La notizia è arrivata un po’ a sorpresa: Jakob Fuglsang continua ancora un anno. Giusto 12 mesi fa avevamo parlato con il campione della Israel-Premier Tech. Eravamo al via della Veneto Classic (che si correrà domenica prossima) e il danese ci diceva che si preparava ad affrontare la sua ultima stagione da professionista. Che aveva piacere di fare il Tour de France perché partendo dall’Italia poteva unire in qualche modo i due Giri. E invece ecco questa, bella, notizia.
Ex biker, iridato U23 della mtb, re di due classiche monumento quali la Liegi e il Lombardia, medaglia d’argento a Rio 2016, lo stesso Fuglsang ci ha spiegato meglio il perché di questa decisione e come è nata.
Insomma, Jakob: sarai corridore per un altro anno…
Esatto! Alla fine a novembre scorso, quando avevo ripreso ad allenarmi per questa stagione, mi sono subito reso conto che avevo tanti stimoli. Mi dicevo: «Sono troppo motivato per dire basta». Così ho deciso: aspetto il Tour e vedo come va. Se va male, se proprio non riesco a stare in gruppo, mi fermo, altrimenti vado avanti. Neanche l’inizio di stagione, che è andato male, mi ha fatto perdere fiducia. Dopo le Ardenne ho cambiato preparazione. Sono tornato ai miei metodi e infatti la condizione è arrivata. Ho fatto un buon Delfinato e ho aiutato parecchio Derek Gee. Da lì non ho avuto più dubbi: faccio un anno ancora. Un anno in cui darò tutto.
Cosa significa che sei tornato ai tuoi metodi?
In pratica avevo seguito le nuove preparazioni, quelle dei giovani! Tanta Z2 e dei fuori soglia, ma almeno con me non ha funzionato. Guardate come vanno le gare: si va sempre molto forte. Non si sta poi così tanto in Z2, mentre si viaggia parecchio in Z3. E la Z3, il vecchio medio per farla semplice, mi mancava. Sì, forse i numeri massimi erano anche migliori, ma il problema è che dopo tre ore ero finito. Vuoto. Non andavo avanti. Avevo consumato tutti i carboidrati. Non avevo resistenza e così quei numeri buoni diventavano inutili. Tornando a lavorare in Z3 ho ripreso i miei standard.
Quando si dice l’esperienza! Secondo noi, voi “vecchietti” potete ancora dare molto a questo ciclismo…
Lo penso anche io. Noi vecchi possiamo dare parecchio… Oggi vedo tanti ragazzi legatissimi ai numeri, ai watt/chilo. I team prendono i ragazzi in base ai numeri, e ci sta. Ma se poi non sanno gestirsi nella vita, non sanno correre, non sanno stare in gruppo a cosa servono i watt? A me piace insegnare ai ragazzi. E’ un ruolo che so fare.
Si dice che tu abbia stretto un bel rapporto con Derek Gee. E’ così?
Ho corso con lui per la prima volta al Delfinato e poi al Tour e sì, si è creato un bel rapporto. Derek mi ha dato subito fiducia, ha visto come mi muovevo in corsa. Poi il Delfinato è andato bene sia a me che soprattutto a lui e la stima è aumentata. Per la squadra quella prestazione è stata importantissima e questo ruolo mi va bene. Ho anche iniziato così: sono stato vicino agli Schleck nei primi anni su strada, poi a Nibali e Aru. Come dicevo è un lavoro che mi piace e che ritengo di saper fare meglio di molti altri.
Non è facile per i team oggi prolungare il contratto di un atleta che va per i 40 anni: come è andata la trattativa? Ammesso ci sia stata.
All’inizio del Tour ho chiamato Jean Bélanger, il proprietario di Premier Tech. Io sono qui grazie a lui. Gli ho detto delle mie intenzioni e se quindi poteva parlare con la dirigenza della squadra. Da lì un po’ di trattativa c’è stata, ma l’intenzione era di restare. Anche perché che senso avrebbe avuto cambiare squadra per una sola stagione a 40 anni? Dover cambiare tutto, nuovo staff, nuovi materiali. Alla mia età sarebbe stato difficile.
Se non ti avessero tenuto avresti smesso quindi?
No, avrei cercato ancora, ma se non avessi trovato quello che cercavo, cioè buone condizioni, sarei stato disposto a fermarmi. Alla fine ho fatto una buona carriera. Non faccio questo anno in più perché mi serve un contratto o perché devo ottenere chissà quale risultato. Vado avanti perché sento di stare bene, di poter aiutare la squadra… Vado avanti perché mi piace correre! Altrimenti non avrei continuato. Alla mia età non è facile. Anzi, è sempre più difficile. I giorni lontani da casa sono tanti, ho due bambine. Insomma, se non avessi trovato, sarebbe andata bene comunque.
Chiaro…
Sylvain (Adams, il team manager della Israel-Premier Tech, ndr) mi ha proposto un anno con opzione di rinnovo, ma io ho detto no: «Devo sapere che questo è l’ultimo anno e voglio dare il 120 per cento per questo». Volevo idee chiare e precise proprio per essere ancora più concentrato.
Al dopo hai già pensato?
Non troppo. Lo farò quando sarà il momento giusto. Con mia moglie abbiamo messo su un brand di abbigliamento sportivo e il da fare non manca. Poi sono convinto che quando davvero avrò smesso qualcosa succederà. Tutto è aperto.