Van Aert, metà uomo e metà moto: parola di Roglic

19.03.2022
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Ci ha pensato Roglic, dopo l’ultima tappa della Parigi-Nizza, a trovare la giusta definizione per Wout Van Aert. Il belga l’ha sentita e si è fatto una risata, prima di abbracciare il compagno di squadra.

«E’ stata super dura – ha detto Primoz – ma sono molto più felice di un anno fa. Voglio ringraziare la mia squadra e soprattutto Wout. E’ metà umano e metà moto. Può fare qualsiasi cosa. Non mi sentivo abbastanza forte, questo è certo. Non avevo forza nelle gambe e ho dovuto lottare per mantenere il ritardo. Fortunatamente Wout ha avuto un gran giorno. E’ stato davvero di grande aiuto per arrivare al traguardo».

Su Col d’Eze il lavoro di Van Aert ha salvato Roglic dal perdere la maglia l’ultimo giorno come nel 2021
Su Col d’Eze il lavoro di Van Aert ha salvato Roglic dal perdere la maglia l’ultimo giorno come nel 2021

Osservato speciale

E oggi Van Aert sarà uno degli osservati speciali nella Sanremo che ha vinto due anni fa, quando si corse d’estate. Però un ritorno su quel giorno francese è il tributo dovuto a un campione che soprattutto è stato di parola, mettendosi al servizio del compagno.

«Sono contento – dice il belga, che nella foto di apertura pubblicata su Instagram prova il finale della Classicissima – di aver avuto un paio di gambe davvero buone. Era la corsa che sapevamo di dover fare. Ho capito che era necessario quando Simon Yates ha attaccato. Per me la corsa finiva in quel punto, avevo già tirato tanto. Ma quando ho visto che Roglic non poteva seguirlo, ho pensato: devo cercare di tenere duro fino in cima. Non avevo scelta, anche se in realtà sono rientrato su Primoz e Quintana più velocemente del previsto. Poi è stato importante portarlo al traguardo».

Alla Parigi-Nizza ha vinto la crono ed è salito per altre quattro volte sul podio
Alla Parigi-Nizza ha vinto la crono ed è salito per altre quattro volte sul podio

Obiettivo classiche

Lo sforzo supplementare potrebbe aver pesato sulla gestione complessiva delle sue energie, che dopo l’Het Nieuwsblad aveva spiegato di voler centellinare per arrivare al massimo fino alla Roubaix.

«Ho lasciato la Parigi-Nizza – dice il campione della Jumbo Visma – con un buon feeling. Negli sprint forse non sono stato brillantissimo, ma la vittoria nella cronometro è stata molto gratificante. Ho portato a casa la maglia verde dopo quelle del Delfinato e potrebbe essere un’idea anche per il Tour. Sempre che Primoz non prenda la gialla da subito e ci sia da lavorare per lui. Il fatto che l’ultimo giorno avessi ancora le gambe così forti dimostra che la condizione è molto buona. Ne sono felice, anche perché era l’ultima settimana davvero difficile per preparare le classiche. L’ultimo blocco di lavoro. Poi è stato importante riposare, per metabolizzare il lavoro. Ma se sia stato meglio correre in Francia piuttosto che alla Tirreno-Adriatico ve lo dirò dopo la Roubaix…».

La vittoria alla Het Nieuwsblad aveva già mostrato la grande condizione di Van Aert
La vittoria alla Het Nieuwsblad aveva già mostrato la grande condizione di Van Aert

I piani di Pogacar

Arriva alla Sanremo senza grossi riferimenti rispetto a quanto è avvenuto sulle strade italiane, ma sa bene che sul fronte delle scommesse, il suo è uno dei nomi con la quotazione più bassa.

«Spesso in Francia – dice – finivamo prima e sono riuscito quasi sempre a seguire i finali della Tirreno mentre ero sui rulli a sciogliere le gambe. Pogacar ha dato l’impressione di poter fare quel che voleva. Ed è uno che sul Poggio sarà difficile da seguire. Per me è sicuramente uno dei grandi favoriti di oggi. Spero che possiamo fare qualcosa anche Primoz ed io. L’idea è di rimescolare un po’ le carte. Ho studiato bene il percorso. Dopo la Parigi-Nizza, mi sono fermato in Italia, poco dopo il confine, vicino Sanremo. Ho passato un po’ di tempo con mia moglie Sarah e la famiglia. Poi giovedì sono andato a Milano. Sono pronto, non vedo l’ora di cominciare la primavera delle classiche».

La maglia verde della Parigi-Nizza è per Van Aert un’idea in vista del Tour
La maglia verde della Parigi-Nizza è per Van Aert un’idea in vista del Tour

E’ difficile capire se i tanti casi di bronchite che hanno tolto dal mazzo Colbrelli, Alaphilippe, Ewan e Stuyven sarà uno svantaggio anche per Wout, che avrebbe avuto in loro degli alleati per eventualmente inseguire l’attacco di Pogacar. Ed è ancor più difficile capire quanto la notizia del possibile rientro di Van der Poel lo abbia innervosito, dato che spesso l’olandese lo ha privato della necessaria lucidità. Di sicuro, nel lotto dei favoriti per la Sanremo, Van Aert parrebbe essere un passo più avanti anche di super Pogacar. Ma per sapere come andrà a finire, a questo punto, basterà aspettare ancora qualche ora.

Affini, gregario di lusso con la testa da capitano

28.02.2022
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Affini sa stare al suo posto e fare quel che gli chiedono. Forse per questo alla Jumbo Visma sono contenti di lui e lo mettono spesso nella squadra che deve supportare Van Aert, quando il capo vuole fare la corsa.

Affini ha 25 anni, il nome scritto sul casco e, se potesse, sfuggirebbe alle regole social di questo tempo. Però ne capisce l’importanza (per la squadra e gli sponsor) e cerca di essere disponibile con intelligenza. Anche per questo quando lo chiami per fare due parole, difficilmente se ne esce con frasi banali. Edoardo ha la testa sulle spalle e magari passerà il grosso del tempo a tirare per un capitano, ma nella sua testa è a sua volta un leader. Non si vincono due campionati europei (in linea da junior nel 2014, a crono da U23 nel 2018) e non si lotta contro un gigante come Ganna se non si ha la mentalità vincente.

La ricognizione sul percorso della Het Nieuwsblad per scoprire il nuovo finale (foto Jumbo Visma)
La ricognizione sul percorso della Het Nieuwsblad per scoprire il nuovo finale (foto Jumbo Visma)

Il pane quotidiano

Nella Omloop Het Nieuwsblad vinta sabato da Van Aert, anche Edoardo ha avuto la sua parte. Quando li abbiamo visti alla partenza, tutti alti e potenti, abbiamo capito che la squadra olandese volesse tenere la corsa chiusa. E mentre Wout in prima fila posava per le foto di rito, i suoi gregari dietro se ne stavano raggruppati ad aspettare il via.

«E’ stato bello – ricorda Affini – vedere un po’ di persone finalmente. Poi si può parlare se sia giusto avere la mascherina oppure no, ogni Paese ha le sue leggi e ogni organizzazione fa quello che vuole in base alle regole. Lassù si respira la passione che hanno per la bicicletta, è il loro pane quotidiano. Fa sempre piacere vedere quell’atmosfera».

Alla Omloop Het Nieuwsblad, Affini ha tenuto sotto controllo il gruppo per oltre metà gara
Alla Omloop Het Nieuwsblad, Affini ha tenuto sotto controllo il gruppo per oltre metà gara
Per i compagni di squadra di Van Aert certe corse sono anche una bella responsabilità?

Sicuramente con un capitano così abbiamo dei ruoli ben definiti. C’è una certa responsabilità, è vero. Pressione però fino a un certo punto, nel senso che quando si parte si vuole sempre fare bene il proprio lavoro. Quindi penso che un po’ di pressione sia giusta, ma certo non deve essere schiacciante, altrimenti ti porta a sbagliare e a non essere performante.

Come fai a passare dalla solitudine della crono al mucchio selvaggio di certe stradine?

Più che mentalità della crono e quella sui sassi, il discorso è piuttosto quello dello stare in gruppo a 2 millimetri uno dall’altro. Tutti che limano al massimo e si battaglia per ogni centimetro. Forse la parola in questi giorni non andrebbe usata, ma parlando di quelle corse si è sempre detto che siano una sorta di guerra. Lassù è tutto al limite.

A te tocca spesso lavorare da lontano…

L’obiettivo quando c’è Wout è lavorare per lui. L’altro giorno a me è toccato cercare di tenere tutto sotto controllo dall’inizio. C’è stato parecchio vento da mangiare, sostanzialmente, ma con un capitano come Wout si lavora sempre volentieri.

Perché vince sempre lui?

Perché alla fine è riuscito a finalizzare il lavoro di squadra perfetto. Anche tutti gli altri componenti della squadra hanno lavorato alla perfezione e abbiamo creato la situazione perfetta perché Wout attaccasse sul Bosberg. E’ andato sino alla fine come un treno, meglio di così non poteva partire.

Difficile trovare uno che scende dall’altura e vince alla prima corsa.

Lui e Roglic sono molto metodici su questo, sempre pronti anche dopo un ritiro in altura. Eravamo confidenti che si potesse far bene, ma nelle corse in Belgio può succedere di tutto, dall’incidente meccanico alla caduta. Invece sabato è filato tutto liscio. Bene così.

Il lavoro della Jumbo Visma ha portato Van Aert all’attacco sul Bosberg. Qui con Benoot
Il lavoro della Jumbo Visma ha portato Van Aert all’attacco sul Bosberg. Qui con Benoot
Come si festeggia in un team olandese?

Abbiamo festeggiato come nelle altre squadre (ride, ndr). Abbiamo preso un bicchiere di vino, ma il giorno dopo c’era da correre ancora a Kuurne, quindi non si è potuto esagerare. E in ogni caso non lo avremmo fatto ugualmente.

La Tirreno comincia con una cronometro.

Quando si è saputo che la prima tappa sarebbe stata una crono, l’ho cerchiata di rosso. Vediamo come saranno le gambe dopo il Covid. L’ho preso anche io a Valencia, lo hanno preso tutti. E’ già una settimana che sono ripartito. Ho perso un po’ di tempo, ma cercherò di farmi trovare pronto come sempre. In ogni crono do sempre il meglio che posso, in base al momento.

Gli scalatori come scelgono le ruote ? Ce lo spiega Filippo Rinaldi

03.02.2022
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Dopo aver scoperto come scelgono i manubri i velocisti ci siamo chiesti: come sceglierà le ruote uno scalatore? Risponde Filippo Rinaldi, fondatore di Pippowheels, una voce di grande esperienza e di grandi conoscenze tecniche. La storia e lo studio dei prodotti negli anni hanno portato a determinate scelte, che come avremo modo di vedere, non sempre tendono all’efficienza o alla comodità.

Negli anni 90 e primi anni 2000 le ruote erano in alluminio e per alleggerire il peso si usavano profili minimi
Negli anni 90 e primi anni 2000 le ruote erano in alluminio e per alleggerire il peso si usavano profili minimi

Gli scalatori del passato

«C’è da fare una premessa fondamentale – ci dice Filippo Rinaldi – anni fa le ruote erano assemblate dai meccanici e quindi c’era una maggior possibilità di variazione. I raggi, per esempio, erano 20,24,28 o 32 ed il numero da montare sulla ruota era una scelta del corridore. Gli scalatori preferivano ruote da 20 raggi all’anteriore e di 24 al posteriore intrecciate in seconda. La scelta era dovuta al fatto che sulla ruota posteriore si scarica la potenza e quindi serve una ruota più rigida.

«Ora come ora il mercato non offre particolari scelte, le ruote vengono studiate ed assemblate in laboratorio. I corridori non possono più apportare modifiche, anche se hanno una vasta possibilità di scelta».

Molti scalatori tra cui Yates usano tubeless per questioni di marketing
Molti scalatori tra cui Yates usano tubeless per questioni di marketing
La scelta di base qual è?

Ovviamente la leggerezza, lo scalatore sceglie sempre la ruota più leggera. Gli aspetti che fanno maggiormente la differenza sono il cerchio e la scelta del copertoncino. Un risparmio di 15 grammi su questa parte della ruota incide tre volte di più rispetto ad elementi statici.

Partendo dal copertone, gli scalatori non usano il tubeless…

Esattamente, per il momento la tecnologia non offre un prodotto leggero come il tubolare, anche perché i cerchi del tubeless pesano di più e questo fa già la differenza.

Romain Bardet ruote nuove Shimano
Con l’avvento delle ruote in carbonio i corridori posso usare profili maggiori a parità di peso
Romain Bardet ruote nuove Shimano
Con l’avvento delle ruote in carbonio i corridori posso usare profili maggiori a parità di peso
Però i cerchi degli scalatori una volta erano con profili da 20 millimetri, ora sono da 50 millimetri.

E’ una questione di tecnologia e di sviluppo. Prima i cerchi erano in alluminio, una lega di peso maggiore rispetto al carbonio. Di conseguenza gli scalatori tendevano ad alleggerire il più possibile il cerchio. Il carbonio permette di creare prodotti con lo stesso peso e si sa che un cerchio più alto offre una maggiore efficienza aerodinamica, che nell’economia della corsa offre maggiori vantaggi.

Prima i copertoni erano anche da 19 millimetri, ora la tendenza è quella di usare quelli da 25.

Anche qui per un discorso di studio e sviluppo. Si è visto che il 25 millimetri offre un’ottima scorrevolezza in proporzione alle pressioni di gonfiaggio. Sono dell’idea che usando copertoni più larghi e di conseguenza cerchi più larghi e rigidi tra un po’ di tempo torneremo a vedere profili più bassi: 30-35 millimetri.

I freni a disco

Un altro grande cambiamento è avvenuto con i freni a disco, anche se in particolari occasioni qualcuno tende a non usarli. Al Giro di Lombardia, vinto da Pogacar, lo sloveno ha usato freni tradizionali, come nelle tappe più impegnative del Tour de France.

Carapaz (Ineos) e Pogacar (UAE Team Emirates) montano ruote con freni tradizionali mentre Vingegaard (Jumbo-Visma) usa i freni a disco
Carapaz (Ineos) e Pogacar (UAE) montano ruote con freni tradizionali mentre Vingegaard (Jumbo) usa i freni a disco

«Quella dei freni a disco è una scelta principalmente dettata dal mercato – continua Filippo – i pro’ sono la vetrina per sponsorizzare nuovi prodotti e quindi alcune squadre usano quel che il produttore vuole. Il team Jumbo-Visma aveva pubblicato uno studio nel quale diceva che il guadagno aerodinamico dei freni a disco era più importante di quello legato al peso dei freni tradizionali. Dichiarazione vera a metà, infatti Ineos e Pinarello, che sono più restii al passaggio, hanno sempre usato i freni tradizionali».

Il freno a disco ha cambiato il tipo di incrocio dei raggi?

Sì. Su ruote che montano freni a disco, i raggi hanno bisogno di una maggiore rigidità. Questo perché usando incroci in seconda e spostando il peso della frenata sul mozzo si aveva l’effetto, pinzando i freni, che il cerchio continuasse a girare. Si è dunque adoperato l’intreccio tangente, per avere una maggiore rigidità dei raggi e riuscire così a trasferire prontamente l’effetto della frenata su tutta la ruota.

Dennis, bordata alla Ineos e “guerra” a Pogacar

22.01.2022
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Chissà come l’avranno presa alla Ineos Grenadiers ascoltando le parole pronunciate da Rohan Dennis durante la presentazione della Jumbo Visma in cui l’australiano è approdato da quest’anno. A rileggerle anche a distanza di giorni, non devono essere suonate proprio bene.

«Quando ero con Ineos – ha detto – mi sono reso conto che stavano copiando la Jumbo Visma sotto parecchi aspetti. Così ho pensato: perché dovrei rimanere in una squadra che sta copiando quella dall’altra parte della barricata? Perché non entrare a far parte dell’originale ed essere davanti anziché inseguire?».

Questo è il lungo video della presentazione virtuale della Jumbo Visma. L’intervista a Dennis inizia a 59’55”

Jumbo in testa

Dennis non è entrato nei dettagli, ma le sue parole hanno fatto pensare di certo agli investimenti tecnici del team, alla querelle sull’uso dei chetoni e hanno soprattutto ispirato una riflessione sul come vada il mondo del ciclismo. Quando il Team Sky arrivò con i suoi tanti soldi, fece subito la differenza anche nelle metodologie di lavoro e per anni non c’è stato spazio per altro. L’avvento di Jumbo-Visma e UAE Team Emirates, i soli due colossi che per potenzialità hanno la capacità di contrastare l’impero britannico, ha stabilito equilibri diversi. Gli investimenti hanno portato nuovi studi e, sia pure coperti da grande riservatezza, questi hanno fatto decollare le prestazioni degli atleti coinvolti.

«In questo sport – ha confermato Dennis – di solito ci sono una o due squadre che spingono seriamente per guadagnare quello 0,5-1 per cento di vantaggio che permette di vincere le corse e al momento la squadra in testa è proprio la Jumbo».

Con Roglic, Dumoulin e Vingegaard nel primo ritiro c’era anche Laporte, a sinistra
Roglic, Dumoulin e Vingegaard: Tom al Giro, gli altri due al Tour

Due anni in giallo

L’australiano, la cui storia è passata sia pure per un anno (il 2011) nella continental della Rabobank da cui anni dopo sarebbe nata la Jumbo Visma, non è nuovo a cambiamenti improvvisi, soprattutto dopo la chiusura della BMC in cui dal 2014 al 2018 sembrava aver trovato la giusta gratificazione. E’ durato nove mesi al Team Bahrain Merida vincendo da… isolato il mondiale crono di Harrogate e due anni con la Ineos Grenadiers, scrivendo le bellissime pagine del Giro 2020 vinto con Tao Geoghegan Hart. Ora è passato al… nemico olandese e per i prossimi due anni lavorerà per Roglic, Dumoulin e Vingegaard, potendo coltivare contemporaneamente la passione per la crono (sul podio di Tokyo, è stato terzo dietro Roglic e Dumoulin, entrambi atleti Jumbo Visma). Merijn Zeeman, tecnico del team lo ha definito un acquisto da sogno.

«Ma io – ha sorriso – cerco di non dare ascolto a queste etichette che si trasformano in pressione. Però mi fanno capire la mia importanza per il team. Non sono venuto qui per divertirmi, ma per fare il mio lavoro. Raggiungere delle prestazioni, quello che più mi piace. Ho lavorato per tutta la mia carriera da professionista e anche prima per arrivare a questo punto. Il mio obiettivo è sempre stato essere uno dei più forti al mondo. E fondamentalmente ho voluto trasferirmi alla Jumbo Visma perché tecnicamente è una squadra migliore. Sembra davvero una grande struttura».

Buona la prima

E l’inizio è stato dei migliori. Il 12 gennaio a Ballarat, Dennis ha conquistato il titolo australiano della cronometro (foto Jumbo Visma in apertura), battendo Durbridge e adesso proseguirà la sua preparazione in Australia, alla larga dai contagi che hanno costretto la nuova squadra a sospendere il ritiro in Spagna. Tornerà in Europa per l’inizio delle corse che lo riguardano, con il mirino sul Tour de France e più in avanti sui mondiali della crono che si svolgeranno proprio in Australia.

«Il Tour è un grande obiettivo – ha detto – un circus in cui voglio entrare con la squadra che potenzialmente potrebbe vincerlo. Voglio aiutarli a battere Tadej. Il ragazzo mi piace (ride, ndr), ma adesso è… il nemico!».

Affini, la crono, la maturazione e i segreti della Jumbo

22.01.2022
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Affini lo troviamo all’aeroporto in Olanda, appena atterrato dalla Spagna e in attesa di rientrare in Italia. Ha appena mangiato un boccone e visto che ha del tempo da perdere, ci offriamo di fargli compagnia. Il ritiro della Jumbo-Visma è durato per un giorno: il primo. Poi una positività ha spinto la squadra a rompere le righe. Alcuni sono tornati a casa. Altri hanno preso un appartamento in Spagna e si sono allenati fra loro. Edoardo e altri sono rimasti nell’hotel del team, in compagnia di due meccanici e due massaggiatori.

«Ci allenavamo da soli – dice – sui percorsi pianificati, partendo cinque minuti uno dall’altro. Mangiavamo da soli. Dormivamo in singola. E ci facevamo un tampone ogni giorno, come si era stabilito con la squadra. Il lavoro l’abbiamo fatto, ma è dura chiamarlo ritiro. Siamo in questa situazione da due anni e ogni volta ci diciamo che sta passando, invece l’obiettivo di stagione sta diventando non prendersi il Covid…».

Il terzetto azzurro maschile del Team Relay ai mondiali di Bruges, Affini chiude la fila
Il terzetto azzurro maschile del Team Relay ai mondiali di Bruges, Affini chiude la fila
Quando si dice le motivazioni giuste! Da dove cominci?

Parto alla Valenciana, poi UAE Tour, Tirreno e Sanremo. Avrò bisogno di scaldare il motore e prendere ritmo gara. A ogni inizio stagione bisogna abituarsi. L’obiettivo sarà portare a casa un bel risultato, soprattutto a cronometro. Quando sembrava che alla Tirreno non l’avremmo fatta, mi sono girate le scatole, poi per fortuna ho visto che c’è. Anche al Giro hanno dato una bella segata. In tutto sono 26 chilometri contro il tempo. Non dico che si debba tornare a quando erano lunghe 60 chilometri, ma così è poco…

Avete lavorato sui materiali quest’inverno?

Alla continua ricerca del limite sul lato tecnico e cercando il massimo dalla componente atletica. L’obiettivo è aggiungere quanta più potenza possibile, che però viene anche col tempo e la maturazione, per cui bisogna dare tempo al tempo.

Per riuscirci è cambiata la preparazione?

Non tanto rispetto allo scorso anno. Il grande cambiamento c’è stato quando sono arrivato alla Jumbo Visma e gradualmente mi sono abituato a lavorare con questa filosofia. Ho preso il metodo e l’ho fatto mio. Mi trovo bene. A novembre poi sono andato in galleria del vento per la prima volta visto che prima col Covid non si era potuto. Analizzati i numeri, c’è qualcosa da poter migliorare. Il manubrio in 3D è in fase di realizzazione e l’ho anche alzato un po’. Invece la sella e la parte posteriore andava bene com’era.

Nella tappa di Verona del Giro 2021 ha rischiato di vincere, ma alla fine è arrivato il 2° posto
Nella tappa di Verona del Giro 2021, Affini ha rischiato di vincere, ma alla fine è arrivato il 2° posto
La bici da crono può essere comoda?

E’ una parola, non siamo fatti per starci sopra. Puoi fare ginnastica e stretching per adattarti, ma di base la miglior posizione è un compromesso fra quella ottimale e quella che ti permette di spingere. La combinazione fra le sensazioni del corridore e i numeri della galleria del vento. Comunque la squadra tiene tanto alla crono, sono molto puntigliosi. Peccato che non ci siano più tante cronosquadre.

Tornando al 2021, ti brucia più il secondo posto di Verona al Giro o quello del tricolore crono?

La vittoria a Verona sarebbe stata inaspettata, un bonus esagerato. L’italiano invece un po’ brucia, anche se il percorso era duro e poco adatto a me. Però certo cambierei tutti i piazzamenti con una vittoria. Quel che mi è piaciuto del 2021 è stata la costanza di rendimento.

Tornerai al Giro?

Accanto a Dumoulin, sarò la sua guida nelle tappe di pianura. Penso che possa fare bene, il fatto che abbia deciso di venire significa che vuole rimettersi in gioco nella corsa che ha già vinto. Oltre a lui ci sarà anche Foss, che l’anno scorso ha finito 9°. Se vanno d’accordo fra loro, viene fuori un bel Giro.

Quindi non c’è solo il Tour?

Impossibile, se non altro perché in Francia si corre in 8 e fare la selezione è difficilissimo. Puoi anche portare tutti i capitani, ma poi chi tira? Detto questo, il Tour è importante e anche la Vuelta, che Roglic ha vinto per tre volte.

Si percepisce la rivalità fra voi, Ineos e magari UAE?

Non la cogliamo direttamente, ma siamo attenti alle innovazioni, ai dettagli. Si parlava di bici, ma anche di alimentazione. C’è stata la fase della dieta zona. Poi quella delle diete proteiche low carb. Ora si mangiano carboidrati a blocco, perché si è capito che sono la benzina. E’ una corsa a chi ci arriva prima, per guadagnare la piccola percentuale che permette di vincere.

Cosa dici dei chetoni?

Se ne fa un gran parlare, ma noi siamo la sola squadra ad aver ammesso di usarli. Non è che siamo sempre lì a prenderli, ma il nutrizionista ha studiato che nelle 4-5 tappe più massacranti del Giro agevolano il recupero, in aggiunta al piano alimentare previsto. Non sono state trovate controindicazioni, non fanno male. Per cui tanti ne parlano puntando il dito e altri li usano senza dirlo.

Dopo il secondo posto ai tricolori della crono, Affini è entrato nella fuga con Colbrelli e Masnada
Dopo il secondo posto ai tricolori della crono, Affini è entrato nella fuga con Colbrelli e Masnada
Si sente la differenza in quelle 4-5 tappe?

Niente di esagerato, ma metti insieme questo, l’alimentazione, il sonno… e alla fine arrivi a conquistare i marginal gain che fanno la differenza.

Quali saranno i tuoi veri obiettivi?

Mi piacerebbe confermare la maglia azzurra agli europei e ai mondiali. Vorrei fare bene le crono del Giro, anche se non sono molto adatte a me. Quella di Verona si sale alle Torricelle, si scende e arrivo… E poi c’è il campionato italiano, perché la maglia tricolore la sento particolarmente. E’ un bel momento per la crono azzurra. C’è Ganna, poi Sobrero, Milan, Cattaneo, De Marchi. C’è una bella concorrenza. Tutta un’altra cosa da quando passai professionista e si diceva che in Italia la crono fosse morta.

EDITORIALE / Quanto ci costa la rincorsa al Tour?

15.11.2021
4 min
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Bernaudeau avrebbe parlato allo stesso modo se non fosse francese? Le parole del nuovo manager di Sagan sono piaciute e hanno un grande fondamento, ma hanno alle spalle la consapevolezza che, pur non essendo una squadra WorldTour, la TotalEnergies parteciperà al Tour de France. In questo ciclismo plutocratico, si tratta di un vantaggio impossibile da quantificare.

«Non chiederei mai ai miei sponsor di comprare una licenza – ha detto – va guadagnata. Non facciamo compravendite, diamo emozioni. Non mi indigno perché Pogacar guadagnerà 36 milioni di euro nei prossimi sei anni, ma mi chiedo se qualcuno pensi che il futuro del ciclismo sia negli Emirati e non piuttosto sulle strade d’Europa».

Bella forza, verrebbe da dire. Ma in piccolo è quanto accade in Italia con le squadre che a vario titolo sono sicure di partecipare al Giro e buona pace di chi deve sudarselo o investire per sperare di accedervi.

Il Tour per la Jumbo Visma è un’ossessione: correrà con Roglic, Dumoulin, Van Aert e Kruijswijk
Il Tour per la Jumbo Visma è un’ossessione: correrà con Roglic, Dumoulin, Van Aert e Kruijswijk

La profezia di Rozzi

E’ un rimescolarsi di pensieri, in cui si infilano anche le parole di Guardini sull’opportunità di inserire un tetto al budget delle squadre. Così a un certo punto vengono a galla gli scontri al Processo del Lunedì fra Costantino Rozzi, vulcanico presidente dell’Ascoli, e Adriano Galliani che a sua volta guidava il Milan delle meraviglie e dei miliardi.

«Se si continua così – disse un giorno Rozzi durante il programma di Aldo Biscardi – il calcio farà una brutta fine. Fra dieci o vent’anni, sarà impossibile mantenere le società in Serie A o B. Solo poche società potranno concedersi questo lusso, quelle più ricche. Gli stipendi di allenatori e calciatori sono troppo alti e i costi di gestione ancora di più. Dobbiamo darci tutti una regolata, a cominciare dai grandi club».

Costantino Rozzi, presidente dell’Ascoli Calcio (scomparso nel 1994), previde la crisi del sistema calcio
Costantino Rozzi, presidente dell’Ascoli Calcio (scomparso nel 1994), previde la crisi del sistema calcio

«Non è colpa nostra – gli rispose Galliani con tono quasi sprezzante – se l’Ascoli o altre società non hanno la possibilità di sostenere certe spese. Chi non ha la possibilità di giocare in Serie A, vada in B o in un’altra categoria inferiore».

«Hai ragione – reagì Rozzi con sarcasmo – così senza squadre come l’Ascoli, potrete finalmente disputare un campionato fra di voi, con sei o sette squadre».

L’Uci e il Far West

Mentre le grandi squadre di calcio affogano nei debiti e la Uefa ha imposto il Fairplay Finanziario, nel ciclismo si continua come nel Far West, senza che l’Uci pensi di metterci mano. Chi più ha, più spende. E gli altri in fondo è come se non ci fossero.

La Ineos punterà tutto sul Tour, con Thomas, Bernal e Carapaz
La Ineos punterà tutto sul Tour, con Thomas, Bernal e Carapaz

Mauro Vegni si diverte a provocare i big affinché raccolgano la sfida del Giro, ma è palese che il centro degli affari sia in Francia. Sul Tour convergeranno nuovamente i grandi campioni di Uae Team Emirates, Ineos Grenadiers e Jumbo Visma: i tre colossi dal budget esagerato che hanno fatto il pieno di grandi atleti da convertire in gregari. Gli altri faranno quello che possono.

Il Giro intanto prova a raccontare il campo dei suoi partenti in modo che il divario sembri meno netto. E noi siamo con loro, perché tante volte è stato meglio un Giro con tanti attori sullo stesso livello, rispetto a edizioni schiacciate da mattatori incontrastabili.

Il Tour non ha rinunciato alla solita sontuosa presentazione
Il Tour non ha rinunciato alla solita sontuosa presentazione

Presentazione a tappe

Solo facciamo fatica a capire perché da queste parti nel nome di innovazioni di marketing a misura di social, si sia deciso di miniaturizzare quel che avremmo dovuto raccontare come una storia epica e dai contorni monumentali. Perché quella presentazione frammentata in quattro comunicati? Dite che il Tour, che quanto a marketing e condivisioni social ha poco da imparare, avrebbe rinunciato al vernissage, ai campioni e all’enfasi della sua presentazione?

Il Tour sa che ci sono momenti da celebrare con la fanfara. Forse perché anche loro si rendono conto che quanto a spettacolo, passione e tensione agonistica, il Giro è molto più forte. Peccato che noi non l’abbiamo ancora capito…

Santiago de Compostela, i sorrisi diversi di Roglic e Aru

05.09.2021
4 min
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Primoz Roglic ha conquistato la terza Vuelta, dopo aver vinto il prologo di Burgos e altre tre vittorie di tappa, compresa la diciassettesima a Lagos de Covadonga e la crono finale a Santiago de Compostela.

«E’ stata un’altra bella giornata e sono state tre settimane bellissime – ha detto – sono molto felice per me stesso e per i ragazzi intorno a me. Questo è stato davvero un lavoro di squadra. E’ stata un’ultima crono difficile. Tuttavia mi hanno aiutato molto il pubblico e il supporto lungo la strada».

A fondo nel dolore

Con la bici nera e oro di campione olimpico, il leader della Jumbo-Visma ha trovato la testa e le gambe per replicare alla grande crono di Magnus Cort, che ormai sperava di avercela fatta.

«Ho solo cercato di concentrarmi sulla tappa – ha detto Roglic – e di fare del mio meglio. Sono andato veramente a fondo dentro me stesso, nel mio dolore. E’ incredibile, pazzesco. A volte si vince con una grande differenza, a volte con molta meno. Ma ogni modo di vincere è fantastico. L’abbiamo vissuta giorno per giorno. Ho fatto del mio meglio e mi sono divertito. E sono onorato di aver vinto per la terza volta».

Amore per la Spagna

Al di là della lotta per il podio e con la caparbia difesa di Jack Haig dall’attacco di Adam Yates, l’ultima crono a Santiago de Compostela è stata anche l’ultima gara di Fabio Aru. Un tema che nello stesso giorno abbiamo affrontato anche con Dario Cataldo e Giuseppe Martinelli.

«Gli ultimi 3 anni sono stati molto difficili per me – ha raccontato Fabio – ma proprio alla fine ho ritrovato un buon feeling con la bici. Mi mancava essere capace di attaccare e guidare con la libertà che provi quando puoi effettivamente fare la gara

«Nel 2014 ho vinto la mia prima gara da professionista al Giro d’Italia, è stato speciale. Quella vittoria ha cambiato la mia vita e ha fatto sì che le persone iniziassero a sapere chi sono. Ma quell’anno ho anche avuto modo di scoprire questo bellissimo Paese, la Spagna. E agli spagnoli piace il modo in cui corro. Ho sempre amato correre su queste strade e sulle grandi salite in giro per la Spagna, conservano tanti dei miei ricordi più belli».

«Di sicuro, felice…»

Il suo annuncio ha colpito, poi Fabio si è tuffato nella gara come ha sempre fatto nella sua carriera: a testa alta e stringendo i denti.

«Ho attraversato un periodo molto difficile in questa gara – ha detto – un grande ringraziamento va alla squadra per avermi aiutato, è stata di per sé una piccola vittoria. In questi ultimi giorni mi sono davvero divertito a dare il massimo. Essere davanti con la forza nelle gambe. Il supporto è stato speciale, ho ricevuto tante belle parole e vi ringrazio tutti. Certamente, avrò bisogno di alcuni giorni per capire completamente le mie sensazioni. Quindi è difficile dire in questo momento come mi sento. Ma di sicuro sono felice».

Bernal semina, Roglic raccoglie. E la Vuelta si accende

01.09.2021
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Un urlo di liberazione a capo della più bella vittoria da quando è professionista. Intorno le nubi dei Lagos de Covadonga, che raramente mostrano il cielo all’arrivo della Vuelta. Roglic sembrava la vittima predestinata, invece si è rivelato lupo. E come lupo ha affondato i denti nel collo morbido di Bernal che si è arreso alla fatica e forse a un principio di crisi di fame. Perché a quel livello e con quella classe non ti spegni così in fretta se la benzina è nel serbatoio.

A 7,6 chilometri dall’arrivo, l’affondo con cui Roglic ha staccato Bernal
A 7,6 chilometri dall’arrivo, l’affondo con cui Roglic ha staccato Bernal

«Mi è davvero piaciuta questa tappa – dice Roglic con un sorriso che la dice lunga – è stata una giornata perfetta per me e per la squadra. Forse questa è la mia tappa più bella della Vuelta finora. Ovviamente è un rischio andare all’attacco da tanto lontano, ma volevo solo seguire Egan. Abbiamo lavorato bene insieme. Nell’ultima salita sono andato a tutto gas, anche grazie al grande supporto di tutti i sostenitori sulla strada».

Voglia di divertirsi

Bernal aveva detto che ci avrebbe provato. Non aveva nulla da perdere e finalmente da qualche giorno avvertiva le stesse belle sensazioni del Giro, che il Covid e un’estate un po’ strampalato avevano allontanato inesorabilmente. Perciò, quando mancavano ancora 61 chilometri al traguardo, il colombiano ha rotto gli indugi ed è partito all’attacco.

Grande lavoro del Bahrain, prima con Caruso e poi con Mader per Jakck Haig
Grande lavoro del Bahrain, prima con Caruso e poi con Mader per Jakck Haig

Passo potente in salita, al punto da respingere il primo inseguimento di Superman Lopez, ma non abbastanza forte da dissuadere Roglic, aggrappato alla sua scia senza mezzo dubbio. 

«Stavo solo cercando di godermi la mia giornata – dice Egan – e divertirmi in sella alla mia bici. Tutto qui. In mattinata sul pullman avevamo fatto un piano, ma nella mia mente pensavo solo a divertirmi. Ho sofferto molto durante questa Vuelta e oggi finalmente avevo le gambe. Puntavo a rendere dura la gara, cosa che ho fatto e mi sono goduto ogni chilometro, anche quelli più duri».

Si pedala fra i monti e i boschi un po’ misteriosi delle Asturie
Si pedala fra i monti e i boschi un po’ misteriosi delle Asturie

Il ritmo di Caruso

E mentre i corridori della Movistar stavano alla finestra aspettando col necessario cinismo l’ultima salita, a guastare i piani di Bernal si sono messi Damiano Caruso e il Team Bahrain Victorious. Con la posizione di Jack Haig da difendere, il ragusano è stato fedele a quanto ci aveva detto nel giorno di riposo e si è messo a scandire un ritmo che nel tratto di pianura prima dell’ascesa finale ha tolto un minuto e mezzo al vantaggio dei primi due. Roglic ha sempre collaborato, cogliendo il vantaggio personale nell’azione di Bernal. E quando a 7,6 chilometri dal traguardo si è reso conto che il passo di Egan era diminuito, se lo è scrollato di dosso.

Lopez e Mas hanno fatto corsa di attesa, limitando appena i danni
Lopez e Mas hanno fatto corsa di attesa, limitando appena i danni

«Sono stato felice di far parte di questa mossa vincente per Roglic – ha ugualmente detto Bernal – perché è stato coraggioso. Io non avevo nulla da perdere, lui sì. E pur essendo sostanzialmente il leader della gara, è venuto con me. Oggi è stato il più forte e sono felice per lui».

Il nuovo mostro

Grande scambio di cortesie… olimpiche nell’anno a cinque cerchi, anche se alla fine della Vuelta mancano ancora tappe terribili, a partire da quella di domani che prevede l’arrivo sull’inedito e terribile Altu d’El Gamoniteiru.

Un urlo potente sul traguardo per scaricare la tensione e la gioia
Un urlo potente sul traguardo per scaricare la tensione e la gioia

«Domani dovremo esserci di nuovo – dice Roglic – ora sono in buona forma e con una buona classifica, ma il vantaggio non è mai abbastanza. Dobbiamo stare attenti e continuare a correre da squadra compatta. Ho piena fiducia in questo».

I destini incrociati di Groenewegen e Jakobsen

31.07.2021
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Come in un romanzo. A distanza di un anno i destini di Dylan Groenewegen e Fabio Jakobsen sono tornati ad incrociarsi. 

Tour de Wallonie, seconda metà di luglio. Una corsa a tappe per velocisti e pesi massimi, tanto che il campione uscente era Arnaud Demare. La prima tappa va a Dylan Groenewegen. Il giorno dopo ecco che ad alzare le braccia al cielo è Fabio Jacobsen. Il quarto giorno il Jumbo concede il bis, il quinto ribatte il colpo il Deceuninck. Una coincidenza più che particolare. I due olandesi sono tornati a gareggiare insieme quasi ad un anno di distanza dal “fattaccio” (era il 5 agosto) e anche stavolta si sono rincorsi in qualche modo. In realtà si erano già incrociati al campionato nazionale, ma senza nessun acuto da parte di entrambi.

La caduta al Giro di Polonia. I destini dei due iniziano a incrociarsi
La caduta al Giro di Polonia. I destini dei due iniziano a incrociarsi

Il fattaccio

Ricordiamolo il fattaccio. Giro di Polonia. Su un arrivo che già si sapeva essere pericoloso, l’olandese in volata commette una scorrettezza. Dylan stringe verso la transenna Fabio che cade rovinosamente a terra. A terra ci finisce anche il corridore della Jumbo-Visma. Il problema è che quello della Deceuninck-Quick Step prima di toccare l’asfalto tocca (toccare è un eufemismo) le transenne e il cielo. Schizza talmente veloce che comunque la vittoria è sua.

Subito divampa la polemica e i fucili sono tutti puntati sul Groenewegen, il “cattivo”, l’orco. Lui si rompe clavicola e riporta varie contusioni. Jakobsen finisce in coma, ha fratture multiple ovunque e persino sul volto, perde i denti. Lefevere, team manager della Deceuninck, vuole denunciare Groenenwegen.

Col tempo le polemiche non si smorzano poi tanto. Sembra, che Jakobsen volesse anche tendere una mano verso il rivale, ma che proprio Lefevere volesse tenere alta la tensione anche in ottica di un risarcimento. Groenewegn è squalificato dall’Uci, si dichiara colpevole. In pochi però puntano il dito sul perché le transenne si siano aperte, perché non erano state messe a norma. Perché Groenewegen avrà anche sbagliato, ma alla fine non ha fatto una scorrettezza più cattiva di tante altre che si sono viste in passato. Di certo gli effetti su Jakobsen gli hanno remato contro. Alla fine anche i colleghi velocisti, pur ammettendo che non sia un simpaticone, dicono che non è un ragazzo cattivo. E per vincere non ha bisogno di certi gesti.

Fine di un incubo per Groenewegen, la 1ª tappa del Wallonie è sua
Fine di un incubo per Groenewegen, la 1ª tappa del Wallonie è sua

Il ritorno di Dylan…

Ma torniamo al presente. Quel giorno ad Heron, dopo 185 chilometri di su e giù, Dylan mette in fila tutti. 

«È un grande sollievo sapere che adesso sto bene e che so ancora vincere –  disse Groenewegen – Ho attraversato un lungo momento molto difficile. In più ho corso pensando a mio nonno, scomparso da pochissimo. La squadra è stata molto importante perché mi ha aiutato oggi e anche nei quei mesi meno belli».

«Avevo ripreso a correre al Giro d’Italia e oltre a soffrire molto per mancanza di ritmo, nelle prime gare, ma anche nelle prime uscite in bici dopo l’infortunio, pensavo all’incidente tutto il giorno e tutto il giorno risentivo il rumore di quella caduta. E’ stato uno shock».

E 24 ore dopo, eccolo “gioire” per il successo di Jakobsen. «Fabio merita questa vittoria. Vederlo vincere è un sollievo, provo ammirazione per lui. Sono felice di poter correre di nuovo contro». I destini sono ufficialmente incrociati adesso.

Jakobsen vince la 2ª tappa del Wallonie e torna anche lui al successo
Jakobsen vince la 2ª tappa del Wallonie e torna anche lui al successo

E quello di Fabio

E Jakobsen? Come accennato Fabio è stato meno “caloroso” rispetto all’olandese. Almeno in pubblico. Vuoi perché veramente non abbia digerito la cosa (e sarebbe più che comprensibile), vuoi perché queste sono le direttive del team, ma ha teso meno la mano rispetto a Groenewegen.

«Non ho parole per descrivere questo momento – ha dichiarato l’atleta della Deceuninck dopo il suo successo – Non so quanta gente devo ringraziare: medici, fidanzata, famiglia, squadra, amici… Questa vittoria è anche loro. Sono contento di essere tornato velocista».

Jakobsen era rientrato alle gare e questa era la prima volta che ritrovava in corsa Groenewegen. In realtà la seconda, un primo approccio c’era stato al campionato nazionale olandese. 

Entrambi hanno sottolineato il fatto di aver ritrovato lo sprinter che era in loro. Segno che anche questi mostri di potenza hanno le loro insicurezze, le loro fragilità. 

Adesso si attende una volata tra i due, un testa a testa. Quello sì che sarebbe la vera chiusura del cerchio. Magari già oggi nella Heylen Vastgoed Heistse Pijl, ennesima gara belga per ruote veloci… e destini incrociati.