Viviani: la perla di Pedersen ad Amburgo vissuta dall’interno

25.08.2023
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Elia Viviani era nel pieno della mischia di Amburgo – Bemer Cyclassics – quando Mads Pedersen è partito a 850 metri dal traguardo e ha fatto quel numero pazzesco, andando a vincere. Ma il veronese è anche in gara al Renewi Tour, nel Benelux. Il corridore della Ineos Grenadiers sembra aver trovato il miglior colpo di pedale della stagione (in apertura foto @gettysport).

Con il veneto ripercorriamo quel chilometro finale (che comunque potrete rivivere cliccando qui) e guardiamo anche avanti. Perché di obiettivi importanti Viviani ne ha ancora diversi per questa stagione. E anche per quella a venire.

Pedersen, vince ad Amburgo. Van Poppel (secondo) e Viviani (terzo e schiacciato sulla bici) lo riprendono sulla linea
Pedersen, vince ad Amburgo. Van Poppel (secondo) e Viviani (terzo e schiacciato sulla bici) lo riprendono sulla linea
Elia, ad Amburgo un tuo squillo importante, terzo, e un numero da manuale di Pedersen…

Sì, ho una buona condizione, ora bisogna aspettare la volata perfetta. Anche nella prima tappa del Renewi ho rimontato parecchio, avevo delle buone sensazioni, ma ero dietro.

Tu sei tecnico e hai l’occhio lungo: ripercorriamo gli ultimi 3.000 metri di Amburgo. Politt, McNulty e Lampaert davanti…

E noi dietro facevamo la guerra per la posizione anche se il gruppo non era grandissimo. E’ stato un finale concitato, come sempre in quella gara del resto. Io avevo Connor Swift che mi ha ben pilotato. Poi ai 2.500 metri ho visto i Bora-Hansgrohe che risalivano da dietro e mi sono messo dietro a loro. Tiravano, ma non proprio a tutta perché davanti comunque avevano Politt.

E c’è stata questa situazione “incerta” fino al chilometro finale?

Esatto, siamo arrivati al chilometro finale con un buon gap da parte dei fuggitivi. Ho pensato: «Se nessuno si muove, arrivano». Pedersen deve aver fatto questo stesso mio ragionamento… ed è andato. Alla fine veniva dalla sua “settimana santa”, aveva vinto tanto, non aveva nulla perdere e gli è riuscito questo “numeraccio”.

Eri a ruota di chi in quel momento?

Di Haller (della Bora, ndr) che tirava. Ho avuto l’istinto di partire, ma nel tempo in cui mi sono organizzato – sarà passato forse un secondo – Mads era già distante. Ricordo che ha affiancato me e Swift, e mi ha passato sulla sinistra, quindi all’interno della curva.

Vince: crono, classifiche generali, tappe in volata… Per Viviani, Pedersen sta vivendo la sua stagione migliore
Vince: crono, classifiche generali, tappe in volata… Per Viviani, Pedersen sta vivendo la sua stagione migliore
Il resto è storia. Pedersen spinge all’inverosimile e voi poi arrivate al doppio della velocità sul traguardo. Ma tardi.

Siamo arrivati al doppio della velocità sulla linea, ma visto dove erano quei tre e con dietro in testa la Bora che non tirava a tutta, l’unico modo per vincere era fare come ha fatto Pedersen.

Questo numeraccio, come lo hai chiamato tu, è paragonabile a qualche azione? Ti ricorda qualcuno?

A Cancellara che vinse la tappa al Tour in maglia gialla. Fabian aveva visto un buco e anziché rialzarsi ci si “buttò dentro”. Ma per fare certe azioni oltre all’istinto servono le gambe. Dopo l’arrivo ho fatto i complimenti a Mads. Gli ho detto che solo pochi corridori possono fare quello che ha fatto lui. Però serve una condizione che non ti faccia avere paura di perdere. Alla fine aveva vinto una tappa, la crono e la classifica finale del Danimarca il giorno prima. Si è fatto tre ore e mezzo di macchina per arrivare ad Amburgo… Se vinci così, puoi permetterti di fare tutto.

C’è anche una situazione psicofisica vantaggiosa.

Io dovevo portare a casa il risultato e quindi non me la sono sentita di prendere quel rischio, nonostante l’avessi letta bene. Nella sua situazione, non senti il mal di gambe se parti a 850 metri dall’arrivo, con davanti tre ottimi corridori, li riprendi e tiri dritto. Per me Pedersen sta vivendo l’anno migliore della sua carriera. Ha steccato il mondiale, o meglio, ha buttato il secondo posto, solo perché aveva sprecato tanto in precedenza. Ma se andiamo a vedere nelle classiche non è mai uscito dalla top cinque, ha vinto al Giro e al Tour.

Per te, tecnicamente quell’azione può essere paragonata a quella di un pistard o di una disciplina del parquet, magari il chilometro?

No, non c’è questo legame. C’è la lucidità di fare due conti in un secondo e andare. Perché poi il vero gesto atletico, la vera bellezza, non è stato tanto fare quel numero, ma pensarlo.

Elia ha chiamato in causa la vittoria di Cancellara a Compiegne al Tour del 2007, con Zabel che al colpo di reni lo riprende sull’arrivo
Elia ha chiamato in causa la vittoria di Cancellara a Compiegne al Tour del 2007, con Zabel che al colpo di reni lo riprende sull’arrivo
In quel momento, Elia, si guarda il potenziometro? Si spinge e basta?

Lui ha avuto il pregio di non guardare indietro. Ha preso quella decisione e l’ha portata avanti. Ha detto: «Tiro dritto e basta». Il suo riferimento all’inizio erano quei tre, poi la linea d’arrivo, dove ha trovato persino la forza di rialzarsi. Un numero da campione.

E a proposito di campioni. Tu come stai?

Io sto bene. Come sempre del resto dopo che passo da altura e pista. Dopo le Olimpiadi del 2021, stesso cammino, andai bene al Tour of Britain… e questo mi fa ben sperare per l’europeo, che in pratica è Drenthe, ma con il finale su uno strappetto. 

Come ti sembra questo Renewi Tour?

E’ il mondiale dei velocisti! Ma come ho detto all’inizio bisogna trovare la volata perfetta, la posizione giusta. E qui non sono messo male: ho Turner che mi guida bene e c’è Kwiatkowski, che ha un’esperienza formidabile ed è bravissimo nei finali. Da oggi in poi ci sono altre due possibilità. Vediamo di sfruttarle al meglio. 

Qual è il tuo programma?

Dovrei fare il Britain che è due settimane prima dell’europeo, altrimenti il piano B è il GP Plouay, che è più duro e misura 250 chilometri, ma è a tre settimane dall’appuntamento continentale. A quel punto potrei aggiungere qualche gara italiana. Finirò la stagione abbastanza presto e non osserverò uno stacco troppo lungo. Farò tre settimane anziché quattro, perché a fine gennaio, inizio febbraio ci sono gli europei su pista. Quindi a novembre e dicembre devi già spingere forte. 

Strade diverse in direzione Glasgow: Ballan fa il punto

31.07.2023
6 min
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Il mondiale di Glasgow, anticipato ad inizio agosto rispetto al solito, ha un dettaglio da non trascurare, ovvero quello di essere a ridosso del Tour de France. Solitamente la corsa a tappe che precede l’appuntamento iridato è La Vuelta. In Spagna si presentano grandi nomi, sì, ma non tutti i primi della classe. Alla Grande Boucle, invece, il parterre è il migliore al mondo, praticamente un mondiale di tre settimane. In Scozia Evenepoel rimetterà in palio la maglia più ambita (nella foto di apertura alla Clasica di San Sebastian), chi la indosserà?

A Glasgow, Milan correrà su pista: una scelta causata dalle fatiche accumulate al Giro e dal calendario
A Glasgow, Milan correrà su pista: una scelta causata dalle fatiche accumulate al Giro e dal calendario

Settimana compatta

Alessandro Ballan, a distanza di quindici anni, rimane l’ultimo italiano ad aver indossato l’iride. Il veneto ha dimostrato di saper vincere in questo appuntamento, ed averlo corso per tre volte gli ha dato una certa esperienza nel capire come si gestiscono certe situazioni.

«Quello di Glasgow è un percorso per corridori da classiche – dice subito Ballan – il Tour ha dato un bel preannuncio di quello che potrà essere il mondiale. Bene Van Der Poel e Van Aert, ma io ho visto in splendida forma anche Pedersen. Ci sarà sicuramente da divertirsi».

Il calendario è corto, tante prove ravvicinate, l’Italia perde Ganna e Milan vista la (quasi) concomitanza della pista.

E’ un bel mondiale perché tutti gli impegni sono raggruppati, però questo mette i cittì in difficoltà con le scelte di formazione. Sia Ganna che Milan avrebbero potuto fare una bella figura, ma i corridori che escono dal Tour hanno una marcia in più.

I due che hai nominato prima, Van Der Poel e Van Aert, si sono nascosti un po’…

Van Der Poel di più, visto che aveva il compito di fare da ultimo uomo a Philipsen. Van Aert è stato chiamato in causa spesso, anche perché la Jumbo aveva da difendere la maglia gialla. Sicuramente il belga è stato chiamato ad un lavoro di supporto. Dopo che ha cercato di vincere nelle prime tappe, si è “risparmiato”. Non ha speso come lo scorso anno, quando attaccava ovunque. 

Sembrerebbero arrivati al Tour un po’ indietro di condizione…

Può essere una tattica: lavoro per i compagni senza mettermi in mostra, così sembro meno pronto. Diciamo che hanno abbassato le aspettative, forse. Il mondiale è un obiettivo goloso per tutti, il fatto che sia a due settimane dalla fine del Tour vuol dire che questi due sono arrivati non al massimo.

Van Aert è andato a casa quattro giorni prima, per assistere alla nascita del figlio Jerome, questa cosa può influenzare la sua preparazione?

Ha avuto modo di recuperare un po’ di più, alla fine si è saltato quattro tappe, ma solo una era davvero impegnativa (quella con arrivo e Le Markstein, ndr). Di fatica poi ne ha messa comunque nelle gambe.

Solitamente chi esce da un grande Giro ha qualcosa in più, no?

Qualche anno fa era così, io e Bettini uscivamo entrambi dalla Vuelta, così come Boonen nel 2005. Ma anche Alaphilippe nel 2021 ed Evenepoel lo scorso anno arrivavano direttamente dalla Spagna. 

L’ultimo che ha vinto un mondiale senza passare da una corsa a tappe è stato Pedersen, nel 2019. 

Ci sono dei corridori che sono dei fenomeni: Evenepoel, Van Aert, Van Der Poel, Pogacar. Loro possono vincere un mondiale anche senza una preparazione adeguata. Pedersen non è un fenomeno, ma un campione sì. Ha una marcia in più rispetto agli altri, basti vedere cosa ha fatto per Ciccone. Dovesse piovere come ad Harrogate, Pedersen diventa pericolosissimo. 

Ai mondiali di Wollongong 2022, Trentin era il regista in corsa e Bettiol una delle punte. Sarà ancora così?
Ai mondiali di Wollongong 2022, Trentin era il regista in corsa e Bettiol una delle punte. Sarà ancora così?
Degli altri che ne pensi?

Mohoric ha dimostrato di essere forte, ha vinto una tappa non banale. Anche Asgreen ha dato prova della sua forza, e se avesse azzeccato il colpo di reni avrebbe vinto due tappe. I velocisti puri non li prendo in considerazione, è mondiale esplosivo, non adatto a loro. 

E di Evenepoel, campione del mondo ancora in carica, che cosa dici? 

Non ha fatto il Tour, ma ha lavorato tanto in altura qui in Italia, a Passo San Pellegrino. Farà di tutto per tenerla, il percorso si addice ai suoi attacchi da lontano, le 42 curve permetteranno a chi è davanti di fare la stessa fatica di chi è in gruppo. Dovesse fare un attacco simile a quello dello scorso anno, sarà difficile riprenderlo.

L’Italia, lo abbiamo detto prima, è senza Ganna e Milan, ma qualche risultato è arrivato. Vero, non erano tappe del Tour, ma bisogna sempre vincerle le gare…

Trentin è il nostro uomo di esperienza, al Tour ha lavorato tanto e bene, nella tappa vinta da Mohoric si è fatto vedere. Bettiol sarà il nostro uomo probabilmente, consapevoli che se è in giornata può fare una grande gara. Però di testa è altalenante, alterna alti e bassi, ma sugli appuntamenti importanti sà farsi trovare. L’anno scorso si è fatto scappare Evenepoel, quest’anno dovrà essere bravo a stargli dietro. 

Dicevamo delle vittorie, tipo quella di Bagioli su un percorso simile. 

E’ giovane e veloce, non ha tanta esperienza (anche se potrebbe arrivare al suo quarto mondiale in altrettanti anni di professionismo, ndr). Anche Battistella e Sobrero sono buoni corridori che potrebbero giocare d’anticipo. Inserire un uomo davanti, una classica “imboscata italiana” per far saltare il banco. Dovessimo riuscire a sorprendere gli altri la corsa potrebbe diventare molto interessante.

Pedersen stronca Philipsen, ma pesa l’addio di Cavendish

08.07.2023
5 min
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La tappa di Limoges ha la gioia di Mads Pedersen e dei suoi compagni della Lidl-Trek e lo sguardo silenzioso e sconfitto di Cavendish sull’ambulanza. «Questo è il ciclismo», diceva stamattina il velocista dell’Isola di Man, ma non avrebbe mai immaginato che il suo sogno di superare il record di Merckx si sarebbe fermato sull’asfalto a 60 chilometri dall’arrivo.

Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui
Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui

Quelli del cross

Non sarebbe stata la sua tappa e Mark lo sapeva. Scherzando aveva parlato di traguardo disegnato per gli uomini del ciclocross, indicando così Van der Poel e Van Aert, ma di colpo su quei due si è abbattuta una nemesi sfavorevole. L’olandese si è votato ancora una volta alla causa di Philipsen, finito secondo. Il grande belga invece aveva le gambe per vincere, ma si è dovuto fermare a ruota di Laporte che, nel tirargli la volata, ha avuto un rallentamento che l’ha fatto inchiodare.

«E stato uno sprint molto lungo – racconta Pedersen, il danese diretto e fortissimo – ma i ragazzi mi hanno pilotato bene. Ero ancora fresco quando ho iniziato la volata. Sprintare in salita in quel modo è molto difficile. A 50 metri dalla linea, le gambe mi facevano così male che ho avuto la tentazione di sedermi. Ma sapevo che anche Philipsen avrebbe fatto uno sforzo estremo per rimontare. E al Tour non importa che si vinca per un metro o per un centimetro».

I record intoccabili

Chissà a cosa starà pensando adesso Cavendish, che aveva davanti alle ruote altre due tappe per dare l’assalto a Merckx. Verrebbe quasi da dire che certi record andrebbero rispettati. Armstrong provò a umiliare quelli dei cinque Tour e finì schiacciato dalla sua arroganza, ma qui la storia è diversa. Lo sport si costruisce sull’abbattimento dei limiti insuperabili e abbiamo sognato tutti accanto a Cavendish. Solo che adesso davanti a lui non c’è più uno scopo apparente.

«E’ un onore aver corso con Mark – dice Pedersen – e a proposito, deve ancora darmi una maglia, perché dovevamo scambiarcele. Spero di esserci quando farà la corsa d’addio».

Il contratto di Mark con l’Astana Qazaqstan Team è per tutto l’anno, ma aveva il fuoco sul Tour: l’unica corsa che ha sempre avuto la capacità di accenderlo. Il secondo posto di ieri gli ha dato la sensazione di essere vicino, ma ora? Cav troverà ancora motivazioni ad andare avanti?

I due sconfitti

In cima al rettilineo di Limoges è andato in scena uno scontro fra pesi medi dotati di infinita potenza. E se tutti si aspettavano una resa dei conti fra Van Aert e Van der Poel, l’evidenza ha proposto lo scontro fra Pedersen e Philipsen, uno scintillante Groenewegen e lo sfortunato Van Aert.

«Mads è stato più forte – dice Philipsen – io ho sentito le gambe inchiodarsi. Mathieu ha fatto un altro super lavoro e mi dispiace non essere riuscito a finalizzarlo, soprattutto perché questo era un arrivo adatto anche a lui. Abbiamo deciso di puntare su di me, perché altrimenti avrei potuto perdere troppi punti per la maglia verde».

«E’ sempre frustrante – dice Van Aert – quando non riesci a finalizzare il lavoro della squadra. Ho fatto l’errore di aspettare troppo. Mathieu e Jasper mi hanno superato proprio mentre Christophe Laporte si è fermato. E’ colpa mia, dovevo partire prima. Avevo le gambe per vincere? Ce l’ho da tutta la settimana. Ma ora è il momento di lavorare per la maglia gialla, sperando di cancellare presto lo zero dalla casella delle mie vittorie».

Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen
Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen

Irriconoscibile VDP

Chi dovrebbe e di sicuro avrebbe qualcosa da dire è Mathieu Van der Poel, che continua nel cambiamento. Già qualche settimana fa aveva spiegato la necessità di selezionare gli obiettivi, il fatto che a Limoges si sia piegato alla necessità di difendere la maglia verde lo rende quasi irriconoscibile.

«Penso che Jasper non sia più riuscito a fare il suo sprint – dice – il che non è illogico in un simile arrivo. Peccato, ma ha fatto un buon lavoro per la maglia verde. Mads è ovviamente forte negli sprint lunghi e impegnativi come questo, sapevamo che la pendenza sarebbe stato il limite per Jasper. L’ho lasciato bene alla ruota di Pedersen, però Mads ha continuato ad accelerare. Se ho pensato a fare il mio sprint? No, avrei avuto carta bianca se Philipsen non avesse avuto gambe. Ma le aveva e poteva fare un buon lavoro per la maglia verde».

Il Tour è lungo, occasioni non mancheranno. In questa dolce serata nella Nouvelle Aquitaine si segnalano i brindisi in casa Lidl-Trek, per la gioia di Luca Guercilena e dei nuovi investitori. Ma chissà che l’imprevedibile Mathieu non abbia in testa di fare bene domani sul Puy de Dome, sulle strade che fecero la storia di suo nonno Raymond Poulidor. Anzi, varrebbe quasi la pena di scommettere che qualcosa inventerà…

Nuove opportunità per rendere unica la propria Trek

08.07.2023
3 min
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Alla vigilia del Tour de France Trek ha presentato una nuova iniziativa destinata ad incontrare l’interesse dei tanti appassionati del brand americano. Si tratta di otto nuovi schemi di verniciatura personalizzati Project One ICON che possiamo ammirare in questi giorni sulle strade di Francia. La Trek Madone con la quale sta gareggiando l’ex campione del mondo Mads Pedersen della Lidl-Trek presenta infatti una livrea del tutto particolare, che non sarà di certo sfuggita ad occhi attenti. 

Trek può contare su nuovi sistemi di colorazione: i Project One ICON
Trek può contare su nuovi sistemi di colorazione: i Project One ICON

Modelli unici

Grazie al sistema di verniciatura Project One ICON oggi è possibile rendere davvero “unica” la propria Trek. Chi acquista un modello Emonda SLR o Madone SLR ha infatti la possibilità di scegliere tra una infinita varietà di colorazioni differenti rispetto a quelle di serie. Il risultato finale è una bici dalla livrea unica, destinata ad essere notata e ammirata da tutti. 

Ogni schema è realizzato a mano utilizzando processi di verniciatura personalizzati per creare un design che non può essere in alcun modo replicato. Non ci saranno mai due Trek identiche.

I nuovi schemi di verniciatura rendono ancora più personalizzabili le bici del marchio americano
I nuovi schemi di verniciatura rendono ancora più personalizzabili le bici del marchio americano

Otto nuovi schemi

La Trek Madone di Pedersen è stata realizzata attraverso lo schema di verniciatura “Chroma Ultra-Iridescent”. Nasce da anni di prove, ma anche dalle capacità artistiche dei maestri più affermati di Project One. Per creare una livrea così particolare, occorrono livelli non comuni di abilità e know-how. 

Gli altri schemi di verniciatura presentati alla vigilia del Tour de France sono stati i seguenti: “Chroma Diamond Flake”, milioni e milioni di microscopici frammenti di cromo danno vita a uno schema dall’effetto straordinario. Il risultato è una livrea che brilla in modo diverso in base alla luce che cattura.

“Real Smoke”, uno schema di verniciatura sfumato, realizzato a mano che utilizza il fuoco come ingrediente principale. 

“Crystalline Blue Prismatic” e “Viper Frost”, due schemi di verniciatura, unici nel loro genere, creati organicamente fondendo insieme migliaia di minuscoli cristalli in reticoli che brillano con qualsiasi luce. 

“Team Tie Dye”, un esclusivo schema di verniciatura utilizzato sulle bici dei team professionistici.

Questa è la colorazione Red Smoke uno schema di verniciatura sfumato realizzato a mano
Questa è la colorazione Red Smoke uno schema di verniciatura sfumato realizzato a mano

Fra le aziende TOP

La vigilia del Tour de France ha portato in dono a Trek non solo otto nuovi schemi di verniciatura personalizzati, ma anche un importante riconoscimento. L’azienda americana è stata infatti inserita nell’elenco di Fortune Magazine che comprende le 100 migliori aziende per cui lavorare. Il riconoscimento si basa sul modello di indagine dei dati di “Great Place To Work” che raccoglie i feedback di 100 milioni di dipendenti in tutto il mondo.

«Il Great Place To Work Trust Survey è riconosciuto come lo standard globale per quantificare l’esperienza dei dipendenti (afferma Mark Joslyn, vicepresidente delle risorse umane di Trek, ndr).  Siamo onorati di essere elencati tra alcuni dei marchi più ammirati al mondo e siamo orgogliosi dei 7.000 dipendenti in tutto il mondo che hanno reso Trek l’azienda che è oggi».

Trek

La festa di Pedersen, il tormento di De Marchi

11.05.2023
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Pedersen passa come una freccia, mentre accanto alla transenna sulla sinistra s’è fermato De Marchi cercando un po’ di silenzio nel baccano di Napoli e del cuore che martella. Una corsa per raggiungerlo e poi ci fermiamo rispettandone il respiro. Un metro più avanti, Simon Clarke ha tolto casco e occhiali e sta piangendo. Sono entrambi del 1986 e per entrambi la vittoria di tappa avrebbe significato molto, ma il gruppo ha recuperato forte e le minime schermaglie fatte negli ultimi 500 metri sono state fatali.

«Insomma, ho giocato un po’ – mormora Alessandrolui era molto più veloce di me e allora ho voluto provare a vincere. Insomma, fare secondo sarebbe stata una gran cosa, ma arrivati a questo punto, bisogna giocare per la vittoria. Quindi ho dovuto fare una cosa che forse non ho mai fatto in tutta la carriera: non dare più un cambio e me ne dispiace. L’avevo vista questa tappa, poi stamattina sono andato in partenza e ho visto che c’era un grande nervosismo e siamo andati…».

Due palleggi nella città dello scudetto: Remco torna alle origini e paragona Merckx a Maradona
Due palleggi nella città dello scudetto: Remco torna alle origini e paragona Merckx a Maradona

Cambi saltati

Parla e poi riflette, il rimpianto lo scuote. Sembra che le domande gli nascano da dentro e lui risponda mano a mano che vengono fuori. Poi lentamente De Marchi si riconnette con questa strada assolata in riva al mare e il discorso riparte.

«Sono mancati 300 metri – dice – eravamo in due, era un po’ un azzardo. Però l’unica cosa da fare era provare da lontano, sperando di avere le gambe sufficienti. E’ stata una gara entusiasmante, sapevamo che poteva essere adatta alla fuga e ci abbiamo provato. Credo che Clarke sia più dispiaciuto di me, perché essendo più veloce sapeva di avere più chance. Però dovevo giocare un po’, rischiare e provare a fargli lanciare la volata lunga per saltarlo. Stasera forse sarò più contento, adesso ho solo un gran mal di gambe e di schiena…».

L’omaggio di Pedersen

Sono arrivati agli ultimi 3 chilometri con 30 secondi di vantaggio, sembrava fatta. Dietro il gruppo era largo, tirato da Ineos e Bora, che volevano solo tenere davanti i capitani e si disinteressavano della volata. Tanto che quando chiedono a Pedersen come mai abbiano impiegato così tanto per chiudere sui primi, il danese vincitore quasi si stranisce.

«Davanti c’erano due corridori fortissimi – queste le parole del danese della Trek-Segafredo – dietro abbiamo dato quello che potevamo. Non penso che riuscire a vincere sia stato un fatto di fortuna. Abbiamo lavorato molto per trovare questo livello. Sono maturato, ho iniziato a lavorare di più. La squadra è costruita accanto a me e oggi sono riuscito a concretizzare. Certo, al mio palmares mancano alcune classiche, ad esempio non ho un grande rapporto con la Roubaix. Ma proverò a vincere tutto quello che posso…».

Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa
Pedersen ha voluto fortemente venire al Giro: non aveva ancora mai vinto una tappa

Lo stile De Marchi

De Marchi ritrova il sorriso, un sorriso amaro. Dall’altro lato della strada lo chiamano per chiedergli la borraccia e un tipo poco attento chiede al suo amico se abbia vinto lui. La città è rivestita di drappi azzurri, l’arrivo si specchia nel mare.

«Quando ho saltato i cambi? Nell’ultimo chilometro – spiega Alessandro – bisognava fare così. Forse nei chilometri precedenti ho lavorato di più, ho fatto più fatica, non ero proprio perfetto. Per stare lì davanti abbiamo fatto il nostro. Alla fine ho deciso di lasciare sulla strada tutto quello che avevo e questa è la cosa più importante. Se esiste uno stile De Marchi? Sì, quello di attaccare e poi non vincere. Però non si può rimanere sempre nel gruppo, dopo un po’ ti annoi. E onestamente oggi avrei sofferto molto di più a fare in gruppo quella discesa sulla Costiera».

Le strade del Giro

Le strade del Giro d’Italia, se ne parla tanto. I giornalisti stranieri giocano a fare gli agitatori, chiedendo ai corridori di fuori di parlarne. Qualcuno abbocca, qualcuno no.

«Le strade oggi erano davvero impegnative – commenta De Marchi – era una continua curva, un buco dietro l’altro e insomma, non è stata una passeggiata. Francamente non ho avuto occasione di guardare il panorama. Speravo di riuscire a portarmi dietro Gavazzi, sarebbe stato una spalla ideale. Oggi sono due anni dalla maglia rosa di Sestola e per questo mi scoccia ancora di più non essermi fatto un regalo».

Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati
Correre in Costiera è impegnativo, ma gli scenari non passano inosservati

Un turno di riposo

Sul tema delle strade, interviene anche Pedersen, che sorride come avendo esaudito un bel sogno e quindi non ha voglia di cercare per forza la polemica: chi lo conosce sa che dice sempre quel che pensa. E questo è il suo pensiero.

«Le strade sulla costa sono bellissime – dice – se non le vedi, vuol dire che sei cieco. Abbiamo corso a tutto gas, certo, ma ci siamo resi conto che erano bellissime. Oggi abbiamo trovato un misto di asfalto brutto e anche nuovo. Sono le corse, abbiamo da fare 3.500 chilometri di corsa, non possiamo pretendere che siano perfette e sempre uguali. Perciò stasera faremo festa e poi da domani penseremo a quale altra tappa puntare. Non certo Campo Imperatore, domani ci prenderemo un turno di riposo, anche i compagni meritano di recuperare…».

Pedersen va avanti con le interviste. De Marchi si avvia con pedalate lente verso il pullman della Jayco-AlUla. Dall’altro lato della strada passa Leknessund atteso nella zona mista delle tivù. Napoli inizia a defluire dalle strade del Giro, mentre sulla corsa si allunga già l’ombra lontana del Gran Sasso.

Senza Cicco, Trek a Pedersen. Popovych spiega

07.05.2023
5 min
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SILVI MARINA – «Faccio sicuramente meno di un anno fa – dice Popovych con gli occhi che di colpo si intristiscono – perché non è più la stessa cosa. In quei primi mesi di guerra era un caos, mancava tutto. Adesso hanno da vestirsi e da mangiare, gli mancano solo le persone che stanno perdendo. Ho un amico in prima linea. Hanno tutto, tanta gente è tornata a casa anche dall’estero. Non faccio più i viaggi con il furgone, però è sempre difficile. Ho smesso di leggere news da tre settimane perché ci sto male. Ho appena sentito quel mio amico, perché ieri gli sono saltati i nervi. Ha perso due ragazzi con cui stava dall’inizio della guerra e si sta incolpando per averli mandati a prendere una cosa nella trincea in cui sono morti. Ho provato a dargli supporto mentale, quello che possiamo fare è sperare che finisca…».

Silvi Marina si specchia nel mare, in questo dolce avvio di Giro d’Italia. L’hotel della Trek-Segafredo è un gigante sulla spiaggia, in cui assieme alla squadra americana alloggiano Jumbo-Visma e Jayco-AlUla. Popovych ci ha raggiunto nel giardino dopo aver finito di parlare con i corridori, ma con lui il punto sugli amici e la famiglia in patria è un passaggio doloroso e necessario. Sapere da chi c’è dentro è diverso dal sentirlo in tivù.

Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport
Popovych guida al Giro la Trek-Segafredo assieme a De Jongh e Baffi. Qui con Andrea Morelli di Mapei Sport

Ciccone a casa

A una settimana dal Giro, la squadra ha deciso che Ciccone sarebbe rimasto a casa. L’abruzzese si è negativizzato a cinque giorni dalla partenza, ma ha passato una settimana senza andare in bici e non hanno voluto rischiare, spostando il baricentro dalla parte di Mads Pedersen (foto di apertura).

«Di fatto – spiega Popovych – abbiamo solo sostituito Ciccone con Amanuel Ghebreigzabhier. Pedersen aveva deciso di venire al Giro già da novembre così avevamo impostato la squadra anche su di lui, l’organico è stato sempre questo. Gli uomini che aiutano Mads avrebbero aiutato anche “Cicco”. La sua idea era puntare alle tappe, ma visto che da quest’anno sembra andare più forte, gli avremmo messo accanto uomini come Mollema e Tesfatsion per aiutarlo in salita. Gli altri in pianura sono… macchine (ride, ndr), per cui sarebbe stato al coperto in ogni tappa».

Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Due eritrei in corsa nella Trek-Segafredo: Tesfatsion e Ghebreigzabhie (s destra)
Giorni fa Dainese ha detto di temere Pedersen per la sua capacità di andare in fuga.

Lo vedremo giorno per giorno. L’anno scorso Pedersen ha fatto vedere grandi cose su diversi percorsi. Ci giocheremo tutte le carte possibili e inventeremo le cose giorno per giorno. Cercheremo di rendere la corsa dura quando si arriverà in volata, per eliminare i ragazzi più veloci e permettergli di fare le sue volate di 500 metri. Oppure potremo entrare nelle fughe.

Che effetto fa pensare che c’è ancora il Covid a cambiare le cose?

Dispiace, ma in questo periodo te lo devi aspettare. Parlando fra noi siamo consapevoli che fra 3-4 giorni qualcuno potrebbe anche andare a casa per il Covid. Questa la realtà del mondo di adesso. Per Giulio ci è dispiaciuto, ovviamente, il Giro parte da casa sua. Però abbiamo parlato. Gli ho detto: «Si volta come un giornale e si fanno i programmi per prossime corse». Per uno come lui a questo punto è meglio un Tour al top della condizione, che un Giro col rischio di ritirarsi.

Yaro, ti rendi conto che giusto vent’anni fa sul podio del Giro c’eri tu?

Ho pensato che siano passati vent’anni quando mi avete detto di cosa avremmo parlato. Avevo 23 anni, ora ne ho 43. Quel che successe nel 2003 non lo percepivo neanche io. Ho detto spesso che in quei primi anni in Italia, dai 20 ai 22 anni, neppure io capivo che potesse essere un lavoro. Per me è stato sempre un divertimento, un grande divertimento. Da noi in Ucraina la cultura del ciclismo non è mai esistita. In quel periodo mio papà non capiva cosa facessi, finché non venne qua a vedere di persona.

Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Mollema avrebbe lavorato anche per Ciccone: ora aiuterà Pedersen e cercherà la fuga
Tu non gli raccontavi nulla?

Certo, ma i miei genitori pensavano che fossi lontano per divertirmi. Da noi in televisione o sui giornali non facevano vedere le corse. La mia famiglia non sapeva cosa stessi facendo e anche io lo prendevo sempre come un gioco. Solo quando ho cominciato a fare risultati, allora ho cominciato a capire.

Che cosa significò salire sul podio del Giro a 23 anni?

Il Giro d’Italia per me è stato sempre una cosa particolare, una corsa di famiglia. Nel 1999 arrivai in Italia con la nazionale Ucraina. Dal 2000 rimasi con Olivano Locatelli. Vivendo qua, il Giro era la corsa di casa, la corsa della gente, un ambiente particolare. Quando nel 2009 venni al Giro con Armstrong, lui si stupiva di quanta gente mi conoscesse in ogni paese. La gente veniva a chiedere e salutare. E’ sempre stato un piacere.

Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Terzo al Giro del 2003, dietro Simoni e Garzelli: un Popovych d’annata
Hai mai pensato che vincendo quel Giro la vita sarebbe cambiata?

Sarebbe cambiata di sicuro, è diverso vincere da essere sul podio. Ma io non ho rimpianti, non passo il tempo a pensare cosa sarebbe successo. Ho fatto e sto facendo la mia vita. Quando ci sono cose che non vanno come devono, volto la pagina e penso a quel che verrà. Sarebbe cambiato qualcosa di certo, ma non ci ho mai pensato.

Pedersen, quel podio ha un retrogusto agrodolce

06.04.2023
5 min
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A qualche giorno di distanza, si parla ancora del Giro delle Fiandre, perché alcune considerazioni continuano a vagare nell’ambiente, destate dalle parole di Mads Pedersen terzo al traguardo. Si parte da una constatazione: è sempre più difficile riuscire a scalfire il dominio della “triade” (Pogacar, Van Der Poel, Van Aert) nelle classiche d’un giorno. La Sanremo ha visto il colpo di mano dell’olandese con gli altri due beffati sul Poggio dal suo scatto e poi dall’arrembante volata di Ganna, ma dietro c’erano loro: 3 su 4.

E3 Saxo Classic: fuga insieme del trio e gli altri guardano da lontano. Vince Van Aert: 3 su 3. Gand-Wevelgem: vince Laporte per gentile concessione del capitano Van Aert dominatore occulto della corsa, gli altri due assenti. Giro delle Fiandre: Pogacar mette tutti d’accordo con un’azione monstre, Van Der Poel prova a tenere senza riuscirci, Pedersen beffa Van Aert in volata: 3 su 4.

Il podio del Fiandre. Il danese era stato già 2° nel 2018 a 12″ dall’olandese Terpstra
Il podio del Fiandre. Il danese era stato già 2° nel 2018 a 12″ dall’olandese Terpstra

L’obbligo di anticipare

Tenete presente questo andamento nel giudicare le parole di Mads Pedersen, l’ex campione del mondo che ha centrato un podio comunque importante. Il danese della Trek Segafredo ha seguito un copione ben preciso, che aveva addirittura annunciato ai microfoni di Eurosport prima della partenza: «L’unica arma per poter recitare un ruolo importante è anticipare quei tre, questo è il modo in cui voglio correre la Ronde».

Parole che ha ribadito al traguardo: «Dovevo agire in quel modo, senza paura di rimanere senza proiettili. Non c’erano altre tattiche possibili anche se sapevo essere dispendiosa. Non stavo pianificando un momento specifico per attaccare, non avevamo fatto calcoli precisi alla vigilia, ma sapevo che dovevo essere davanti ai ragazzi, prevenire le loro mosse e guadagnare terreno e alla fine ha pagato, il podio in una Monumento rappresenta qualcosa d’importante, soprattutto per me dopo che ci ero già andato vicino».

Pedersen davanti, ma già dietro la moto si profila minaccioso Pogacar, che lo salterà di netto
Pedersen davanti, ma già dietro la moto si profila minaccioso Pogacar, che lo salterà di netto

«Ciao, Tadej, ci vediamo dopo»

Fin qui siamo abbastanza nell’ordinario. Registrato dai microfoni di Spaziociclismo, però, Pedersen alla fine si è lasciato sfuggire alcune considerazioni interessanti: «Che cosa ho pensato quando ho visto arrivare Pogacar? “Ciao, goditi la corsa, ci vediamo dopo”. Non mi sono dannato l’anima per seguirlo, andava a una velocità pazzesca in salita e non ci ho nemmeno provato. Quello è uno che vince i Tour de France, è naturale che su certi terreni è più veloce di me. Penso che se avessi provato a seguirlo sarei crollato e poi mi sarei staccato dal gruppo e addio piazzamento. A volte devi saper riconoscere i tuoi limiti».

Pedersen è andato presto in fuga con altri corridori. Una tattica studiata
Pedersen è andato presto in fuga con altri corridori. Una tattica studiata

Una resa ormai prestabilita?

I fatti, a ben vedere, gli hanno dato ragione e poi precedere Van Aert in volata ha sempre il suo significato (foto di apertura). Le sue parole però possono essere anche lette in versione opposta: di fronte allo strapotere dello sloveno (ma in altre occasioni varrebbe lo stesso per gli altri due) c’è la tendenza a non opporsi neanche più. La Sanremo è stata uno spettacolo assoluto e non si può dire che gli altri non abbiano combattuto, nella classica belga E3 Saxo Classic, quando i tre sono andati via, c’è stata invece la sensazione che non ci fosse grande fiducia nel gruppo inseguitore, considerando anche il lavoro dei rispettivi team che hanno la “fortuna” di avere simili campioni. Al Fiandre stesso discorso, quando Pogacar ha aperto il gas la velocità era enorme e gli altri ormai sembrano disarmati. Anche perché “se è l’uno, è l’altro…”.

Probabilmente questo tema, con l’andare avanti della stagione, verrà riproposto. Pedersen dal canto suo alla fine ha avuto ragione e alla Trek Segafredo possono anche essere soddisfatti, proprio perché bisogna considerare anche l’impegno di chi collabora con la triade. Il danese ha dimostrato di saper leggere la corsa.

«So bene che la mia era anche la tattica di altri. Ogni corridore di valore – ha spiegato – ma non facente parte del magico trio, voleva anticipare ed essere davanti quando la corsa fosse esplosa. Si trattava di trovare il momento giusto e soprattutto essere nelle condizioni di andare. Le due cose in me hanno coinciso, il risultato è derivato da quello e dalla giusta lettura tattica della corsa e soprattutto delle mie condizioni».

Per il danese della Trek Segafredo una primavera positiva. Qui alla Gand-Wevelgem chiusa al 5° posto
Per il danese della Trek Segafredo una primavera positiva. Qui alla Gand-Wevelgem chiusa al 5° posto

Ora a Roubaix, senza Pogacar…

Ora Pedersen punta alla Parigi-Roubaix, che chiuderà la sua stagione delle classiche. Una stagione con un enorme segno positivo, considerando che dopo la positiva Sanremo (chiusa al 6° posto, era tra quelli che avevano potuto profittare dello strategico “buco” creato da Trentin), ha colto la quinta piazza sia alla Gand che alla Dwars door Vlaanderen, poi il 3° posto al Fiandre, mancando di fatto solo la E3 Saxo Classic (14°). Unendo ciò a resto, ossia a un totale di 16 giorni di gara con ben 10 Top 10 tra cui due vittorie, si può ben dire che l’iridato 2019 sia tornato ai suoi antichi fasti. Il fatto è che contro quei terribili tre non basta…

Azzardi e tattiche. La moviola del Fiandre con Ballan

03.04.2023
6 min
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Il day-after del Giro delle Fiandre consente sempre a tutti di riavvolgere il nastro della corsa e rivivere con più calma tutte le emozioni. Perché se le emozioni sono connaturate alla “Ronde” solo per definizione, la gara di ieri non ci ha lasciato davvero tranquilli un minuto.

Una successione di eventi che hanno caratterizzato il Fiandre nel bene e nel male senza paura di essere banali. Prendendo spunto da una curiosa azione corale del Team DSM sul Kortekeer (in apertura immagini tv), abbiamo estrapolato alcuni momenti della gara e li abbiamo sottoposti ad Alessandro Ballan, uno che se ne intende parecchio di quel tipo di gare. Messo davanti ad una sorta di moviola, il vincitore del Fiandre 2007 ci ha dato il suo parere, trovando delle similitudini con le edizione dei suoi tempi.

Alessandro Ballan ha vinto il Fiandre nel 2007, ottenendo altri quattro piazzamenti nei primi sei
Alessandro Ballan ha vinto il Fiandre nel 2007, ottenendo altri quattro piazzamenti nei primi sei
Alessandro innanzitutto, ti è piaciuta la corsa?

Sì, tantissimo. E’ stato il Fiandre più veloce della storia (media oraria di oltre 44 km/h, ndr) e farlo su 273 chilometri di quel genere non è poca cosa. E’ stata una gara spettacolare che ti teneva sveglio. Un po’ per gli scatti dei campioni quando mancava tanto alla fine oppure per il salto di catena di Van der Poel sul Taaienberg. E anche un po’ per le cadute. Purtroppo quelle, che fanno parte del gioco, rendono viva una corsa.

A proposito della velocità, la prima ora di gara l’hanno fatta a quasi 50 di media. Incide questo sull’economia della corsa per chi resta impigliato nella rete?

Bisogna dire che su più di sei ore di gara, c’è il tempo per recuperare e smaltire alcuni sforzi. Però al Fiandre tutto può contare alla fine, dipende quanto consumi in situazioni simili. Van der Poel, Van Aert, Sagan e tanti altri si sono fatti sorprendere da qualche ventaglio in avvio e hanno dovuto usare subito la squadra per rientrare. Forse sprechi più energie nervose che fisiche e quello può penalizzarti. Non è mai bello quando succede, perché non sai se riuscirai a rientrare in fretta. E’ capitato anche a me. Ricordo che in alcune strade vallonate potevi vedere ad occhio la situazione. Tra la testa del gruppo allungatissima e la coda c’erano più di trenta secondi. Facevi fatica a farli diminuire.

Alaphilippe è stato uno dei tanti coinvolti nella caduta innescata dalla manovra assurda di Maciejuk
Alaphilippe è stato uno dei tanti coinvolti nella caduta innescata dalla manovra assurda di Maciejuk
Torniamo alle cadute. Quella provocata da Maciejuk è stata scioccante. Davide Ballerini, caduto più volte, sul traguardo si è toccato con Theuns per un piazzamento attorno alla quarantesima posizione. Poi ce ne sono state tante altre. Non si rischia un po’ troppo?

Al Fiandre si fa di tutto per guadagnare posizioni. Alcune sono le classiche cadute per limare e stare davanti. Come quella in cui è rimasto coinvolto Girmay. Altre sono davvero incomprensibili. Io credo che il polacco della Bahrain Victorious non l’abbia fatto apposta. Sono certo che quando si è reso conto di quello che aveva combinato, avrebbe voluto sprofondare. Poi non so se è ancora valido nel regolamento il divieto di usare le piste ciclabili, perché ne ho visti tanti utilizzarle. Sulla caduta di Ballerini all’arrivo posso dire che a volte succede di fare uno sprint solo per un tuo orgoglio personale. Dopo che hai fatto tanta fatica, cerchi di prenderti una tua soddisfazione e onorare la gara.

A più di 120 chilometri dalla fine abbiamo assistito al Team DSM che ha affrontato un muro quasi in surplace, facendo da tappo, per poi accelerare poco prima dello scollinamento. Sono stati anche attaccati su twitter. Una mossa però che non ti è nuova, giusto?

Esatto. E’ una manovra che facevano già ai miei tempi. Ricordo che quando sono passato pro’ e andavo in Belgio a correre, mi avevano messo in guardia. «Se vedi dei team belgi assieme davanti, preoccupati», era stato l’avvertimento. In effetti è stato così tante volte. Si mettevano d’accordo gli squadroni tipo Quick Step e Lotto e facevano quello che ha fatto la DSM. Salivano pianissimo, tu restavi intrappolato dietro, eri costretto mettere piede a terra. Poi quando loro ripartivano a tutta,non ti restava che farti aiutare a ripartire dal pubblico oppure ti facevi il muro a piedi, con le tacchette che non fanno aderenza. Comunque guardando l’ordine d’arrivo dei DSM (Degenkolb 19° a più di 6′, ndr) direi che è stata una tattica della disperazione perché al Fiandre provi davvero il tutto per tutto.

I Jumbo-Visma sono i grandi sconfitti di giornata. La loro tattica invece come la giudichi?

Potevano vincere la corsa o comunque giocarsi meglio le fasi salienti. Potevano fermare prima Van Hooydonck per Van Aert, ma può darsi che la radio non avesse la giusta copertura. Tuttavia per me il loro vero sbaglio è stato quello di non riuscire a mettere Laporte in una fuga così ben assortita, oltre allo stesso Van Hooydonck. A parte i tre fenomeni, il francese era quello più in forma delle cosiddette seconde linee e dava parecchie garanzie perché è molto veloce. Mancavano cento chilometri e la gara era già entrata nel vivo.

Ultimamente le azioni da lontano spesso arrivano in fondo. Pedersen ha ottenuto così i suoi due podi al Fiandre. Sono tattiche che possono continuare a dare frutti?

Personalmente penso di sì. In corse del genere dove dietro si va a scatti, rischiando di pagare, è meglio andare in fuga dove invece vai molto più regolare. Pedersen è un ottimo corridore ed è andato fortissimo. Lui ha queste azioni nelle sue corde e infatti ha colto un bel terzo posto. Avevo fatto anche io una cosa simile nel 2005. Avevo attaccato a 90 chilometri dalla fine riprendendo la fuga. Poi quando sono stato raggiunto dai più forti, sono rimasto agganciato a loro chiudendo sesto. Questo consiglio l’avevo dato a Pasqualon pochi giorni prima del via, perché so che è in forma e che va bene in queste corse.

Trentin in avanscoperta, menata della squadra all’imbocco dell’Oude Kwaremont e le stoccate di Pogacar. Il Fiandre della UAE si può riassumere così?

Hanno fatto una grande corsa. Hanno inserito nella fuga un uomo di esperienza come Matteo che avrebbe potuto giocarsi le sue carte qualora dietro non fossero rientrati. Tatticamente erano tranquilli. Poi ovvio che se in squadra hai uno come Pogacar che sta bene, allora è giusto fare gara dura da lontano e sfruttare Trentin come appoggio. Per vincere dovevano fare solo così e così hanno fatto.

Tu spesso sei stato uno dei terzi incomodi nel dualismo Boonen-Cancellara. Rispetto al tuo periodo vedi qualche affinità con i grossi calibri di adesso?

Naturalmente sono tempi diversi. Noi avevamo molte fasi di studio, di attesa, mentre le generazioni di adesso attaccano. Ma intendo tutti i corridori. Ora sai che su 200 partenti ce ne sono 4-5 che possono vincere sempre a mani basse, quindi gli altri devono inventarsi qualcosa per poterli battere. Abbiamo visto che partire da lontano può essere una soluzione, ma ieri contro un Pogacar così si poteva fare poco.

Diretto, sincero, cattivissimo Mads

21.12.2022
6 min
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Mads Pedersen non ha peli sulla lingua. Pane al pane e vino al vino. Quando condividiamo questa sensazione con Paolo Barbieri, responsabile stampa della Trek-Segafredo, lui annuisce consapevole. Dal danese che nel 2019 impallinò Trentin ai mondiali di Harrogate non aspettatevi sviolinate o frasi convenzionali.

Mads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de Besseges
Mads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de Besseges

Al Giro con Stuyven

In squadra ricordano ancora di un mattino in cui Pedersen e Nibali dovevano lasciare l’hotel alle 6 per un servizio fotografico. Pare che Vincenzo si sia presentato in ritardo mentre l’altro aspettava in auto. Mads si infuriò senza alcun timore reverenziale per il ritardo e perché a suo dire l’italiano non riusciva a capire la gravità della situazione. «Sono duro con gli altri – commentò – perché sono duro con me stesso». Da allora i due presero le rispettive misure e tutto filò liscio.

Il suo 2022 parla di dieci vittorie, le più preziose la tappa del Tour e le tre della Vuelta (con 4 secondi posti). E quando eravamo tutti convinti che avrebbe fatto un sol boccone del mondiale, Pedersen ha cambiato direzione e in Australia non c’è andato. La sensazione è che non abbia un gran feeling con i voli a lungo raggio, dato che dal 2018 non ha più corso fuori dall’Europa, ma evidentemente alla squadra sta bene e il suo programma sarà tutto europeo anche nel 2023. L’unica eccezione dovuta è il viaggio in Wisconsin di fine anno, in cui i corridori visitano la sede di Trek. Fra le novità della prossima stagione, c’è invece che Pedersen e Stuyven verranno al Giro d’Italia.

Nel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad Harrogate
Nel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad Harrogate
Partiamo dal giorno in cui grazie a te c’è andato di traverso il mondiale. Cosa ricordi?

Che ho vinto la corsa (allarga le braccia, ndr). Prima del via non avrei mai detto che sarei riuscito a vincere. Speravo di fare un bel risultato, ma non certo a quel modo. A volte capita che tutto si metta nel modo giusto e quel giorno per me fu così.

Cosa sai del Giro?

In realtà poco, so che lo farò. Al momento giusto ci siederemo a un tavolo e studieremo il percorso. Prima però sarò concentrato sulle classiche, che restano l’obiettivo principale. Nessuna in particolare, vanno bene tutte. Il mio scopo è arrivarci in forma. Credo di aver fatto un bel passo di crescita fra il 2021 e il 2022 e mi piacerebbe mantenere lo stesso livello anche il prossimo anno.

Cercando di migliorare su qualche terreno specifico?

Non certo sulle salite, perché non mi servirebbe a molto. Devo essere a posto per le classiche e fare del mio meglio nel resto della stagione. Sono consapevole di avere nella volata il mio punto di forza.

Mads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla Vuelta
Mads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla Vuelta
Dopo le tre tappe alla Vuelta, eravamo tutti sicuri che Mads Pedersen sarebbe stato l’uomo da battere ai mondiali di Wollongong.

Ma per vincere una corsa devi prima andarci e io ho deciso di non farlo. E’ stata una decisione molto facile da prendere. Volare laggiù sarebbe stato troppo, fino a quel momento avevo fatto una bella stagione e non avevo belle sensazioni sul fatto di andare. Si è trattato di dare fiducia al mio istinto e crederci.

Da dove comincerà il tuo 2023?

Dalla Francia come quest’anno, il primo di febbraio, con l’Etoile de Besseges. Il fatto di non andare in Australia o Argentina è dipeso al 100 per cento da una mia scelta, perché non mi piace fare lunghi viaggi.

Obiettivo classiche, dunque?

Da Sanremo alla Roubaix, esatto.

Cosa sai della Sanremo?

L’ho fatta una sola volta, quest’anno (si è piazzato al 6° posto, ndr). E’ una corsa noiosa, a essere onesto, che non mi piace, ma è una Monumento e questo la rende importante. Sono cinque ore a non fare nulla e poi diventa folle per un’ora e mezza. Non è la più bella che abbiamo nel calendario, ma devo provare a vincerla visto il suo status. Detto questo, non so come si possa fare, dovrò fare qualche ricognizione per capirlo bene. Dipende da come si correrà, ma se quel giorno avrò fiducia nel mio sprint, mi converrà aspettare. Credo un po’ meno invece alla possibilità di tenere la corsa per tutto il giorno. Servirebbe una squadra di corridori forti e tutti votati alla stessa causa, ma non credo che correremo così.

Stuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al Giro
Stuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al Giro
Invece la Roubaix?

Ho sempre pensato sempre di poterla vincere, già dal sopralluogo dei giorni prima (in apertura in allenamento lo scorso aprile, ndr). L’ho fatta più volte, sono capace di trovare la pressione delle gomme, tenere la posizione giusta nel gruppo, mangiare e bere quando si deve. Eppure negli ultimi due anni non l’ho nemmeno finita, per cadute o sfortune varie.

Prima il Giro e poi il Tour?

Anche il Tour, sì, perché è la miglior preparazione per i mondiali. A Grasgow si correrà due settimane dopo e il Tour darà la velocità giusta alle gambe. Ovviamente anche pensando a vincere delle tappe. Io corro sempre per vincere.

Vedi il divertimento più nel correre o nell’allenarti?

Cinquanta e cinquanta. Dipende dalla corsa e dai giorni di allenamento. E’ un mix, mi piacciono entrambi. Di sicuro preferisco allenarmi da solo, questo al 100 per cento. Mi piace fare il mio passo e i miei lavori specifici. Per questo i training camp non mi piacciono. Devi preoccuparti di tanti altri corridori, non vai alla velocità che ti servirebbe e cose di questo tipo. Però il ritiro è utile per altri motivi. E’ una sorta di team building e ti permette di sistemare un sacco di cose pratiche. E poi mi diverto a stare con i miei compagni, non si tratta di questo. Ma se parliamo di allenamento, allora preferisco stare da solo.

Fra classiche e Giro, prevedi di andare in altura?

Non vado in altura. Mai. Non mi piace stare seduto in cima a una montagna a guardare le rocce.

Meglio la musica ad alto volume del pullman prima di una grande corsa?

Decisamente. Il silenzio in quelle situazioni mi piace ancor meno. Perdi morale se pensi che il tuo capitano non sia sicuro di sé. Sul pullman della squadra prima di una corsa importante c’è musica ad alto volume, balliamo e ci urliamo le cose più disparate. E se capita un corridore che non appartiene al gruppo classiche e chiede di abbassare la musica, lo guardo e fra me e me penso: siediti e leggi il tuo libro, forse ci vediamo al secondo rifornimento. Se ci arrivi…