Juan David Sierra e Davide Stella, madison, mondiali pista 2025, Santiago del Cile

Stella e Sierra: un mondiale su pista con i consigli di Viviani

01.11.2025
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Il mondiale su pista a Santiago del Cile ha portato le emozioni e la gioia di vedere Elia Viviani ancora una volta protagonista sul parquet. Un’ultima volta per il “Profeta”, il quale ha lasciato la squadra che negli anni ha saputo costruire insieme a Marco Villa. Chiudere un cerchio con la maglia iridata nell’eliminazione è un qualcosa di unico e incredibile, come detto dallo stesso Viviani al termine della corsa.

Il veronese ha saputo seminare e far crescere quel germoglio della pista, ora diventata una pianta capace di dare frutti pieni di talento e voglia di seguire le orme di Viviani. Tra questi ci sono due ragazzi che hanno condiviso con la nazionale l’ultima corsa del pistard azzurro: Davide Stella e Juan David Sierra. Questa è la coppia che a Santiago del Cile ha corso nella madison, i due giovani entrambi al primo mondiale su pista tra gli elite si sono difesi e hanno capito cosa vuol dire correre tra i grandi.

Davide Stella, mondiali pista 2025, Santiago del Cile
Davide Stella oltre alla madison ha corso anche nello scratch terminando la prova al diciannovesimo posto
Davide Stella, mondiali pista 2025, Santiago del Cile
Davide Stella oltre alla madison ha corso anche nello scratch terminando la prova al diciannovesimo posto

Resistenza e velocità

Davide Stella risponde mentre si trova a Istanbul, direzione Singapore. Lì correrà due criterium su strada e concluderà la sua prima stagione da under 23. Un giro del mondo in meno di una settimana, considerando che la nazionale è tornata dal Cile martedì scorso, il 28 ottobre. 

«Questo mondiale – dice Stella – è stata una bella esperienza, nello scratch non ho corso come avrei voluto. Mentre nella madison le sensazioni erano buone, anche il mio compagno Sierra stava bene, ma il livello tra gli elite è completamente diverso. Ci abbiamo provato e più di così era difficile fare, un decimo posto che è sicuramente un buon punto di partenza. 

«Quella di Santiago del Cile – continua – è stata la madison più veloce della storia, corsa a una media 60.6 chilometri orari. Un battesimo intenso ma utile per capire tante cose, passare dai 120 giri delle prove giovanili ai 200 della gara elite è un bel salto. La gestione della tattica è differente, si va all’attacco con l’obiettivo di conquistare il giro di vantaggio. In un’occasione ci siamo anche riusciti, quindi le nostre soddisfazioni ce le siamo portate a casa».

L’approccio del Profeta

Per due atleti alla prime esperienze nelle corse elite su pista avere accanto una figura come quella di Viviani è stato importante. Elia non ha mai negato una mano o un consiglio, anche se qualcosina già si conosce.

«Viviani era uno di noi – dice Stella – del gruppo, faceva da guida e da consigliere. E’ sempre stato il mio idolo e averlo vicino è stato qualcosa di incredibile, faceva un certo effetto parlarci. Ho parlato tanto con lui, soprattutto per quanto riguarda l’eliminazione. Mi ha detto come gestisce il riscaldamento e come suddivide la prova, mi sono accorto che qualcosa lo facevo già. Per il resto ho preso appunti nella mente, in particolare per la gestione in gara. Non posso dirvi cosa mi ha detto, sono i consigli di un campione del mondo».

Juan David Sierra, mondiali pista 2025, Santiago del Cile
Juan David Sierra ha preso parte anche all’omnium, concluso in dodicesima posizione
Juan David Sierra, mondiali pista 2025, Santiago del Cile
Juan David Sierra ha preso parte anche all’omnium, concluso in dodicesima posizione

L’esperienza di Sierra

Juan David Sierra, invece, è a casa sua, a Rho alle porte di Milano. La stagione è finita e ora è a casa a riposare e dare una mano in famiglia. Tra pochi giorni arriverà una sorellina e ci sono tante cose da fare, oltre a godersi il momento. 

«La Federazione ci ha dato una grande occasione – analizza Sierra – perché non è da tutti i giorni correre un mondiale su pista senza pressioni esterne, ma solo per fare esperienza e provare a fare il meglio possibile. Ho corso in due specialità olimpiche: omnium e madison. Nella prima avrei potuto fare un po’ meglio, ma sono gare che insegnano molto. Per quanto riguarda la madison ha ragione Stella. Il livello era altissimo e siamo andati davvero forte. Inoltre la nostra coppia era di gran lunga quella più giovane in gara, considerando che abbiamo rispettivamente 20 anni io e 19 anni Stella.

Elia Viviani, Juan David Sierra, madison, Grenchen (foto Augusto De Nando)
Sierra ha avuto l’occasione di correre una prova di madison in coppia con Viviani poco prima dei mondiali in Cile (foto Augusto De Nando)
Elia Viviani, Juan David Sierra, madison, Grenchen (foto Augusto De Nando)
Sierra ha avuto l’occasione di correre una prova di madison in coppia con Viviani poco prima dei mondiali in Cile (foto Augusto De Nando)

A ruota di Viviani

Il cammino di Sierra insieme a Viviani è stato più lungo, considerando che i due hanno anche condiviso il parquet proprio qualche settimana prima del mondiale. 

«Con Viviani – racconta Sierra – abbiamo passato tanti momenti a Montichiari dove ci ha dato tantissimi consigli. Inoltre ho avuto la fortuna di essere in camera con Lamon in Cile, gli ho fatto un sacco di domande, in particolare sulle Olimpiadi. Come si prepara un appuntamento del genere, come lo si gestisce e soprattutto cosa si prova a vincere una medaglia d’oro».

«Quando guardi Viviani da vicino – dice ancora Sierra – capisci come non sia un campione per caso. E’ molto meticoloso sui materiali, tanto che gli ho detto di restare nel giro della nazionale e di venire in pista a darci una mano. Io non conosco tanti aspetti e lui può essere una figura estremamente utile per il nostro gruppo».

«Inoltre – conclude – ho anche avuto l’occasione di correre una madison, una decina di giorni prima del mondiale, insieme a Viviani a Grenchen. E’ stato incredibile. Gli ho fatto un sacco di domande tecniche, sui cambi, su come lanciare il compagno e lanciarsi a propria volta, il posizionamento. Ve l’ho detto che deve rimanere nel giro, ha troppo da insegnare!».

UEC, altri 4 anni con Della Casa, pronto ad agire su più fronti

14.03.2025
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Enrico Della Casa è stato riconfermato per altri 4 anni alla guida della UEC. Quando un presidente viene mantenuto in carica, è solito dire che avrà così la possibilità di portare avanti il suo lavoro iniziato 4 anni prima e nel suo caso non sono parole di circostanza. «E’ un po’ la continuazione degli 8 anni già volti da segretario generale, in questi anni ho visto il ciclismo espandersi e cambiare profondamente, c’è ancora molto da fare per adeguarsi. Tra l’altro lavoreremo con un consiglio quasi tutto nuovo, con 5 elementi su 7 che non erano in carica, sarà una sfida importante proprio per procedere con idee nuove» ha affermato a proposito della sua rielezione.

Da sinistra il presidente dell’UCI David Lappartient, Olav Kooij campione europeo 2024 e Della Casa
Da sinistra il presidente dell’UCI David Lappartient, Olav Kooij campione europeo 2024 e Della Casa

Il dirigente italiano ha sempre avuto una visione del ciclismo a 360°, non incentrata solo sulla strada e vuole assolutamente continuare su questa linea: «In questi anni ad esempio l’offroad si è evoluto tantissimo, sia nella mountain bike che nel ciclocross, poi stiamo assistendo all’affermazione del gravel, ancora molto legato alla strada ma che credo troverà una propria direzione. Il settore più delicato è la pista, dove si attende la conferma delle specialità olimpiche e il programma di qualificazione per poter ragionare sul calendario e dimostrare al CIO che facciamo abbastanza attività in ogni continente».

C’è poi il discorso strada…

Già e lì ci stiamo muovendo soprattutto sul tema sicurezza che per noi è primario. Allestire un evento ciclistico è sempre molto complicato, spesso dobbiamo confrontarci con le autorità locali che vorrebbero il passaggio in centro, ma non sempre troviamo condizioni stradali idonee e questo è ancora più dirimente scendendo di categoria. Spesso le gare vedono al via ragazzi ancora non abbastanza esperti, inoltre si organizza in Paesi meno evoluti, per questo dico che la sicurezza è un tema delicatissimo e deve essere al centro della nostra attività.

Il gravel è la specialità in maggiore evoluzione. Per Della Casa troverà una sua dimensione
Il gravel è la specialità in maggiore evoluzione. Per Della Casa è ancora molto legata alla strada ma troverà una sua dimensione
Parlando di calendari, è innegabile che essi ostacolino la multidisciplina. Quando su strada l’attività va da gennaio a novembre, il ciclocross ne rimane schiacciato, la pista anche e le difficoltà per chi vuole differenziarsi sono enormi. C’è davvero bisogno di così tanti eventi?

Il ciclismo è cambiato, non è più quello della mia giovinezza quando tutti gli eventi erano in Europa. Ora inizi in Australia e finisci in Cina, vai oltreAtlantico, anche in Africa. Come puoi ridurre se le richieste aumentano di numero e di Paesi coinvolti? – si chiede Della Casa – Bisogna trovare una quadra, una nostra commissione ci sta lavorando da tempo. Un’idea sulla quale stiamo spingendo è quella di attribuire punti agli atleti che vanno a gareggiare in altre discipline, così i team avranno interesse a venire loro incontro, ma servono tabelle adeguate, i giusti pesi e contrappesi. Noi dobbiamo tutelare la pista, non dimentichiamo che assegna 12 medaglie olimpiche…

Tra cui però sono andate perdute quelle di specialità storiche come inseguimento e chilometro da fermo…

Purtroppo credo sia un processo ineluttabile che a me dispiace molto, ma l’orientamento del CIO finora è stato quello di coinvolgere sempre più i giovanissimi e si è visto anche con l’inserimento di discipline come la breakdance. Forse sarò di parte, ma quando sento che si giudicano nostre discipline come poco appetibili a livello di attenzione non ci sto. Di spettacoli sportivi “noiosi” ce ne sono, ma non sono i nostri…

E’ alle viste una profonda revisione del calendario. Anche in seno alla UEC ci si sta lavorando
E’ alle viste una profonda revisione del calendario. Anche in seno alla UEC ci si sta lavorando
E’ tutto un problema di audience televisiva?

Per certi versi sì. Noi ad esempio siamo riusciti a inserire la madison, ma ci si è dovuto lavorare molto sopra per renderla facilmente comprensibile a chi non è del nostro mondo. Non dimentichiamo che alle Olimpiadi arrivano giornalisti e commentatori Tv che non sono del nostro ambiente, che non conoscono dettagliatamente le regole. Noi dobbiamo ragionare sempre nell’ottica di chi guarda per la prima volta.

Il ciclismo va verso lo schema juniores-devo team-world tour (le professional come soluzione di ripiego). Paesi come l’Italia vedono sparire corse e società storiche: si può ragionare sulle categorie a livello centrale oppure ognuno fa da sé?

Bisogna ragionarci – e abbiamo una commissione che lo sta facendo – per adeguare i regolamenti. I tempi cambiano e il valore delle stesse anche. C’è uno sviluppo precoce, è innegabile, quindi le categorie attuali non lo rispecchiano. Noi abbiamo già agito liberando i rapporti per gli juniores, ma non basta. Consideriamo poi che il gruppo va sempre più veloce e su strade sempre più complesse. Gli juniores ad esempio su strada non possono competere con i grandi, ma su pista sì e questa è una discrasia che non ha molto senso. Un’idea potrebbe essere tornare a un calendario semplificato, com’era per dilettanti e professionisti, ma non è così semplice.

L’attività juniores è sempre più fondamentale, a scapito di quella U23
L’attività juniores è sempre più fondamentale, a scapito di quella U23
Il problema della velocità si è fatto allarmante, con bici sempre più performanti e che agevolano le alte velocità. La Formula Uno è intervenuta sui regolamenti, andando anche contro le case produttrici, perché non si può fare lo stesso nel ciclismo?

Su questo non sono d’accordo perché l’UCI è molto attenta. Ad esempio telai e ruote devono essere omologati prima di ogni gara. La tecnica è in continuo sviluppo, ma deve tenere conto sempre della sicurezza. Casi come quello del quartetto australiano a Tokyo 2020, con la caduta dettata dal manubrio spezzatosi non devono più avvenire. Si cerca di andare oltre i limiti, con manubri sempre più stretti, caschi posizionati in maniera sbagliata dove non è più la sicurezza il primo fine ma l’aerodinamicità. Abbiamo anche visto Paesi investire talmente tanto in tute super performanti da non avere poi i soldi per fare attività. Bisogna agire su questi paradossi, mettere un freno.

La caduta del quartetto australiano a Tokyo 2020, dettata dalla rottura di un manubrio
La caduta del quartetto australiano a Tokyo 2020, dettata dalla rottura di un manubrio
Si candiderà alla presidenza dell’UCI?

Vedremo che cosa avverrà il 20 marzo con l’elezione del presidente CIO, noi facciamo un grande tifo per Lappartient, avere la massima carica sportiva proveniente dal ciclismo sarebbe un grande risultato. Per ora diciamo che è nel gruppo di testa, vediamo come andrà la volata…

L’addio da leader di Morkov, che indossa la giacca di cittì

25.10.2024
7 min
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Con la medaglia di bronzo conquistata nella madison dei mondiali, Michael Morkov ha chiuso da par suo la sua lunghissima carriera, iniziata da professionista nel 2009. A 39 anni il corridore di Kokkedal appende la bici al chiodo con 6 vittorie al suo attivo, tra cui 3 titoli danesi e una vittoria di tappa alla Vuelta di Spagna. Ma è soprattutto su pista che sono arrivati i suoi sigilli, tra cui un oro olimpico a Tokyo 2020 nella madison (ma anche l’argento nell’inseguimento a squadre in quella palpitante finale con l’Italia) e 4 titoli mondiali.

Se su pista Morkov è stato un leader, su strada ha elevato a questo rango il ruolo forse più subordinato di tutti, quello di ultimo uomo, divenendo per acclamazione planetaria il migliore interprete. Un maestro che lascerà un vuoto. Morkov però non resterà inattivo: per lui è già pronta l’ammiraglia di responsabile della nazionale danese su strada. Una nuova sfida, alla guida di una delle Nazioni più forti del momento.

Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Domenica hai chiuso la tua carriera con l’ennesima medaglia, oltretutto davanti al tuo pubblico. Che sensazioni hai provato nel tagliare l’ultimo traguardo?

Sono davvero orgoglioso di aver concluso a un livello molto alto. Nei miei ultimi campionati mondiali stavo ancora lottando per la medaglia d’oro e, naturalmente, non è mai piacevole perdere, ma sono comunque felice che abbiamo ottenuto la medaglia di bronzo e abbiamo fatto felice il pubblico danese. Non potevo chiudere meglio.

Tu hai vissuto due carriere parallele: maestro nell’aiutare i velocisti e grande specialista del ciclismo su pista. Quale delle due ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Beh, penso che sia una combinazione perché in pista ho ottenuto le mie soddisfazioni, i miei obiettivi e i miei grandi risultati. Sulla strada, ero completamente determinato ad aiutare i miei compagni di squadra, quindi penso che sia stato il giusto mix.

La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
L’ultimo uomo del treno dello sprint: per chi interpreta questo ruolo, che cosa significa vedere il leader vincere?

E’ come vincere la gara da soli, perché tu come uomo di testa sei molto concentrato per vincere la gara con il tuo velocista e per tutto il giorno lavori duramente per organizzare l’intera squadra e fare che tutto funzioni fino a quegli ultimi 200 metri, quando sarà lui a giocarsi la vittoria e devo metterlo nella posizione migliore. Bisogna avere fiducia in se stessi e guidare gli altri come leader. Posizionare il mio velocista e vederlo alzare le braccia è come una mia vittoria. Quindi questa è la sensazione migliore.

Qual è la più grande emozione che hai vissuto in bicicletta?

La risposta è semplice: vincere la medaglia d’oro olimpica a Tokyo. In quella madison c’erano grandi campioni tanto è vero che ce la giocammo tutta sugli sprint, senza guadagnare giri. C’erano grandi interpreti come Hayter e Thomas, eppure io e Lasse Norman Hansen ce la facemmo per tre punti. Penso che sia la medaglia più bella che puoi vincere come atleta. E sì, è stato molto emozionante.

La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
Hai lavorato con tutti i migliori velocisti dell’ultimo decennio, chi è stato il migliore ma sopattutto quello che hai sentito più vicino?

Credo di aver stretto un rapporto molto stretto con tutti i velocisti con cui sono cresciuto e penso che questo rapporto umano sia anche una parte importante del successo che ho avuto con ognuno di loro. Direi sempre che il mio migliore amico è Cavendish: i suoi risultati parlano da soli, ma ha anche una conoscenza incredibile dello sprint, della tecnica pura. Sa esattamente cosa fare, il suo istinto e il suo tempismo sono perfezione pura. Ma c’è un corridore con cui ho un legame speciale…

Chi?

Viviani. Ora posso guardare indietro e vedere che forse i due migliori anni che ha avuto come professionista sono stati quelli in cui l’ho aiutato a vincere dappertutto, nel 2018 e 2019. Abbiamo vissuto un biennio speciale e penso che Elia sia il corridore che è riuscito a ottenere il massimo dal suo talento sapendo sfruttare una squadra molto forte. Aveva dei compagni di squadra molto bravi intorno a lui e quando i compagni di squadra facevano un buon lavoro per lui, riusciva sempre a concludere con una vittoria. Molti dei successi con Elia sono speciali, di cui sono orgoglioso.

Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Ora passerai sull’ammiraglia della nazionale danese: quali sono i tuoi obiettivi nel nuovo lavoro?

Battere i miei amici italiani – dice ridendo – No, a parte le battute, sono davvero motivato per questo nuovo incarico. Soprattutto per trasmettere tutta la mia esperienza ai giovani corridori danesi e spero davvero di poterli aiutare a crescere e diventare buoni professionisti e vincere gare in futuro. Quindi la mia ambizione è quella di poter gioire di altre vittorie non personalmente mie, ma nelle quali sento di averci messo qualcosa.

Oggi la Danimarca è uno dei Paesi leader nel ciclismo professionistico, ma non ha un suo team WorldTour: pensi che sia un problema?

Io non penso, corridori danesi bravi ci sono e sono riusciti a firmare con tutte le migliori squadre del WorldTour. Quindi non penso che sia strettamente necessario avere una squadra danese al massimo livello. E’ invece fondamentale avere è una squadra Continental o Professional, per tutti i ragazzi che hanno bisogno di imparare. Ci sono corridori capaci di entrare subito nel WT, ma tanti altri hanno bisogno di più tempo, di avvicinarsi con più calma, maturano più lentamente. Questo possono farlo se hai una squadra Continental molto buona. Poi abbiamo la Uno-X che è sì norvegese, ma con una forte componente nostrana ed è molto importante nello sviluppo dei talenti danesi.

Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Che cosa c’è dietro i Vingergaard, Pedersen e gli altri big del ciclismo danese?

C’è molto lavoro sui talenti, esattamente come dicevo prima. Provengono da un livello molto alto di squadre Continental in Danimarca con un livello molto, molto alto di professionisti. Hanno un grande fisico e capacità non comuni, ma sono frutto di un ottimo programma di sviluppo per i giovani corridori.

In prospettiva vedi Albert Withen Philipsen come un altro grande campione del WorldTour?

Andiamoci piano. In tutti gli anni in cui sono stato coinvolto nel ciclismo, ho visto molte volte corridori estremamente talentuosi da junior che poi non riescono a trovare gli stessi guizzi quando le cose si fanno serie. Albert è un corridore molto promettente, ma deve ancora migliorare molto per diventare il prossimo grande nome del World Tour. Io ovviamente non vedo l’ora di supportarlo e spero che diventerà presto quello che sogna di essere lui e tutti noi danesi.

Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Rispetto a quando hai iniziato, che ciclismo ti lasci alle spalle?

Un ciclismo molto professionale, molto più di quando iniziai vent’anni fa. Molte cose che si facevano allora, oggi sono considerate superate. In termini di allenamento, alimentazione, altitudine, sonno, campi di allenamento, equipaggiamento, dinamiche… Sono tutti aspetti che incidono molto. Per questo il ciclismo attuale corridori molto più talentuosi rispetto al passato, forse allora era più difficile diventare professionisti. Forse ora è più facile trovare i grandi talenti.

Uscendo dai confini danesi, c’è un altro Morkov, un corridore nel quale rivedi la tua storia e le tue capacità?

Oh, ci sono un sacco di grandi corridori in giro per il mondo, penso che la bellezza del ciclismo sia che siamo tutti diversi e veniamo da realtà differenti. Naturalmente ho uno spazio speciale nel cuore per i corridori che corrono in pista e che arrivano con le abilità della pista. E anche per quelli molto bravi nel gruppo. I ragazzi che hanno il potenziale per aiutare i migliori velocisti a diventare i più veloci. Quindi è lì che terrò gli occhi per il futuro.

Parigi, la caduta di Consonni e una scheggia nel muscolo

08.10.2024
6 min
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La caduta di Consonni a pochi giri dalla fine della madison olimpica. Le parole di Simone nel racconto successivo a far capire che non fosse stata una scivolata come tante e dare una dimensione anche più grande a quell’argento che sapeva già di oro. Che cosa è successo al bergamasco in pista il 10 agosto? E in che modo gli uomini della nazionale gli hanno permesso di ripartire e lo hanno curato nelle ore successive?

Lo abbiamo chiesto a Fred Morini, uno dei fisioterapisti della nazionale. Un passato da atleta e poi una vita che varrebbe il racconto di un bravo scrittore. L’umbro ascolta e annuisce. Ha ben chiaro quel che è accaduto, a partire dalla caduta. L’impatto di Consonni con il legno della pista è stato così fragoroso che, pur con tutto il rumore del palazzetto, si è percepito come il suono di uno schiaffo.

La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
Che cosa è successo, dal tuo punto di vista?

La caduta può accadere, ma nessuno se l’aspettava, soprattutto perché eravamo alla fine. Cominciavamo già ad assaggiare più l’oro che l’argento. Erano abbastanza al limite e i portoghesi per certi versi stavano correndo un po’ meglio nella parte finale. Però per come si era messa, i nostri potevano riuscire a contenerli. Era chiaro che facessero corsa su Leitao e Oliveira, perché erano gli unici in grado di incrementare. La caduta è stata una grande botta, ce ne siamo accorti subito.

Che cosa avete visto?

Eravamo il meccanico Giovanni Carini ed io. Quando siamo arrivati, Consonni aveva il pantaloncino girato e uno strappo molto grande. Ma la prima cosa che ho visto era il casco completamente ruotato, tanto che l’ho tirato da dietro e lui subito se l’è rimesso a posto. Quindi sicuramente ha battuto anche la testa, per questo sembrava un po’ rintronato. La testa, la gamba e la spalla. E comunque è risalito su, non ci ha pensato un secondo. Un po’ per la foga, un po’ perché noi lo incitavamo, poi i fischi, il rumore, la gente. Non ha guardato più niente, ha fatto la sua corsa. Ma il grande shock che ha accumulato si è visto appena è arrivato.

Che cosa si è visto?

Appena è sceso giù dalla balaustra si è messo seduto e ha scaricato la tensione, come a Tokyo dopo il quartetto. Sembrava dovesse svenire da un momento all’altro. E così ho fatto le stesse manovre di tre anni prima. Sono intervenuto sulla parte cervicale, dove ci sono dei punti neurologici che di solito si attivano sulle persone che rischiano di perdere i sensi o che effettivamente svengono. Ho cominciato a premere forte e sembrava che si riaccendesse. Poi si è alzato, perché lo chiamavo alle interviste. E’ andato, solo che nei primi 4-5 minuti non sapeva nemmeno dove si trovasse. Era in crisi di zuccheri, perché nella madison è arrivato proprio al limite del limite. Allora gli ho dato un gel, ha bevuto qualcosa, poi si è incamminato verso la tv. E a me a quel punto è caduto l’occhio sul pantaloncino.

Cosa c’era?

Una scheggia del parquet del velodromo, che sarà stata di due centimetri, che usciva fuori dal muscolo. Dritta come uno spillo. Allora sono andato da lui e gli ho detto: «Dai Simo, bevi qualcosa» e gli ho passato una lattina di Fanta. Lui l’ha accettata e mentre la guardava, ho preso la scheggia con le mani e l’ho tirata via. Non l’avessi mai fatto… Ha imprecato, ha sentito come un coltello che invece di entrare, usciva dalla sua gamba. C’era la telecamera e Stefano Rizzato per qualche istante ha abbassato il microfono, chiedendomi cosa fosse successo. E allora gliel’ho fatta vedere e gliel’ho detto: «Avevi una scheggia di legno di due centimetri infilata nella gamba!».

E’ possibile che nel momento in cui si è ritrovato per terra abbia avuto anche un crampo?

Certo. Si è alzato di colpo e sicuramente era già parecchio provato. Il crampo l’ha avuto perché quando ha dato la botta, è rotolato e rialzarsi ha richiesto la massima contrazione muscolare. Un po’ era stanco, un po’ disidratato e di fatto è partito il crampo. Anche dietro la coscia, non dove c’era la ferita, ma tra coscia e polpaccio. Anche il senso di svenimento è connesso a una reazione adrenalinica. Il nervo vago comincia a scaricare, aveva comunque dato una bella botta. Passavano le ore e lui peggiorava, anziché migliorare. Il giorno dopo si è alzato e sembrava un novantenne che camminasse a quattro zampe, perché cominciava a sentire la botta. Aveva più segni addosso l’indomani che dopo la caduta. Ha dormito male tutta la notte, si è goduto male anche la medaglia. Anche la sera che abbiamo fatto il brindisi, era molto dolente.

Come lo hai trattato?

Un lavoro manuale, decontratturante, ma non un vero massaggio. La sera stessa e il giorno dopo. Poi un trattamento osteopatico a livello cranio-sacrale, per allentare un po’ la tensione. Il terzo giorno abbiamo lavorato sulla mobilizzazione: sempre lavoro manuale, ma anche attivo. Qualche piccolo esercizio sul bacino, sulla parte bassa della schiena, per recuperare la mobilità. Dopo due giorni già stava meglio, ma il giorno dopo è stato veramente male.

Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
E’ andato in ospedale? La botta alla testa lo richiedeva?

No, l’ha visto il dottor Angelucci. Non c’erano i sintomi di fratture, per cui il dottore ci ha detto di trattarlo. La cosa in più che abbiamo fatto sono state delle medicazioni con il Duoderma, perché c’erano anche delle belle abrasioni. Abbiamo anche ripulito la ferita con delle pinzette. Per il colpo alla testa, il dottore l’ha valutato. Ha fatto anche dei test di risposta neurovisiva e neurobiologica, ma non c’era nulla di particolare. Però ci ha raccomandato di osservarlo e segnalare se avessimo visto qualcosa di particolare. Ma Simone non aveva lo stimolo di vomitare, non aveva giramenti di testa improvvisi o mancamenti. Per cui abbiamo proseguito così.

Quanto è durata la fase… novantenne?

Due giorni, poi ha cominciato rimuoversi degnamente. Ha fatto un po’ di rulli ed è uscito su strada. E devo dire che la sua caduta è stato il solo problema di queste Olimpiadi, a parte i classici problemi del quartetto, che vanno sempre in sofferenza con la schiena perché la partenza con quei rapporti è impressionante. Hanno sempre la solita patologia al fondo della schiena soprattutto a destra dove fanno l’attivazione per la partenza. E poi per il resto tutto bene, ordinaria amministrazione. Null’altro da segnalare.

L’estate full gas di Consonni, ai mondiali dopo l’oro di Parigi

06.10.2024
5 min
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Viene da pensare a quando chiamammo suo fratello Simone pochi giorni dopo l’oro di Tokyo. Eravamo curiosi di sapere come fosse cambiata la sua vita e rimanemmo colpiti dal fatto che il bergamasco avesse resettato tutto. Si era rituffato subito nell’attività su strada, con la maglia della Cofidis che vestiva tre anni fa. Allo stesso modo, quando dall’altra parte del telefono la voce di Chiara Consonni arriva sorridente come sempre, abbiamo la stessa sensazione. La bergamasca è in pista preparando i mondiali di Copenhagen che inizieranno il 16 ottobre.

Fratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oro. L’indomani arriverà l’argento di Simone nella madison
Fratelli Consonni, tre medaglie in due. Qui Chiara con il suo oro. L’indomani arriverà l’argento di Simone nella madison

Un mazzo di fiori

Il 9 agosto sul far della sera, Chiara Consonni è diventata campionessa olimpica della madison assieme a Vittoria Guazzini. Il racconto della toscana lo avevamo fatto a caldo e lo abbiamo ripreso pochi giorni fa a Zurigo. Mancava all’appello la bergamasca, alle porte di un cambio di squadra e di una stagione in cui rendere più concreti i suoi sogni di stradista.

«E’ la stessa storia – ride – non è cambiato niente. Ci sono stati un po’ di impegni ufficiali, due mesi full. Ho capito che ci fosse qualcosa di diverso perché sono venuta per due volte a Roma, ma vi giuro che per strada la gente non mi riconosce. E’ stata diversa l’accoglienza in gruppo alla prima gara e quelle dopo. Mi hanno accolto bene e ogni volta che sul palco chiamano il mio nome e dicono che sono campionessa olimpica, un po’ mi fa effetto. Una volta mi hanno anche dato un mazzo di fiori…».

GP d’Isbergues, una settimana dopo Parigi: sul palco Consonni presentata come campionessa olimpica
GP d’Isbergues, una settimana dopo Parigi: sul palco Consonni presentata come campionessa olimpica

Riscattare Parigi

Chiara è un concentrato di allegria e tigna. Passa con identica naturalezza da foto da copertina glamour al ghigno feroce della campionessa in caccia. E quando dice che ai mondiali pista vuole andarci per rifarsi del quartetto di Parigi, bisogna credere che già nella testa il piano ha preso forma. Perché il quarto posto di Parigi è un boccone rimasto indigesto.

«Non sarà la rivincita olimpica – dice – ma vogliamo riscattarci. Ci motiva fare un bel quartetto e personalmente, è bello fare un mondiale da campionessa olimpica. Ci arriviamo un po’ sparpagliati. Facciamo tutte il Simac Ladies Tour, tranne Martina Fidanza e la Vittoria Guazzini che farà con la squadra la Chrono des Nations. Non so ancora invece quali saranno i programmi di Elisa Balsamo. Siamo state al matrimonio, è stato bellissimo. Correrà anche lei in Olanda, ma non so i mondiali».

Incredulità, felicità, stupore, aggiungete pure voi il resto: a Parigi, Consonni conquista l’oro olimpico
Incredulità, felicità, stupore, aggiungete pure voi il resto: a Parigi, Consonni conquista l’oro olimpico

La madison in extremis

Proprio grazie a quella tigna, Parigi ha portato l’oro della madison. Per non andarsene a mani vuote. Senza il senso che la fatica e l’impegno profuso nell’ultimo anno, con un piede su strada e l’altro in pista, fossero caduti nel vuoto.

«Ho saputo tre giorni prima che avrei corso la madison – ricorda Consonni – perché inizialmente non era nei miei programmi, ma in quelli di Elisa Balsamo. Sapevamo però che a causa della sua caduta, sarebbe potuta esserci una sostituzione e per questo avevo cercato di prepararla. Assieme a Vittoria (Guazzini, ndr) ho corso e vinto a Gand ai primi di luglio. E’ vero che lei ultimamente aveva corso sempre insieme a Elisa, ma ricordo che nel 2018 avevamo fatto due o tre Coppe del mondo, cavandocela bene. Non abbiamo problemi di compatibilità come carattere, anche per via del tanto tempo passato insieme. Mentre tecnicamente l’equilibrio è lo stesso. Lei è forte nel passo, io sono veloce».

Giro d’Italia 2024, 2ª tappa a Volta Mantovana: 1ª Consonni, 2ª Kopecky, 3ª Balsamo. Una volata regale
Giro d’Italia 2024, 2ª tappa a Volta Mantovana: 1ª Consonni, 2ª Kopecky, 3ª Balsamo. Una volata regale

Anno nuovo, vita nuova

Il prossimo sarà un anno di maglie e compagne nuove. Si aspetta l’ufficialità, non si entra nei dettagli, ma è un fatto che Chiara Consonni sia sulla porta di un altro cambiamento netto, come quando dalla Valcar-Travel&Service lo scorso anno passò al UAE Team Adq.

«Finora ci ho pensato poco – dice – ho avuto la testa sulle gare e non ho metabolizzato la decisione, che spero sia quella giusta. Spero di trovare un bel gruppo di ragazze e un bello staff, che mi permetta di vivere le corse sempre col sorriso. Sono soddisfatta della mia stagione. Non ho vinto una classica del Nord, ma il terzo posto alla Gand-Wevelgem è un bel risultato. M’è rimasto il rimpianto per la Roubaix, perché ho bucato nel punto sbagliato. Penso che dal prossimo anno, visto l’aumento di distanze e dislivelli, dovrò continuare ad aumentare il lavoro su strada. Ho visto che al Giro soffrivo le tappe più dure, perché lavorando in pista probabilmente mi mancava il fondo. Ma la pista non la abbandono. Perciò adesso testa ai mondiali e poi quest’anno niente Cina, la squadra ha deciso così. Sarà un inverno diverso, in cui avrò tante cose da ricordare, su tutte il fatto di aver potuto condividere l’oro con mio fratello e la mia famiglia. Fra tanti premi di questa estate così fitta, questo è stato sicuramente il più bello».

Il guizzo, il genio, l’istinto e l’oro. Ritorno a Parigi con Guazzini

02.10.2024
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GOSSAU (Svizzera) – Un colpo di genio. Forse meno dell’attacco con cui Pogacar ha conquistato il mondiale, ma comunque un colpo imprevisto che ha portato all’Italia l’oro olimpico della madison. Roba seria, insomma. Il colpo di genio è l’attacco con cui in la sera del 9 agosto alle porte di Versailles, Vittoria Guazzini ha guadagnato il giro, gettando la base per la vittoria. L’ha fatto con l’istinto e in barba alle raccomandazioni con cui Chiara Consonni le aveva appena raccomandato una tattica meno aggressiva.

La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen
La crono di Zurigo è stata per Guazzini uno degli ultimi impegni 2024. Mancano i mondiali pista di Copenhagen

Tutti stanchi

Perciò, approfittando di un momento di attesa prima della cronometro di Zurigo 2024, abbiamo intercettato Vittoria, cercando di capire come nasca effettivamente un colpo di genio. Da quale combinazione di istinto e calcolo. Soprattutto avendo di fronte una cronoman e un’inseguitrice di valore internazionale, abituata a scandire le sue prestazioni con il ritmo del cronometro. Lei ascolta e sorride, è raro che la “Vitto” non sorrida. E forse questa leggerezza di spirito è stata la molla per l’attacco.

«Sicuramente la madison è una gara diversa dal quartetto e dalle crono – dice – perché lì è tutto un po’ più matematico, numeri, watt. Serve tanta intesa con la compagna e poi un po’ di estro, mettiamola così. Quella di Parigi è stata una gara tirata dall’inizio e già da un po’ mi ero accorta che quasi tutte facessero fatica. Non potevamo essere stanche solo noi. Avevo visto che le altre nazioni avevano fatto tutti gli sprint quindi a un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento. E mi sono detta: “Adesso attacco. E se va male, ricomincio come prima”».

Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso
Un attacco improvviso di Guazzini e l’Italia prende il Giro: la madison svolta all’improvviso

Una trappola per Chiara

Sembra facile, non lo è affatto. La madison è un girare frenetico e per cogliere l’attimo giusto serve avere le gambe e la capacità di leggere nei movimenti degli avversari. Serve l’istinto del velocista e la rapidità d’esecuzione del chitarrista rock. Vittoria è più quella che improvvisa o quella dei secondi e dei millesimi?

«Dipende – ride – Vittoria si trasforma in base a quello che la gara richiede. Sicuramente in una crono come qui in Svizzera, non so quanta improvvisazione ci sia, soprattutto se il percorso è impegnativo e c’è da spingere. E’ stato bello vivere quelle emozioni a Parigi. Ed è vero che Chiara mi avesse detto di non fare colpi di testa, infatti io non le ho detto niente. Ho pensato: “Vedrai, quando sono lì, il cambio me lo deve dare!”. Però sapevo che aveva la gamba, quindi non l’ho detto solo per non turbarla mentalmente. Non avevo dubbi che ce l’avremmo fatta».

Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica
Ultimo cambio, sarà Guazzini a chiudere la madison di Parigi, quando la vittoria diventerà matematica

Tornare a mani vuote

Alla fine Consonni ha apprezzato, inevitabile che fosse così. Anche lei si era accorta dei movimenti delle altre coppie ed è stata ben contenta alla fine di assecondare il gioco della compagna, che intanto continua il suo racconto.

«Erano tante volate che le altre nazioni continuavano a buttarsi dentro – ricorda – e si era sempre tutti al limite, quindi era da un po’ già che ci pensavo. Dicevo fra me e me: “Sto qui, sto qui, sto qui e quando vedo, parto!”. E quando siamo arrivati che mancava una quarantina di giri, ho ritenuto che fosse il momento giusto e sono andata. Venivamo dal quartetto, una grande delusione per tutti, perché ci speravamo. Sono tanti anni che lavoriamo insieme, inutile dire che ce lo meritassimo perché penso che tutti i quartetti se lo meritassero. Nessuno arriva lì per caso. Però mi sembrava che non ci meritassimo di tornare a casa a mani vuote. Diciamo che quella delusione è stata una motivazione in più per dare tutto».

Fra Balsamo e Consonni

Il fuori programma, oltre l’attacco, è che l’abitudine della madison azzurra negli ultimi anni ha visto Guazzini in coppia con Balsamo più che con Consonni. Il rammarico di Tokyo forse fu proprio aver smontato la coppia che aveva appena vinto i campionati europei della specialità. Ma qui il discorso si innesta sui trascorsi comuni in maglia Valcar e gli anni nella nazionale sin dagli juniores, che hanno fatto di questo gruppo una banda molto affiatata.

«Diciamo che Elisa e Chiara – dice – sono molto veloci rispetto a me, che magari sul passo ho qualcosa in più. Quindi come caratteristiche ci completiamo. E’ vero che forse ho corso più con Elisa, soprattutto nell’ultimo periodo. Però con Chiara c’è una grande intesa sia su che giù dalla bici, quindi poi alla fine non è stato così difficile adattarci. Sono molto diverse anche per il carattere, Chiara è più estroversa. Però poi sulla bici, si tira tutti fuori la giusta cattiveria agonistica.

«Ho capito che avevamo vinto le Olimpiadi quando ho preso l’ultimo cambio. Eravamo lì con le olandesi, mentre le inglesi erano avanti e avrebbero preso gli ultimi dieci punti, ma ne avevano più di dieci di distacco, quindi a quel punto era fatta. Mi sono goduta veramente a pieno gli ultimi giri. Ho capito che avevamo vinto la gara, però da lì a realizzare di aver vinto le Olimpiadi è stato qualcosa di incredibile. Guardavo sugli spalti le ragazze, i ragazzi, i miei genitori che erano lì e pensavo che questa volta l’avevamo combinata grossa».

Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison
Olimpiadi di Parigi 2024, 9 agosto: Chiara Consonni e Vittoria Guazzini sono campionesse olimpiche della madison

Ha rivisto la gara una sola volta, almeno finora. «La mattina con Chiara – ammette – perché siamo rientrate in hotel che era mattina. Abbiamo fatto una doccia e poi ci siamo dette: “Dai, guardiamo la gara, che non ci abbiamo capito niente”. Poi è capitato di vedere qualche spezzone che hanno mandato qua e là. Adesso per finire la stagione su pista mancano i mondiali di Copenhagen. Ma non saranno quelli che ci permetteranno di rifarci della delusione del quartetto. Quello potremo farlo solo a Los Angeles, ma è presto parlarne adesso».

Le madison e l’esempio di Viviani: un lavoro che non va sprecato

11.08.2024
5 min
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Le medaglie della pista sono tre e non è detto che la nostra avventura di Parigi 2024 sia finita qui. Aspettando Letizia Paternoster, il commissario tecnico Marco Villa si gode i successi nella madison, per certi versi inattesi, come magari ci si attendeva qualcosina di più dai quartetti, soprattutto quello maschile. Villa inizia con la madison.

«La vittoria di Consonni e Guazzini – dice Marco (in apertura con Viviani dopo la madison di ieri) – ha reso giustizia al settore femminile, che non ha preso la medaglia col quartetto per la sfortuna che ha avuto Elisa Balsamo».

L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
Quindi Elia Viviani e Simone Consonni hanno reso giustizia al settore maschile?

Credo proprio di sì. Elia sta benissimo, nell’omnium non lo avevo mai visto andare così forte. Ha cambiato modo di allenarsi. Ha visto che per correre queste gare vanno usati rapporti più lunghi. Non li avevamo nelle gambe, ma ci abbiamo lavorato, ci ha messo tanto impegno.

Dopo l’omnium c’era un po’ di delusione? 

Siamo andati in albergo la sera con la netta percezione che ci mancasse qualcosa. Nel primo scratch è capitata una cosa che a noi non capita mai, cioè Thomas che prende il giro così facilmente. Oggi (ieri, ndr) ci abbiamo provato anche noi. Addirittura Elia era pronto a provare a prendere il giro già all’inizio, come ha fatto l’Austria. Era una follia, ma dovevamo inventarci qualcosa.

Oltre alla testa, ha avuto le gambe per farlo.

Lui sta bene, lo ripeto. Dopo l’omnium non mi tornavano i conti. Meritava un risultato, che lo ripaga degli sforzi che ha fatto. Ugualmente Simone, è sempre andato vicino al grande risultato. Abbiamo lavorato poco specificatamente, ma ci siamo arrivati bene. Non è una medaglia da outsider.

La caduta ha tolto un oro?

Il Portogallo è rinvenuto forte negli ultimi 30 giri. Non li riconoscevo nei primi 160, hanno fatto un attacco che è durato poco e poi sono tornati indietro. Il ritmo era alto per tutti. Peccato per la caduta. Elia stava cambiando, Simone è caduto e lui è tornato su, facendo altri sei giri, con neozelandesi e portoghesi che attaccavano. Quello sforzo nel finale ci ha penalizzato. Peccato.

Il settore pista è in salute, ormai si può dire.

Il valore assoluto è sempre quello. Si è aggiunto il settore femminile, che ha imparato dal settore maschile. I talenti ci sono. Siamo arrivati qua con una grande esperienza, da campioni olimpici con i maschi e campionesse del mondo due anni fa con le ragazze su questa pista. Il livello è alto, queste medaglie non sono arrivate gratis.

La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
Gli inglesi si chiedono come sia possibile che a ogni edizione l’Italia si presenti con squadre forti.

Noi e gli inglesi abbiamo lo stesso modo di lavorare. Anzi, su alcune cose ci hanno copiato. Nel preparare Londra hanno costruito la Sky per vincere le Olimpiadi. Da lì sono usciti Wiggins, Cavendish, Thomas. Ora hanno Hayter. Il modello prestazionale è rimasto lo stesso. Il loro modo di lavorare è il nostro. Devi prendere quelli forti e quelli forti stanno su strada. Devi quindi trovare il modo di non far perdere loro l’attività su strada, che ti dà lo stipendio. Ma la pista ti dà le medaglie olimpiche.

E il futuro?

Mi piacerebbe avere una squadra di riferimento italiana che trattenga i giovani e gli faccia fare il percorso di Viviani, Ganna, Consonni e Milan. Speriamo che non rimanga nel cassetto. C’è stato un cambio di rotta da Londra. L’ho chiesto alla Federazione. Abbiamo perfezionato il sistema che vedete adesso e abbiamo trovato i campioni. Madre natura ci ha dato campioni. Mamma Consonni addirittura ce ne ha dati due. Da Londra abbiamo fatto sistema e questo è importante.

A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
Elia Viviani chiude un cerchio. 

A Londra eravamo solo io e lui. E lì ha perso un oro. Lo ha perso nel primo scratch, per una caduta. Hansen non era nei 7 che stavano prendendo il giro. Quella caduta lo ha fatto riposare e risalire. Se non fosse caduto, non avrebbe preso quella occasione e poi preso tutti quei punti che gli hanno consentito di battersi fino alla fine.

Un aggettivo per Elia.

Immenso. Incredibile. Si è allenato come un diciottenne. E’ un esempio e per fortuna altri hanno preso esempio da lui. Peccato che non lo prendano ad esempio tanti direttori sportivi o tanti manager. Pensano ancora che mandare i ragazzi in pista sia un handicap.

La rabbia e il sorriso, l’argento e il lieto fine, Viviani e Consonni

10.08.2024
6 min
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Quando si accascia a terra, è quello di Londra. Solo. «E’ arrabbiato», rivela la moglie Elena Cecchini. Voleva vincere. Quando si rialza, è quello di Tokyo. Fiero come un portabandiera, commosso perché i grandi non devono nascondere la loro sensibilità. Si mostrano per quelli che sono. E lui è ancora quello di Rio, un campione assoluto. L’Elia Viviani di Parigi scrive l’ultima pagina di una carriera olimpica speciale.

Tre metalli, lo stesso Elia

C’è tutto Elia, in tutti e tre i metalli che da oggi ha a casa. Ragazzo d’oro, lo conferma chiunque lo frequenti. Capelli che prima o poi saranno d’argento, il maledetto tempo passa anche per lui. Faccia di bronzo in pista, quando serve. Quando, ad esempio, c’è da cogliere il momento per prendere un giro al gruppo nella madison. Ha sempre avuto un’intelligenza superiore alla media, l’ha dimostrato anche ieri, nel momento chiave. Quando ha capito che si poteva prendere quel vantaggio che ha consentito di raggiungere il podio a lui e a Consonni.

Chissà come sarebbe andata senza quel cambio sbagliato prima dell’ultimo sprint che ha portato alla caduta di Simone.

«Il Portogallo ha vinto di 7 punti – analizza lui – con la volata saltata potevamo prenderne 5, non s’è perso l’oro per quello».

«Ci ha scombussolato i piani nel finale, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte», ribatte Consonni. Che si prende la seconda medaglia, la terza in una ideale cameretta con la sorella Chiara in cui magari già da piccoli sognavano le Olimpiadi.

Tanti lavori di qualità

Quello di Londra è il Viviani che è arrivato qui. Quello che «si è allenato come un diciottenne», come racconta il Ct Marco Villa. E lui conferma. «Abbiamo fatto tantissimi lavori di qualità». Come se dovesse affrontare la prima Olimpiade. «Dovevamo alzare i watt, trovare rapporti più duri. Non ho lavorato più neanche col quartetto».

Poi però nell’omnium qualcosa non è andato nel verso giusto. Come a Londra, appunto. «Ci sono rimasto male, perché avevo lavorato tanto. Ho trovato avversari fortissimi, ma qualcosa non ha funzionato. La madison è una gara che non abbiamo preparato, ma che sappiamo correre. Ce lo hanno dimostrato anche le ragazze. Vederle da fuori ci ha aiutato. Serviva coraggio, l’abbiamo trovato, a costo di saltar per aria nel finale. Invece è andata bene, è stato bello, con un pizzico di follia». Come quando si è giovani, appunto.

Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa
Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa

L’ultima gara di un campione

Elia però è anche quello di Rio. Un esempio, come deve essere un portabandiera. «Ho corso con la testa, con il cuore e con le gambe di Elia», racconta Simone Consonni, che in testa aveva proprio il casco del suo compagno di squadra. «Perché ne avevo provati altri, ma era andata male». Il suo è un argento che «vale tanto, perché è la seconda medaglia». Per la sorella Chiara, che «mi ha detto che mi vuole bene e non ce lo diciamo spesso. E’ la cosa più bella».

Vale «per tutta la nostra squadra. Se anche i quartetti non sono andati come si sperava, siamo lo stesso una squadra forte». Con un leader vero. «Quando parti e sai che partecipi all’ultima gara di un campione che ha fatto la storia, sai che devi essere perfetto. E sono molto contento di essere stato sul podio con lui. E di aver messo in pista tutto quello che mi ha trasmesso lui in questi anni».

Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità
Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità

Il valore dell’argento

Elia è quello di Tokyo. Quello che sa cogliere il valore di una medaglia anche se non è del metallo più prezioso.

«In Giappone esultai di più – dice – perché me l’ero guadagnato con le unghie e con i denti. Qui l’oro era vicinissimo e anche per questo ho pianto. Per la rabbia. Ma poi analizzo tutto e so bene che è un argento guadagnato e importantissimo. Volevo chiudere la mia esperienza olimpica con una medaglia e ce l’ho».

Viviani con Amadio, team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas. Dietro il fratello Attilio
Viviani con Amadio, ora team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas

Con gli occhi di Elena

Quello di Parigi è l’Elia ormai sposato, che si fa guardare anche con gli occhi della moglie. «La medaglia era il suo obiettivo e l’ha raggiunto. E’ un campione. Siamo stati molto lontani in questi mesi, ora non vedo l’ora di passare del tempo con lui».

Il tempo dice che questa è l’ultima Olimpiade. Elia sarà alla cerimonia di chiusura, come è stato in quella di apertura. «Abbiamo chiuso un cerchio. Olimpico. Avrei firmato per una medaglia. Analizzando le cose, però, noi abbiamo preso un giro di astuzia, i portoghesi lo hanno fatto nel momento in cui è esplosa la corsa. E’ un segnale di gambe. Erano i più forti, probabilmente non potevamo farci niente. Mancava l’argento, lo mettiamo in collezione. E chiudiamo questa storia con il lieto fine».

Se ne va sorridendo. E lascia un dubbio. Forse Elia non è né quello di Londra, né quello di Rio, né quello di Tokyo, né quello di Parigi. E’ semplicemente quello di sempre. Una stella. E nella notte di San Lorenzo, a Parigi le stelle non cadono. Salgono sul podio.

EDITORIALE / I danesi a Parigi portano Morkov su strada. E noi?

15.04.2024
4 min
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Sarà un puzzle difficile da comporre. Con quale criterio saranno fatte le scelte dei corridori per le Olimpiadi, alla luce delle cervellotiche regole imposte dal CIO e recepite senza neanche un fiato dall’UCI? Mentre la nazionale della pista è di rientro dal Canada, una news rilasciata non troppi giorni fa dalla Danimarca a proposito di Morkov offre lo spunto per una riflessione.

La squadra danese, che ha chiuso il ranking 2023 al secondo posto alle spalle del Belgio, correrà su strada con quattro uomini. E siccome in pista anche loro puntano forte sul quartetto, si sono inventati uno stratagemma per consentire a Michael Morkov di difendere la sua medaglia d’oro della madison. La Danimarca ha infatti già dato le convocazioni per tre dei quattro stradisti, puntando su Mads Pedersen, Mathias Skjelmose e appunto Morkov. Il quarto nome verrà fuori ai primi di giugno dalle ultime corse utili.

«La selezione di Michael – ha spiegato a Cyclingnews il tecnico danese Anders Lund – si basa sulla considerazione delle ambizioni complessive della Danimarca per la medaglia olimpica in tutte le discipline del ciclismo. Ma detto questo, Michael ha anche delle ottime capacità su strada, di cui trarremo beneficio a Parigi. Negli ultimi tre campionati del mondo su strada, Michael ha svolto un lavoro di supporto esemplare per la squadra nazionale. La sua grande esperienza e la capacità unica di guidare il suo capitano attraverso una lunga corsa su strada saranno senza dubbio preziose per le possibilità di Mads Pedersen di vincere la medaglia che sogniamo».

Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni
Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni

Morkov e la madison

La Danimarca, come pure l’Italia, su pista affida delle grandi speranze al suo quartetto e questo fa sì che nelle scelte dei tecnici della pista ci sia stato un certo sbilanciamento verso il gruppo degli inseguitori. E Morkov, che pure ha fatto parte di quartetti vincenti in Coppa del mondo e nella specialità ha conquistato l’argento a Pechino 2008, probabilmente non dà le garanzie necessarie per puntare all’oro, neppure come riserva. Di conseguenza, non potendo essere selezionato per una sola disciplina (la madison di cui è campione olimpico assieme a Lasse Norman Hansen), si è ritenuto di portarlo anche su strada. Il suo avvicinamento alle Olimpiadi passerà per il Tour de France, dove scorterà Cavendish nel tentativo di battere il record di tappe detenuto da Merckx.

«Michael – ha detto ancora Lund – vuole difendere la sua medaglia d’oro nella madison. Tuttavia, possiamo selezionare solo quattro corridori per tutti gli eventi di ciclismo su pista, ovvero inseguimento a squadre, madison e omnium. Fortunatamente, i Paesi possono anche “prendere in prestito” corridori da altre discipline, quindi se Morkov viene selezionato come ciclista su strada, potrà competere in entrambe le discipline. In questo modo possiamo convocare un corridore in più in pista, in modo che i nostri corridori rimangano abbastanza freschi per completare tutti gli eventi».

Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto
Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto

La strada azzurra

La scelta danese apre uno spiraglio anche per le altre Nazioni? In che modo saranno distribuite le quote azzurre? A quanto si è saputo, uno stradista azzurro potrebbe essere chiamato a correre anche la crono, per affiancare Ganna che farà il quartetto e la prova contro il tempo. Sappiamo che Milan correrà soltanto su pista e non su strada, ma non potrebbe essere lui il secondo cronoman? Si è discusso e si continuerà a farlo dell’impiego di Elisa Balsamo anche su strada. I tecnici hanno davanti a sé ancora due mesi e mezzo per comporre il puzzle perfetto, sapendo che l‘Italia maschile correrà su strada con soli tre uomini (quattro invece le donne), a causa del ranking per nazioni che a fine 2023 ci ha visto in ottava posizione.

La pista è il settore che probabilmente dà le maggiori garanzia di medaglia con gli uomini e con le donne, al pari della cronometro individuale maschile. Stando così le cose, è immaginabile che fra i tre della strada approdi un pistard, che però non sia un inseguitore, consentendo a Villa di chiamare un uomo in più? E se così sarà, visti i risultati azzurri nelle grandi classiche, con quale potenziale arriveremo alla sfida di Parigi su strada? Come detto, sarà un puzzle difficile da comporre. Almeno su questo non ci sono dubbi.