giri la situazione è imbarazzante. Soprattutto quando la Jumbo schiera il “dream team” del Tour, riproposto poi alla Vuelta.

Il meccanismo del Draft nel basket USA permette la distribuzione dei giovani talenti secondo criteri precisi (foto NBA)
Il meccanismo del Draft nel basket USA permette la distribuzione dei giovani talenti secondo criteri precisi (foto NBA)

Il salary cap

Nonostante i budget di questi grandi team, il ciclismo non è uno sport ricco e forse proprio per questo viene gestito da dirigenti più propensi all’inchino che all’autorità. Certo questo è il punto di vista di un italiano che assiste da anni al saccheggio dei vivai nostrani da parte dei devo team WorldTour. Resta il fatto che nel più ricco basket NBA, le regole perché i budget non sviliscano la competizione esistono da anni.

Il salary cap (tetto salariale) per la stagione 2022-23 è stato previsto in 123,65 milioni di dollari e potrebbe aumentare fino a 134 nella prossima stagione. Il valore viene stabilito dal contratto collettivo di lavoro della NBA in percentuale rispetto alle entrate delle squadre. Il tetto agli ingaggi ammette eccezioni, ma serve a impedire che le squadre con superiore capacità di spesa schiaccino le altre. Le squadre che sforano il tetto, sono penalizzate con la “luxury tax”. Il totale delle multe a fine anno viene ridiviso fra le squadre che sono riuscite a rimanere sotto la soglia. A ciò si aggiunga il sistema di reclutamento del Draft, attraverso cui le squadre hanno accesso regolamentato ai talenti provenienti dai college. La differenza rispetto al nostro mondo, in cui gli agenti vendono i corridori al miglior offerente, salta agli occhi.

Il salary cap non è facile da attuare e soprattutto non conviene ai grandi team. Qui Gianetti
Il salary cap non è facile da attuare e soprattutto non conviene ai grandi team. Qui Gianetti

La resistenza dei team

Cambiare non è semplice, ma è possibile. Quando in seguito alle critiche di Marc Madiot ne parlammo con Gianetti, ovviamente lo svizzero fu piuttosto scettico, vedendo limitato potenzialmente il proprio potere sul mercato.

«Non si può ridurre la discussione al salary cap – disse il manager della UAE Emirates – senza che pensiamo a costruire le infrastrutture per introdurlo. Ad esempio bisognerebbe rimettere completamente mano al calendario di corse, ai roster delle squadre da ridurre drasticamente».

Probabilmente sarebbe scettico anche Richard Plugge, boss della Jumbo-Visma che ha appena salutato Roglic, ma le regole non le fanno le squadre: spetta all’UCI, che invece resta ancorata a schemi superati.

Evenepoel accetterebbe di correre accanto a Vingegaard?
Evenepoel accetterebbe di correre accanto a Vingegaard?

La ribellione di Roglic

Il primo a ribellarsi è stato Roglic, fresco vincitore al Giro dell’Emilia. Con schiettezza pari a quella di Simoni, lo sloveno ha chiesto alla Jumbo-Visma di rompere il contratto che lo legava alla squadra fino al 2025. Primoz si è sudato la vittoria del Giro con una squadra meno potente rispetto a quella del Tour. E quando poi si è trattato di giocarsi la Vuelta, gli è stato messo il bavaglio perché lasciasse vincere Kuss. Non si discute l’amicizia, ma quando un campione lavora per vincere, certi regali fa fatica a concederli, soprattutto quando le cose si svolgono seguendo un copione così imbarazzante. E se anche Kuss è servito a non far litigare Roglic con Vingegaard, il problema di abbondanza si fa ancor più evidente.

Conosceremo la destinazione di Roglic dopo il Giro di Lombardia, inutile mettersi qui a ricordare le varie ipotesi di mercato, mentre aspettiamo di capire se Evenepoel sarà il prossimo a declinare fastidiose convivenze. In questo Risiko di milioni e assenza di regole, c’è da sperare che siano i campioni a rimettere le cose a posto. Tutto ha un prezzo, ma il talento merita rispetto.

Protocollo Covid al Tour: Gianetti è d’accordo

09.06.2023
4 min
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Il Tour de France ha reintrodotto le norme anticovid. Sull’esperienza di quanto accaduto al Giro, la Grande Boucle vuole evitare la “moria” di corridori che c’è stata in Italia. E giustamente si sono mossi in anticipo. La corsa rosa ha pagato i contagi che c’erano stati nelle Ardenne e al Romandia. Molti di quei corridori erano gli stessi che poi si sarebbero incontrati al Giro. La mattina della Liegi sono stati almeno una decina i non partiti per Covid o febbre. E subito dopo sono emersi altri casi. Uno su tutti: Giulio Ciccone, che infatti ha rinunciato al Giro.

E così alla vigilia del Delfinato, Aso ha incontrato le squadre per comunicare le restrizioni. L’agenzia Reuters riporta di un documento distribuito ai team, in realtà sembra ci sia stato un vero incontro con le squadre. L’obiettivo: evitare nuovi casi Evenepoel

Visto quanto accaduto al Giro con il ritorno del Covid, il Tour ha già preso delle precauzioni
Visto quanto accaduto al Giro con il ritorno del Covid, il Tour ha già preso delle precauzioni

Mascherine e distanza

Di fatto tornano le mascherine da indossare in pubblico e questo vale per corridori, staff, manager… ed è stato dato anche un giro di vite per quanto riguarda selfie e soprattutto autografi. Non si potrà mangiare fuori dagli hotel assegnati, ritornano le distanze sociali.

Il virus gira. Non siamo più in pandemia e non è più così pericoloso. Però è anche vero, e ne abbiamo parlato più volte, che c’è un Covid per le persone “normali” e uno per i corridori. Non conoscendo le conseguenze a cui può portare in modo definitivo questo virus, spesso gli atleti si fermano in via precauzionale.

Ne abbiamo parlato con Mauro Gianetti, dirigente della UAE Emirates di Tadej Pogacar, per conoscere più o meno cosa ne pensano le squadre di questo ritorno “ai vecchi temi”, ma con più conoscenze riguardo il Covid stesso. Insomma, situazione seria sì, ma tutto sotto controllo.

Mauro Gianetti (classe 1964) è il Team Principal e CEO della UAE Emirates
Mauro Gianetti (classe 1964) è il Team Principal e CEO della UAE Emirates
Mauro, dunque Aso ha parlato con voi team? Ha distribuito questo documento…

In realtà si sono relazionati con i medici dei team e certi dettagli non li conosco. Però posso dire che c’è un punto importante, anzi fondamentale.

Quale?

La grande attenzione, almeno per noi della UAE Emirates, che poniamo prima del Tour e in particolar modo la settimana prima della Grande Boucle. In quella fase abbiamo raccomandato a tutti i nostri componenti (corridori e staff, ndr) di limitare al massimo i contatti con l’esterno, di seguire le norme di profilassi e di farsi dei tamponi rapidi. Vanno bene anche quelli comuni. Magari farne un paio nella settima prima di arrivare al Tour.

Perché questa scelta?

Perché poi una volta al Tour, le cose per certi aspetti sono un po’ più semplici. Siamo noi. Riusciamo a stare più in “bolla”, chiamiamola così. Poi è chiaro che non basta. Pensiamo che i corridori in gruppo sono affiancati, respirano, sudano… però anche gli altri sono più controllati. Da parte nostra dunque l’attenzione non è alta: di più.

Limitazioni nei rapporti col pubblico. Già al Giro l’area dei bus era interdetta ai non accreditati
Limitazioni nei rapporti col pubblico. Già al Giro l’area dei bus era interdetta ai non accreditati
Proprio voi in UAE Emirates avevate un protocollo igienico importante, con una speciale sanificazione di bus, stanze, auto…

Per certi aspetti continuiamo a prestare attenzione, ma quel protocollo, e ammetto che un po’ mi spiace ammetterlo, non c’è più. Non c’è più perché il Covid non è più quello di prima e molto è cambiato in generale. Poi ci siamo resi conto che comunque bastava un contatto esterno e tutto saltava: mixed zone, zona premiazioni, autografi… Lì ci sono parecchie persone che hanno anche contatti con l’esterno.

In generale dunque vi piace questo richiamo all’attenzione riguardo al Covid? 

E’ bello che Aso pensi a questa cosa e che ci sia questa bolla. E’ vero, ripeto, che il Covid non è più così grave, ma se è possibile evitare di mandare dei corridori a casa siamo ben contenti chiaramente, anche se poi non tutti ragionano alla stessa maniera. Abbiamo imparato che si può evitare un’influenza e si può evitare anche il Covid.

E riguardo ad eventuali positività come ragionerete? Farete come per Majka e Ayuso lo scorso anno (rimasti in corsa ugualmente in quanto la carica era bassa) o se è positivo l’atleta torna a casa a prescindere?

Speriamo che non ci siano positivi! E speriamo di non dover arrivare a quel tipo di valutazione, ma vedremo…

Madiot attacca il potere dei giganti. E Gianetti risponde

26.04.2023
6 min
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I numeri non mentono. Le grandi classiche della primavera hanno premiato sempre e comunque il ristrettissimo lotto di fenomeni che sta caratterizzando il ciclismo contemporaneo: il pupillo di Gianetti Pogacar primo a Fiandre, Amstel e Freccia (e se non fosse caduto alla Liegi…), Van Der Poel autore della doppietta SanremoRoubaix, Evenepoel al bis di Liegi, Van Aert che batte i due rivali VDP e Pogacar alla E3 Saxo Classic e fa un grazioso regalo a Laporte alla Gand-Wevelgem e mettiamoci pure Pidcock alla Strade Bianche. I nomi sono sempre gli stessi.

Tutto ciò, al di là dell’immenso talento dei nominati, si traduce anche in uno strapotere dei rispettivi team. Tre gare su quattro finiscono sempre nel ristrettissimo lotto delle stesse formazioni: Uae Team Emirates, Jumbo Visma, Alpecin Deceuninck, Soudal QuickStep e possiamo aggiungerci anche Ineos Grenadiers, in ripresa negli ultimi giorni. Agli altri restano solo le briciole. E se dalla parte dei tifosi c’è chi comincia a lamentarsi perché vincono sempre gli stessi e si perde interesse, dall’altro è nello stesso ambiente che arrivano stoccate non di poco conto.

Marc Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)
Madiot ha fatto sentire la sua voce contro lo strapotere dei fenomeni (foto facebook/GroupamaFdj)

Madiot contro il sistema

A innescare la miccia è stato Marc Madiot, team manager della Groupama FDJ che, intervistato dalla Derniere Heure, ha sottolineato come tutto ciò non sia figlio solo del talento dei campioni, ma anche e forse soprattutto delle differenze di budget in seno allo stesso WorldTour.

«Qui le squadre giganti controllano tutto – ha detto – noi siamo lassù nelle corse a tappe e nelle classiche. Ma non vinciamo e non vinceremo. Non possiamo».

Parole pesanti, che meritavano una replica da chi è chiamato in causa e a rispondere è Mauro Gianetti, suo omologo all’Uae Team Emirates.

«Immaginavo che sarei stato chiamato su questo argomento», è il suo esordio, ma la discussione, seppur delicata e per certi versi provocatoria, lo vede estremamente pronto a ribattere. «Ci sono dei momenti in cui alcuni campioni fanno la differenza sugli altri, è sempre stato così. Che cosa si dovrebbe cambiare? Credo che metterci a rincorrere nuovi regolamenti in ogni periodo storico probabilmente non sarebbe la strada giusta».

Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno
Gianetti insieme a Pogacar: il team manager elvetico si tiene stretto il suo fenomeno

Gli investimenti delle aziende

«E’ proprio il richiamo del ciclismo attuale – prosegue – che ha portato grandi aziende internazionali a essere coinvolte e questo è un bene per l’evoluzione di questo sport. Aziende che rappresentano anche Paesi, come nel nostro caso».

Gianetti tiene a mettere l’accento proprio sull’aspetto commerciale: «Il ciclismo è un veicolo pubblicitario che attrae moltissimo per qualsiasi tipo di filosofia, marchio o prodotto che voglia essere così promosso a livello mondiale. Vediamo tante aziende che si affacciano al ciclismo, aziende di livello altissimo che scelgono questo in luogo di altri sport, come lo stesso calcio».

Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo
Pogacar ed Evenepoel, due degli “dei” che stanno riscrivendo la storia del ciclismo

Ipotesi salary cap

Madiot però parla di un sistema da rivedere ed equilibrare com’è stato fatto in altri sport, ad esempio nel basket Nba con l’introduzione del “salary cap”, sarebbe possibile farlo anche qui o il ciclismo è più vicino a un sistema di libero mercato come esiste nel calcio?

«Questo è un discorso abbastanza complesso – replica Gianetti – non si può ridurre la discussione al salary cap senza che pensiamo a costruire le infrastrutture per introdurlo. Ad esempio bisognerebbe rimettere completamente mano al calendario di corse, ai roster delle squadre da ridurre drasticamente.

«Non possiamo farlo senza avere un’identificazione di cosa siano le gare importanti o meno, perché oggi sotto questo aspetto c’è un po’ di confusione per il pubblico, quello non propriamente addentro al nostro mondo che non capisce quali siano le gare realmente importanti. Se ne può parlare, va benissimo, purché sia fatto in un contesto globale. Ma non dimentichiamo un fatto: i fenomeni rimangono fenomeni. Chi li ha è avvantaggiato e lo sarà sempre perché così è sempre stato».

Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)
Anche Lavenu della AG2R ha criticato la sproporzione di budget fra i team (foto Le Dauphinee)

Le differenze con il basket

Proviamo allora ad allargare un po’ il discorso anche oltre le provocazioni di Madiot: potrebbe essere pensabile un sistema di reclutamento per juniores e under 23 diciamo simile a quello dei draft americani con le squadre più arretrate nel ranking del WorldTour che abbiano una preferenza nella chiamata?

«Siamo talmente lontani dal concetto nel ciclismo – osserva Gianetti – che anche in questo caso non è pensabile di copiare questa regola. Il sistema attuale non lo permette, il corridore deve avere il diritto di scegliere la proposta migliore, economicamente e non solo. Non siamo il basket, il ciclismo è qualcosa di diverso. Ci sono tanti aspetti da valutare nella scelta di un team o di un corridore, così sarebbe tutto semplicistico.

«Se c’è la voglia di fare qualcosa – prosegue – deve essere fatto a livello globale. Ma anche lì è difficile trovare la quadra, perché ovviamente gli organizzatori hanno degli interessi che sono diversi da quelli delle squadre e l’Uci deve stare in mezzo a cercare di gestire al meglio».

Thomas e Geoghegan Hart, stelle della Ineos che sta riemergendo dopo un avvio difficile
Thomas e Geoghegan Hart, stelle della Ineos che sta riemergendo dopo un avvio difficile

Il problema delle leggi diverse

«E’ da quando sono nel mondo del ciclismo – rilancia Gianetti – che si sente parlare di riforme, eppure ci sono stati cambiamenti nel WorldTour che hanno comunque portato benefici. Guardiamo le aziende che sono entrate in questo mondo, la Tudor ad esempio, ma anche colossi come la Ineos, parliamo di aziende veramente mondiali. Queste sono entrate con investimenti che indubbiamente costituiscono un rischio. Ma pur non avendo una garanzia totale, sanno che almeno per 2-3 anni avranno diritto alla partecipazione nelle gare più importanti a livello televisivo e d’immagine».

Nella sua intervista Madiot mette l’accento su un punto: le squadre appartenenti al WorldTour non partono alla pari, perché alcune, come le francesi, devono sottostare a una legislazione diversa, con i corridori impiegati a tempo pieno e quindi con tasse e contributi da pagare, come a dire: «Spendiamo di più e otteniamo forzatamente di meno».

Evenepoel a Liegi ha scritto l’ultima delle grandi imprese di questa straordinaria primavera a pedali
Evenepoel a Liegi ha scritto l’ultima delle grandi imprese di questa straordinaria primavera a pedali

Il ciclismo, sport planetario

«E’ vero – sottolinea Gianetti – ma la forza del ciclismo è che è uno sport mondiale, il che per certi versi è anche una debolezza. Se tutte le squadre avessero sede nello stesso Paese, sarebbe tutto più semplice, anche per l’adozione delle regole di cui abbiamo detto, ma non è così e chiaramente la Federazione mondiale deve cercare formule per mettere tutti il più possibile alla pari, ma non è semplice. Considerate che non c’è altro sport planetario come il ciclismo: si corre in tutti i Continenti, ogni marchio viene diffuso in ogni Paese, neanche il calcio ha questo potere».

Madiot nella sua intervista sottolinea come quasi il 75 per cento delle gare finisca nelle mani di un pugno di team, è una situazione destinata a cambiare?

«Diciamo che è una situazione figlia di un periodo straordinario – conclude Gianetti – perché ci sono questi fenomeni che fanno un bellissimo ciclismo, quantomeno tra di loro. E’ chiaro che arriveranno altri fenomeni, perché vediamo generazioni di ragazzi giovani e ambiziosi forti che stanno crescendo. Nulla dura per sempre. Per cui è chiaro che bisogna continuare a lavorare seriamente e impegnarsi. Poi io sono chiamato direttamente in causa grazie a Tadej e vorrei che questo tempo durasse ancora molto a lungo, intanto che c’è godiamoci il momento spettacolare del ciclismo attuale».

Matxin presenta Christen: 18 anni, con il contratto fino al 2027

04.04.2023
5 min
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Joxean Matxin Fernandez è uno che ci ha sempre visto lungo. E quando ha notato quel giovane svizzero capace di emergere su qualsiasi bici montasse, ha deciso che fosse il caso d’investirci sopra. Jan Christen non è un corridore qualsiasi: ha appena 18 anni eppure ha già vinto titoli nazionali su strada, su pista, in mtb, nel ciclocross (dov’è stato anche campione del mondo junior). Ne ha parlato con il UAE TEam Emirates e così l’elvetico è già stato messo sotto contratto fino addirittura al 2027.

Una scelta inconsueta anche per il particolare ciclismo di adesso, alla perenne ricerca di talenti precoci. Su Christen i responsabili della squadra avevano messo gli occhi già da tempo, praticamente da quand’era ragazzino tanto da averlo fatto correre nel Pogi Team, struttura sportiva patrocinata da Tadej Pogacar. Tuttavia Mauro Gianetti, il CEO del team, all’atto dell’annuncio del suo ingaggio ha pensato bene di gettare acqua sul fuoco.

Jan Christen è nato ad Aargau (SUI) il 26 giugno 2004. Quest’anno è già stato 2° allo Umag Trophy
Jan Christen è nato ad Aargau (SUI) il 26 giugno 2004. Quest’anno è già stato 2° allo Umag Trophy

La Uae lo segue da sempre

«E’ un grande talento – ha detto Gianetti – e crediamo che abbia il giusto atteggiamento e le qualità necessarie per essere un valido membro del nostro team. Per prima cosa, si concentrerà per completare i suoi studi scolastici e nel contempo progredire gradualmente come ciclista. Non abbiamo fissato un momento per compiere il passo verso la squadra professionistica, non c’è fretta. Jan è ancora molto giovane e gli daremo tutto il supporto necessario, non mettendo alcuna pressione sulle sue spalle».

L’elvetico infatti è tesserato per Hagens Berman Axeon, una delle squadre più acclamate a livello U23, una scelta voluta anche da Matxin che lo segue con grandissima attenzione.

«Per me è uno dei migliori al mondo per la sua età – spiega – ha un enorme potenziale. E’ uno che va forte dappertutto, che può vincere in salita ma che è anche veloce, anche se non tanto da poter emergere negli sprint di gruppo. Forse questa è l’unica sua mancanza».

Matxin con Tadej Pogacar, che ha seguito direttamente gli inizi di Christen (foto Fizza)
Matxin con Tadej Pogacar, che ha seguito direttamente gli inizi di Christen (foto Fizza)
Che cosa ti ha colpito di lui?

E’ uno della nuova generazione, di quelli che non si fanno problemi a salire su qualsiasi tipo di bici. Trovatemi uno capace di vincere su strada, su pista, in mountain bike, nel ciclocross… Non c’è. E proprio per questo non voglio sentir dire quale può essere la sua specialità ideale. La verità è che è una domanda senza risposta, solo il tempo sa quale sarà.

Stupisce il fatto che su di lui sia stato fatto un investimento così a lunga scadenza…

Su ogni corridore bisogna fare un ragionamento diverso, non ci sono ricette univoche. Quando ho parlato con lui gli ho ricordato il caso di Ayuso, che è stato fatto crescere con calma, facendo i suoi dovuti passaggi nella categoria under 23 attraverso prove come Giro d’Italia e Tour de l’Avenir che sono stati passaggi fondamentali. Venire subito da noi non sarebbe servito alla sua causa, lavorare in un team continental gli servirà per crescere.

La sua più grande vittoria, il titolo mondiale juniores di ciclocross nel 2022
La sua più grande vittoria, il titolo mondiale juniores di ciclocross nel 2022
Il suo curriculum su strada non porta vittorie…

Attenzione a non commettere questo errore: alla sua età i risultati non dicono nulla. L’importante è migliorare costantemente le proprie prestazioni e non perdere il focus con la vittoria. Voglio che un concetto sia ben chiaro: alla sua età bisogna procedere con calma. Correre fra i pro’ ti fa sì fare esperienza, ma rischia anche di bruciarti. Affronti gente più esperta, che non conosci e non sai come va. Magari in una corsa vai anche bene, finisci 4° che sarebbe un risultato enorme, ma a cosa serve? Nessuno se ne accorge, nel ciclismo professionistico conta solo chi vince. Gareggiare fra i pari età, crescere, vincere serve molto di più.

Per questo avete scelto il team Hagens Berman Axeon?

Con Axel Merckx lavoriamo insieme da anni, siamo sempre in contatto, ho attraverso di lui un monitoraggio diretto sul ragazzo. Ho subito pensato a lui come all’interlocutore perfetto per questa scelta.

Il calendario lo decidete insieme?

Axel sa bene che cosa ci attendiamo dal ragazzo, ma poi le decisioni le prende lui in base alle esigenze del team. Non dimenticando che Jan ha anche impegni con la nazionale, quindi il suo calendario è calibrato in base alla sua età e alle sue esigenze. Nutriamo la massima fiducia in quello che fa il suo team.

Christen ha vinto il titolo nazionale anche nella mtb, battendo una concorrenza di altissimo livello (foto ZVG)
Christen ha vinto il titolo nazionale anche nella mtb, battendo una concorrenza di altissimo livello (foto ZVG)
Christen è ancora abbastanza sconosciuto dalle nostre parti. Ce lo puoi presentare?

E’ nato ad Aargau 18 anni fa, un corridore mentalmente vincente, che non ha paura e che su questa attività vuole investire tanto della sua vita. Ma non pensa solo al ciclismo: studia ingegneria e riesce a conciliare molto bene l’attività sportiva con lo studio, al quale tiene giustamente molto. E’ multilingue, ha anche una discreta competenza tecnica su tutto quel che riguarda la bicicletta.

Fisicamente?

E’ alto 1,82 per 62 chili di peso, un fisico asciutto che lo porta a emergere su vari tipi di terreno. Non mi stupisce che vada bene in ogni disciplina che fa.

Lo svizzero è sotto contratto con l’Hagens Berman Axeon per il 2023, poi dovrebbe passare alla Uae
Lo svizzero è sotto contratto con l’Hagens Berman Axeon per il 2023, poi dovrebbe passare alla Uae
Lo si può paragonare a qualcuno?

Chi mi conosce sa che non do mai risposte a questa domanda. Ogni corridore è qualcosa di unico, fare comparazioni sarebbe solo a suo danno perché l’altro sarebbe un corridore fatto e formato, che ha già vinto. E allora si potrebbe dire: «Ecco, quello ha vinto tanto e lui no». E poi io guardo alla storia: trovatemi un corridore multidisciplinare come lui. Ve l’ho detto: non c’è…

Corridore da corse a tappe o in linea?

Io dico che sicuramente è strutturato per essere un corridore da prove di più giorni perché sta acquisendo una grande resistenza e recupero, ma anche nelle classiche d’un giorno può dire la sua. E’ supercompleto, ma a me piace definirlo come un universo tutto da esplorare.

Albasini, spalla di lusso per Arzeni al UAE Team ADQ

29.03.2023
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L’ultima volta che avevamo parlato con Marcello Albasini, ci aveva raccontato della EF Education-Nippo Development, di cui era il direttore sportivo e da cui Enrico Gasparotto aveva preso il volo direzione Bora-Hansgrohe. Più di un anno dopo, ce lo siamo ritrovati a Le Samyn sull’ammiraglia di Davide Arzeni, mentre parlavamo con il tecnico del UAE Team ADQ della vittoria di Marta Bastianelli. Abbiamo scoperto a questo modo che lo svizzero fosse approdato nella squadra gestita da Rubens Bertogliati. E a quel punto sono bastati dieci secondi per immaginare il collegamento fra i due.

«La prima volta che ho fatto un mondiale con Rubens – racconta Albasini – era in Spagna, a San Sebastian 1997. Lui aveva 17 anni, io ero tecnico della nazionale svizzera, si arrivò tutti in gruppo e vinse il vostro D’Amore. Per quei due anni abbiamo fatto qualche corsa in nazionale negli juniores. Poi quando era già grande e aveva chiuso la carriera, l’ho cercato perché venisse a fare il direttore sportivo alla IAM Cycling. Adesso invece mi ha chiamato lui perché venissi qui. Il ciclismo è un mondo piccolo, ma intanto mi trovo bene e andiamo avanti».

Albasini è stato tirato a bordo da Rubens Bertogliati, team manager del tema femminile
Albasini è stato tirato a bordo da Rubens Bertogliati, team manager del tema femminile
Abbiamo perso un passaggio: come è finita con la continental?

Per me era abbastanza difficile, avevamo idee un po’ diverse. E così alla fine, dato che sono anche andato in pensione, ho scelto di andare via.

Quanti anni hai?

Ne ho 66, pensavo di aver finito. Invece mi ha chiamato Rubens. Mi ha chiesto come fossi messo e io gli ho detto di toglierselo dalla testa, che volevo andare in pensione. Lui ha insistito. Gli ho proposto di fare il 50 per cento delle giornate, invece sono diventate il 100 per cento. Come sempre quando dico di no, finisce che accetto.

Cosa ti pare di questo ciclismo femminile?

Con le donne è tutto nuovo, però è anche interessante. Sono rimasto sorpreso vedendo a quale livello si sia portato il movimento, specialmente come organizzazione. Sapevo che le atlete hanno fatto un bel passo avanti, perché ho allenato per due anni Marlene Reusser e so quando sia salito il livello atletico. Invece l’organizzazione mi ha sorpreso. Non so se tutte le squadre siano allo stesso livello nostro, ma siamo quasi al livello di una WorldTour maschile.

Sull’ammiraglia alla Gand-Wevelgem, Albasini è accanto ad Arzeni, che parla con Gasparrini
Sull’ammiraglia alla Gand-Wevelgem, Albasini è accanto ad Arzeni, che parla con Gasparrini
Quanto è diverso invece il livello tecnico delle corse al tuo punto di vista?

Sto ancora guardando, non conosco ancora tutte le ragazze, lo sto facendo pian piano. E’ un po’ diverso dal quello maschile, perché se partono le più forti, è difficile trovare un gruppo dietro per chiudere i buchi. Ci sono 10-15 ragazze fortissime e alle loro spalle c’è una sorta di altro livello. Ma credo che si andrà nella stessa direzione dei maschi, per cui le differenze andranno progressivamente a ridursi.

Voi siete già organizzati bene, da quest’anno anche con il team di sviluppo…

Penso che qui si facciano le cose proprio come si deve, anche pensando al futuro, per vedere chi si può prendere per i prossimi anni.

Bastianelli ha detto che al Nord è molto più importante che altrove avere in ammiraglia tecnici esperti.

In Belgio l’esperienza ti aiuta tanto. Conosci i percorsi, conosci i tratti importanti, i punti importanti. Anche Marta però è un’atleta di spessore, veramente una campionessa e i campioni hanno tutti lo stesso carattere, che siano uomini oppure donne

Con quale entusiasmo si riparte a 66 anni?

Come posso dire… E’ sempre interessante vedere cose nuove. Impari, chiedi, capisci come funziona questo nuovo mondo. In parte è diverso da quello in cui ho lavorato finora, però se ci sono cose nuove e la motivazione di vedere come funzionano, allora non ci sono differenze.

Avere tecnici esperti è utile soprattutto al Nord. Qui Marta Bastianelli tira il gruppo
Avere tecnici esperti è utile soprattutto al Nord. Qui Marta Bastianelli tira il gruppo

Un progetto molto ampio

A margine delle parole di Albasini, è interessante notare che rispetto allo scorso anno, Rubens Bertogliati ha smesso di preparare i corridori di sua competenza nel team maschile e si è dedicato al 100 per cento alle donne. Il UAE Team ADQ è infatti parte integrante di un progetto sociale ben più ampio negli Emirati Arabi Uniti.

«Il progetto globale che abbiamo iniziato nel 2014 – spiega il team principal Mauro Gianetti, in apertura con Albasini – è sfociato nella WorldTour maschile a partire dal 2017. Ora si sta sviluppando, si sta ingrandendo e l’ambizione è quella di far crescere tutto il movimento, anche quello femminile. Si è fatta una programmazione a lungo termine, soprattutto per il progetto negli Emirati Arabi. Ormai siamo quasi a 2.000 chilometri di piste ciclabili, quando solo 10 anni fa non c’era nulla. Centinaia di migliaia di persone, che prima non lo conoscevano, hanno iniziato a fare ciclismo. Hanno aperto centinaia di negozi. La bici non serve solo per trovare futuri campioni, ma soprattutto per la salute e il benessere di una nuova generazione. Il team femminile rientra in questo stesso filone. Avere delle squadre ad ogni livello che rappresentano questo ideale per noi è molto importante».

Pogacar va veloce, ma Gianetti controlla il gas

26.03.2023
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In questo scorcio di stagione, con 9 vittorie in 15 giorni di gara, nel bilancio di Tadej Pogacar ci sono anche il quarto posto della Sanremo e il terzo ad Harelbeke. La prossima fermata di questa sua rincorsa sarà il Giro delle Fiandre, seguito dalle classiche delle Ardenne e poi si potrebbe dire che la sua stagione non sarà ancora iniziata. La sfida del Tour sarà infatti ancora di là da venire e Pogacar ci arriverà passando per il Giro di Slovenia.

Alla Tirreno-Adriatico, parlando della sua squadra, Davide Formolo ha tirato fuori una delle sue perle di saggezza. Per cui, volendo esemplificare al massimo come funzioni la vita nel UAE Team Emirates, il veronese ha detto: «O vinci, o tiri!».

Osservando questo ruolino di marcia e constatando che la squadra ha 30 corridori, alcuni di gran nome, ci siamo chiesti se sia normale che in tutte le corse più grandi si faccia corsa per lo sloveno. Intendiamoci, Tadej è il primo a volere il suo posto sulla plancia di comando, ma dal punto di vista della gestione è davvero la cosa giusta?

Domenica scorsa, Gianetti e Pogacar si sono ritrovato al via del Trofeo Binda. Qui con loro Erica Magnaldi
Domenica scorsa, Gianetti e Pogacar si sono ritrovati insieme al via del Trofeo Binda

Ne abbiamo parlato con Mauro Gianetti, team principal della squadra degli Emirati, per farci raccontare il suo punto di vista in merito e capire se ci sia qualcuno che a volte dice basta o tiri il freno.

Guardi Pogacar in mezzo alla gente e ti stupisci che il numero uno al mondo sia così tranquillo e… semplice. E’ davvero così?

Come lo vedete. E’ un ragazzo sereno che corre, si impegna come un grande professionista, ma vive una vita normalissima con la sua fidanzata. E’ appassionato di bici e di ciclismo, per cui non perde l’occasione quando può seguire Urska, come al Trofeo Binda, e questa mi sembra una cosa bellissima.

E’ il segreto della sua forza mentale?

La sua forza è proprio la serenità, cioè il fatto di impegnarsi al 100 per cento lo lascia tranquillo, nel senso che più del massimo non si può fare ed è inutile rammaricarsi se a quel punto sfugge un risultato. Lo vedi che prende la vita con leggerezza e cerca di godere delle piccole cose, che è un aspetto importante.

Nove vittorie nei primi 15 giorni di gara. Pogacar ha iniziato alla grande il 2023
Nove vittorie nei primi 15 giorni di gara. Pogacar ha iniziato alla grande il 2023
Avete 30 corridori, però le corse importanti sono tutte sue spalle. Pensate mai a costruire un’aternativa?

Per fortuna di Pogacar ce n’è solo uno e l’abbiamo noi. E’ chiaro che avendo Tadej, è normale che sia così. Lui vuole correre con questa dimensione, però è chiaro che se non ci fosse lui, interpreteremmo le gare in maniera totalmente diversa. Però è Tadej Pogacar, questa è la vera verità.

Non pensate di doverlo gestire con più oculatezza?

Lui si diverte, però dite una cosa giusta. Dobbiamo comunque gestire la cosa con calma e tenere anche una visione sul lungo termine. Perché è chiaro che abbia delle grandi potenzialità, delle ambizioni grandissime, però sappiamo che è importante guardare oltre il presente. E quindi corre, va forte perché va forte e fa la stessa fatica di quello che arriva decimo o cinquantesimo. Perché tutti si impegnano al 100 per cento, ma lui è davanti. Ma secondo noi, corre il giusto: l’anno scorso ha fatto 54 giorni di gara

Il crollo di Pogacar e i retroscena di una UAE stupita

13.07.2022
6 min
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Cinque chilometri che Tadej Pogacar ricorderà a lungo. Cinque chilometri che potrebbero segnare il destino di questo Tour de France. Verso il Col du Granon la (ex) maglia gialla vive il primo momento di difficoltà della carriera.

La sconfitta è sonora. Tra distacco e abbuono l’asso sloveno incassa 3’02” dal rivale danese. Jonas Vingegaard e la Jumbo-Visma ora hanno il coltello dalla parte manico e la “frittata” si è totalmente rigirata.

Ma cosa è successo a Tadej? Troppi sforzi nei giorni precedenti? Troppe energie spese per rispondere agli attacchi sul Galibier? Cattiva alimentazione?

L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto
L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto

Doccia fredda

I corridori giungono ai bus parcheggiati all’imbocco della scalata, proprio sulla strada che porta al Lautaret dove domani passeranno di nuovo, ma in salita. Rafal Majka, uno dei protagonisti, piomba veloce quasi un’ora dopo il termine della tappa. “Lancia” la bici ad un meccanico e s’infila nella “casa viaggiante” della UAE Emirates. La sua espressione non è delle migliori.

Proprio Majka aveva fatto tremare. Prima positivo al Covid, poi per la carica batterica molto bassa e per essere asintomatico era partito. Esattamente come era successo Jungels. Però sul Galibier aveva sofferto. Si era staccato presto. Mentre sul Granon ha compiuto un altro capolavoro da gregario.

«Io ho passato ai ragazzi l’ultima borraccia ai 6 chilometri dall’arrivo – racconta Marco Marcato, uno dei diesse UAE – internet non prendeva e non avevo idea di cosa stesse succedendo. Quando sono passati erano ancora tutti insieme. In effetti ho visto i miei, Rafal e Tadej, un po’ affaticati, ma più o meno come gli altri.

«Poi mentre scendevo per tornare qui, sentivo dai tifosi a bordo strada che aveva vinto Vingegaard, ma non credevo così».

Sino all’attacco del danese, Pogacar era stato perfetto. Era rimasto isolato. Aveva risposto agli attacchi e anzi aveva contrattaccato lui stesso per placare gli animi degli avversari. Non poteva assolutamente lasciarsi scappare né Roglic, né tantomeno Vingegaard con Laporte e Van Aert davanti sul Galibier.

Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche
Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche

Gianetti placa gli animi

A tenere banco, a metterci la faccia, con grande signorilità, è il team manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti. Il ticinese si presta ai microfoni che lo assalgono.

«Questo è lo sport – dice serio, ma non affranto – abbiamo assistito ad una tappa storica. Oggi abbiamo perso. La Jumbo-Visma è una squadra fortissima e avete visto tutti come ha corso. Ci hanno attaccato sin da subito e da lontano. Oggi hanno fatto qualcosa di straordinario».

Non solo, ma con due uomini in meno, Majka che all’inizio non stava bene, Pogacar ha dovuto rispondere a tutti gli scatti in prima persona.

«Chiaro – riprende il manager – che con un Laengen e un George Bennett in più le cose sarebbero potute andare diversamente e per questo sono ancora più orgoglioso dei miei ragazzi. Ma la forza della Jumbo resta. Tuttavia noi sull’ultima salita avevamo un uomo col capitano e loro no. Ma ci aspettavamo un loro attacco con tutti quei campioni».

Pogacar a pochi chilometri dall’imbocco del Granon scherzava con la telecamera imitando il gesto di quando si dà gas alla moto. La sua squadra rilanciava quel momento con un tweet, sottolineando come Tadej fosse rilassato.

«Mah sapete – spiega Gianetti – a Pogacar piace quando c’è la lotta. Si gasa. Evidentemente stava bene per davvero.

«Poi non so se abbia pagato gli scatti degli Jumbo, ma in quel momento non poteva fare altro. Non so se sia andato in crisi di fame, se abbia sofferto il caldo (per la prima volta si è aperto la maglia, ndr). Di certo noi non possiamo rimproverargli nulla. Non abbiamo l’obbligo di vincere, siamo qui se vogliamo per imparare ancora vista la sua età».

«Cosa gli dirò stasera? Nulla, lo abbraccerò. Anche perché durante l’ultima scalata ci ha messo il cuore, ha dato l’anima. Questo è lo spirito della nostra squadra».

Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta
Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta

Paura del Covid

Più di qualcuno però teme che questo calo così repentino di Pogacar possa attribuirsi al Covid. In fin dei conti la UAE Emirates lo sta schivando già da prima del Tour con Trentin. Due atleti sono stati costretti ad andare a casa, Majka comunque è risultato positivo: il cerchio si fa sempre più stretto.

«La pressione in tal senso c’è – dice Gianetti – Il Covid è entrato in squadra, due ragazzi sono andati via… In più c’è anche la pressione della corsa, dello stare attenti al virus fuori dalla corsa, della conferenza stampa e dei controlli che ogni sera ti fanno arrivare in hotel sempre dopo le 21,30-22». 

I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?
I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?

Quella maglia gialla…

«Noi – aggiunge Andrea Agostini, altro dirigente del team arabo – facciamo davvero di tutto per prevenire il Covid. Abbiamo comprato non so quante mascherine, i ragazzi mangiano separati, dormono in camere singole. Indossiamo le mascherine sempre. Solo di lampade speciali per la sanificazione abbiamo speso 15.000 euro. Disinfettiamo tutto, bus, ammiraglie… più di così proprio non possiamo fare. Se poi è Covid… ad oggi i nostri non lo avevano».

Tornando alle parole di Gianetti una cosa però va approfondita: «Arrivare ogni giorno più tardi in hotel aggiunge stress e stanchezza». Verissimo. Ma a quel punto non conveniva lasciare la maglia?

Più di qualcuno nel team ci fa capire che l’intento c’era. E ci avevano anche provato, ma con l’esuberanza di un ventritreenne c’è poco da fare! Insomma è stato Pogacar che non la voleva cedere.

Ed in questo è stato coerente con quanto detto nella conferenza stampa prima di Copenhagen: «Non è facile lasciare la maglia gialla. Non è facile lasciare andare via qualcosa per cui si lotta».

Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta
Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta

Non è finita

Pogacar ha preso la più grossa (e unica) batosta della sua carriera. Forse è da stasera in poi che si vedrà davvero quanto è grande. Che è fenomeno lo sappiamo. Per diventare un gigante gli serviva l’occasione di una sconfitta. Eccola…

E a un primissimo impatto a caldo, anche stavolta sembra essere sulla strada giusta. Sul podio per la maglia bianca sorrideva. Ha fatto i complimenti a Vingegaard.

«Non so cosa sia successo – ha detto Pogacar – di certo non è stata la mia miglior giornata. Non avevo energie nel finale. Pensavo a guardare avanti, ma altri ragazzi mi superavano. La Jumbo oggi ha giocato le sue carte davvero bene. E’ stato molto difficile controllare gli attacchi».

 

«Però voglio continuare a lottare. Il distacco è ampio, ma mancano ancora diverse tappe importanti fino alla fine e farò di tutto per non avere rimpianti. Come ho preso io oggi quasi tre minuti, li può prendere anche lui».

Gianetti, un giorno pericoloso e il naso rotto 35 anni fa

06.07.2022
5 min
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Non dovrebbe piovere, pensa Gianetti guardando il cielo. Ugualmente la tappa che prenderà il via da Lille all’ora di pranzo si annuncia piena di insidie. Tra polvere, buche e pietre sconnesse, anche una foratura potrebbe rivelarsi fatale. Ieri Van Aert ha colto tutti in castagna, sorprendendo anche Pogacar (che in apertura taglia il traguardo di Calais). Oggi nella tappa che si conclude vicino alle vecchie miniere di Arenberg potrebbe succedere la stessa cosa?

«Le tappe del Tour rendono nervosi – dice Gianetti – ogni giorno c’è vento, pavé, poi altri tranelli. Il Tour de France è questo e bisogna essere concentrati e pronti in ogni momento. E’ chiaro che se dovesse anche piovere, sarebbe un altro problema. Vorremmo tutti che il Tour si giocasse per le forze in campo e non tanto per le sfortune e le disavventure che possono arrivare. Sarebbe bello che tutti i migliori si potessero confrontare sul pavé e nelle tappe di montagna e che nessuno avesse sfortune…».

Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo
Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo

In casa UAE Emirates è giorno di esami. Ed è soprattutto l’imponderabile a destare qualche apprensione in più. Finché si tratta solo di pedalare, Pogacar non ha problemi: prendete la crono di Copenhagen, stava per vincerla. Ma per la legge dei grandi numeri e il fatto che finora la sfortuna si sia abbattuta soltanto sui suoi avversari, l’ansia viene da sé.

Mauro, in questi giorni Tadej ha fatto da sé, ma sul pavé la squadra potrebbe essere decisiva?

La squadra serve tantissimo e serve sempre. Oggi, come poi nelle tappe di salita, oppure quelle col vento. Ci sono squadre più attrezzate per le tappe mosse e quelle più attrezzate per le montagne. La squadra è fondamentale qui al Tour.

Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour: per Gianetti una fase cruciale
Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour
Però intanto aver corso sul pavé ad aprile ha dato a Tadej ancora un po’ di fiducia?

E’ stato un passaggio fondamentale. Prima, perché potesse capire le sue capacità. E poi perché verificasse le sue capacità di fronte agli altri. E’ arrivato quarto al Fiandre, adesso sa che pedala bene sul pavé e questo è importante.

Si farà sentire l’assenza di Trentin?

Tantissimo (lo dice senza lasciarci finire la domanda, ndr)! Soprattutto pensando a queste tappe. La scelta era di avere Matteo Trentin con un’idea ben chiara e ben precisa. Ora abbiamo Marc Hirschi che potrà essere più utile di quanto sarebbe stato Matteo sulle montagne, ma qui il disagio per l’assenza di Matteo sarà evidente.

Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Come hai reagito quando ti hanno detto che non ci sarebbe stato?

Incavolarsi serve a poco. Dispiace per la squadra. Dispiace per Matteo, perché anche lui ci credeva. Ho allargato le braccia, c’era poco da fare. La cosa peggiore è che Matteo sta benissimo. E’ semplicemente positivo, senza nessun sintomo. Neanche mal di gola e mal di testa. E’ disarmante pensare che un ragazzo che ha investito dei mesi di lavoro, le emozioni, la famiglia… Per andare al Tour, c’è da fare un investimento personale. Fai dell’altura da solo, stai tanto lontano da casa. E il giorno prima ti dicono che non puoi partire… Non è facile.

Come ti sentiresti, corridore da 62 chili, dovendo fare una tappa come questa?

Direi parole irripetibili. Mi è già capitato una volta, mi pare fosse il 1989. Il giorno prima addirittura caddi e mi ruppi il naso. Ricordo che affrontai il pavé con il naso rotto e gli ultimi due settori, visto che ormai ero ultimo e staccato, li feci a piedi per quanto mi faceva male il naso. Pensavo di ritirarmi e intanto il direttore sportivo mi ripeteva che ormai potevo arrivare a Parigi. Eravamo alla seconda tappa, ma ebbe ragione lui. Fatta Roubaix, arrivai a Parigi.

La stessa bici

Intanto dal camion dei meccanici, Alessandro Mazzi fa sapere che per la tappa di stamattina, Pogacar utilizzerà la stessa Colnago dei giorni scorsi, con l’unica variazione del reggisella, che sarà quello di serie. Per le altre tappe, la squadra sta utilizzando invece una versione Darimo alleggerita per Colnago.

«Avrà poi ruote tubeless Bora WTO da 45 millimetri con pneumatici da 30 millimetri – dice – con un inserto all’interno, mentre ad aprile per il Fiandre ha usato le 28. Davanti terrà il 39-54 e dietro un 11-29. La stessa sella e anche il nastro manubrio sarà il solito. Ha fatto delle ricognizioni con la bici settata a questo modo e si è trovato a suo agio».