Meccia, l’ultima vittoria da junior è… la prima tra gli U23

24.10.2024
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Ha chiuso la stagione col colpaccio che nessuno si aspettava, riscrivendo una fetta di storia della gara. La vittoria ad Acquanegra sul Chiese per Leonardo Meccia in pratica corrisponde all’ultima da junior e…. alla prima da U23 (in apertura foto Rodella).

La classica mantovana, che tradizionalmente segna la fine del calendario degli elite/U23, è stata spesso l’occasione per vedere al via formazioni juniores con atleti del secondo anno grazie alle deroghe federali. Un antipasto di un centinaio di chilometri in circuito che può essere digerito bene dai più giovani in vista del menù dell’annata successiva. E a giudicare dal risultato ottenuto, il diciottenne della Vangi Il Pirata Sama Ricambi ha mandato di traverso il boccone ai suoi rivali con una grande prova. Non ci sarebbe da stupirsi, visto il livello degli juniores di oggi, però un po’ fa pensare. Prima di capire come ci sia riuscito, abbiamo conosciuto meglio Meccia scoprendo alcuni lati interessanti per un ragazzo della sua età ed altri curiosi che lo accomunano addirittura ad un campione del suo tempo.

Ad Acquanegra il diciottenne juniores Meccia ha preceduto gli esperti elite De Totto e Belleri (foto Rodella)
Ad Acquanegra il diciottenne juniores Meccia ha preceduto gli esperti elite De Totto e Belleri (foto Rodella)

Esempio di perseveranza

Leonardo si è trovato a proprio agio sul percorso pianeggiante di Acquanegra, mantenendo fede al suo motto inventato sul profilo whatsapp che recita “more weight, more watt”. Tradotto “più peso più potenza”, che per un passista-veloce è una sorta di dottrina. Il suo cammino pre-juniores non è stato quello del predestinato. E forse è stato un bene. Ha iniziato a correre da G1 nella Sidermec Riviera e col passare degli anni ha avuto una crescita costante malgrado un bottino scarso di risultati. Nel ciclismo giovanile attuale che cerca sempre il campione fin dalle prime categorie a suon di vittorie e a suon di pressioni, fa enormemente piacere trovare un caso raro come il suo.

«Ho fatto gli esordienti con la Fausto Coppi di Cesenatico, il mio paese – ci dice Meccia, che frequenta la quinta superiore in un istituto di ragioneria – e poi gli allievi con la Fiumicinese. Ero tra i più scarsi. Ho fatto i primi veri risultati con continuità al secondo anno da allievo. Fino a due anni fa il ciclismo per me è stato un passatempo, un divertimento. Avevo iniziato a correre perché lo faceva un mio amico. Invece da junior il ciclismo ha iniziato a diventare di più una ragione di vita. L’anno scorso sono andato abbastanza bene e questo mi ha spinto a lavorare meglio in inverno. Nel 2024 ho raccolto i frutti, anche se fino a due mesi fa non ero soddisfatto pienamente come volevo io. Adesso invece posso dire che la stagione non è andata così male (sorride, ndr)».

Matteo Berti è stato il diesse di Meccia tra gli juniores. Prima alla Work Service, quest’anno alla Vangi (foto M.Chaussé)
Matteo Berti è stato il diesse di Meccia tra gli juniores. Prima alla Work Service, quest’anno alla Vangi (foto M.Chaussé)

Zero pressione

Seppur venga dalla densa terra di pedalatori e di Pantani, Meccia non conosce molto del passato del suo sport, proprio come ha ammesso Pogacar dopo il quarto Lombardia consecutivo che lo ha proiettato nella leggenda. E anche questo aspetto per Leonardo non è necessariamente negativo. Quest’anno ha conquistato 21 top 10 distribuite in maniera inequivocabile: cinque successi, cinque podi e cinque piazzamenti nei primi 5.

«Onestamente devo dirvi – ci confida – che so abbastanza poco del ciclismo. Ho avuto uno zio che correva in bici e ricordo ciò che mi diceva lui, ma senza mai approfondire. Nemmeno io ho mai avuto idoli, anche se mi piacciono tanti corridori di adesso. I miei riferimenti in questi anni sono sempre stati i miei avversari che andavano più forte di me. Mi basavo su di loro per capire il mio valore in gara. Per fortuna non ho mai avuto pressioni dai miei genitori e dai miei tecnici per vincere o arrivare tra i primi. Sento di non essere arrivato spremuto mentalmente agli juniores».

Esperienza vincente

Nel 2025 Meccia correrà con la Technipes #inEmiliaRomagna ed il salto nella nuova categoria è dietro l’angolo, ma un assaggio ce lo ha avuto due giorni fa.

«Il nostro diesse Matteo Berti – prosegue Leonardo – ha sempre portato gli juniores del secondo anno a questa corsa. Non ha preteso nulla da noi. Voleva solo che vivessimo quella giornata come un’esperienza. Ci ha dato le giuste indicazioni per correre al meglio. La qualità è salita tantissimo tra gli juniores ed in effetti su quel tipo di percorso (un circuito di 4 chilometri da ripetere 25 volte, ndr) non mi aspettavo grandi differenze tra noi e gli U23. Tuttavia ero abbastanza emozionato. Avevo timore e soggezione di correre con ragazzi abbastanza più grandi di me, addirittura alcuni con la barba che li facevano sembrare ancora più vecchi (sorride, ndr)».

Meccia ha disputato diverse corse internazionali. Qui con la maglia dell’Emilia Romagna all’ultimo Giro di Lunigiana
Meccia ha disputato diverse corse internazionali. Qui con la maglia dell’Emilia Romagna all’ultimo Giro di Lunigiana

La stoccata decisiva

Meccia è salito sul primo gradino del podio davanti a due esperti come De Totto del Sissio Team e Belleri della Hopplà, rispettivamente di 24 e 25 anni. In corsa ha dovuto anche pagare dazio di una regola non scritta molto “dilettantistica”, ma non ci ha fatto troppo caso.

«Durante le prime tornate – conclude il suo racconto – mi sono preso un po’ di “parole” da qualche corridore. Ero davanti e mi dicevano di tornare indietro nella pancia del gruppo. Non ci sono rimasto bene, seppur capissi la situazione, ma non volevo discutere e così questo mi ha incentivato a restare nelle prime posizioni. Anzi, sono entrato nella fuga decisiva di 19 assieme al mio compagno Bolognesi che è nata prima di metà gara».

Poggio Torriana, Meccia è preceduto da Cettolin nella volata per il secondo posto. Vittoria a Consolidani (foto Ballandi)
Poggio Torriana, Meccia è preceduto da Cettolin nella volata per il secondo posto. Vittoria a Consolidani (foto Ballandi)

Quattordici giri in avanscoperta ed il rispetto degli avversari che cresce chilometro dopo chilometro quando si accorgono che il giovane Meccia non salta i cambi e collabora. La superiorità numerica di alcune formazioni in fuga non funziona, l’accordo salta subito nonostante il gruppo avesse già alzato bandiera bianca. E così c’è spazio per tentativi solitari. L’ultimo è il suo, quello decisivo, quello per cui si è meritato i complimenti di tutti.

«A sette giri dalla fine – racconta – siamo rimasti davanti in otto. A due giri se ne è andato De Totto guadagnando 15”. Dietro c’era un po’ di attendismo, finché a tre chilometri dal traguardo ci ho provato. Sono scattato tornando sulla sua ruota in vista del triangolo rosso. Ai 500 metri l’ho superato e sono riuscito a vincere tutto solo. Nessuno se lo aspettava, nemmeno io. Ed è stato bellissimo».

Bravo Leonardo, hai scelto il miglior modo per iniziare il passaggio di categoria che avverrà ufficialmente fra meno di due mesi. Per le riflessioni su come stia cambiando il ciclismo delle categorie giovanili servirà invece aprire una pagina a parte.

Juniores o under 23? Per Ballan è il momento di scegliere

12.10.2024
5 min
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Inutile nasconderselo: i mondiali di Zurigo hanno dimostrato una volta di più come ormai il ciclismo guardi molto più alla categoria juniores che a quella Under 23. L’Uci vuole correre ai ripari, ha detto che dal prossimo anno chi è nelle WorldTour non potrà più fare le gare titolate di categoria, si pensa anche a una riduzione dell’età da 23 a 21 anni, ma questo è come spalare acqua con un colapasta. Le gare juniores hanno avuto molto più risalto di quelle della categoria superiore, questo è stato un dato di fatto.

Tutto ciò si ripercuote a livello generale e infatti nell’ambiente sono giorni di grandi discussioni. Chi vuole lanciarsi nel mondo degli under è visto con occhio critico, ma dall’altra parte chi punta sui più giovani si trova a fare i conti (è davvero il caso di dirlo) con grandi problemi economici. Lo sa bene Alessandro Ballan, ex iridato oggi commentatore Tv, ma anche responsabile del team juniores UC Giorgione.

Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23
Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23

«La gestione di un team – spiega – sta raggiungendo costi esagerati. Questo avviene proprio perché team, procuratori, tecnici, tutti guardano a questa categoria quindi devi avere materiale all’altezza. Una volta si partiva da zero, si doveva imparare, si faceva attività per crescere. Qui oggi vogliono tutti corridori già svezzati, campioni in erba».

Quando parli di costi esagerati a che cosa ti riferisci in particolare?

Non puoi accontentarti, quindi devi avere bici all’avanguardia, accessori all’altezza, garantire a chi corre per te un livello organizzativo quasi da squadra pro’. E questo ha un costo. Io dico sempre grazie a chi investe nel ciclismo, a quelle aziende che ci sostengono ma non possono fornire il materiale gratis… Se mi fermo a pensare mi accorgo che le difficoltà sono grandi anche perché chi corre pretende e mi riferisco ai ragazzi ma anche alle famiglie. Io ho fatto i calcoli: l’attività di un ragazzo costa dai 12 ai 15 mila euro e noi ne abbiamo poco meno di una decina, i conti sono presto fatti.

I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
In che consistono i costi pro capite?

Una bici ultimo modello costa almeno 5.500 euro, poi 1.000 di abbigliamento, 600 di accessori, e mettiamoci anche trasferte, gasolio, usura del materiale… I genitori aiutano, ma certamente non per cifre del genere, considerando anche che hanno paura. Noi siamo sul filo del rasoio.

Gli juniores sono ormai i veri dilettanti, la porta di accesso al ciclismo che conta…

Già, ma non si possono prendere come riferimento solo Evenepoel, Del Toro o pochissimi altri. Io dico sempre che nel ciclismo d’oggi non sarei mai passato pro’, persi i primi due anni da U23 e non mi avrebbe seguito più nessuno. Ma come me ce ne sono tanti, non tutti maturano così presto, anzi sono eccezioni. Tanti ragazzi sviluppano dopo i 17-18 anni, ma così li perdiamo tutti. Non tutti sono fenomeni, ma i procuratori vanno dietro solo a quelli, guardano troppo a questa categoria e non più a quella successiva che tecnicamente avrebbe ancora un senso.

Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
E’ anche un problema di calendario?

Se ne parla tanto, ma il problema non è ridurre il numero di gare, quanto aumentare il numero di società. 25 anni fa, se eri un ragazzino che voleva fare ciclismo trovavi posto in una società, dappertutto. Oggi è impensabile, ci sono tanti allievi che non trovano spazio e mollano e magari tra loro ci sono potenziali campioni inespressi. Ormai per andare avanti devi portare sempre risultati, ma così i ragazzini li spremi molto prima del dovuto. Il bacino è ampio, per questo dico che bisogna apprezzare e spingere a creare più società per juniores, partire da qui e non dalle categorie superiori. Ivan Basso ad esempio lo ha capito.

E’ un serpente che si morde la coda: l’attività U23 servirebbe, ma servono più società nella categoria inferiore…

Dobbiamo guardare la realtà e raggiungere un compromesso. Se vuoi fare un team devi avere un progetto solido, a medio-lungo termine e per primissima cosa andare a caccia di partner. Trovarti un’azienda ciclistica e di abbigliamento – per fortuna in Italia ce ne sono tantissime e sono le migliori – che ti supportino economicamente. Bisogna sfruttare anche qualche agevolazione che finalmente a livello governativo arriva, ad esempio la proroga del credito d’imposta per investimenti pubblicitari per le società sportive, portata da agosto al 15 novembre. Così le aziende possono recuperare il 50 per cento delle spese.

Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Il tuo discorso però vale anche per la categoria superiore…

Certo, c’è bisogno anche lì, ma devi innescare un effetto a catena. Partire dai più piccoli e spingere perché l’onda arrivi anche a livello superiore. La storia della Zalf che chiude dopo una vita è l’emblema del momento che stiamo vivendo. Io sono convinto che un’azienda che investe nel ciclismo ne verrà ripagata: la Mediolanum è sponsor del Giro d’Italia da vent’anni, avevano preventivato 7 anni di partenariato e sono ancora lì. Il ciclismo è appetibile, ma dobbiamo venderlo meglio.

Ti riferisci anche alle gare?

Sì. Una volta prove come il Trofeo Laigueglia o la Coppa Agostoni avevano un’attenzione enorme, ora io che sono addetto ai lavori spesso vengo a sapere di gare e vincitori il giorno dopo, a cose fatte. E questo è folle nell’era dei social, del “tutto e subito”. Abbiamo avuto sulle strade italiane la rivincita del mondiale fra Pogacar ed Evenepoel, perché se n’è parlato così poco?

Salvoldi: il lavoro continua tra pensieri e voglia di cambiare

11.10.2024
7 min
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Il tempo di smaltire e mettersi alle spalle l’euforia del successo iridato di Zurigo e Dino Salvoldi è già tornato al lavoro. A livello di calendario il triennio alla guida della nazionale juniores si è concluso con la prova iridata e la vittoria della maglia arcobaleno di Lorenzo Finn. Tuttavia il cittì non ama rimanere con le mani in mano. Un successo del genere porta felicità, ma non fa di certo terminare gli impegni e il lavoro iniziato ormai tre anni fa

«Il ricordo di Zurigo – dice Salvoldi mentre in sottofondo si sente lo scorrere dell’auto sull’asfalto – è vivo e bello nella mia testa. Ma nel mio lavoro si deve sempre volgere lo sguardo avanti. Ieri e oggi (mercoledì e giovedì, ndr) sono stato a Montichiari a visionare gli allievi 2008. Ovvero coloro che nel 2025 passeranno juniores».

Il lavoro continua

Tre anni passano in fretta, in particolare se al termine di questi c’è un successo grande come la vittoria di un mondiale che mancava da 17 anni. Salvoldi ha capito l’importanza di tale traguardo, ma non si è fatto distrarre. Il lavoro svolto è tanto, ma non manca quello futuro (in apertura una foto del Giro della Lunigiana foto Duz Image / Michele Bertoloni).

«Partiamo con ordine – analizza – perché quando sono arrivato in una fase di cambiamento del ciclismo giovanile. Questa era già in atto tra gli juniores, seppur da poco tempo. Nel frattempo c’è stata una grande evoluzione e un cambiamento radicale della categoria a livello internazionale. Tuttora mi sento di dire che l’Italia fa un po’ fatica nell’attività di vertice. La vittoria di Finn riempie di felicità e orgoglio ma non mancano i passi da fare per adattare tutta la categoria a quello che è il livello internazionale».

Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
A riguardo ci sono delle motivazioni?

Certo, più di una. In primo luogo come Italia siamo molto legati alla nostra storia, alla tradizione e alle strutture presenti. Un po’ di anni fa eravamo il riferimento internazionale, ora però le cose sono cambiate. Il ciclismo è una questione globale, è inutile chiudersi in abitudini e tradizioni. Il rischio è di avere un limite di crescita importante. 

C’è un cambiamento sempre più evidente rispetto al passato. 

In primo luogo credo la prima risposta data dalla mia gestione sia stata quella di riunire l’attività di strada e pista. Questo ha fatto sì che ci fossero maggiori possibilità di crescita e programmazione. Abbiamo preso ragazzi con caratteristiche e potenzialità per fare entrambe le cose. In passato questo non sarebbe stato possibile, con il senno di poi direi che è stata una mossa corretta. 

La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
Le squadre come l’hanno presa all’inizio?

C’è stata comprensione e collaborazione. Quasi oltre alla possibilità di gestire certi numeri. Come tecnico credo che tutti dovrebbero allenarsi su strada e pista, è una cosa che aiuta dal punto di vista formativo. E chiaro che non posso occuparmi personalmente di 800 ragazzi, ma il modello deve essere da esempio. Noi come Federazione abbiamo modo di poterci occupare di 40 atleti e solo sei di questi saranno poi selezionati per le competizioni principali. Quello che deve passare è che i restanti 34 non hanno perso tempo, ma hanno comunque svolto un’attività formativa. 

Serve una programmazione, da parte di tutti. 

Credo che in questo periodo il ciclismo non sia una questione europea ma mondiale. Questo comporta che non si può pensare di sopravvivere grazie alla casualità del super talento. Ora il fuoriclasse può nascere in ogni angolo del mondo e ogni nazionale è in grado di scovarlo. Anni fa il ciclismo era una questione tra 20 Paesi, ora siamo in 50, se non di più. Fino a 15 anni fa gli juniores erano 3.000, ora 800. E’ evidente che la selezione naturale non è più possibile. Si deve essere bravi a programmare per alzare il livello medio ed essere competitivi. 

Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
La speranza è che la vittoria di Finn possa fare da traino?

E’ chiaro che avere un campione in casa aiuti a crescere. Guardate il tennis ora, grazie a Sinner aprono scuole e la gente si appassiona. Se voglio guardare il bicchiere mezzo pieno riguardo la vittoria di Finn direi che può essere un esempio. E’ un ragazzo che ha cambiato realtà e calendario andando all’estero, ma ha vissuto la sua quotidianità in Italia andando a scuola e facendo quello che fanno tutti i ragazzi. 

Può essere un insegnamento…

Se fai quel che hai sempre fatto rimani dove sei. Invece bisogna avere il coraggio di cambiare, anche contro le proprie tradizioni. Fare calendari differenti o avere regole diverse per permettere una crescita globale. 

Si parla di aggiungere un anno alla categoria, passando da due a tre.

Negli altri sport, soprattutto quelli di squadra, tutti gareggiano contro i propri pari livello. Nel calcio la Primavera del Milan non gioca contro quella del Montichiari, ad esempio. Nel ciclismo un ragazzo meno preparato compete contro quelli più forti e a fine stagione è destinato a smettere. Penso sia giusto parlarne a tutela dei numeri. Se parliamo di aggiungere un anno alla categoria mi trovate d’accordo. E può anche essere una regola nazionale, solo italiana. D’altronde i francesi hanno sempre corso con il rapporto libero, anche quando a livello internazionale c’era il blocco al 52×14. Perché non possiamo aumentare la categoria di un anno a favore di chi ha ancora bisogno di crescere e maturare?

Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Modificare il calendario passando da gare di un giorno a gare a tappe è un argomento tanto discusso tra gli addetti ai lavori. 

Se si dovesse passare a più gare a tappe va da sé che una squadra non potrebbe farle tutte, ma sarebbe costretta a scegliere e quindi programmare. In più una gara a tappe vede diversi sforzi al suo interno: salite, volate, cronometro… I ragazzi dovrebbero prepararsi per essere in grado di correre ovunque, altrimenti rischiano di essere tagliati fuori. L’idea è di fare qualcosa che non si fa di solito, altrimenti si coltiva sempre il proprio orticello. Però, se si vuole diventare un corridore professionista è importante sapersi destreggiare su ogni terreno. In più, per concludere, se si fanno 10 corse a tappe durante l’anno si arriva comunque a 40 giorni di gara, il che sarebbe diverso dal correre 40 domeniche. 

A sentir parlare Dino Salvoldi si capisce come la sua voglia sia quella di continuare un cammino che non reputa finito. Per lui, ma come per tutti gli altri commissari tecnici nazionali, un grande spartiacque saranno le prossime elezioni federali. Chiunque dovesse vincere dovrebbe tenere conto di quanto fatto e dei percorsi iniziati. Tutte queste considerazioni fatte dal cittì dovrebbero diventare tema di confronto sui tavoli federali, per evitare che il ciclismo italiano sia costretto a rincorrere. Al contrario si potrebbe provare ad anticipare i tempi. L’arcobaleno di Finn ha brillato nel cielo di Zurigo e del Ghisallo. Il ragazzo però l’anno prossimo passerà under 23 e continuerà la sua crescita con il devo team della Red Bull-Bora hansgrohe. Cosa rimarrà della sua vittoria e della maglia iridata? Speriamo possa essere un insegnamento per tutto il movimento e non solo un ricordo destinato a sbiadire nel tempo.

Salvoldi corona il suo triennio con la maglia iridata

27.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – Siamo sempre stati abituati a vedere Dino Salvoldi come un uomo dal carattere duro, come il suo sguardo. Alto, con un piglio o fermo e deciso, tanto da incutere timore e richiamare rispetto. Invece quando lo vediamo arrivare in mixed zone per le interviste post mondiale l’emozione e la commozione hanno preso il sopravvento. Lorenzo Finn ha appena vinto la prova iridata su strada tra gli juniores con una bellissima azione dal lontano. Ha viaggiato per tutti gli ultimi 20 chilometri da solo, si è girato spesso a parlare con l’ammiraglia nella quale era seduto il cittì. A due chilometri dalla fine quella vettura ha affiancato il giovane scalatore azzurro e solo Dio sa cosa si sono detti

«Non ce n’era per nessuno oggi – dice con fare orgoglioso Salvoldi – Lorenzo (Finn, ndr) è andato fortissimo. Ha attaccato fin da subito, diciamo molto prima di quanto avevamo ipotizzato in partenza. Evidentemente era la sua giornata, soprattutto in salita. Non ha avuto rivali».

Dino Salvoldi insieme ai cinque azzurri che hanno corso a Zurigo
Dino Salvoldi insieme a quattro dei cinque azzurri che hanno corso a Zurigo

Un lungo cammino

I passaggi che hanno portato alla vittoria di Lorenzo Finn sono iniziati in primavera, quando Salvoldi ha iniziato a costruire un gruppo sul quale lavorare in vista degli eventi della stagione (i due sono insieme nella foto di apertura di Federciclismo / Maurizio Borserini). 

«Come nazionale – prosegue – abbiamo condiviso un bel percorso di avvicinamento al mondiale. Proprio con voi avevo chiesto di aspettare oggi prima di fare un bilancio di questi tre anni di gestione del gruppo juniores. Oggi abbiamo raggiunto e conquistato un titolo che nella categoria mancava da 17 anni. Il risultato di Finn secondo me deve essere interpretato come un bello spot per il nostro ciclismo giovanile. Prima di quello di oggi, nel corso dei tre anni, sono arrivati anche tanti risultati in altri campi, come la pista. Tutto questo è la dimostrazione che applicandosi, con metodo, non siamo poi così distanti dagli altri. I ragazzi che hanno voglia di emergere e hanno fame agonistica ce li abbiamo anche noi. Certo dobbiamo fare questo step tutti insieme».

Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Salvoldi arrivava dalla rassegna iridata juniores su pista, molto fruttuosa anche quella
Finn è uno di loro, quando ti sei reso conto che era davvero la giornata giusta?

Un po’ prima, quando ha attaccato nel giro precedente all’ultimo passaggio sotto lo striscione d’arrivo. Era rimasto in un gruppo di 15 corridori con tante squadre formate da coppie. Finn è un ragazzo meticoloso, quindi probabilmente aveva già ragionato decidendo di anticipare. Ha pensato che poi gli sarebbero andati sotto i più forti, tenendo quella distanza di controllo. 

Poi sono rientrati e davanti erano in sei. 

In quel momento l’attenzione si è spostata su Philipsen, che era il campione del mondo in carica. Credo però che fosse nervoso, si è mosso spesso e in alcuni momenti male. Finn ne aveva di più, la sua azione da lontano lo ha dimostrato. Poi era proprio tranquillo nel fare le cose, non ha mosso passi azzardati, fondamentalmente ha attaccato due volte e gli sono bastate per vincere.

Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Una parte importante del lavoro di Salvoldi sono i ritiri, dove i ragazzi costruiscono il gruppo e il feeling
Quando lo hai affiancato a due chilometri dall’arrivo che gli hai detto?

Chiedete a lui, non me lo ricordo, ero in trance agonistica. 

Invece quando ai 400 metri siete entrati nella corsia delle ammiraglie, perdendolo di vista, cosa hai pensato?

C’è sempre un po’ di apprensione per il disguido che può succedere all’improvviso. Però c’è stato un flashback su tutto, anche il mio percorso professionale. Chiaramente questa emozione mi mancava, a me e ai miei uomini, tutti. Ho ripensato a tutto quello che c’è stato prima, proprio in modo super rapido, e dici questa ci mancava, doveva arrivare e ce l’abbiamo fatta.

Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
Il campionato del mondo su strada è il successo che mancava nella carriera da cittì di Salvoldi
In questi tre anni hai trovato tanti ragazzi, costruendo un cammino con loro. 

Vero che oggi ha vinto Finn, ma è il coronamento di un percorso, che è iniziato cercando un dialogo con chi c’era da prima di noi. Abbiamo cercato di imparare, di informarci e di proporre anche un metodo che chiaramente ha bisogno di tempo per essere attuato. Perché i miracoli nello sport di alto livello non esistono. O almeno, io ci credo poco. Quindi oggi si chiude un triennio con uno dei più bei successi che si possono ottenere, e ripeto: credo che sia un bene per tutto il nostro movimento e di questo sono particolarmente contento. 

Enrico Simoni, uno scalatore diverso da papà Gilberto

18.09.2024
6 min
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Negli ultimi tre weekend di gare ha sempre pedalato nei piani altissimi degli ordini d’arrivo e quando vede la strada salire si scatena come faceva il padre. Enrico Simoni non è solo il figlio di Gilberto, ma uno scalatore fisicamente diverso da lui, che sta finendo la stagione con una serie incredibile di piazzamenti.

La vittoria in solitaria a Piancavallo del 7 settembre si piazza nel bel mezzo dei secondi posti ottenuti prima alla Sandrigo-Monte Corno (replicando lo stesso risultato di papà “Gibo” 35 anni fa) e poi alla Orsago-Col Alt. L’ottimo stato di forma dello juniores dell’Us Montecorona è arrivato un po’ in ritardo sulla tabella di marcia per snervanti problemi fisici, però baby Simoni vuole recuperare il tempo perso. E ad occhio si direbbe che ci stia riuscendo, anche grazie ai consigli di Simoni senior.

Enrico Simoni, classe 2006, è uno scalatore alto 1,78 metri per 57 chilogrammi. Si trova a suo agio su salite superiori ai trenta minuti
Enrico Simoni, classe 2006, è uno scalatore alto 1,78 metri per 57 chilogrammi. Si trova a suo agio su salite superiori ai trenta minuti

Enrico visto da Gibo

La salita è un affare di famiglia in casa Simoni. Gilberto ci ha costruito una carriera e le due vittorie al Giro d’Italia, Enrico sta cercando di fare il suo percorso al meglio, superando anche la “montagna” del cognome importante.

«Non possiamo fare paragoni tra lui e me – puntualizza Gibo – perché apparteniamo ad un ciclismo molto diverso. Così come è differente la nostra fisionomia (Enrico è alto 1,78 metri per 57 chilogrammi, Gilberto era 1,70 per 59 chili, ndr). La sua vera forza è che non ha paura di fare fatica e in questo mi somiglia molto. Non so quali siano i suoi margini di miglioramento perché a volte faccio fatica a vederli in quegli juniores che vanno forte veramente. Potrebbe dipendere da quanta voglia abbia di continuare a fare questo sport come si deve. L’importante è che capisca che il ciclismo non è la vita, ma una esperienza, come ripeto sempre.

«Adesso vedo Enrico sereno – prosegue – perché prima avvertiva la tensione dell’essere mio figlio. Sentiva il peso di dover fare risultato a tutti i costi. I parenti e gli amici, pur dicendolo con simpatia, lo caricavano di responsabilità e inconsciamente lui si creava delle aspettative. Sono riuscito a calmarlo e dirgli di non pensarci. Lui sa che io lo sostengo in ogni cosa e so che si sta impegnando tanto. Le difficoltà sono altre».

Il primo podio di Enrico arriva il 4 maggio, ma i problemi posturali continuano ad affliggerlo
Il primo podio di Enrico arriva il 4 maggio, ma i problemi posturali continuano ad affliggerlo

Juniores e problemi annosi

La schiettezza è sempre stata una dote preziosa di Gilberto Simoni e gli basta un assist sul futuro di suo figlio per analizzare i problemi della attuale categoria.

«E’ vero che faccio parte della MBH Bank Colpack Ballan – dice – e che qualcuno potrebbe pensare che potrei farlo passare lì, ma è presto. Deve ancora maturare e pensare a finire bene la stagione. Non mi pongo limiti, magari potrebbe arrivare anche un team straniero. Diciamo che vorrei che non ci fossero troppe persone di mezzo nel suo trasferimento, come quello degli altri in generale.

«Negli juniores – conclude Gilberto Simoni – è tutto una pazzia, come in tutte le altre discipline di quella età. Lo sport è socialmente degradato. Ormai non è fatto più per far crescere i ragazzi, quanto invece per finalizzare l’interesse di certi tecnici o dirigenti. Lo vedo nei kart, nello sci, nel calcio. E il Coni è il primo organo che lo concede. Avete notato che si è abbassata l’età media dei ragazzi che smettono di fare sport? E’ perché si arrendono prima alle pressioni spropositate della ricerca di risultati. Spero che cambi in fretta questa tendenza».

Simoni (tra Cobalchini e Manfè) ha vinto in salita a Piancavallo sfruttando allunghi e cambi di ritmo, le sue doti meno forti
Simoni (tra Cobalchini e Manfè) ha vinto in salita a Piancavallo sfruttando allunghi e cambi di ritmo, le sue doti meno forti
Da un Simoni ad un altro. Enrico che tipo di corridore sei?

Sono scalatore che sfrutta la sua leggerezza, anche se non la cerco apposta. Mi trovo bene su salite lunghe e non è un caso che i risultati migliori siano arrivati su quelle che duravano 30/40 minuti o addirittura un’ora. Sto migliorando sugli scatti e sui cambi di ritmo. La vittoria di Piancavallo infatti me la sono costruita in questa maniera, giocando al meglio su queste caratteristiche che mi appartengono meno. Ho vinto anche gestendo un po’ la troppa foga di vincere. Anche perché finora non era stata una stagione semplice.

Per quale motivo?

Ho trascorso un inverno travagliato con dolori alla schiena e problemi posturali. Fino a maggio è stato un calvario, era frustrante vedere tutti che andavano in bici e facevano risultato. Mi piace spingermi al limite, ma non ero più disposto a questo tipo di sofferenza. Poi ho risolto questa noia proprio grazie al vostro articolo su Kevin Colleoni.

Cioè?

Sono risalito allo stesso studio di osteopati, che mi ha rimesso letteralmente in sesto curandomi una rotazione del bacino ed un gonfiore addominale. Mi manca solo di sistemare il problema della masticazione che farò nel prossimo inverno.

E così ti sei sbloccato definitivamente.

Esattamente. Da luglio in avanti ho avuto la svolta. Mi sono ritrovato con più energia da spendere e non ho più dovuto pensare ad altro. Sono arrivati tanti bei risultati, ma soprattutto una continuità di prestazioni e rendimento. Ora voglio solo concludere il 2024 in questo modo. Sabato ad esempio c’è una cronoscalata organizzata proprio dalla nostra società e vorrei fare molto bene visto che corriamo a Palù sulle strade di casa. Punto però anche ad una gara ondulata che ci sarà a Firenze la settimana prossima ed è aperta a tanti tipi di corridori. All’anno prossimo prossimo ci penserò più avanti.

Risolte le noie fisiche alla schiena, Simoni ha ritrovato il giusto colpo di pedale da luglio in avanti
Risolte le noie fisiche alla schiena, Simoni ha ritrovato il giusto colpo di pedale da luglio in avanti
A parte tuo padre, c’è un atleta a cui fai riferimento?

E’ vero, mi sono sempre ispirato a lui, ma ho cercato di imparare a correre guardando i suoi vecchi video e discutendone con lui. Nel presente invece mi piacciono molto Enric Mas e Joao Almeida. Lo spagnolo per una questione prevalentemente fisica dato che sono molto simile a lui. Il portoghese invece per il modo di correre visto che anche lui affronta le salite con grande regolarità. Per il resto devo ancora capire chi sono e dove posso arrivare.

Ancora su juniores e carichi di allenamenti. Parola a Notari

18.09.2024
6 min
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Torna prepotente il tema degli allenamenti e degli juniores, categoria sempre più cruciale nel ciclismo, almeno in questa fase storica. 

L’età degli juniores è un momento spesso decisivo. In questo contesto sono ancora fresche le parole di Stefano Garzelli e quelle di Eros Capecchi dopo il Lunigiana.

E poiché l’argomento è caldo ne abbiamo parlato con un preparatore, Giacomo Notari, che tra l’altro è a stretto contatto con i giovani, in quanto coach della UAE Team Emirates Gen Z. E proprio lui aveva qualche sassolino da togliersi dopo il secondo posto del suo Pablo Torres al Tour de l’Avenir. Ma andiamo con ordine.

Il preparatore della UAE Emirates Gen Z, Giacomo Notari
Il preparatore della UAE Emirates Gen Z, Giacomo Notari
Giacomo, ripartiamo dal discorso delle ore di allenamento e le 25 ore che oggi fanno gli juniores…

Le ore di allenamento dicono tutto e niente: bisogna vedere cosa si fa in quel tempo. Fare 25 ore e portare a spasso la bici non ha senso. Una cosa che per me è, e resta, fondamentale è il modello prestativo per cui ci si deve allenare. Una gara juniores dura al massimo 2 ore e mezza, 3 in qualche caso. A cosa serve fare 5 ore? Se glielo si fa fare due volte l’anno, perché il ragazzo è curioso, vuole provare, va bene. Non è quello che incide. Ma se diventa la prassi no. Si va solo ad attivare un sistema che porta a bruciare le tappe sotto ogni punto di vista: tecnico e fisico.

Qual è dunque secondo te lo standard a cui dovrebbe attenersi uno junior? Ammesso che questo standard esista…

Anche in questo caso mi viene da dire: dipende. Quando un ragazzo fa 3 ore, 3 ore e 30′ al massimo è più che sufficiente. Anche perché fino a giugno va a scuola e pertanto ha già un impegno importante. Io direi che 12-14 ore a settimana possono andare bene.

E il giorno di scarico deve esserci?

E’ fondamentale ed è quello che si fa fatica a far capire ai ragazzi, che troppo spesso vanno troppo forte quando dovrebbero fare scarico. Questo poi non gli permette di recuperare veramente. Un recupero che non è solo fine a se stesso, ma che va pensato in vista delle fasi intensi, cioè i lavori specifici che dovrà fare. Le sessioni intense, quelle che magari simulano la prestazione in gara, servono e vanno fatte. E’ lì che bisogna andare forte. E se tu hai recuperato riesci a lavorare bene, migliori e vai più forte. Altrimenti se fai fatica a fare certi allenamenti non migliori molto.

Spesso i social portano ad emulazioni dai risvolti non sempre positivi
Spesso i social portano ad emulazioni dai risvolti non sempre positivi
Il recupero ti permette di assimilare il lavoro. E’ la supercompensazione, giusto?

Esatto. Poi ci possono essere dei periodi medio-brevi programmati di carico in cui si decide di recuperare meno, ma poi bisogna mollare e far respirare l’organismo. Specie quando si è giovani.

Il recupero, quando si parla di juniores, riguarda anche la crescita, non solo la condizione fisica?

Sì, ma se sto in bici 24-25 ore a settimana e in più ho la scuola e gli interessi che si possono avere a quell’età, non è facile recuperare. Sicuramente almeno un giorno a settimana di riposo totale serve. Lo fanno anche i pro’ ormai, figuriamoci i ragazzi.

Facciamo la parte del diavolo, Giacomo. E’ vero che bisogna rispettare i tempi di crescita e quant’altro, però è anche vero che se i ragazzi non raccolgono i risultati in questa fase, poi rischiano di restare a piedi. Forse spingere non è poi così sbagliato da un certo punto di vista.

E’ un’obiezione legittima. Oggi viviamo in un’epoca nella quale ognuno pensa di dire la sua, pur non avendo le conoscenze per farlo. E’ il mondo dei social media, ma quello che mi preme sottolineare, almeno nel caso italiano, è che diciamo sempre che non ci sono giovani. Ma in realtà è che non ci sono i tecnici validi. Tutto è nelle mani dei tecnici delle squadre giovanili.

Vai avanti…

Oggi i ragazzi vedono sulle varie piattaforme, per esempio Strava, quel che fanno i campioni o un loro coetaneo che va forte e cercano di replicarlo. Ma non sono sempre buoni esempi. Non è detto che le 25 ore di allenamento vadano bene per quel ragazzo. Ognuno ha i suoi tempi di crescita. Per questo dico che servono tecnici che sappiano individuare le giuste fasi dei carichi di lavoro e del recupero. Magari trovo un ragazzo che regge le 6 ore, gliele faccio fare e va forte. Poi passa under 23 si ritrova un tecnico che magari non gliele fa fare e finisce per “allenarsi di meno” e quindi non ha più margini di miglioramento.

E’ importante che i ragazzi e i tecnici gestiscano al meglio i carichi di lavoro in allenamento (foto Instagram – team Vangi)
E’ importante che i ragazzi e i tecnici gestiscano al meglio i carichi di lavoro in allenamento (foto Instagram – team Vangi)
Come la mettiamo con questa corsa ad anticipare i tempi?

Viviamo certamente un momento complicato. Ci sono meno squadre e si fa sempre più fatica a passare nella categoria successiva. Un allievo oggi fa fatica a passare junior ed è normale per certi aspetti che un ragazzo sia costretto a fare risultato, però per me è difficile accettare tutto ciò. Da tecnico oltre al volume di ore che accumuli è importante quel che fai, come ho detto prima. Porto l’esempio di Pablo Torres (under 23, ndr). Nella settimana che ha fatto di più quest’anno ha accumulato 20 ore e 30’… ed è arrivato secondo all’Avenir, non in una “corsetta”. Posso dire che a Livigno ho visto degli juniores, quindi ragazzi più piccoli di lui, fare 25 ore a settimana. Quindi è vero che c’è questa rincorsa ad anticipare i tempi per fare risultato e trovare una squadra buona (magari un devo team, ndr) ma non deve essere una scusa. Per questo insisto molto sui tecnici. Loro devono capire che non sono bravi se i ragazzi gli vincono 5-6 corse, ma sono bravi se fra 5 anni quelle vittorie le colgono tra i professionisti. Noi ci focalizziamo sull’albero e non sulla foresta che c’è intorno.

Però spesso questi tecnici lungimiranti militano nei migliori team, quelli che ti consentono di crescere con minor fretta…

Il problema per me è che nel ciclismo c’è gente che non è aggiornata. E’ nei giovanissimi, negli esordienti che serve un tecnico bravo. Ma per questo servono soldi e allora ci si appoggia ai pensionati. E, potrà sembrare una contraddizione, per fortuna che ci sono: altrimenti chi porterebbe avanti queste squadre? Però alla fine ci ritroviamo in questa situazione. Da noi Giaimi ha un contratto fino al 2026, io non gli tiro il collo. Che vinca la domenica mi importa relativamente. A me importa che maturi, che cresca come atleta a tutto tondo.

Correre va bene secondo Notari, purché con tempistiche ben ponderate (foto Giro Lunigiana)
Correre va bene secondo Notari, purché con tempistiche ben ponderate (foto Giro Lunigiana)
Ma Giaimi a quel punto in qualche modo è già “sistemato”. Sono i “non Giaimi” il problema. Lui è già in un devo team. Torniamo alla domanda di prima.

Infatti la coperta è corta. E’ un cane che si morde la coda. Il ragazzo vuole passare in un devo team e vuole anticipare i tempi. Ma il Lorenzo Finn della situazione andrebbe forte anche se facesse 18 ore a settimana. Lasciamogli il margine per l’anno dopo. Magari al primo anno da under 23 farà 20 ore, al secondo 22 e così via…

La soluzione?

La Federazione deve fare di più. I corsi per i tecnici sono fatti bene, molto bene, anche sul piano della preparazione, ma proprio per questo bisogna accertarsi che chi esce da questi corsi sia veramente preparato.

Chiaro…

Che s’imbastisse una tavola rotonda con i soggetti interessati per parlarne bene. E poi penso che il correre tutte le domeniche, come spesso si fa da noi, possa diventare un limite alla crescita dei ragazzi.

Perché?

Perché correndo tutte le settimane si ha una mentalità che è maggiormente orientata al risultato e contestualmente non permette di fare adeguati carichi di allenamento per migliorare, perché a quel bisogna recuperare per poter essere poi pronti alla domenica. Ci vorrebbero blocchi di gare di 3-4 settimane, magari anche con una gara a tappe, e blocchi di allenamento di 2-3 settimane senza gare. In queste settimane si può lavorare per la vera crescita dei ragazzi. Alla fine quello che ti fa migliorare veramente è l’allenamento, la gara è una cartina al tornasole.

Capecchi e gli juniores: «Impossibile tornare indietro»

17.09.2024
5 min
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SESTRI LEVANTE – Il tema che riguarda la categoria juniores è caldo e va affrontato con la dovuta calma e attenzione. Da un lato c’è chi ha paura di “bruciare” i ragazzi e vorrebbe preservarne il talento e le qualità. Aumentare ora i carichi di allenamento serve per vincere nel breve termine ma una carriera di un corridore prende forma e peso più avanti dei 18 anni. Vincere un Giro della Lunigiana è bello, fa piacere e riempie la bocca di chi questi ragazzi li cresce, ma poi c’è il futuro a cui pensare. Le categorie giovanili servono per formare il corridore, dargli una mano così che possa imparare a gestire determinate dinamiche. 

In Italia ci sono due fazioni, chi vede l’attività odierna come un’esasperazione e chi crede sia la giusta via. Quest’ultimi spesso sono coloro che sulle vittorie dei ragazzi ci vivono, costruendo gloria personale e affermandosi come tecnici di livello. Ma se tutti coloro che gestiscono questi ragazzi pensano a tirare fuori il massimo, chi arriverà alla fine si ritroverà tra le mani solamente il nocciolo

Le squadre satellite hanno una programmazione diversa, con periodi di carico e poi una serie di gare
Le squadre satellite hanno una programmazione diversa, con periodi di carico e poi una serie di gare

Cambiare obiettivi

Eros Capecchi di anni da professionista ne ha messi alle spalle ben 16, il suo primo anno con i grandi è stato il 2006, nelle fila della Liquigas, a soli 20 anni. Il punto su cui ci si deve concentrare non è l’età in cui si diventa professionisti, anche se un minimo di attenzione non guasta mai, ma l’attività proposta.

 «A mio modo di vedere stiamo faticando a fare un cambio di mentalità – dice il tecnico del CR Umbria – dal punto di vista delle preparazioni. Siamo molto conservativi, non “spremiamo” troppo i ragazzi. Ma secondo me quello che stiamo facendo non è spremerli troppo, bensì spremerli male. 

«Se li si prepara atleticamente e fisicamente a quello che ora trovano in corsa non c’è il rischio di finirli. Questo accade se vanno in gara e non vedono mai l’arrivo, perché allenarsi diventa sempre più un sacrificio e fare la vita da corridore pesa ancora di più. Si potrebbe rivedere la programmazione dei calendari, come fanno all’estero».

Se ne è accorto Lorenzo Finn quest’anno con la Grenke Auto Eder (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Se ne è accorto Lorenzo Finn quest’anno con la Grenke Auto Eder (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Quindi periodo di gare e poi riposo e allenamento, una calendarizzazione degli impegni.

Sarebbe importante anche con chi delibera le corse, i comitati o anche più in alto la Federazione stessa, dire: «Facciamo sei o sette corse organizzate bene in un periodo limitato, un mese ad esempio, e poi un mese di riposo». In modo tale che chi deve preparare i ragazzi riesce a lavorare e dare quelle ore di cui hanno bisogno. In questo modo si aumenta il livello generale degli juniores, consegnando al cittì della nazionale corridori che sanno reggere determinati carichi di lavoro. 

Per avere una maggiore concentrazione degli impegni servirebbero più corse a tappe, che fanno tanto per la crescita dei ragazzi.

Ce ne siamo resi conto lo scorso anno, un nostro ragazzo è andato in fuga all’ultimo giorno dopo quattro tappe. La domenica successiva ha vinto. Il lavoro che fai in una corsa di più giorni è impagabile, ne parlavo con lo stesso Salvoldi. Se si riuscissero a unire le diverse gare di un giorno in appuntamenti unici, faremmo un grande passo in avanti.

In Italia uno dei migliori juniores è Bessega, che però ha il doppio dei giorni di corsa di Finn e Seixas: 44
In Italia uno dei migliori juniores è Bessega, che però ha il doppio dei giorni di corsa di Finn e Seixas: 44
Senza però eccedere nel lavoro a casa…

Ormai gli juniores che vanno forte si allenano 23-25 ore alla settimana, quindi se si vuole raggiungere quel livello l’impegno da mettere è questo. La nazionale che va in ritiro a Livigno e mette insieme 25 ore di allenamento a settimana è per arrivare a una condizione pari rispetto a chi vince ora. Se quattro ragazzi lavorano così tanto, purtroppo, bisogna adeguarsi per essere competitivi. E’ brutto da dire ma se si pensa al bene dei ragazzi, si rischia di non farli diventare corridori, perché il trend è questo e ormai è partito.

Da noi è Finn quello che fa un’attività del genere, a livello di programmazione.

Lui è il riferimento del ciclismo giovanile e lavora in un modo intelligente, meticoloso e impostando gli allenamenti mese per mese. E’ la dimostrazione che si può migliorare allenando bene i ragazzi, senza bruciarli. Questo accade se noi non li mettiamo nelle condizioni, fisiche e atletiche, di confrontarsi a livello nazionale e internazionale con i migliori. 

Capecchi si è detto d’accordo con le parole di Garzelli, ma per lui il trend ormai non si può invertire
Capecchi si è detto d’accordo con le parole di Garzelli, ma per lui il trend ormai non si può invertire
Però se si parla di livello internazionale, si deve anche fare attività all’estero allora…

Intanto noi dobbiamo alzare il livello nazionale. Questo dà un beneficio interno alla categoria perché tutti migliorano, bisogna farlo però con gare da 120-130 corridori, non da 50. Se si riesce a organizzare bene il calendario, si dà alle squadre il modo di muoversi contenendo le spese perché glielo si fa fare una volta sola e non tutte le settimane. 

Perché entra in gioco anche il discorso dei budget che sono estremamente limitati. 

Qui appena metti in moto il furgone e due ammiraglie spendi 500 o 600 euro. Reperire il personale non è così facile, io posso muovermi perché ho un’azienda di famiglia e riesco a ritagliarmi dei giorni per seguire i ragazzi. Ma altri rinunciano. Le leggi fatte sui contributi legati a chi collabora con le attività sportive sta ammazzando i team. Anche per un niente si arriva a tassazioni maggiori e allora la gente preferisce tirarsi indietro perché non conviene.

Orn-Kristoff re d’Europa juniores, l’Italia non c’è

14.09.2024
4 min
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HASSELT (Belgio) – Delusione per la nazionale azzurra juniores maschile, che si è dovuta accontentare dell’ottavo posto di Ludovico Mellano. Così, mentre il norvegese Felix Orn-Kristoff si gode il meritato successo nella gara in linea di questi campionati europei, il nostro CT Dino Salvoldi mastica amaro e non le manda a dire.

«L’ottavo posto di Mellano – si sfoga – è un piazzamento che dice veramente poco sullo svolgimento della gara. Sono arrivati davanti tre dei corridori più forti di tutto il gruppo. Tutti lo sapevano, compresi i nostri. Purtroppo, quando si è creato il primo gap, non siamo riusciti a chiudere né di squadra né individualmente sui tre favoriti. E ripeto, tutto il gruppo sapeva chi erano, compresi Italia, Olanda, Germania e Belgio. Tutti sono rimasti fuori da questa fuga».

Per l’Italia, al via c’erano Fabbro, Fin, Magagnotti, Mellano, Montagner e Stella
Per l’Italia, al via c’erano Fabbro, Fin, Magagnotti, Mellano, Montagner e Stella
Questione di mentalità?

Purtroppo si è evidenziato ancora una volta come i corridori italiani, in particolare, corrano sempre sulle ruote, aspettando gli altri. Bisogna ammettere che, se non si cambia mentalità, non si diventa più competitivi e c’è poco futuro.

Eppure ad un certo punto il distacco era di soli otto secondi…

Ma sai, poi in questo tipo di gare più che in quelle a cui i nostri ragazzi sono abituati – Salvoldi sospira e aggiunge – non c’è neanche comunicazione. Noi CT siamo in macchina e non possiamo fare praticamente nulla. E in una gara in linea anche la comunicazione da terra è poco continuativa. Detto questo, voglio porre l’accento sull’atteggiamento prevenuto e attendista, che inevitabilmente si ripercuote su quello che fai giorno per giorno. Così non è più un ciclismo moderno, odierno. Le gare iniziano al chilometro zero.

Il cittì Salvoldi alla fine era indignato perché i tre più attesi (Seixas, Orn-Kristoff e Alvarez) hanno attaccato e nessuno li ha seguiti
Il cittì Salvoldi alla fine era indignato perché i tre più attesi (Seixas, Orn-Kristoff e Alvarez) hanno attaccato e nessuno li ha seguiti
Un fratello d’arte

Tornando alla gara, come previsto, i settori di pavé hanno fatto la differenza. Felix Orn-Kristoff (18 anni), che ha già firmato il primo contratto da professionista per il 2026 con Intermarché-Wanty, si è dimostrato il più veloce nella volata a tre, dopo 129,7 chilometri di gara.

Lo spagnolo Hector Alvarez ha preso il secondo posto, mentre il francese Paul Seixas (recente vincitore del Lunigiana) si è classificato terzo, anche lui molto promettente. Felix non si è scomposto. Ha lanciato una volata potentissima, forse anche grazie alla genetica. Infatti è il fratellastro di Alexander Kristoff, mostro di potenza e campione assoluto.

Deluso, ma non troppo

Ottavo e primo italiano, Ludovico Mellano è deluso ma non troppo. Il più attivo degli azzurri dice di aver pagato anche il freddo e i sette gradi alla partenza al Circuito di Zolder. E dire che siamo a metà settembre…

«La gara è stata molto veloce – dice – abbiamo ripreso la prima fuga sul secondo settore di pavé, ma il terzo è stato decisivo. I tre in fuga andavano veramente forte. Non sono riuscito ad alimentarmi bene e nella volata finale non ho potuto fare meglio perché mi sono venuti i crampi. In ogni caso, a titolo personale, un top ten non è male. Certo, se nessuno avesse saltato i cambi, magari saremmo rientrati».

Ora aspettiamo le donne, sperando che Elisa Balsamo e compagne ci riscaldino i cuori.

Zurigo si avvicina e Salvoldi tira le somme: sarà una sfida a tre?

11.09.2024
5 min
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TERRE DI LUNI – Il mese di settembre ha messo in fila una serie di manifestazioni di primo piano per gli juniores. Terminato da poco il Giro della Lunigiana è tempo di pensare a europei e mondiali, con quest’ultimi sulla bocca di tutti. Il percorso di Zurigo sarà impegnativo, movimentato e porterà la gara a essere un gioco a eliminazione. 

Viste le caratteristiche del tracciato i due favoriti sembrano essere Paul Seixas e Lorenzo Finn, i primi due classificati al Giro della Lunigiana. Il distacco somministrato agli altri 95 ragazzi arrivati in fondo alla Corsa dei Futuri Campioni non lascia molti margini alla fantasia. Anche se, a onor del vero, un protagonista è mancato in terra toscana: Albert Withen Philipsen, attuale campione del mondo di categoria. 

Parola al cittì

L’arduo compito di portare i ragazzi pronti all’evento iridato tocca come sempre al cittì Dino Salvoldi (in apertura con Ruggero Cazzaniga e Simone Mannelli). I preparativi sono iniziati ancor prima del Giro della Lunigiana, con un ritiro in altura a Livigno. In quelle settimane sono state messe ore nelle gambe e i risultati sono stati differenti, tra chi ha risposto bene e chi meno. 

«E’ stato un po’ tutto nelle aspettative – racconta il cittì – in questa categoria abbiamo fatto un bel lavoro. Per molti ragazzi era la prima altura della vita, quindi le risposte sono state diverse. Al Lunigiana qualcuno ha pagato, anche lo stesso Finn. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, a Livigno siamo andati per preparare il mondiale e il Lunigiana era un altro step in vista dell’appuntamento iridato. 

«Relativamente al percorso del mondiale non si scappa – dice – i nomi saranno quelli. Forse è un po’ troppo impegnativo per Kristoff. Però gli altri che ho in mente saranno tutti al top della condizione: Seixas, Philipsen e anche Sumpik. Chiaramente nella mia lista di favoriti ci sarebbe stato spazio per Omrzel ma la caduta della prima tappa lo ha messo fuorigioco. I ragazzi di cui abbiamo parlato si staccano dalla media del gruppo, ce ne siamo resi conti durante il Lunigiana. Delle tappe impegnative, ma non proibitive sono bastate per creare un divario netto tra i primi due (Seixas e Finn, ndr) e tutti gli altri. In salita non ci sono stati giochi, è stata una gara a due».

La squadra

Al Giro della Lunigiana la differenza tra Lorenzo Finn e Paul Seixas è stata nella squadra e nel supporto offerto. La Francia si è presentata con i migliori atleti e questo ha inciso sull’andamento della corsa. A Zurigo la squadra potrà fare la stessa differenza, considerando che l’Italia arriverà con il meglio?

«Credo di no – afferma Salvoldi – perché il tratto in linea che immette nel circuito è poco significativo. Appena entrati nella parte dura, le individualità emergeranno fin da subito e ben poco si potrà fare per annullarle. Se il trend della stagione viene rispecchiato, è difficile dire che Philipsen sbaglierà l’appuntamento mondiale. Finn e Seixas potrebbero essere due valide alternative a quello che sembra un risultato scontato.

«In un contesto più ampio riferito alla categoria – continua – le differenze tra il vertice e il resto dei ragazzi ci sono. Cercheremo di portare la squadra migliore sapendo che correremo su un percorso da “uno contro uno” e consapevoli che anche noi avremo il nostro alfiere. Per quanto riguarda gli altri, ho visto bene Sambinello e Bessega durante tutto l’anno. Mi piacerebbe premiare qualche primo anno. Poi c’è chi ha fatto bene in questi giorni come Remelli e Capello. Mi vengono in mente anche Proietti Gagliardoni, Galbusera e Zanutta. I numeri sono quelli ed è sempre doloroso dire di no a qualcuno. Nessuno ha mai da ridire sui primi due o tre nomi, ma sugli altri la differenza tra l’ultimo dei convocati e il primo degli esclusi è inesistente. Il cittì si affida al proprio intuito e al pensiero di come andrà la corsa».

La vittoria a Bolano di Cristian Remelli, la terza in stagione, gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
La vittoria a Bolano di Cristian Remelli gli consentirà di ottenere la convocazione per Zurigo? (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Capitolo distanza

I chilometri della prova iridata di Zurigo saranno 127,2, una distanza che non tutti i ragazzi hanno affrontato con costanza in corsa. Le energie saranno importanti da gestire. 

«Quei 30-40 chilometri in più – analizza Salvoldi – potranno fare tanta differenza. In una corsa come il Lunigiana che è un’eccellenza del ciclismo mondiale, si potrebbe pensare di aggiungere una tappa di oltre 100 chilometri, su una distanza da campionato del mondo (il punto sulla distanza delle gare è che l’UCI impone, per le corse a tappe internazionali della categoria juniores, un massimo di 400 chilometri in totale, ndr). Oltre alle Classiche è difficile replicare una distanza del genere in gara, lo si fa quasi esclusivamente in allenamento. Su questo i ragazzi hanno lavorato bene».