SESTRI LEVANTE – Il tema che riguarda la categoria juniores è caldo e va affrontato con la dovuta calma e attenzione. Da un lato c’è chi ha paura di “bruciare” i ragazzi e vorrebbe preservarne il talento e le qualità. Aumentare ora i carichi di allenamento serve per vincere nel breve termine ma una carriera di un corridore prende forma e peso più avanti dei 18 anni. Vincere un Giro della Lunigiana è bello, fa piacere e riempie la bocca di chi questi ragazzi li cresce, ma poi c’è il futuro a cui pensare. Le categorie giovanili servono per formare il corridore, dargli una mano così che possa imparare a gestire determinate dinamiche.
In Italia ci sono due fazioni, chi vede l’attività odierna come un’esasperazione e chi crede sia la giusta via. Quest’ultimi spesso sono coloro che sulle vittorie dei ragazzi ci vivono, costruendo gloria personale e affermandosi come tecnici di livello. Ma se tutti coloro che gestiscono questi ragazzi pensano a tirare fuori il massimo, chi arriverà alla fine si ritroverà tra le mani solamente il nocciolo.
Cambiare obiettivi
Eros Capecchi di anni da professionista ne ha messi alle spalle ben 16, il suo primo anno con i grandi è stato il 2006, nelle fila della Liquigas, a soli 20 anni. Il punto su cui ci si deve concentrare non è l’età in cui si diventa professionisti, anche se un minimo di attenzione non guasta mai, ma l’attività proposta.
«A mio modo di vedere stiamo faticando a fare un cambio di mentalità – dice il tecnico del CR Umbria – dal punto di vista delle preparazioni. Siamo molto conservativi, non “spremiamo” troppo i ragazzi. Ma secondo me quello che stiamo facendo non è spremerli troppo, bensì spremerli male.
«Se li si prepara atleticamente e fisicamente a quello che ora trovano in corsa non c’è il rischio di finirli. Questo accade se vanno in gara e non vedono mai l’arrivo, perché allenarsi diventa sempre più un sacrificio e fare la vita da corridore pesa ancora di più. Si potrebbe rivedere la programmazione dei calendari, come fanno all’estero».
Quindi periodo di gare e poi riposo e allenamento, una calendarizzazione degli impegni.
Sarebbe importante anche con chi delibera le corse, i comitati o anche più in alto la Federazione stessa, dire: «Facciamo sei o sette corse organizzate bene in un periodo limitato, un mese ad esempio, e poi un mese di riposo». In modo tale che chi deve preparare i ragazzi riesce a lavorare e dare quelle ore di cui hanno bisogno. In questo modo si aumenta il livello generale degli juniores, consegnando al cittì della nazionale corridori che sanno reggere determinati carichi di lavoro.
Per avere una maggiore concentrazione degli impegni servirebbero più corse a tappe, che fanno tanto per la crescita dei ragazzi.
Ce ne siamo resi conto lo scorso anno, un nostro ragazzo è andato in fuga all’ultimo giorno dopo quattro tappe. La domenica successiva ha vinto. Il lavoro che fai in una corsa di più giorni è impagabile, ne parlavo con lo stesso Salvoldi. Se si riuscissero a unire le diverse gare di un giorno in appuntamenti unici, faremmo un grande passo in avanti.
Senza però eccedere nel lavoro a casa…
Ormai gli juniores che vanno forte si allenano 23-25 ore alla settimana, quindi se si vuole raggiungere quel livello l’impegno da mettere è questo. La nazionale che va in ritiro a Livigno e mette insieme 25 ore di allenamento a settimana è per arrivare a una condizione pari rispetto a chi vince ora. Se quattro ragazzi lavorano così tanto, purtroppo, bisogna adeguarsi per essere competitivi. E’ brutto da dire ma se si pensa al bene dei ragazzi, si rischia di non farli diventare corridori, perché il trend è questo e ormai è partito.
Da noi è Finn quello che fa un’attività del genere, a livello di programmazione.
Lui è il riferimento del ciclismo giovanile e lavora in un modo intelligente, meticoloso e impostando gli allenamenti mese per mese. E’ la dimostrazione che si può migliorare allenando bene i ragazzi, senza bruciarli. Questo accade se noi non li mettiamo nelle condizioni, fisiche e atletiche, di confrontarsi a livello nazionale e internazionale con i migliori.
Però se si parla di livello internazionale, si deve anche fare attività all’estero allora…
Intanto noi dobbiamo alzare il livello nazionale. Questo dà un beneficio interno alla categoria perché tutti migliorano, bisogna farlo però con gare da 120-130 corridori, non da 50. Se si riesce a organizzare bene il calendario, si dà alle squadre il modo di muoversi contenendo le spese perché glielo si fa fare una volta sola e non tutte le settimane.
Perché entra in gioco anche il discorso dei budget che sono estremamente limitati.
Qui appena metti in moto il furgone e due ammiraglie spendi 500 o 600 euro. Reperire il personale non è così facile, io posso muovermi perché ho un’azienda di famiglia e riesco a ritagliarmi dei giorni per seguire i ragazzi. Ma altri rinunciano. Le leggi fatte sui contributi legati a chi collabora con le attività sportive sta ammazzando i team. Anche per un niente si arriva a tassazioni maggiori e allora la gente preferisce tirarsi indietro perché non conviene.