Caruso si prepara per la campana dell’ultimo giro

17.10.2024
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A Ragusa il tempo è sempre bello e, quando fa brutto, di solito dura poco. Damiano Caruso è tornato a casa il giorno dopo il Lombardia. Il sabato si è fermato a Milano con i compagni per una pizza e la domenica ha preso un volo verso casa. Per i suoi gusti, dice ridendo, i 27 gradi degli ultimi giorni sono anche troppi, ma è pur vero che laggiù l’inverno non è mai rigido come in qualsiasi altra parte d’Italia. La stagione non è stata indimenticabile, piena più di imprevisti che di soddisfazioni, e questo fa pensare. Quando è a casa, Damiano si riconnette con le sue origini e il periodo senza bici diventa una fase di bilanci necessari.

«Cerchiamo di vivere come una famiglia normale – dice – dedico più tempo ai bambini che mi chiedono se li porterò io a scuola. Vedono gli altri papà che ci sono sempre, mentre io non posso quasi mai. Durante l’anno, se mi chiedono di fare un giro sullo scooter, magari devo dirgli di no perché sono stanco. Non sempre riusciamo a uscire per un gelato. E allora cerco di recuperare. Li accompagno a fare sport il pomeriggio. E dedico del tempo anche a Ornella, mia moglie: un pranzettino, una cena, quello che si può».

Il Lombardia di Caruso è stato una fuga dal chilometro zero, conclusa con il ritiro per i crampi
Il Lombardia di Caruso è stato una fuga dal chilometro zero, conclusa con il ritiro per i crampi

I sacrifici di tutti

Ristabilire il senso di normalità che lo stile di vita del corridore spesso impedisce. Anche perché i sacrifici non sono solo quelli degli atleti, ma investono il resto della famiglia.

«Mia moglie è abituata a stare da sola – ammette – a sbrigarsi le cose. Però i bambini nella loro sincerità, certe volte te lo dicono: “Papà basta, rimani a casa, non partire, rimani con noi”. Insomma, certe volte te ne vai anche con un po’ di male al cuore. Ti dici: “Cavolo, ma ha senso tutto questo?”. Per fortuna poi ricordo che siamo dei privilegiati e quindi vado a fare quello che devo fare, il mio lavoro, con altre motivazioni. In certi casi infatti tutto questo è anche uno stimolo. Nel senso che devi fare tesoro e far fruttare il tempo sottratto alla famiglia. Non sprecarlo bighellonando in giro, dargli un senso facendo bene il tuo lavoro».

Milan e Caruso, il giovane e il più esperto: fino allo scorso anno correvano insieme
Milan e Caruso, il giovane e il più esperto: fino allo scorso anno correvano insieme

Una stagione faticosa

Forse una stagione faticosa come l’ultima rende il distacco più faticoso, anche se a 37 anni sai benissimo cosa ti aspetta. Sai anche e soprattutto che non si può portare indietro il tempo e allora magari vai a cercare le motivazioni in altri angoli della mente.

«In questo momento non è la nostalgia che mi dà fastidio – spiega – quanto piuttosto il fatto che il fisico cominci a non rispondere e a recuperare come prima. Là fuori il livello è altissimo, quindi magari parti da casa sapendo che i tuoi numeri sono buoni, invece arrivi in gara e prendi una batosta. Forse bisogna cominciare a guardare in faccia la realtà. Se poi becchi una stagione come la mia, che è stata abbastanza complicata tra cadute e malanni, allora ti ritrovi tutto il tempo a inseguire. Solo che se inizi a inseguire da inizio stagione, spesso insegui tutto l’anno. A 37 anni, la paghi cara. E’ vero che di testa sei più forte e riesci a superare meglio il momento di difficoltà. Però a un certo punto ti accorgi che non bastano solo l’esperienza e la grinta. Ci vogliono anche le gambe».

Giro d’Italia, si va verso il Mottolino. Zambanini, Caruso e Tiberi nella scia di Pogacar: la Bahrain Victorious c’è
Giro d’Italia, si va verso il Mottolino. Zambanini, Caruso e Tiberi nella scia di Pogacar: la Bahrain Victorious c’è

Gregario di Tiberi

Il suo ruolo nel Team Bahrain Victorious, di cui è uno dei senatori, è stato per tutto il 2024 quello di stare accanto ad Antonio Tiberi, perché potesse fare esperienza con una maniglia importante al fianco.

«Posso dire che il Giro – ricorda Caruso – è stato il momento in cui ero più performante. Solo che per stare vicino al tuo capitano che fa classifica, devi essere forte quasi quanto lui. E comunque per raggiungere quel livello devi lavorare quanto lui e anche di più, perché lui magari è toccato dal talento. Quello che è stato dato a me, l’ho sfruttato al 100 per cento, ho raggiunto il massimo che potevo. Potevo forse svegliarmi prima, ma in quegli anni i giovani dovevano crescere con calma. Era un altro ciclismo, non era permesso bruciare le tappe. L’unica cosa che mi auguro per la prossima stagione è di divertirmi e avere un anno liscio, a prescindere dai risultati».

Anche la Vuelta nel 2024 di Caruso, che qui posa per un selfie con il grande meccanico Ronny Baron
Anche la Vuelta nel 2024 di Caruso, che qui posa per un selfie con il grande meccanico Ronny Baron

Suona la campana

Non sarà un inverno particolare, insomma. Non ci sono motivazioni da recuperare, quelle ci sono. Come lo chiami uno che cade a Burgos e quattro giorni dopo corre a San Sebastian con dieci punti nel ginocchio?

«La motivazione in più – ammette – sarà tutto quello che farò a partire da ora, dopo i 15 giorni di vacanza che mi attendono. Quando ricomincerò, suonerà la campana dell’ultimo giro e ogni cosa sarà per l’ultima volta. Sto cercando di auto-motivarmi, perché non voglio finire l’anno trascinandomi. Sicuramente mi piacerebbe tornare al Giro d’Italia con il massimo della condizione e divertirmi. Certo, il Lombardia mi ha dato da pensare. E’ vero che l’ho corso debilitato dal virus intestinale, ma è stato incredibile. Poche volte abbiamo affrontato una Monumento con l’atteggiamento di corsa da 150 chilometri. Da quando ho attaccato al chilometro zero a quando mi sono staccato per i crampi, non ho mai mollato una pedalata. Io qualche Lombardia l’ho fatto, però non avevo mai visto una roba così».

Pogacar, il Lombardia e il peso della borraccia

16.10.2024
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Durante la diretta del Lombardia la scena di Pogacar che parla col massaggiatore sulla Colma di Sormano è stata mostrata a tutte le velocità possibili. Si è cercato di capire se lo sloveno avesse bisogno di qualcosa e non della borraccia. Ma soprattutto si è ammirata la sua scioltezza nel parlare, quasi stesse passeggiando. E proprio per questo e perché quel massaggiatore è una nostra vecchia conoscenza, ci è venuto in mente di chiamarlo.

Paco Lluna ha 55 anni e vive a Valencia. Fra le curiosità di questo 2024 accanto a Pogacar, c’è che anche lui a distanza di 26 anni è riuscito nella doppietta Giro-Tour, dato che nel 1998 lavorava nella Mercatone Uno. E siccome di ciclismo ne sa tanto, siamo partiti da quell’episodio e poi siamo andati avanti.

Che cosa vi siete detti in quel momento?

Io ero in quel punto perché abbiamo un piano delle borracce fatto da Gorka, il nutrizionista. Immaginando che Tadej sarebbe partito da lontano e sarebbe passato in fuga, invece di avere solo la borraccia dell’acqua, aveva anche quella di Isocarbo, in modo da poterlo accontentare qualunque cosa volesse. Però io ero a sei chilometri dalla vetta. Quando lui mi vede, io gli chiedo: «Acqua o Iso?». E lui mi risponde: «C’è qualcuno in cima?». E quando gli ho risposto di sì, mi ha detto: «Allora la prendo dopo».

Lucidissimo, insomma…

Quando hai le gambe, fai ugualmente fatica, però sei lucido. Adesso guardano i dati e li analizzano, ma perché devi portare 200 grammi in più con una borraccia sulla bici? Meglio prenderla in cima, quando la salita è finita.

Avevi scelto tu il punto in cui posizionarti?

No, i punti li prepara il direttore sportivo, in base alle strade e alla possibilità di tagliare per andare in altri posti. Si è pensato che in quel punto avrebbero avuto bisogno di acqua per rinfrescarsi. Ma siccome lui stava bene, ha preferito lasciare a me la borraccia. Ha valutato che non gli servisse altro per fare quei 6 chilometri, come al Giro dell’Emilia.

Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Cosa ha fatto all’Emilia?

Io ero su, non all’arrivo, ma nello strappo subito dopo dove in tutti i giri ha preso la borraccia. In salita non ce l’aveva mai. Beveva in discesa e nel pezzo di pianura e buttava la borraccia prima di ricominciare a salire. Tadej ha fatto tutte le salite del San Luca senza la borraccia, neanche vuota. Si fanno mille storie su watt e numeri, senza pensare che a volte si porta troppo peso per niente.

Questi sono dettagli che cura con Gorka?

Gorka gli dà le direttive. Ma Tadej sa se deve mangiare oppure no. Se gli manca il gel oppure no. Quando diamo le borracce, attacchiamo anche il gel che è previsto dal nutrizionista. Ci sono tanti tipi di gel, non diamo sempre lo stesso. Ma al Lombardia ha pensato che conosceva quei 6 chilometri di salita, perché li aveva fatti qualche giorno prima in allenamento. Quindi poteva arrivare in cima senza niente e prendere sopra quello di cui avesse avuto bisogno.

Il bello è che ha parlato come stiamo parlando adesso noi due…

Forse abbiamo alzato un po’ la voce per il rumore intorno, io di certo ho urlato per farmi capire. Perché c’è rumore delle moto, dell’elicottero, delle macchine. E meno male che era un posto senza tantissima gente, perché se c’è anche la gente, ciao…

Ti è capitato altre volte di trovarlo così lucido in altre corse?

Da neoprofessionista, la prima volta che ha fatto la Vuelta e aveva 19 anni. Nell’ultima tappa che vinse, fece un numero del genere. Mi ricordo che in quei momenti voleva la Coca Cola in corsa e allora quando potevo gli davo la lattina aperta. Lui la prendeva, ne beveva subito un po’ e poi buttava la lattina. Adesso rispetto ad allora è arrivato a un’altra maturità e a un altro livello come atleta. Lì era ancora un bambino e anche quando ha vinto il primo Tour era ancora un bambino. La gente dice che non è normale, ma guardate quello che faceva quando era ancora così piccolo.

Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Tu che hai conosciuto anche l’altro, cosa vedi in comune?

Come atleta magari niente, ma la gente sta diventando pazza di lui come era pazza di Marco. Lo dicevo a Johnny Carera, il suo manager: «Delle volte mi sembra di aver già vissuto tutto questo, sai?». La gente non va a vedere il ciclismo, ma va a vedere Tadej. In quei tempi la gente non andava a vedere il ciclismo, ma andava a vedere Marco. Ho una foto del Giro dell’Emilia che ho tenuto per me. C’è Tadej con dietro i cartelli per Marco. Quella foto lì mi emoziona, come quando ho mandato a Tadej una foto della Tirreno in cui sul Carpegna passava davanti alla statua di Marco. Ma come corridore no. Pogacar è più completo, ma come Marco è benvoluto da tutti.

Spiega meglio per favore.

Lo vedi che si allena a Monaco con tanti corridori diversi, non solo con compagni di squadra, ma anche con altri che se ne sono andati. L’altro giorno Tim Wellens ha pubblicato nel nostro gruppo whatsapp un video in cui Evenepoel gli faceva i complimenti per il mondiale. Anche Marco era benvoluto nel gruppo. Se parli con i corridori di quell’epoca, anche quelli della Mapei gli volevano bene, nonostante tutto quello che noi avevamo contro loro e loro avevano contro noi. Anche Tafi oggi parla benissimo di lui. Hanno un carisma simile, che anche gli avversari riconoscono. In questo forse un po’ si somigliano davvero…

L’ultima corsa di Barbieri, dal primo Sagan al podio di Ciccone

15.10.2024
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COMO – Erano tutti presi a salutare Dario Cataldo all’ultima corsa e nessuno si è soffermato a pensare che il Lombardia è stato l’ultima corsa anche per Paolo Barbieri. Gli addetti stampa arrivano dopo e stanno sempre un passo indietro. Infatti al bus della Lidl-Trek il bergamasco è arrivato per ultimo, proprio mentre stavamo salutando Ciccone fresco del podio dietro Pogacar e Remco.

Il ritiro di un addetto stampa, che oggi si dice press officer, riguarda le persone con cui ha lavorato: quindi la squadra e i giornalisti. Per il mondo fuori sono figure che si vedono raramente. Di fatto vivono accanto al corridore e hanno il compito, quando lavorano bene, di avvicinarlo alle richieste dei media. Un filtro e un interprete, capace di far capire al giornalista che l’atleta ha tempi ed esigenze e all’atleta che il giornalista ha ugualmente tempi ed esigenze. E Barbieri, nei 16 anni di collaborazione, ha sempre fatto la sua parte.

Perché dedicare un articolo a un addetto stampa che cambia lavoro? Perché il suo sguardo ha visto i nostri stessi corridori, ma dall’interno. Un punto di vista privilegiato attraverso cui rileggere alcuni momenti del ciclismo recente. Paolo, classe 1982, aveva 26 anni quando mise per la prima volta il naso in gruppo, al Giro delle Fiandre del 2008. Lo portò Gabriele Sola, che con la sua agenzia gestiva la comunicazione della Liquigas. Un primo assaggio prima di essere catapultato nel Giro d’Italia dello stesso anno. Quello delle tre tappe e la ciclamino di Bennati, di qualche giorno in rosa di Pellizotti e quello con Cataldo, Noé e anche Nibali. Cominciò tutto così, con un passaggio intermedio alla Bardiani quando la Liquigas divenne Cannondale, poi l’approdo nel gruppo Trek. E ora che ha deciso di cambiare lavoro, siamo curiosi di farci raccontare quello che lui ha visto e che a noi è per forza sfuggito.

Barbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di Lidl
Barbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di Lidl

I corridori

«I corridori sono persone altamente sotto pressione, dall’esterno e dall’interno. Non tanto le squadre, quanto le pressioni che si mettono da soli. I giovani passano con delle aspettative incredibili, è un carico che può schiacciarti. Sono ragazzi diversi rispetto a quelli che incontrai nel 2008, perché la tecnologia ha creato dei rapporti personali molto diversi. Sono ragazzi più preparati sotto tutti i punti di vista, forse troppo per l’età che hanno. In più sono globalizzati e questo secondo me è positivo. La cosa che secondo me non è mai cambiata è che i ciclisti sono consapevoli, forse per la fatica che fanno, della loro umanità. E non è mai cambiato il rapporto col pubblico. Sono un po’ meno accessibili, si sono creati un po’ di barriere, ma non ho mai visto un corridore negare un autografo.

«Se lavori con un campione, hai tanto lavoro in più, però è la parte più eccitante. Ti trasmette adrenalina, anche se non sono tutti uguali. Ci sono campioni che hanno dietro anche un background culturale e personale, con cui lavorare diventa molto più bello. Ciccone ad esempio è quello con cui ho speso più anni, sin dalla Bardiani. Con lui sono riuscito a creare un vero rapporto di amicizia, che è una cosa bella. Quello con il campione è un lavoro di grande mediazione. Non di rado capita di scontrarsi e ingoiare dei bocconi amari. Certe volte con qualcuno devi essere quasi il fratello maggiore…».

Lombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con Nibali
Lombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con Nibali

L’addetto stampa

«Anche questa è una figura che è cambiata tanto, più che altro per le tecnologie. Quando ho cominciato, il press officer era veramente al servizio della stampa, che era il principale veicolo delle immagini del team e del suo messaggio. Con l’avvento dei social network, tutto è cambiato. Adesso anche noi possiamo e vogliamo comunicare direttamente con i tifosi. Detto questo, io ho sempre ribadito ai miei colleghi più giovani e anche ai manager che le cose devono andare di pari passo.

«Sei tra l’incudine e il martello. Talvolta è un lavoro ingrato nei confronti della stampa. Dall’altra parte sei quello che va “rompere le scatole” al corridore per fare interviste, quando magari non ne hanno voglia. Una parte del nostro mestiere è far capire l’importanza e la bellezza di collaborare con i media. Poi sta alla sensibilità del giornalista tirar fuori qualcosa di più e, in quel caso, anche gli atleti più recalcitranti sono in grado di apprezzare».

Il primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismo
Il primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismo

Peter Sagan

«Sapete cosa faceva scattare Peter? Perdere! Ricordo ancora una Tirreno-Adriatico, cronosquadre. Passano il traguardo col primo tempo. Io sono sulla linea d’arrivo e vedo che la Greenedge ci batte di due secondi. Arrivo lì e i ragazzi chiedono se dobbiamo andare al podio per la vittoria. Non ho neanche il tempo di dire che gli australiani hanno appena fatto meglio, che Peter sbotta. “Ma no! Vieni sempre a darci brutte notizie, ma com’è possibile?”. Lui quando perdeva era così. Tant’è che poi la sera venne a bussarmi in camera e si scusò per aver esagerato. La sua grandezza era anche questa.

«Peter è stato l’esperienza più bella della mia carriera (foto @brakethroughmedia in apertura, ndr). Ero giovane, andavo alle corse un po’ più leggero. Ricordo le esultanze del Tour, vederlo diventare una calamita. Era una rockstar e non aveva bisogno di essere filtrato o che tenessimo a bada i media. Direi che non ho ricordi di grandi problemi, a parte purtroppo l’incidente diplomatico sul podio del Fiandre che adesso sarebbe vissuto in maniera totalmente diversa. Peter è sempre stato una persona abbastanza aperta, in più si era creato un rapporto di fiducia tale che a volte ero anche il suo portavoce. Sapevo di non sbagliare, ma questa è una cosa che puoi fare passandoci molto tempo insieme. Quei primi anni furono il periodo più bello, poi credo che sia diventato un altro Peter».

E’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e Froome
E’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e Froome

Vincenzo Nibali

«Vincenzo è il corridore con cui ho lavorato alla Liquigas e che poi ho ritrovato dopo alla Trek-Segafredo. Non dico che non sia cambiato, però Vincenzo è così. Vincenzo non ha maschere, non recita. Da giovane era un ragazzo timido e introverso. Adesso è un uomo non più timido, ma comunque introverso. Con lui ci vuole tempo per costruire un rapporto, ma ovviamente averci lavorato prima mi ha facilitato. E’ stato come riannodare un filo dopo gli anni che aveva fatto con Geoffrey Pizzorni all’Astana. E’ un ragazzo cui devi spiegare bene le cose fino a convincerlo. Perché Nibali era focalizzato al 100 per cento sulla performance.

«L’unico rammarico che ho è che non abbia chiuso qua, cosa di cui avevamo anche parlato. Uno dei ricordi più belli che ho di lui è quando fece il podio al Tour de France, con Peter che vinse la maglia verde. Era il 2012 e fu un momento bellissimo, molto toccante. Vederlo sul podio emozionato, anche da italiano fu un momento da pelle d’oca!».

E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)
E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)

Il ciclismo femminile

«E’ stato una bellissima scoperta. All’inizio le ragazze sono più diffidenti, ma credo sia normale. L’uomo è più compagnone, ma hanno lo stesso modo di intendere il ciclismo. Sono due mondi diversi. Pensate solo l’accesso al pullman: con gli uomini è libero, con le donne bisogna avere necessariamente più attenzioni. I livelli di stress sono differenti, a volte gli uomini sono più stressati. Le nostre campionesse, Lizzie Deignan e le due Elise, sono sempre molto sicure di loro stesse. E’ stata una bellissima scoperta dal punto di vista umano. Sono diverse, sono più profonde e la confidenza te la devi conquistare.

«Quando ci sono momenti delicati, devi fare un lavoro di protezione dall’ambiente esterno. Non si tratta di sostenerle, ma fargli capire che sono al sicuro. Sono molto più attente degli uomini rispetto a quello che viene scritto. Leggono di più, si informano, sono sensibili. Per cui è un lavoro molto più di mediazione, sapendo che sono molto attente anche a quello che dici. E alla fine si sono creati dei rapporti intensi».

Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)
Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)

I giornalisti

«Negli ultimi due anni ho chiesto espressamente di essere riferimento dell’ufficio stampa. Avere a che fare con i giornalisti è la parte del lavoro che mi piace di più. I social li gestisco, ma preferisco coltivare i rapporti personali. Questo a volte contempla anche lo scontro, ma credo di lasciarmi bene col 90 per cento di voi. Sarà una liberazione, per tanti motivi, non sentirne più una piccola percentuale. Non certo per il lavoro, ma perché alcuni sono arroganti e pensano che il giornalismo sia intoccabile o quasi inappellabile.

«A me piace quando c’è un confronto, accetto anche che mi si dica il contrario. A volte arriviamo a un compromesso. Posso accontentarti su tutto, mentre a volte sono costretto a dire di no perché non si può».

Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)
Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)

Il ritiro

«Smetto perché mi è arrivata una proposta che non è stata cercata. Ho un contratto, mi trovo bene, mi sento valorizzato. Sono nella squadra dove volevo essere, in una situazione perfetta. A casa ho una bambina che cresce bene, una moglie che mi vuole bene e che sopporta le assenze. Ho la serenità per riflettere e capire che a 42 anni, è meglio fermarsi così che arrivare più avanti e fermarsi perché non ne puoi più. Lo vedo che non tutte le corse sono ancora esaltanti come il primo giorno.

«Mi dispiace solo dover lasciare Johnny Milan nel pieno della sua esplosione. Ma arrivo a questo giorno dopo averlo comunicato alla squadra a luglio. Ho veramente avuto modo di decidere con la massima serenità. Ieri abbiamo fatto un brindisi con lo staff. Non vado via a cuore leggero, so cosa lascio. Ma si sa che per fare le scelte più belle, devi passare anche attraverso un po’ di dolore».

Garofoli e la Soudal-Quick Step: primi passi del rilancio

14.10.2024
5 min
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GRASSOBBIO – La singolare coincidenza dello stesso hotel alla vigilia del Lombardia ha fatto sì che l’ufficio stampa della Soudal-Quick Step abbia incontrato Gianmarco Garofoli per realizzare il contenuto pubblicato stamattina alle 11. Dopo la Vuelta le trattative hanno avuto una rapida accelerazione. Nei giorni del mondiale avevamo saputo dell’interessamento della squadra belga, l’accordo è arrivato subito dopo. Dal prossimo anno, Garofoli correrà alla corte di Lefevere, guidato da Davide Bramati. Se c’è qualcosa da tirare fuori, questa potrebbe essere la squadra giusta.

«Sono veramente molto emozionato per questa possibilità – dice Garofoli – perché vado in una squadra che ha anche una grande storia. Le emozioni contano veramente tanto. Mi sembra di vivere il mio sogno di quando ero bambino. Far parte di queste grandi squadre, avere l’opportunità di correre e anche a buon livello».

A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
Che cosa è cambiato quest’anno?

E’ stato molto importante. Venivo da annate difficili, soprattutto dopo il periodo del Covid e il mio problema di salute, la miocardite. Questo invece è stato un anno chiave. Ero partito dall’inverno per fare una bella preparazione e mettere tutte le cose in fila. Ho ritrovato me stesso e durante la Vuelta ho avuto delle belle sensazioni. Essere lì e lottare con i grandi nomi mi ha fatto venire i brividi. Dopo tanto tempo ho realizzato che riesco ad andare davvero forte. Ho ricominciato a vivere emozioni che avevo perso da parecchio tempo.

Temevi di averle perse?

No, dentro di me ho sempre creduto in me stesso, anche se sono stati anni difficili. Non nascondo che qualche volta non mi sono sentito all’altezza. Però sono stato forte, ho perseverato e sono riuscito ritrovare queste belle emozioni. Ritrovarmi accanto a Pogacar all’Emilia quando ha attaccato, in qualche modo è stato importante.

La Vuelta è stato il tuo primo grande Giro, fosse stato per te lo avresti fatto prima?

A inizio anno non era previsto che facessi un Grande Giro. Magari non ero ancora pronto, non avevo fatto gli step che servivano. Poi, per diverse situazioni, già durante la seconda parte di stagione si vociferava di questa mia partecipazione alla Vuelta. E verso fine luglio ho avuto la notizia che sarei partito e sono stato molto contento.

Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Come è andata?

Mi ha cambiato. Il Grande Giro di tre settimane ti cambia il motore, ma soprattutto per ora mi ha dato tanta sicurezza in me stesso e consapevolezza dei miei mezzi. Il fatto che non ci abbia provato prima probabilmente è dipeso dai problemi di salute delle ultime due stagioni. Sono rimasto un po’ indietro rispetto alla mia generazione, rispetto a Piganzoli e Milesi, per esempio. Sto facendo i passi che loro magari hanno fatto prima, però sono contento di essere ormai sulla strada giusta.

Le emozioni di stare davanti con i grossi nomi alla Vuelta somigliano alle emozioni di quella prima sfida con Scarponi a Sirolo, tu ragazzino e lui vincitore del Giro?

Emozioni differenti (si commuove, ndr). Quella volta a Sirolo, vedevo Michele come un campione, un sogno, la realizzazione di un mio sogno. Michele era una guida. Invece le emozioni che ho provato alla Vuelta erano legate alla sicurezza in me stesso, alla fiducia che avevo un po’ perso. Emozioni simili, ma diverse.

Che cosa ti avrebbe detto Michele dopo la Vuelta?

Che sono andato forte!

All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
Dal prossimo anno sarai con Bramati: che cosa pensi della figura del direttore sportivo?

Secondo me è una figura molto importante, qualcuno di cui potersi fidare. Che ti aiuta e magari fa da mediatore fra te e la squadra. Secondo me il direttore sportivo è anche colui che riesce a indirizzarti e a guidarti verso la strada giusta. Sono uomini che hanno già fatto queste esperienze molto prima. Per il momento ho parlato con Bramati. Prima avevo fatto una videochiamata con Jurgen Foré, il direttore operativo, ed è stato un bel dialogo. Mi è piaciuto come mi ha descritto la squadra, sono contento che siamo riusciti a concludere il tutto.

Ti hanno chiesto qualcosa in particolare?

Per il momento non ancora, è presto. Vado nella squadra di un grande leader: quando c’è Remco, si lavora per lui, come è giusto che sia. E’ quello che cercavo. Secondo me una figura che mi è mancata in queste due stagioni da professionista è stato un leader, una figura a cui potevo ispirarmi e da cui potevo prendere qualcosa. Sono veramente emozionato di poter correre con lui e farò tanta esperienza con la possibilità di vedere una gara differente.

Rimani in una grande squadra: hai mai avuto la sensazione che saresti dovuto andare in una squadra più piccola?

Sono sincero, prima della Vuelta avevo un po’ d’ansia e mi sentivo un po’ sconfortato. Non ero tranquillo. Dopo la Vuelta, parlando anche con i ragazzi, i miei genitori che sanno tutto, ho ritrovato la serenità.

Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Che cosa è cambiato?

Quello che cercavo erano risposte da me stesso, non dagli altri. E’ importantissimo trovare la squadra e l’ambiente giusto, però dovevo soprattutto ritrovare me stesso e tornare a fare delle belle prestazioni. Perché al di là dei risultati, che magari per un motivo o per un altro non arrivano, in Spagna ho fatto delle belle prestazioni. Perciò dopo la Vuelta, anche se non avevo ancora una squadra, ero sereno per quello che sarebbe stato il mio futuro.

Secondo te tuo padre ha seguito tutta la Vuelta perché ti aveva visto così poco sereno?

Mio padre ha sempre creduto in me, forse più di quanto ci creda io. Ha sempre cercato di starmi vicino e di non farmi dimenticare chi sono. Per me è stato importante averlo vicino. Tante persone mi dicono che per me è una pressione averlo sempre accanto, invece no. Per me è un valore aggiunto.

Evenepoel, la grande fatica di imparare a perdere

14.10.2024
4 min
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Forse non è mai stato facile, anche se poteva sembrarlo. Di certo da quando Pogacar ha alzato il numero dei giri, essere Remco Evenepoel è diventato un lavoro molto più difficile. La sua estate è stata spettacolare e pesante. Dopo il terzo posto del Tour, che va considerato un grandissimo risultato, il belga ha tirato dritto verso le Olimpiadi e le ha vinte entrambe: a crono e su strada. Solo a quel punto ha staccato la spina, ma nei 30 giorni passati fra la gara in linea di Parigi e l’inizio del Tour of Britain, Remco ha recuperato davvero poco. Al punto che andare nel Regno Unito è diventato il modo per sfuggire al tritacarne mediatico cui è stato sottoposto in patria.

Ugualmente ha vinto il mondiale crono, mentre su strada si è dovuto inchinare all’impresa di Pogacar. Il quale, conquistata la maglia gialla a Nizza, si è allenato sin da subito, ma di fatto ha avuto 43 giorni per recuperare e ricaricare le batterie. Se metti un Pogacar moderatamente fresco contro un Evenepoel moderatamente finito, il lavoro di essere Remco diventa un’impresa a perdere. Il suo gesticolare all’indirizzo degli altri nell’inseguimento allo sloveno al Lombardia era il segno di un comprensibile nervosismo con cui dovrà imparare a convivere. Non è facile perdere ogni volta, quando si è abituati a vincere.

Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto
Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto

La batterie scariche

Dopo il Lombardia, Evenepoel ha pianto. Sul traguardo si è chinato sul manubrio, ha tolto gli occhiali e si è asciugato gli occhi. Non deve essere stato facile per lui ripassare sul ponticello del suo orribile salto nel vuoto e insieme tenere testa alla furia di Pogacar.

«Tutti sanno come era andata qui a Como quattro anni fa – ha detto – e quest’anno la corsa è ripassata per la prima volta nello stesso punto, sia pure in direzione opposta. Da allora, non è più stato facile venire da queste parti. La mia prestazione è stata in linea con il Tour de France. In quel caso, Tadej mi ha preceduto di 9 minuti, ma ne avevo 10 su quelli dietro di me. Qui è successa la stessa cosa. Lui ha vinto con 3 minuti di vantaggio, ma fra me e quelli dietro c’era ugualmente un bel margine. Il secondo posto lo considero una vittoria personale. Nell’ultima settimana ho sentito che le batterie si stavano scaricando, ma sono rimasto calmo. Ho corso il Giro dell’Emilia e la Coppa Bernocchi come allenamento. E oggi questo ha dato i suoi frutti, con il secondo posto nell’unica Monumento che ho corso quest’anno. Ho quasi realizzato tutti i miei sogni, con il podio al Tour e due medaglie d’oro ai Giochi Olimpici. Quindi posso essere orgoglioso, penso di meritarmi un 9 in pagella».

Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour
Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour

Il dominio nei numeri

Singolarmente rispetto alle abitudini, ieri sia Pogacar sia Evenepoel hanno pubblicato su Strava i file dei reciproci Lombardia. Risulta che Pogacar ha trascorso 5 ore 58’ in sella, coprendo i 247,7 chilometri (dislivello di 4.470 metri) a 41,4 di media. Ha consumato 5.013 calorie e ha pedalato a 93 rpm medie.

Il suo attacco sulla Colma di Sormano (13,05 chilometri al 6,6 per cento di media) gli ha permesso di conquistare il KOM in 30’18” alla media di 25,9 di media. Evenepoel ha impiegato 31’23” a 25 di media.

Pogacar ha fatto la differenza nei tratti ripidi. Nel segmento “Tratto duro” della salita (2,38 chilometri all’8,2 pe cento), Tadej ha impiegato 5’53” (media di 24,3 km/h), contro 6’27” (a 22,1 di media) di Evenepoel.

L’unico segmento in cui il belga non ha perso è stato la discesa: 9,6 chilometri percorsi quasi nello stesso tempo: 9’37” per Pogacar, 9’38” per Evenepoel. Ha invece continuato ad accumulare passivo nel tratto conclusivo di pianura. Pogacar ha pedalato nel tratto “Albavilla da Buccinigo” a 38,8 chilometri orari. Evenepoel, che magari a quel punto era già rassegnato, pedalava a 35,8 di media.

Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa
Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa

Incidente e calendario

La domanda che tutti si pongono è se ci sia in giro qualcuno in grado di contrastare Pogacar. E casomai se sia più prossimo a riuscirci Vingegaard che si sta ricostruendo oppure il più giovane Evenepoel, che ha solo 24 anni: due meno dello sloveno.

«Devo restare paziente – ha detto Evenepoel – perché posso ancora ridurre il gap su Tadej e avvicinarmi a lui. La mia prestazione del Lombardia è resa promettente dal vantaggio che alla fine ho avuto su Ciccone (1’15”, ndr). Questo è ciò che mi dà fiducia per il futuro, sapendo che devo continuare a lavorare in montagna, perdere peso per raggiungere questi obiettivi. Ho ancora margini di miglioramento, qualche percentuali da guadagnare. Quest’anno è stato particolare, perché l’infortunio ai Pasi Baschi mi ha impedito di fare una pausa prima del Tour. Ma nonostante ciò sono sempre riuscito a fare il massimo di quello che volevo».

Pogacar fa poker ed entra nella storia del Lombardia

12.10.2024
6 min
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COMO – Sono quattro Giri di Lombardia per Tadej Pogacar, tutti conquistati in un unico filotto, come fatto da Fausto Coppi tra il 1946 e il 1949. Mentre era dal 2006 che il campione del mondo non vinceva la Classica delle foglie morte, l’ultimo a riuscirci sempre sul traguardo di Como è stato Paolo Bettini. L’ultimo a rifilare un distacco così grande al secondo classificato, oltre tre minuti, fu Eddy Merckx. Il corridore sloveno che rifiuta l’accostamento con il passato ci costringe però a guardare all’albo d’oro alla ricerca di un’altra impresa simile. L’ennesima di una stagione che gli ha regalato 21 vittorie, di cui 17 arrivando da solo sotto lo striscione dell’arrivo. Tutte tranne una se escludiamo le due cronometro. L’unica volta che ha battuto un diretto rivale in uno sprint era marzo a Barcellona, nell’ultima tappa della Vuelta a Catalunya. C’è stata poi la volata ristretta a Prati di Tivo al Giro d’Italia.

Lo aveva detto ieri pomeriggio, nella conferenza stampa della vigilia, di come si senta più sicuro nell’arrivare da solo al traguardo. E come spesso fatto in questa stagione fantastica ha messo in scena il copione che aveva in mente e noi, spettatori inermi, abbiamo assistito allo spettacolo unico del suo talento. 

Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia
Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia

Da Siena a Como

La bici al cielo sulle sponde del lago di Como, a riallacciare il filo con la sua prima vittoria stagionale, quella in Piazza del Campo a Siena. Pogacar arriva in conferenza stampa con una giacca che riporta i colori dell’iride più grande di almeno due taglie. Con Il Lombardia lo sloveno ha concluso la sua stagione, ora ha voglia di andare in vacanza. Lo si capisce dagli occhi scavati dalla fatica dei 58 giorni di corsa disputati e dei quasi 10.000 chilometri messi sotto le ruote. Risponde in fretta alle domande e saluta tutti con la promessa di rivederci nel 2025 con nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere.  

«Ho voluto concludere la stagione così come l’avevo iniziata – dice in conferenza stampa con una risata – con la bicicletta al cielo. Spero in una bella foto».

A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
Quanto è stato importante per te oggi il lavoro di Hirschi, il quale è rimasto molto tempo a tirare il gruppo?

Tutta la squadra è importante, ogni compagno svolge un ruolo fondamentale durante la corsa e sono contento di avere questi campioni che lavorano per me. Anche Pavel (Sivakov, ndr) ha fatto un lavoro eccellente sulla Colma di Sormano. Poi è stato bravo a rimanere lì ed arrivare tra i primi sei al traguardo. Ma tutti si impegnano per un unico obiettivo: vincere. 

Una volta che hai avuto un buon vantaggio e sapevi che avresti vinto, cosa ti è passato per la testa?

Mi sono goduto molto gli ultimi momenti, la parte finale della gara: i tifosi sono stati fantastici. Sono molto felice di finire la stagione in questo modo e di andare finalmente in vacanza con una vittoria. Quindi semplicemente direi che è stato molto bello percorrere gli ultimi chilometri dell’anno in questo modo.

A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
Con la vittoria nel quarto Lombardia, chiudi una stagione di successo, se dovessi scegliere un momento quale sarebbe?

Ogni successo ha la sua storia e le sue emozioni. Ma quest’anno, in cima a tutte, c’è il campionato del mondo. Penso sia difficile batterlo. 

In questo momento sei superiore a tutti gli altri, cosa pensi faccia la differenza?

Non so come rispondere, ma perché non lo so. Non vedo nella testa cosa pensano gli avversari e non vedo i loro numeri, forse è tutta una combinazione di fattori: forza, determinazione e un momento positivo per me. Ma di sicuro la motivazione, soprattutto dopo una stagione così lunga, per molti corridori è importante.

Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Qual è stato il momento più difficile della stagione?

Non ci sono stati particolari momenti complicati in bicicletta. Grazie alla squadra abbiamo pianificato un buon programma di gare. Non sono mai stato troppo stanco. Anche dopo il Tour de France quando ho saltato le Olimpiadi, è stato una buona decisione perché ho potuto recuperare e preparare il finale di stagione. 

Alcuni dicono che sei il killer del ciclismo moderno. 

Non vedo nessuno dire questo oggi sulla strada. Ho visto tanti tifosi. Per me è stata una bella gara oggi, 255 chilometri con tutte le persone sulla strada pronte a sostenermi e che hanno fatto il tifo per me e per tutti i corridori. Il che è sempre molto bello. Su Internet si possono sempre trovare persone che cercano di portare della negatività, ma non mi sembra che questo accada sulla strada. Quindi è questo che conta.

Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Ti rendi già conto di quello che hai fatto in questa stagione o ci metterai del tempo. 

Non lo so. Devo capire cosa ho fatto? Io l’ho fatto e basta. Per me l’importante è vivere il momento. Ora voglio andare in vacanza e riposarmi dopo questa bella stagione per affrontare la prossima, i prossimi obiettivi, le prossime sfide.

Sei rimasto un po’ sorpreso dall’alto livello di Evenepoel oggi, dopo che ha passato una settimana difficile?

No, mi aspettavo che fosse pronto. Sapeva che avrebbe dovuto fare un po’ di fatica perché era l’ultima gara dell’anno. Ed è stato davvero impegnativo per la mente ma ha dato il massimo per poi andare in vacanza perché ha avuto una stagione lunga e difficile, credo. Sì, forse nelle gare più piccole ha fatto più fatica a spingere fino in fondo ma oggi era una Monumento. Una gara bellissima che gli si addice. Ma sì, poteva spingere un po’ di più, credo.

Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Dici che non vedi l’ora di andare in vacanza, ma non sei dispiaciuto che sia finita? 

C’è anche la vita fuori dalla bici, quindi non vedo l’ora di fare anche quello.

Nemmeno il tempo di finire i saluti che il campione del mondo è già fuori dalla stanza che scende le scale verso Piazza Giuseppe Verdi. La stagione è terminata. E se anche fosse vero che non ha avuto momenti particolarmente difficili in bici Pogacar ha comunque messo nel mirino e conquistato due Grandi Giri, due Classiche Monumento e un mondiale. Le vacanze sono largamente meritate, non resta che aspettare il 2025 insieme per scoprire quali saranno i nuovi obiettivi di cui ha parlato. 

Pomeriggio con Pogacar: tattiche, ricordi e parole chiare sul doping

11.10.2024
7 min
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CAVENAGO – Mezz’ora a cavallo fra i saluti di fine stagione e un viaggio indietro nei mesi. Tadej Pogacar ha lo sguardo sereno e parla con tono pacato. Si indurisce solo quando due francesi gli chiedono sui sospetti di doping, ma dopo una fiammata nello sguardo, gestisce le risposte con grande realismo. I giornalisti attorno sono pochi, quelli che lo hanno raccontato per tutto l’anno e fanno domande mirate. Ne viene fuori mezz’ora che sarebbe impossibile da sbobinare alla lettera, ma che consegna una serie di risposte davvero piene di contenuti. Domani a quest’ora il Lombardia entrerà nel vivo, per ora fuori dall’Hotel Devero i ritmi sono blandi. Non c’è l’elettricità di inizio stagione, la consapevolezza permette di vivere ogni cosa con il giusto distacco.

Per il Lombardia, Pogacar ha due bici iridate, quella decorata per il mondiale e la quarta sarà una Colnago nera
Per il Lombardia, Pogacar ha due bici iridate, quella decorata per il mondiale e la quarta sarà una Colnago nera
Siamo alla fine di una stagione molto ricca per te e l’Italia questa volta è stata uno snodo speciale. Che rapporto hai sviluppato con il nostro Paese?

Mi sono divertito molto in Italia quest’anno. Ho iniziato con la Strade Bianche e molti allenamenti lì intorno. Mi sono preparato per il Giro e anche il Tour è iniziato da qui. E domani ci sarà il Lombardia. Devo dire che l’Italia mi ha trattato bene e mi sono divertito. Spero che nei prossimi anni potrò fare qualcosa di simile.

Finora hai puntato a vittorie che non avevi mai centrato, mentre il Lombardia lo hai già vinto per tre volte. Gli stimoli sono uguali?

Di sicuro voglio prefissarmi obiettivi diversi. Ma a questo punto della stagione, il Lombardia è il Lombardia e non ci sono molte altre gare simili da fare. E’ una bella corsa da fare ogni anno e se riesco a vincerne il più possibile, a me sta bene. Sono stato qui tre volte e per tre volte ho vinto. Vedremo domani. Se ci riesco, sarò felice. Se non ci riesco, mi sarò divertito ugualmente.

Tutti ti vedono come il grande favorito, forse la vera sorpresa sarebbe se non vincessi…

Penso che nel ciclismo non sia mai facile vincere, quindi non sarei sorpreso di non vincere. Però sono pronto a dare tutto un’ultima volta. La cosa principale sarà godermi la giornata. Spero nel bel tempo e poiché non ci sono molte gare di un giorno belle come il Lombardia, vorrei godermi il percorso e la giornata, qualunque cosa accadrà.

Alla Tre Valli Varesine, Pogacar si è esposto nel nome della sicurezza è ha ottenuto lo stop della corsa per maltempo
Alla Tre Valli Varesine, Pogacar si è esposto nel nome della sicurezza è ha ottenuto lo stop della corsa per maltempo
Dove trovi la motivazione alla fine di una stagione così?

E’ qualcosa che scopri dentro di te, per la squadra e per rispettare i programmi che sono stati fatti. Se fai un cambiamento alla fine della stagione, se scegli di non partire, tocca a un altro e non lo troverei corretto. D’altra parte, queste sono belle gare e io sono in buona forma. Mi sento bene in bici, quindi perché non continuare a correre finché non posso? E soprattutto avendo la maglia di campione del mondo, penso che potrò godermi ancora di più la gara.

Vincere è bello ma non è mai facile. Nelle ultime occasioni hai scelto la fuga da lontano, nel tuo gusto come sarebbe vincere lottando con qualcun altro sino alla fine?

Andare da soli porta con sé un po’ di rischio, devi sapere come stai. Alla Strade Bianche, sin dall’attacco ero abbastanza sicuro di poter vincere. Ai mondiali ho rischiato restando fuori per due ore e mezza e non sapevo se ce l’avrei fatta. Se invece si tratta di arrivare in uno sprint ristretto oppure a due, c’è molta più adrenalina, più che correre da soli. E’ fantastico vincere una volata, ma non sono un esperto, quindi preferisco andare da solo e assicurarmi di poter vincere.

Quando attacchi da solo, come a Zurigo o all’Emilia, ti sorprende che nessuno ti segua?

In Svizzera, di sicuro c’erano corridori che potevano seguirmi, ad esempio Evenepoel. All’Emilia eravamo più vicini al traguardo, pioveva, quindi è stato un giorno piuttosto duro. Ho espresso una grande potenza, lì potevo immaginare che nessuno mi avrebbe seguito. Ma non direi, come ho letto, che ho la stessa forma del Tour. Stiamo correndo gare di un giorno, è diverso da un Grande Giro in cui devi essere performante per tre settimane. Se oggi mi mettessi sulla linea di partenza del Tour, non credo che potrei farcela. Siamo in bassa stagione (sorride, ndr), si pensa alle vacanze. Se guardiamo il singolo giorno, magari i numeri sono gli stessi del Tour, ma gli sforzi non sono paragonabili.

Arrivare in una volata ristretta o anche a due dà grande adrenalina, ma non garanzia di vittoria. Meglio arrivare da soli
Arrivare in una volata ristretta o anche a due dà grande adrenalina, ma non garanzia di vittoria. Meglio arrivare da soli
Qual è secondo te il miglioramento più grande che hai fatto quest’anno come corridore?

Non lo so per certo. Una parte importante di me sta crescendo. Di sicuro sto maturando, ho più esperienza rispetto agli anni passati. E ormai ho un approccio diverso con l’allenamento e anche fuori dalla bici. Devo dire che quest’anno mi sono sentito più a mio agio in bici e ho avuto degli snodi nella stagione che hanno fatto crescere la fiducia.

Quali snodi?

La prima iniezione di fiducia c’è stata al Giro. Mi sono sentito bene, non ho avuto una brutta giornata e l’ho vinto. Nel periodo dopo il Giro, non avevo molti impegni e non ci sono state persone che mi abbiano disturbato, quindi ho potuto riposare e allenarmi in quota con Urska. E’ stato un periodo piacevole e rilassante e allo stesso tempo, una buona preparazione. Quella è stata la seconda parte in cui ho capito che potevo fare molto bene il Tour. E quando mi sono presentato al via, già il secondo giorno a San Luca ho fatto uno dei migliori 5-6 minuti di potenza e da quel momento in poi, è stato un bel Tour. Niente è perfetto, ma più o meno è andato tutto come avevo pianificato.

Pensi che domani Evenepoel potrebbe darti del filo da torcere?

Questa settimana non è stata la migliore per lui. E’ stata davvero dura. Se non sei preparato mentalmente alla fine della stagione, anche per una gara sotto la pioggia o con quel tempo pessimo, non riesci a tenere duro. Se non c’è una grande motivazione per vincere gare, è difficile arrivare a giocarsela. Ma penso che per il Lombardia sia diverso. Penso che Remco sia pronto mentalmente più per la grande corsa, che per le più piccole. Quindi penso che domani proverà.

Pogacar si aspetta domani una reazione di Evenepoel, che secondo lui è arrivato al finale non troppo concentrato
Pogacar si aspetta domani una reazione di Evenepoel, che secondo lui è arrivato al finale non troppo concentrato
Dal 1998, c’è sospetto su chi domina in questo sport. In Francia ci sono media che hanno iniziato a dire che siccome sei molto dominante, allora aumenta anche il sospetto. Come reagisci di fronte a questo?

Il mondo oggi è così, si vedono dominatori in ogni ambito. Negli affari. Nel tennis, nel golf, nell’NBA, nel football, in qualsiasi altro sport vedi predominio dalle squadre o dei singoli atleti. Penso che ci sia sempre qualcuno che domina, finché arriva un nuovo talento, un giovane più affamato, una squadra migliore e ci saranno altri dominatori.

Cosa pensi di chi porta avanti sospetti sul tuo conto?

Il ciclismo è uno sport in cui in passato le persone facevano di tutto per ottenere dei risultati e hanno messo a rischio la loro salute. Molti ragazzi che non conosci nemmeno probabilmente hanno problemi di salute o mentali, per quello che facevano ai loro corpi 20-30 anni fa. Secondo la mia modesta opinione, penso che il ciclismo abbia sofferto molto in quegli anni. Non c’è fiducia e tocca a noi ciclisti riconquistarla. Non c’è niente che possiamo dire, se non fare la nostra gara e sperare che la gente inizi a crederci. Ma avrai sempre bisogno di un vincitore e il vincitore avrà sempre più occhi puntati addosso.

Fine stagione col sorriso: all’Emilia Pogacar ha regalato questa mortadella gigante a uno spettatore sloveno
Fine stagione col sorriso: all’Emilia Pogacar ha regalato questa mortadella gigante a uno spettatore sloveno
Con tanto di commenti sul suo conto?

Qualcuno penserà sempre o dirà che il vincitore è un imbroglione. Forse tra qualche generazione, la gente dimenticherà il passato, si dimenticherà di Armstrong e di quei ragazzi che facevano quello che facevano, e forse andremo avanti. Dalla mia esperienza personale, penso che il ciclismo sia uno degli sport migliori, il più pulito. Dove tutte le persone cercano di essere sane e non più malate nel nome della prestazione. Perché lo sappiamo che non puoi spingerti oltre il limite, che è meglio rimanere in salute. Se vuoi rischiare la tua salute e la tua vita per dieci anni di carriera, allora è solo uno spreco di vita ed è una cosa stupida. Ma ci saranno sempre persone invidiose e sospettose e non c’è niente che io possa fare al riguardo.

Ti capita di voltarti e guardare le vittorie di quest’anno?

Ho smesso di farlo. Al momento mi lascio trasportare dalla corrente, da una gara all’altra. Cerco di divertirmi con la squadra, ma non penso che questa stagione sarebbe potuta essere migliore di così.

Bagioli alla scoperta dell’America, della Lidl-Trek, di se stesso

25.10.2023
6 min
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Due giorni fa il ritorno dagli Stati Uniti, dopo la visita al quartier generale di Trek e un giro per Chicago, guardando partite di hockey e di basket NBA. Oggi la partenza per la Tanzania con la sua ragazza. E poco prima, la scelta di cambiare squadra e il secondo posto del Lombardia, forse non celebrato a dovere. Il fine stagione di Andrea Bagioli non è passato via in modo banale e proprio la decisione di lasciare la Soudal-Quick Step per approdare alla Lidl-Trek è il punto che abbiamo voluto approfondire con lui.

Nel primo ritiro fra il Wisconsin e Chicago, si è raccontata ai nuovi la Lidl-Trek
Nel primo ritiro fra il Wisconsin e Chicago, si è raccontata ai nuovi la Lidl-Trek

La benedizione di “Guerci”

Le parole di Luca Guercilena sulla voglia di dargli fiducia e farne un leader sono parse una consacrazione. La sua voglia a inizio 2023 di guardarsi intorno stava a significare che il valtellinese fosse pronto a spiccare il volo, uscendo dal cono di luce di chi aveva davanti.

«L’ambiente della nuova squadra – risponde mentre parcheggia l’auto – mi è parso molto buono. Mi ha sorpreso positivamente, sono stati super disponibili. Si capisce che sia un gruppo più internazionale, quindi c’è più apertura rispetto alla Soudal-Quick Step in cui comunque si percepisce forte l’anima belga. C’eravamo quasi tutti, tranne Consonni che negli stessi giorni si è sposato, poi Cataldo e Milan che sono venuti solo alla fine, dopo la corsa in Cina». 

Prima del Lombardia, la marcatura fra Bagioli e Pogacar era iniziata ai mondiali, chiusi da Tadej sul podio
Prima del Lombardia, la marcatura fra Bagioli e Pogacar era iniziata ai mondiali, chiusi da Tadej sul podio
Perché a gennaio dicesti che avresti valutato anche un cambio di squadra?

Non posso dire che non avessi il mio spazio, però dopo quattro anni cerchi qualcosa di nuovo. Alla fine fai sempre gli stessi ritiri, gli stessi allenamenti, vedi sempre le stesse persone, quindi magari diventa un po’ troppo monotono.

Alla Soudal-Quick Step sentivi di essere considerato un corridore importante?

Devo dire che anche durante le classiche, quest’anno partivo quasi come un capitano. A parte la Liegi, nelle altre avevo ruoli abbastanza importanti. Però qui già da inizio anno abbiamo fatto il calendario assieme, ho deciso io alcune gare che volevo fare e mi hanno ascoltato. Mi trattano un po’ più come un leader.

E’ stato difficile scegliere la squadra nel momento in cui hai deciso di andar via?

Non più di tanto, perché sono venuti subito con una buona offerta triennale e anche con un bel progetto, che mi ha ispirato subito. Poi parlandone con Quinziato (il suo agente, ndr), abbiamo valutato le varie opzioni e abbiamo concluso che la Lidl-Trek fosse la migliore. Avevano l’idea di prendermi e farmi crescere, non un progetto a breve termine, ma a lunga scadenza, per arrivare a vincere gare importanti.

Questa la volata con cui Bagioli ha preceduto Roglic e Vlasov, strappando il secondo posto al Lombardia
Questa la volata con cui Bagioli ha preceduto Roglic (a sinistra fuori inquadratura) e Vlasov, arrivando 2° al Lombardia
Che cosa ti manca ancora per arrivare a vincere la classica con la C maiuscola?

Al Lombardia ho trovato un Pogacar di troppo, che mi ha impedito di vincerlo (Bagioli è arrivato secondo, ndr). Cosa mi manca? Secondo me, più che altro, la fiducia in me stesso. Anche se, già a fine stagione, qualcosa è cambiato e infatti i risultati sono arrivati. Invece a inizio anno partivo un po’ svantaggiato perché non ero molto sicuro e alla fine andava male. Se non sei sicuro e vedi gli altri che vanno forte, se hai la testa da un’altra parte, è molto più difficile che arrivi il risultato.

Che cosa è cambiato a fine stagione? Perché c’è stata questa svolta?

Non lo so neanch’io, mi sentivo in modo diverso, più rilassato e più sicuro di me stesso. A luglio avevo deciso di cambiare squadra, quindi magari anche quell’aspetto ha fatto la differenza. Se non devi pensare al contratto per il prossimo anno, sei tranquillo. Ti concentri al 100 per cento sulla bici, sugli allenamenti, l’alimentazione e tutto viene più facile.

Secondo te la fiducia in se stessi viene anche dalla squadra?

Sì, sicuro. La squadra deve essere la prima che ti dà fiducia. Se parti senza la fiducia della squadra, è difficile anche per te stesso. Se invece sai che puoi contare sull’appoggio dei tuoi compagni e dei direttori e, sai che nella determinata gara sono lì tutti per te, allora è diverso. Certo, avrai più pressione addosso, però è una pressione positiva che ti carica ancora di più.

Il finale di stagione ha visto un Bagioli più sereno e sicuro: qui vince il Gran Piemonte
Il finale di stagione ha visto un Bagioli più sereno e sicuro: qui vince il Gran Piemonte
Che cosa porti via dalla Soudal-Quick Step?

In questi quattro anni sono cresciuto tanto, al primo anno da professionista ero molto inesperto sotto tutti gli aspetti. Quello che ho imparato meglio forse è la capacità di affrontare le gare lunghe, le classiche ben oltre i 200 chilometri. Su quello sono migliorato molto. Infatti anche al Lombardia, che erano sei ore di corsa, nel finale ero lì. Si tratta di imparare ad alimentarsi per risparmiare il più possibile, perché alla fine conta ogni watt che risparmi e poi te lo trovi alla fine della corsa.

Hai parlato di pressione positiva: ti è mancata in questi anni oppure è giusto arrivarci adesso perché hai le spalle più larghe per sostenerla?

Forse è giusto che arrivi adesso. Se arrivasse appena passi professionista, non sarebbe semplice da sopportare, a meno che tu non abbia un motore alla Remco, con il quale viene tutto facile. Invece adesso che ho fatto i miei quattro anni di esperienza, sono più consapevole dei miei mezzi e fin dove posso arrivare. Quindi è un bene che la pressione arrivi adesso.

Presentazione Soudal-Quick Step, a Popsaland: sia De Clercq sia Bagioli dal 2024 saranno alla Lidl-Trek
Presentazione Soudal-Quick Step, a Popsaland: sia De Clercq sia Bagioli dal 2024 saranno alla Lidl-Trek
Sai già quale sarà il tuo nuovo preparatore? Ti intriga o ti allarma il fatto di cambiarlo?

Non so ancora con chi lavorerò, penso sarà uno spagnolo in arrivo nella squadra. Un po’ mi è dispiaciuto di lasciare il mio vecchio preparatore: Vasilis, il greco. Con lui in questi quattro anni ho lavorato veramente bene, secondo me è uno dei migliori al mondo. Ti segue, vedi che ha passione in quello che fa, quindi quel lato un po’ mi preoccupava. Però alla fine qualche cambiamento magari serviva, ci sta che magari a certe cose Vasilis non ci arrivasse, mentre saranno possibili col nuovo preparatore. Devo solo avere fiducia e andrà bene di sicuro.

Il prossimo appuntamento con la squadra sarà il ritiro a dicembre?

Sì, a Calpe. Adesso si va in vacanza in Tanzania, prima un safari e poi al mare a Zanzibar. E al rientro si ricomincia con una nuova maglia, una nuova bici e una nuova squadra.

Il Lombardia di Buratti: l’emozione della prima Monumento

17.10.2023
5 min
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Dall’altra parte del mondo, in Giappone, molti corridori hanno corso l’ultima gara della stagione. Tra questi c’era anche Nicolò Buratti, il friulano ha chiuso una stagione che lo ha visto passare dal CTF Friuli alla Bahrain Victorious. Un salto nella dimensione del WorldTour arrivato nel mese di aprile: Buratti è passato a correre dal Trofeo Piva alla Freccia del Brabante in appena dieci giorni.

«Passare a metà anno nel WorldTour non è semplice – dice – si tratta di un mondo nuovo, anche se lo staff della squadra un po’ lo conoscevo, visto che molti di loro lavorano anche con il CTF. Tuttavia un mesetto, anzi due di adattamento ci sono voluti, ma mi sono inserito bene».

Buratti ha trovato la fuga al primo colpo: ritmi alti fin da subito in gara
Buratti ha trovato la fuga al primo colpo: ritmi alti fin da subito in gara

Un bel finale

Un inizio non semplice, poi però l’adattamento è avvenuto con i giusti tempi, e Buratti si è ritrovato catapultato al Giro di Lombardia. Un premio per questo finale di stagione in crescendo ed un’iniezione di fiducia per quella che sarà la prima stagione interamente tra i professionisti, la prossima. 

«Ho saputo che sarei andato al Giro di Lombardia dopo le gare in Canada – racconta Buratti dal Giappone prima della Japan Cup Cycle Road Race – quindi un mese prima. Ho avuto modo di prepararmi, anche se la mattina alla partenza di Como un po’ di tensione c’era comunque».

Routine post-tappa. Asciugamano e giacca pesante forniti dai massaggiatori…
Routine post-tappa. Asciugamano e giacca pesante forniti dai massaggiatori…
E’ stata la tua prima monumento della carriera…

Ero davvero felice di poter prendere parte ad una corsa così prestigiosa, sono andato subito in fuga, è stato emozionante. Alla fine, a modo mio, sono stato protagonista in una corsa che è un simbolo del ciclismo. Sulle strade c’era tantissimo tifo, non avevo mai provato una cosa del genere. La cosa più bella, probabilmente è stata concluderla, arrivare a Bergamo. 

Avere accanto tanti campioni come ti ha fatto sentire?

Ogni corsa che ho fatto mi sono trovato accanto un campione diverso, certo che al Lombardia c’era un exploit. Anche questa è un’emozione, in realtà fa un po’ strano perché è gente che ammiravi da fuori ed ora sei lì accanto a loro. Devo ammettere che è stato abbastanza bello e gratificante, capisci di essere arrivato dove volevi, con la consapevolezza che sia solo l’inizio. 

I primi risultati sono arrivati alla CRO Race, con quattro piazzamenti su sei in top 10
I primi risultati sono arrivati alla CRO Race, con quattro piazzamenti su sei in top 10
Com’è stato vivere da davanti il Giro di Lombardia, la fuga era un obiettivo prefissato?

Sì. Il fatto che io prendessi parte alla fuga di giornata era nel piano del team. Sono stato fortunato perché il gruppetto giusto è andato via praticamente al primo scatto, cosa che non succede spesso. Anche se poi il gruppo ci ha tenuti a 30 secondi per tanto tempo ed abbiamo spinto al massimo. Durante tutta la giornata non ci hanno mai lasciato tanto margine, quindi i ritmi erano sempre elevati. 

Ti sei staccato dopo 150 chilometri a causa dei ritmi elevati?

Ho sofferto di crampi sulla penultima salita (il Passo della Crocetta, ndr) così mi sono gestito e staccato. Il gruppo mi ha ripreso proprio sullo scollinamento, così ho fatto la discesa con loro e sul Passo di Ganda mi sono staccato definitivamente. Il fatto di aver anticipato il gruppo entrando nella fuga mi ha aiutato a prendere il margine per poi finire la corsa.

La prima stagione da professionista di Buratti si è conclusa in Giappone, alla Japan Cup Cycle Road Race
La prima stagione da professionista di Buratti si è conclusa in Giappone, alla Japan Cup Cycle Road Race
Gli ultimi chilometri come sono stati?

Dopo l’ultima salita mi sono tranquillizzato un po’, il peggio era alle spalle. Per fortuna mi sono trovato in un gruppetto numeroso con altri 20 corridori, così l’ultima parte è stata meno dura. Non avevo mai fatto così tanti chilometri (238, ndr) in gara.

Com’è stato?

In realtà stavo bene, chiaramente competere con i primi è qualcosa di diverso, però ho visto che se ti gestisci e ti alimenti nella maniera giusta non è un problema arrivare in fondo. 

E’ cambiata tanto la tua alimentazione in corsa dopo il passaggio alla Bahrain Victorious?

No, con il CTF lavoravamo bene in tutti i campi. Sicuramente qui sono più controllato ed è molto più semplice imparare perché tutto è preciso e curato nei minimi dettagli. La cosa che è cambiata maggiormente sono gli allenamenti, faccio molte più ore rispetto a prima. 

Buratti (a sinistra) ha corso spesso con Mohoric (a destra) dal quale ha imparato tanto
Buratti (a sinistra) ha corso spesso con Mohoric (a destra) dal quale ha imparato tanto
Un anno di apprendimento che ti sarà utile per il futuro.

Nel 2023 ho imparato tanto, soprattutto guardando i miei compagni di squadra. Solamente osservarli mi ha permesso di capire molte cose. La prossima stagione farò tutto insieme a loro, a partire dal ritiro invernale. Fare una preparazione completa mi aiuterà a crescere ancora, conosco meglio lo staff ed i corridori. Nel mio piccolo posso pormi degli obiettivi: qualche top 10 o dei podi. 

Quale dei tuoi compagni ti ha seguito maggiormente?

Ho corso tanto con Mohoric, è un corridore che qualcosa ha fatto – dice ridendo – è molto preciso e metodico su tante cose: le tattiche in corsa, l’aerodinamica, la bici e l’alimentazione. Guardarlo muoversi in gruppo mi ha aiutato tanto, poi lui parla benissimo l’italiano. 

Poi è un ragazzo che parla spesso e volentieri. 

E’ proprio adatto per il ruolo da “chioccia”, perché non si stanca mai di spiegare e di farti vedere le cose.