Lafay: il pupillo di Damiani che fa gioire la Cofidis

06.07.2023
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Il successo di Victor Lafay a San Sebastian ha riportato la Cofidis a vincere sulle strade del Tour de France a distanza di 15 anni. Il corridore di Lione, 27 anni compiuti a gennaio, si è portato a casa la seconda firma in una grande corsa a tappe. Abbiamo così bussato alla porta di Roberto Damiani, diesse della Cofidis e di Lafay per farci raccontare il momento di questo corridore e non solo. 

Vitor Lafay, 27 anni della Cofidis, vince così a San Sebastian
Vitor Lafay, 27 anni della Cofidis, vince così a San Sebastian

Altalenante

Dopo la vittoria al Giro 2021, nella tappa di Guardia Sanframondi, la carriera di Lafay ha avuto degli alti e dei bassi. 

«Quella tappa del Giro – racconta Damiani – è stata una sorpresa per il mondo esterno, ma non per noi. Le qualità di Lafay sono sempre state chiare ai nostri occhi, tuttavia lui ha sempre avuto dei picchi di prestazione alti alternati a momenti in blackout. Nella parte finale del 2021 ha avuto un periodo difficile, con delle prestazioni di livello basso».

Giro d’Italia 2021, Guardia Sanframondi: Lafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare Gavazzi
Giro d’Italia 2021, Guardia Sanframondi: Lafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare Gavazzi
Caratterialmente che persona è?

Victor è un ragazzo che ha bisogno di un supporto morale, ha dei vecchi valori di amicizia e fiducia che per lui sono benzina. Con lui è meglio vivere dei momenti umani, come una partita a carte o a scacchi, piuttosto che fare una ripetuta in più. Da questo punto di vista abbiamo un carattere molto affine

Per questo ti trovi così bene?

Ho un rapporto ottimo, è l’unico con cui ho scambiato un messaggio prima che partisse per il Tour de France. Gli ho detto: «Ricordati che sei un valore aggiunto per questa squadra». Mi ha ringraziato per la fiducia. Tra noi della Cofidis c’è un bel rapporto in squadra, anche tra i tecnici. Ci scambiamo spesso qualche opinione tra chi è in corsa e chi, come me, è a casa. 

E tu da casa come hai visto la vittoria di Lafay?

Benone! Vedevo che il gruppo di testa continuava a perdere elementi, mentre Lafay pedalava benissimo. In quel momento ho proprio pensato: «Adesso gliela dà secca». Ci siamo sempre detti che basta un colpo solo per vincere, ma ben assestato. Anche quando ha vinto al Giro è stato uguale glielo ripetevo spesso alla radio: «Un colpo solo che deve uccidere la corsa».

Durante la terza tappa Lafay è andato in fuga per prendere punti al traguardo volante e mantenere la maglia verde
Durante la terza tappa Lafay è andato in fuga per prendere punti al traguardo volante e mantenere la maglia verde
La differenza tra la vittoria al Giro è questa al Tour è che a San Sebastian è rimasto con i migliori, resistendo alla selezione.

In quel drappello c’era la creme del Tour, serviva un’ottima tenuta mentale e fisica. Lui ha fatto una gran cosa, poi dietro hanno sbagliato, vista anche la reazione di Van Aert. Ma nulla toglie il merito a Lafay per quello che ha fatto. Una cosa che mi ha dato fastidio è che la gente si è dimenticata quello che ha fatto nella tappa precedente, a Bilbao. E’ stato lui a rilanciare mentre i grandi nomi si rialzavano. 

Mentre nella terza tappa è scattato per difendere la maglia verde…

Un bel gesto a mio modo di vedere, per rispettare la corsa e per tenere un primato importante. 

La vittoria di San Sebastian che clima ha lasciato in squadra?

Vi basti sapere che da quando sono in Cofidis, ovvero dal 2019, l’obiettivo numero uno della stagione è sempre stato vincere una tappa al Tour de France. Quel chilometro finale lo abbiamo vissuto “a tutta” insieme a Lafay. Quella che è arrivata dopo è una giustissima euforia, ma con la volontà di continuare. Questo entusiasmo deve essere la giusta benzina per dare il meglio. 

Nella prima tappa l’unico a resistere alle accelerazioni di Pogacar e Vingegaard è stato Lafay (a destra)
Nella prima tappa l’unico a resistere alle accelerazioni di Pogacar e Vingegaard è stato Lafay (a destra)
Una vittoria che per Lafay può essere un passo importante…

E’ un successo che può aiutarlo a diventare più costante, sappiamo quanto un successo al Tour possa essere importante. Figuriamoci per un atleta francese di una squadra francese. Ma non voglio che ci si monti la testa, non mi dimentico la sofferenza che ci ha portato la sua assenza dal Giro. Ci hanno accusato di non rispettare la corsa, ma questo non è vero. Purtroppo Lafay doveva essere uno dei nostri uomini di punta e si è ammalato poco prima di partire. Un corridore del suo calibro alla corsa rosa ci è mancato molto. Una vittoria al Tour non può far dimenticare quello che c’è stato prima e quel che verrà poi. Vorrei dire un’ultima cosa…

Prego.

Di un corridore, ed un ragazzo come Lafay, bisogna parlarne più spesso, non solo quando vince.

Jumbo verso la terza rosa? Ecco cosa rispondono

23.06.2023
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Qualche giorno fa a Trieste al termine del Giro NextGen ci è venuta in mente subito una suggestione. Dopo il trionfo di Roglic al Giro d’Italia e quello di Staune-Mittet nella gara riservata agli U23, la Jumbo-Visma potrebbe fare tripletta al prossimo Giro Donne?

Per la verità questo interrogativo inizialmente ha rischiato di non essere preso nemmeno in considerazione, ma la recente conferma ufficiale di PMG Sport/Starlight (società organizzatrice) sul regolare svolgimento della corsa a tappe femminile ci ha fatto dirottare la nostra curiosità verso i tecnici del team olandese.

Secondo Carmen Small la sua Jumbo-Visma non è interessata a fare classifica al Giro Donne
Secondo Carmen Small la sua Jumbo-Visma non è interessata a fare classifica al Giro Donne

Certo, la Jumbo-Visma Women non è la formazione principalmente accreditata per la vittoria finale, ma quando schieri al via “sua maestà” Marianne Vos (tre successi al Giro Donne e trentadue di tappa) tutto è possibile, anche se lei non è più la cannibale delle classifiche generali come un tempo. E così abbiamo coinvolto la diesse statunitense Carmen Small per scoprire come correrà la sua Jumbo-Visma alla corsa rosa (in programma dal 30 giugno al 9 luglio).

Com’è stato il vostro approccio alla corsa considerando che si sapeva poco del percorso?

Abbiamo costruito la nostra squadra con diversi obiettivi in mente. Principalmente per le atlete, con il loro sviluppo nell’avvicinamento alla gara, e poi non solo a seconda di come sarebbero andate le varie tappe. Abbiamo però tenuto conto anche degli altri appuntamenti importanti stagionali come il Tour Femmes e i campionati del mondo. Naturalmente conoscere le tappe in anticipo è sempre utile, ma non avrebbe cambiato la composizione della nostra squadra.

Per quello che avete visto e sentito, vi piace il percorso?

Per la nostra formazione è un buon mix di tappe di diverso tipo. Speriamo che la corsa sia sempre emozionante e che anche le altre squadre possano correre duramente o cogliere le giuste occasioni per animare la gara. Non tutti i giorni saranno validi per la generale quindi credo si potranno vedere tante fughe e anche volate di gruppo.

Cosa ne pensi del giorno di riposo (e trasferimento) a due tappe dalla fine?

Onestamente devo dire che è bello tornare in Sardegna anche quest’anno. Nel 2022 le tappe sono state davvero difficili per il caldo ed il vento. Le strade non sono mai pianeggianti, quindi sarà interessante vedere la stanchezza accumulata prima delle ultime due tappe e cosa succederà. Credo che inciderà tanto, anzi sarà necessario il recupero dopo un giorno di viaggio.

Chi saranno secondo te le protagoniste della corsa?

Difficile rispondere in maniera secca o precisa. Credo che le squadre stiano correndo in modo un po’ diverso in quest’ultima parte della stagione. I direttori sportivi e i corridori stanno cambiando le loro strategie per capire come vincere. E’ emozionante perché ogni squadra si presenta alle gare con un roster forte e sembra che la maggior parte di loro cerchi di utilizzare i propri corridori in modo diverso da quello tipico. Si vede maggior aggressività, si prendono rischi e non aspettano solo di vedere come vanno le cose. Al momento, a parte il Team DSM, non ho visto altre formazioni, quindi è difficile dire qualcosa sulle squadre.

Due tappe per Vos alla Vuelta. Anche al Giro Donne dovrebbe puntare solo ai successi parziali
Due tappe per Vos alla Vuelta. Anche al Giro Donne dovrebbe puntare solo ai successi parziali
Della vostra formazione c’è un’atleta che potrebbe essere la sorpresa?

Al Giro Donne vogliamo portare delle ragazze che sappiano correre in modo aggressivo, senza subire, sfruttando magari tutte quelle situazioni favorevoli che possono crearsi. Direi che tutte le nostre atlete possono essere una sorpresa se giochiamo bene le nostre carte.

Qualcuno dice che, a parte la quinta tappa con la salita al Pian del Lupo seppur lontana dal traguardo, il tracciato potrebbe essere adatto a Marianne Vos. E’ con lei che la Jumbo-Visma punta a vincere il Giro Donne replicando ai vostri colleghi maschi?

Devo essere sincera e vi dico che non siamo particolarmente interessati alla classifica generale. Quella la cureremo al Tour Femmes con Riejanne Markus che si sta già concentrando su quell’obiettivo. Tuttavia il Giro Donne è una grande corsa e non si può tralasciare nulla perché tutto può cambiare in un solo giorno.

Andorra e ritorno, con Bettiol fra Grande Boucle e futuro

20.06.2023
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Lunedì (ieri), giorno di viaggio. Alberto Bettiol è in auto di ritorno da Andorra, dove ha partecipato assieme a Carapaz all’ultimo ritiro della Ef Education-Easypost prima del Tour. La strada come sottofondo per raccontare come sia passato il tempo fra il Giro d’Italia e la prossima sfida francese. Dal suo ragionare toscano e schietto tira fuori a volte osservazioni di una lucidità impressionante e in altre sembra perdersi lui per primo.

Al Giro ci sei arrivato dopo 40 giorni senza corse e ne sei uscito forte.

Sono andato con l’idea di far fatica, perché purtroppo non mi sono preparato nel migliore dei modi. Invece nella seconda e nella terza settimana mi sono ritagliato i miei spazi. Purtroppo ho saltato la prima parte di stagione e dovevo correre per arrivare al Tour nel migliore dei modi, però volevo cogliere anche l’opportunità del Giro d’Italia per fare bene. Non mi aspettavo di arrivare così vicino a vincere. E a quel punto, quando ci arrivi così vicino e non vinci, poi ti girano le scatole.

Bettiol è arrivato al Giro dopo 40 giorni senza correre, ma nella seconda e terza settimana ha trovato la gamba
Bettiol è arrivato al Giro dopo 40 giorni senza correre, ma nella seconda e terza settimana ha trovato la gamba
Cosa hai fatto nelle settimane successive?

Dopo il Giro sono tornato a casa due giorni, a Lugano, perché Greta doveva lavorare, poi il giovedì siamo andati a Livigno, a Trepalle. E’ stato un mix fra recupero mentale e fisico e allenamento. Poi però mi ha chiamato la squadra. Charlie (Wegelius, diesse del team americano, ndr) mi ha chiesto venire a questo ritiro, che non era in previsione per me, avendo fatto il Giro e dovendo poi andare al Tour. L’obiettivo era di stare tranquillo a Livigno, ma era giusto partecipare. Siamo andati tutti noi del gruppo Tour assieme a Carapaz. Ho preso la macchina e sono partito.

Livigno-Andorra, quasi 1.300 chilometri alla guida…

C’ero già stato l’anno scorso e per il tipo di viaggio, mi veniva meglio guidare. Sono circa 8 ore e l’ho voluto fare, perché comunque Richard, che sarà il nostro capitano, è un bravo ragazzo e un campione. Andiamo al Tour con delle buone prospettive, quindi era giusto dare anche il mio supporto, per quanto piccolo, un segnale. Ci siamo allenati molto bene in questa settimana e mezzo…

Si parla tanto dei 30 giorni fra Giro e Tour, se correre oppure no…

Fra una settimana esatta partiamo per la Francia, questo tempo mi è volato. Il fatto di correre o meno è una scelta abbastanza personale. Mettetevi nei miei panni, dopo il Giro praticamente ho ricominciato un altro Giro. Questo ciclismo va fatto così, altrimenti è meglio non farlo.

In questo ciclismo veloce, spiega Bettiol, è difficile venire fuori bene come Nibali dopo i 30 anni
In questo ciclismo veloce, spiega Bettiol, è difficile venire fuori bene come Nibali dopo i 30 anni
Così, come?

Ti devi completamente annullare e c’è poco tempo per fare altro. Devi dedicarti completamente a questa disciplina. Devi costruirti intorno un ambiente che te lo permette e che ti lasci stare tranquillo. Prima era diverso, il gruppo era come una famiglia. C’era più dialogo, più rispetto, si prendevano le decisioni insieme. Invece ora ci sono mille cose cui pensare, c’è anche più stress.

Perché?

Perché semplicemente ci sono più corridori di quando correva, per esempio Andrea Tafi (padre della sua compagna Greta, ndr), ma anche di quando correva la generazione successiva alla sua, quindi quella di Bartoli e Bettini. Ci sono più corridori, però sempre lo stesso numero di squadre. Ci sono sempre più giovani e giovanissimi che bussano alla porta. E una squadra ci pensa due volte prima di far rinnovare per esempio il contratto a un trentunenne. Io sono a posto fino al 2024, il tema mi riguarderà dal prossimo anno. Nibali ha dichiarato di aver avuto gli anni migliori dopo i trenta, adesso non è più così.

Come ci si difende?

Ho due gambe e due braccia e come tutti, sono umano e mi rendo conto che ho bisogno di stare un po’ a casa tranquillo per ricaricarmi e dare poi il meglio di me al Tour de France. Sono già due o tre anni che non faccio il campionato italiano, senza il ritiro di Andorra sarei andato. Sono il primo a esserne dispiaciuto, anche perché quest’anno sarebbe adatto a me e io sto andando discretamente, però ho preferito così.

Bettiol è professionista dal 2014. Eccolo con Marangoni ai tricolori di quell’anno vinti da Nibali su Formolo
Bettiol è pro’ dal 2014. Eccolo con Marangoni ai tricolori vinti da Nibali su Formolo
A ottobre compirai trent’anni, pensi davvero che cambierà qualcosa?

Come si diceva prima, a trent’anni si è abbastanza… vecchiotti. Mi sento che sono meno gli anni che ho davanti rispetto a quelli che ho passato e questa è una cosa nuova e innegabile, non credo di poter correre per altri 10 anni. Quindi ci si rammarica ancora di più quando si perdono delle occasioni. Ho il senso del tempo che sta per finire e ogni lasciata è persa, mentre prima non ci pensavo, non lo mettevo in conto. Insomma, pensavo di essere eterno. Pensavo che questo ciclismo fosse tutta la mia vita, invece si cresce, si diventa grandi, si ragiona. E adesso mi arrabbio con me stesso quando manco un’occasione. 

A proposito di occasioni, l’anno scorso hai lasciato il Tour con il secondo posto di Mende. Tutto il giorno in fuga tirando per altri, invece eri tu il più forte…

Quella è stata una combinazione di fattori. Non mi aspettavo di andare così forte nel finale. Avevo anche un problema al ginocchio che alla fine è anche passato. E’ andata così. L’anno scorso era un Tour improntato sulla caccia alle tappe, cercavamo di fare punti per il ranking WorldTour. Quest’anno sarà un po’ diverso, almeno in partenza. Andiamo in Francia con l’obiettivo di supportare al 1.000 per mille Richard Carapaz e il discorso delle tappe verrà dopo, qualora lui non ci desse garanzie in classifica.

Quindi tutti allineati e coperti?

La priorità è questa, l’hanno detto da subito. Magnus Cort Nielsen vorrebbe vincere una tappa al Tour e provare a fare tripletta alla Vuelta, ma hanno detto anche a lui che quest’anno si lavora per la classifica. Se però mi daranno carta bianca per un giorno, cercherò come sempre di farmi trovare pronto.

E’ il 16 luglio 2022, 14ª tappa del Tour: a Mende il secondo posto che sa di beffa alle spalle di Matthews
E’ il 16 luglio 2022, 14ª tappa del Tour: a Mende il secondo posto beffardo alle spalle di Matthews
C’è entusiasmo anche nel partire sapendo di dover tirare, con le possibilità individuali così ridotte?

Mi entusiasmo tanto quando c’è da fare il Tour de France, perché ho già visto iI podio di Parigi con Uran nel 2017. Mi emoziono quando un mio compagno vince, è come se avessi vinto io e questo forse è anche un mio limite. Sono molto altruista e a me questa cosa di lottare per la vittoria del Tour o comunque per un podio mi gasa tanto.

Si può dire, parlando di te, che il Tour diventa poi un bel lancio sul mondiale? 

Avevo degli obiettivi chiari quest’anno. Uno era la campagna del Nord, ma purtroppo è saltata perché mi sono ammalato pesantemente. A quel punto è venuto fuori il Giro, ma il Tour è rimasto perché è un obiettivo e anche l’avvicinamento migliore per il mondiale. Ne abbiamo sempre parlato con Daniele (Bennati, ndr), lui ovviamente è a conoscenza di questo ed è molto felice.

Giro-Tour, accoppiata per pochi. Parla Julien Pinot

18.06.2023
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Tra Giro d’Italia e Tour de France: il tema non si esaurisce mai. Cambiano tempi ed interpreti, ma questo mese o poco più tra le due grandi corse resta affascinante. Come si scarica, come ci si allena, cosa si fa. Ne parliamo con Julien Pinot, fratello di Thibaut e coach dello stesso atleta alla Groupama-Fdj, tra l’altro maglia blu all’ultimo Giro.

Ormai questa accoppiata è sempre più per pochi eletti. Ad oggi, sono circa una dozzina i corridori che faranno i due grandi Giri e di questi solo cinque hanno concluso la corsa rosa: Cavendish, Barguil, Kuss, Leknessund e appunto Thibaut Pinot. Eccoci dunque ad analizzare questo aspetto sempre più delicato con coach, Julien.

Julien e Thibaut Pinot (al centro della foto) sono stati autori di un buon Giro rispettivamente da coach e atleta
Julien e Thibaut Pinot (al centro della foto) sono stati autori di un buon Giro rispettivamente da coach e atleta
Julien, sono sempre meno i corridori che fanno entrambi i due grandi Giri e tra questi non ci sono praticamente più uomini di classifica. Come mai?

Sono sempre meno, vero. Gli ultimi che ci hanno provato veramente sono stati Froome e Dumoulin a mia memoria, che sono arrivati 2° e 3° al Tour dopo il Giro 2018. E’ molto difficile e con il livello che è salito, la complessità di questa sfida è ulteriormente aumentata. E’ già molto complicato dover fare solo la classifica generale in un grande Giro, che in due, e in un periodo così ravvicinato, la percentuale di fallimento diventa elevatissima. E i grandi leader non vogliono correre il rischio.

Il gioco non vale la candela?

E’ più facile fare la sequenza la con Vuelta, anche se è raro che i leader di un Giro riescano ancora a salire sul podio della Vuelta. In passato, lo abbiamo visto fare a Roglic, il quale però l’anno scorso, ha fatto solo metà del Tour. Giro-Tour rimane qualcosa che è davvero molto difficile da gestire. Due picchi di forma con così tante incertezze… Per questo i team e i leader vogliono correre questo rischio molto raramente

Quanto tempo ci serve per recuperare dopo un grande Giro?

Questa è una domanda complicata, soprattutto dopo il Giro che è sempre duro, perché non c’è una sola risposta. E’ del tutto individuale e molto dipende da come finisci il grande Giro. Quest’anno abbiamo visto corridori che sono crollati. Sappiamo che è sempre la terza settimana dove si fanno tutte le differenze: in base a questa si valuta la durata del recupero.

E’ chiaro…

Una fase di “decompressione” c’è sempre ed è anche psicologica. Perché oltre alle tre settimane e mezzo del grande Giro (ormai si parte 4-5 giorni prima, ndr) , prima ci sono 2-3 mesi di concentrazione totale su allenamento, alimentazione, recupero… tutte cose che richiedono molta energia. E quando il grande Giro all’improvviso termina, c’è bisogno di una “decompressione psicologica”. Quindi quanto tempo ci vuole: una settimana, due, tre? E’ davvero una questione multifattoriale.

E’ giusto andare in altura tra i due Giri?

Sì, serve, ma tutto dipende dal tipo di preparazione fatta per il primo grande Giro. Io credo proprio che chi farà i due Giri, nel mezzo farà un richiamo di altura. Anche perché raramente si aggiungono competizioni quando c’è una sequenza come Giro e Tour. Generalmente si compensa con un ciclo di lavoro in ipossia (quindi in altura, ndr).

Dopo quanto tempo si riprende ad allenarsi per bene? E cosa si fa?

Dipende dal recupero. Prima devi assicurarti che il recupero fisico e mentale sia avvenuto e solo da quel momento tornano in ballo i carichi di allenamento. Se tutto va bene servono due settimane post Giro affinché l’atleta si riprenda completamente su entrambi i fronti. Io insisto molto sulla parte psicologica e mentale perché è davvero fondamentale per riuscire nella sequenza dei due Giri. Restano quindi due settimane di lavoro. Ma generalmente con il lavoro che viene svolto per il primo Giro, non c’è bisogno di aggiungere tanti carichi. Neanche per l’intensità. Semmai si cerca di aggiungere un ciclo di lavoro in quota, come detto, per “ricreare passivamente” adattamenti e stimoli fisiologici senza un grande costo fisico.

Per Julien si può anche correre, ma in gare minori. Cavendish per esempio ha preso parte allo ZLM Tour (non duro altimetricamente)
Per Julien si può anche correre, ma in gare minori. Cavendish per esempio ha preso parte allo ZLM Tour (non duro altimetricamente)
E’ utile fare una gara o due prima del Tour? E perché?

Come ho già detto prima, no. C’è il campionato nazionale in questo periodo. E va bene, ma non andrei a mettere anche un Delfinato o uno Svizzera, che sono eventi molto difficili con un livello molto alto. Semmai meglio un Giro di Slovenia o una Route d’Occitaine per ritrovare una certa freschezza.

Riguardo alla nutrizione c’è qualcosa da osservare in particolare in questo mese? Immaginiamo che dopo il Giro qualche corridore abbia ripreso del peso…

Si va sempre nella stessa direzione: nelle due settimane dopo il Giro i corridori dovranno inevitabilmente allentare un po’ la pressione ed è importante non seguire una dieta drastica. Ma in generale non bisogna aumentare molto di peso: un chilo va già bene. E’ importante invece rimettersi in riga nelle due settimane che precedono il Tour.

Thibaut (classe 1990) si è concesso una pizza una volta sceso dal Lussari. Ma in generale pochi sgarri in questo mese
Thibaut (classe 1990) si è concesso una pizza una volta sceso dal Lussari. Ma in generale pochi sgarri in questo mese
E questo mese tra i due Giri per Thibaut?

L’ufficialità che Thibaut vada al Tour ancora non c’è del tutto (ma si sa che Pinot ci sarà, ndr). L’unica cosa certa in squadra è fare la classifica generale con David Gaudu. Thibaut è oggettivamente fuori stagione. Ha dato davvero tutto al Giro d’Italia. Ovviamente, vuole andare al Tour de France: è il suo ultimo anno, vuole divertirsi e aiutare David. Quindi ci siamo comportati come se dovesse andarci.

Dunque come state lavorando?

Completato il recupero post Giro, ora siamo alla terza settimana e qui c’è bisogno di rielaborare un po’ la situazione, di fare alcuni richiami. Allora è importante fare qualche lavoro in montagna. Bisogna pensare che quest’anno sarà particolarmente attesa la seconda metà del Tour de France. Anche se sarà difficile sin dall’inizio con le tappe nei Paesi Baschi e nei Pirenei. Thibaut non ci arriverà al top. Questo lo aiuterà anche a anche a togliere la pressione, dal momento che lui stesso sarà particolarmente atteso nella seconda metà sulle Alpi e sui Vosgi. Quindi il nostro approccio è per essere competitivi per quelle frazioni. E le due settimane che stanno arrivando sono cruciali.

Giro alle spalle, ora le ricognizioni del Tour con la voce di Giada

Giada Gambino
11.06.2023
6 min
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Giada Borgato, reduce della sua esperienza in moto cronaca al Giro d’Italia (foto Mirror Media in apertura), è a casa e si sta preparando per affrontare un’altra bella ed impegnativa esperienza: le ricognizioni del Tour de France. Il ciclismo ha sempre fatto parte della sua vita, le ha regalato grandi emozioni ed importanti vittorie ma, oggi, ci racconta cosa significa non stare più in gruppo su una bici, ma farlo dalla sella di una moto… 

Cosa ti manca di più dello stare in gruppo? 

L’adrenalina principalmente. L’adrenalina della corsa in generale, ma soprattutto quella dei finali di corsa del ciclismo agonistico. Mi mancano quelle forti emozioni che solo una competizione come quella ciclistica ti può dare.

Il nuovo capitolo da commentatrice?

E’ nato un po’ per caso. Ho smesso di correre nel 2014 e a fine stagione, per annunciare il mio ritiro, venne Piergiorgio Severini, un giornalista della Rai a farmi un’intervista. Era un servizio riassuntivo di tutto ciò che riguardava la mia carriera. Alla fine, facendo una battuta, gli dissi che se mai avesse avuto bisogno di una mano, da quel momento ero in cerca di lavoro: ero disoccupata (ride, ndr). L’estate dopo mi chiamò dicendomi che mancava il commentatore tecnico. Se volevo, aggiunse, avrei potuto provare a commentare con lui. Così, ho iniziato a fare il commento tecnico per le donne e poi, piano piano, mi sono inserita anche nel ciclismo maschile.

Piergiorgio Severini, Lizzie Armitstead, Giada Borgato, Giro donne 2016
Giada Borgato con il suo mentore Piergiorgio Severini e Lizzie Armitstead al Giro donne 2016
Piergiorgio Severini, Lizzie Armitstead, Giada Borgato, Giro donne 2016
Giada Borgato con il suo mentore Piergiorgio Severini e Lizzie Armitstead al Giro donne 2016
Come hai vissuto la prima esperienza da commentatrice?

Fatica! Non pensavo, perché dovevo dire cose che fondamentalmente sapevo. Mentre ero lì mi resi conto invece che stare davanti alla telecamera piuttosto che ad un microfono non è per nulla semplice. Tanta gente ti ascolta e giudica se fai un errore grammaticale o se sbagli una virgola. Adesso magari faccio una frase che dura un minuto, prima la facevo da 10 secondi perché mi mancavano le parole. A volte mi ripetevo nella testa «Giada, devi dire quello che sai!». Piano piano, però, sono riuscita a sciogliermi. 

Adesso qual è la tua strategia?

Cerco di essere sempre più preparata possibile, che sia una corsa maschile o femminile, che sia il Giro d’Italia o che sia la gara del circuito del campanile come si suol dire (sorride, ndr). Mi preparo sempre alla stessa maniera. Spero di azzeccare le cose giuste, ovviamente non mi azzardo a dire cose che non ci sono, cerco di raccontare quello che vedo. Bisogna avere tante conoscenze, studiare, leggere e rimanere aggiornati ad esempio da siti come il vostro (sorride di nuovo, ndr).

Giada aveva fatto una prima prova generale di corsa sulla moto alla Sanremo
Giada aveva fatto una prima prova generale di corsa sulla moto alla Sanremo
Fare questo lavoro ti fa sentire quasi in gruppo?

Sì, assolutamente. Di fatto ho la fortuna che da una parte si è chiusa una porta e dall’altra si è aperto un portone. Mi è capitato di pensare di aver smesso di correre troppo presto, però probabilmente se non fosse andata a quel modo, non avrei intrapreso questa strada. Mi sento molto fortunata di essere ancora nel mio ambiente, nel mio mondo, di fare qualcosa che amo.

Commentare una corsa alla quale si è preso parte più volte, come il Giro Rosa… 

Sapete, adesso è cambiato tanto il ciclismo rispetto agli anni in cui correvo io. Ci sono anche tante cose nuove che devo raccontare. Anche se continuo sempre a pedalare, ci sono aspetti tecnici, moderni, nuovi del ciclismo femminile che bisogna prendere in considerazione. Ormai il mondo delle donne è molto vicino al ciclismo maschile.

Giada Borgato e Stefano Rizzato hanno raccontato il Giro dalle moto Rai dall’interno della corsa
Giada Borgato e Stefano Rizzato hanno raccontato il Giro dalle moto Rai dall’interno della corsa
Il Giro d’Italia in moto?

Una bella esperienza. In precedenza avevo fatto solo la Sanremo ed è completamente differente rispetto a una gara a tappe. Il Giro anche per noi della Rai è l’elemento più importante. Siamo in tanti: due moto cronaca, tre commentatori in cabina, tutti gli ospiti che devono avere la linea. Quando venivo chiamata io, inizialmente non sapevo esattamente quanto intervenire e in che modo, dovevo prendere un po’ le misure. Mi ci sono voluti un po’ di giorni e poi quando ho capito come funzionava, ho imparato a prendere il ritmo anche con gli altri e da lì ho iniziato a divertirmi. Certo, abbiamo preso tanta acqua, ma ripartirei anche domani.

Ti sentivi parte della corsa?

Sei fra loro, vivi tutto da dentro. Riesci a sentire proprio i rumori e a vedere da vicino anche i colori del Giro. Vedi le sofferenze dei corridori. Il più delle volte sei dietro e i primi che si staccano sono quelli che fanno più fatica, vederli soffrire così da vicino faceva quasi impressione. Li guardi, sotto la pioggia, sofferenti sulla salita e sai che dovranno affrontarne anche un’altra. Quando ti trovi davanti con qualcuno che può andare a vincere la corsa, è tutt’altra sensazione. Quindi vedi gli estremi: chi dietro lotta per arrivare a fine tappa sano e salvo e chi davanti lotta per la vittoria. In più ci sono tutte le sfumature: il corridore che va a prendere l’acqua, il momento di calma, un momento più concitato, i direttori sportivi, tutto quello che succede nelle ammiraglie dove c’è tanto stress.

«Acqua ne abbiamo presa tanta», sorride Giada Borgato: il Giro non ha dato scampo
«Acqua ne abbiamo presa tanta», sorride Giada Borgato: il Giro non ha dato scampo
Un momento del Giro, che noi da casa non abbiamo potuto vedere, che ti è rimasto impresso?

E’ bello vedere i corridori che sono più indietro. Vengono avvicinati dall’ammiraglia, incitati e confortati. Oppure, è stato molto bello seguire Buitrago sulle Tre Cime di Lavaredo, che è stato affiancato più e più volte da Pellizotti, tanto che si è preso un po’ di parole dalla Giuria. Gli andava vicino, lo spronava, lo incitava e poi il colombiano ha vinto la tappa. Franco ha corso per tanto tempo, in quei momenti lì sicuramente sente l’adrenalina che aveva da corridore. 

Tra le giovani cicliste che stanno crescendo, chi promette?

E’ stato bello cosa ha fatto quest’anno la Realini (Gaia, atleta della Trek-Segafredo, ndr). L’anno scorso aveva fatto vedere buone cose, ma fare un exploit così tra le elite, è qualcosa che promette davvero bene.

Crono di Monte Lussari: non si segue in moto, Giada la racconta dal punto del cambio bici
Crono di Monte Lussari: non si segue in moto, Giada la racconta dal punto del cambio bici
Continuare nel mondo Rai, è qualcosa che vorresti?

Lo spero, lo sport è il mio mondo, se riesco a continuare a lavorare per la Rai e raccontare il ciclismo sarebbe un sogno. Appello a Rai Sport: tenetemi il più possibile (ride, ndr)!

L’aspetto che più ti piace di questo lavoro?

Il contatto con la gente. Il ciclismo ti porta in giro per il mondo e conoscere persone con culture diverse ti lascia qualcosa in più, ti apre la mente.

Il signor Caruso, campione di normalità

09.06.2023
7 min
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A Marina di Ragusa c’è ancora qualche nuvoletta dispettosa che ha rinfrescato la ripresa degli allenamenti di Caruso. In realtà Damiano non ha mai smesso di pedalare, ma ieri è risalito in sella con lo sguardo da professionista. Il quarto posto del Giro d’Italia (in apertura con i figli Oscar e Greta nel giorno di Roma) è ancora un tema, mentre il resto della stagione sarà da costruire, con altre valigie e la Vuelta nel mirino.

Il Giro di Caruso si è svolto sempre nella scia dei migliori. Qui con Thomas, in rosa sino al Monte Lussari
Il Giro di Caruso si è svolto sempre nella scia dei migliori. Qui con Thomas, in rosa sino al Monte Lussari

Un ragazzo di 35 anni

Nel ciclismo italiano che si va ripopolando di talenti nelle varie tipologie di corsa, il siciliano ha tenuto alta anche stavolta la bandiera del Giro. E anche se non è mai stato in lotta per vincerlo, resta il fatto che alle spalle di Roglic, Thomas e Almeida, il migliore sia stato questo vecchio ragazzo di 35 anni, la cui sola colpa negli anni è stata solo quella di non aver creduto abbastanza in se stesso, lasciando che lo crescessero da uomo squadra più che da solista.

«Ho finito il Giro che non mi sentivo proprio distrutto – dice – non avevo il bisogno di fermarmi. Per cui ho fatto una settimana di recupero attivo e sono andato in bici in maniera blanda, solo per il piacere di andarci. Era quello che mi serviva. Ieri è stato il primo giorno in cui mi sono allenato, avendo dato il tempo a quella nuvoletta di andarsene. Acqua ne ho presa abbastanza. In realtà a fine Giro ho anche sentito qualche battuta sulla possibilità di andare al Delfinato o al Giro di Svizzera, però ho detto che alla mezzanotte del 28 maggio avrei spento il cellulare e a quel punto forse hanno capito che non era aria di insistere».

Se la ride. Dopo la bici, è andato con suo fratello a comprare oggetti per la casa, mentre fuori scintilla il mare di Montalbano e nelle spiagge è già vacanza. Per chi vive perennemente fra alberghi e strade lontane, la normalità è un lusso da centellinare con cura.

La Bahrain ha portato via dal Giro due tappe, la classifica a squadre, la ciclamino e il 4° posto di Caruso, qui con Milan
La Bahrain ha portato via dal Giro due tappe, la classifica a squadre, la ciclamino e il 4° posto di Caruso, qui con Milan
Soddisfatto del tuo Giro?

Più che soddisfatto, all’inizio ci avremmo messo la firma. Il quarto posto a quasi 36 anni penso fosse il massimo che potessi raggiungere, anche con i nomi che c’erano. Insomma, non penso che sia stato un risultato banale. Se poi lo contestualizziamo con quello che ha fatto la squadra, anche meglio. Le due tappe vinte con Milan e Buitrago. La maglia ciclamino. La classifica a squadre. Per noi sicuramente è stata un’esperienza più che positiva.

Visti i nomi in ballo, un quarto posto che vale tanto meno del secondo del 2021?

Non si possono fare confronti, sono entrambi due risultati bellissimi. Il secondo posto sicuramente fu una grande sorpresa per tutti, anche per me. Era la prima volta che mi ritrovavo addirittura a giocarmi un grande Giro. Però il quarto posto è importante perché conferma che quel piazzamento di due anni fa non era venuto a caso. E poi insomma, quanti hanno contato i podi che ho fatto nel frattempo?

Dici che sono passati inosservati?

Pochi si sono accorti ad esempio che ho fatto terzo al Romandia una settimana prima del Giro. Tutti si ricordano le debacle, ma quando ci sono da elencare anche le cose buone, si tende a dimenticare. Il problema è che secondo me ormai viviamo in una società che valorizza solo chi vince mentre il resto conta poco.

Questo ti condiziona? Tu riesci a valorizzare i tuoi piazzamenti?

Ho imparato a farlo. Il terzo posto del Romandia mi è servito tantissimo, perché venivo da un Giro di Sicilia andato male. Ero rimasto deluso dalla mia prestazione e non riuscivo a darmi una spiegazione. Quel terzo posto mi ha permesso di archiviare subito il risultato negativo e di andare al Giro con il morale giusto.

Nella Liquigas di giovani come come Nibali, Viviani e Sagan, Caruso è stato messo spesso a tirare nonostante i 24 anni
Nella Liquigas di giovani come come Nibali, Viviani e Sagan, Caruso è stato messo spesso a tirare nonostante i 24 anni
Perché anche questa volta sei arrivato al Giro deviando le responsabilità di leader?

Perché io non dovevo fare il leader. Avevamo Jack Haig e semmai avremmo provato con Buitrago. Io mi sarei accontentato di essere in una zona di classifica medio-alta che ti permettesse di provare a vincere una tappa. Non pensavo di poter lottare ancora per i primi cinque. Solo che nel frattempo la condizione è cresciuta, mi sono ritrovato in classifica e a quel punto me la sono giocata bene.

Pensi che se ti avessero cresciuto con la mentalità vincente, avresti avuto un’altra carriera?

Può essere che mi porti ancora dietro la mentalità con cui mi sono formato nei primi anni di carriera. E questo forse influisce sul mio atteggiamento. Resta il fatto che correndo senza alcun tipo di pressione, vado in gara più leggero e i risultati arrivano di conseguenza. Sto vivendo la parte più bella di tutta la carriera, proprio perché non ho più niente da perdere, vado avanti, mi diverto e riesco anche ad essere performante. Alla Vuelta ad esempio…

Cosa farai alla Vuelta?

Andrò per puntare a una tappa. Per il tipo di corsa che è, non penso proprio che abbia senso fare classifica.

Quella delle Tre Cime è stata la tappa che a Caruso è piaciuta di più, per meteo, strade e sensazioni
Quella delle Tre Cime è stata la tappa che a Caruso è piaciuta di più, per meteo, strade e sensazioni
Qual è stato il giorno più bello del Giro?

Quello in cui proprio ho assaporato tutta la tappa, è stato alle Tre Cime di Lavaredo, perché abbiamo corso una bellissima tappa sui passi dolomitici. C’era una giornata stupenda, il tempo perfetto per andare in bici e io stavo bene. C’era un arrivo prestigioso. Dopo quella, mi è piaciuto il Monte Lussari e alla fine anche Roma ha avuto il suo perché. Finalmente il Giro si è chiuso con una tappa veramente bella, dovremmo farla tutti gli anni.

I quasi 36 anni fanno pesare la vita da atleta?

Mi piace ancora, faccio un po’ più fatica quando sono qui a casa perché non ho compagni di allenamento che mi possono stimolare a far meglio. Però partire per andare in ritiro o stare fuori in ritiro non mi crea alcun problema e lo faccio volentieri perché ho capito da qualche anno che questo è un lavoro e sono fortunato a poterlo fare. Allora ti dici: “Se proprio devi fare questi sacrifici e con te li deve fare la tua famiglia, cerca almeno di farli bene”. Chiaramente mi dispiace quando non vedo i bambini a lungo. Prima del Giro ad esempio sono stato fuori per due mesi. Oscar, il primo, ha capito. Greta, la piccola, fatica a farsene una ragione. 

La preparazione per la Vuelta riprenderà da Livigno e passerà prima per la Vuelta Burgos
La preparazione per la Vuelta riprenderà da Livigno e passerà prima per la Vuelta Burgos
Li porterai con te a Livigno?

Non credo, abitiamo a 50 metri dalla spiaggia e il prossimo ritiro a Livigno servirà per preparare la Vuelta. Avrò poco tempo da dedicargli e costringerli a stare a 2.000 metri per dieci giorni non è il massimo, avendo questa alternativa.

Cosa pensi dell’arrivo di Tiberi: potrebbe diventare un giovane cui passare la tua esperienza?

Se vorrà ascoltare, sarò ben contento di trasmettergli un po’ del bagaglio che ho accumulato in questi anni. Mi fa piacere, a prescindere che sia italiano o meno, quando c’è un giovane interessato che vuole imparare. Perché oggi a questi ragazzi molto forti hai poco da insegnare e alcuni di loro neppure hanno l’atteggiamento di curiosità, di ascoltare un altro punto di vista. Se Tiberi invece avrà voglia e mi chiederà consiglio, io sicuramente non mi tirerò indietro.

Pronta una certificazione di qualità per Elite

05.06.2023
3 min
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I prodotti Elite sono da sempre fedeli compagni di viaggio per chi ama praticare ciclismo, sia a livello outdoor che indoor. L’azienda veneta è conosciuta in tutto il mondo per i rulli, le borracce, i portaborracce e i tanti accessori ciclo prodotti presso la sua sede di Fontaniva, in provincia di Padova.

Nei giorni scorsi Elite ha ricevuto un importante riconoscimento che testimonia della cura e dell’attenzione che quotidianamente investe nel proprio lavoro. Stiamo parlando della certificazione ISO 9001:2015. Si tratta nello specifico di una certificazione riconosciuta globalmente per i sistemi di gestione della qualità (SGQ). E’ basata un forte orientamento al cliente, un approccio orientato alla coerenza dei processi e obiettivi di miglioramento continuo.

Elite fornisce le borracce a numerosi team WorldTour
Elite fornisce le borracce a numerosi team WorldTour

Un processo meticoloso

Per ottenere la certificazione ISO 9001:2015 Elite ha dovuto sottoporsi ad un processo meticoloso. Si è partiti da una valutazione preliminare alla quale ha fatto seguito la completa sensibilizzazione sul tema della qualità a ogni livello interno alla sua organizzazione. L’identificazione delle aree di miglioramento, la creazione di un piano d’azione per queste aree, l’attuazione del piano e le prove della sua esecuzione hanno completato con successo il procedimento.

Il lavoro è stato poi sottoposto ad una revisione esterna da parte di certificatori indipendenti approvati ISO. Nel caso specifico di Elite si è trattato ICIM e IQNET.

Il Justo è uno dei rulli più apprezzati dai clienti di Elite
Il Justo è uno dei rulli più apprezzati dai clienti di Elite

Cos’è la ISO 9001:2015?

Aver ottenuto la certificazione ISO 9001:2015 attesta che il sistema di gestione della qualità applicato da Elite aderisce ai principi fondamentali di ISO 9001. Tra questi rientrano: la promozione di una cultura di miglioramento continuo ed efficienza tramite il ciclo PDCA (Plan-Do-Check-Act); l’applicazione di un approccio di business basato sulla prevenzione di rischi e problematiche prima che si verifichino e sulla progettazione di qualità dal primo momento piuttosto che sull’azione correttiva; l’accento su una comunicazione più forte sia interna che esterna per migliorare interazione, comprensione e soddisfazione di clienti e collaboratori; la standardizzazione dei processi per garantire coerenza e costanza nelle operazioni, affiancata da continue valutazioni di miglioramento volte a soddisfare le mutevoli esigenze dei clienti.

Elite è stato partner del Giro d’Italia 2023
Elite è stato partner del Giro d’Italia 2023

Coinvolgimento totale

Il processo di certificazione ha interessato ogni area dell’azienda: dal controllo della qualità allo sviluppo prodotto, da logistica, ordini e spedizioni fino alle aree commerciale, marketing, customer care, HR e amministrazione. Nessun reparto è stato escluso.

Più in generale l’aver ottenuto la certificazione ISO 9001:2015 ha rappresentato per Elite il riconoscimento dell’impegno continuo dimostrato nel fornire servizi orientati al cliente e prodotti di alta qualità.

Nicoletta Sartore, COO (direttore operativo) di Elite, ha voluto sottolineare come la qualità sia il fondamento di ogni aspetto del business di Elite e la soddisfazione del cliente sia prioritaria.

«Ottenere la certificazione ISO 9001 – spiega – è la perfetta testimonianza di questo nostro impegno per la qualità. Il processo di certificazione è inoltre un’esperienza di apprendimento preziosa che consente a ciascuna azienda di identificare le proprie aree di miglioramento e rendere in questo modo il proprio business ancora più forte. E’ un’opportunità per rimanere concentrati sul continuo miglioramento delle nostre attività, mantenendo elevato il livello di tutto ciò che facciamo, obiettivi e processi. Lo scopo di tutto è essere preparati ad agire in ogni momento per venire incontro alle necessità non solo dei clienti, ma della stessa industria ciclistica in cui operiamo».

Elite

Torniamo da Petacchi: dopo Milan, c’è Dainese

04.06.2023
5 min
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Ieri Milan e le sue volate potentissime e scomposte, oggi il discorso con Petacchi si sposta su Alberto Dainese: velocista più compatto e ugualmente vincente. Dopo aver vinto la tappa di Reggio Emilia dello scorso anno, il padovano è stato sottoposto a un’estate di lavori forzati, con il Giro del Belgio dopo quello d’Italia e a seguire il Tour de France, dove ha centrato il terzo posto nella 19ª tappa.

Quest’anno Alberto, che è alto 1,76 e pesa 70 chili, ha iniziato il Giro tirando le volate per Mayrhofer. E quando poi ha avuto carta bianca, ha vinto quella di Caorle battendo proprio Milan e centrando il quarto posto nell’ultima volata a Roma.

L’indomani della vittoria di Caorle, Dainese ha ricevuto complimenti dal gruppo e richieste di autografi
L’indomani della vittoria di Caorle, Dainese ha ricevuto complimenti dal gruppo e richieste di autografi

Baricentro basso

Se per Milan avevamo chiuso parlando di un atleta col baricentro alto, che fatica nelle curve e a rilanciarsi, per Dainese vale il discorso opposto.

«Secondo me al Giro è stato un po’ sfortunato – riflette Petacchi – forse all’inizio il Team DSM poteva concedergli qualche possibilità in più. Quando ha vinto la tappa, Mayrhofer ha fatto un lavoro straordinario per aiutarlo: forse avrebbe dovuto tirargli le volate per tutto il Giro anziché farle lui. Anche perché non so se il tedesco abbia le potenzialità per battere i velocisti che c’erano. Invece Dainese ha dimostrato che si muove bene e sa tenere la posizione. Il giorno in cui ha vinto, l’altro lo ha lasciato lunghissimo. Quando è passato Hepburn con Matthews a ruota, andavano almeno a 3 all’ora in più e lui ha chiuso il buco, poi ha tirato dritto (foto di apertura, ndr). Ha fatto anche una volata lunga. Ha avuto mille problemi, ha avuto la bronchite, poi la gastroenterite e il giorno dopo ha vinto una tappa. Insomma, la vittoria dello scorso anno non è stata un caso».

Reggio Emilia 2022, prima vittoria al Giro per Dainese che batte Gaviria. Notare la testa e il busto bassi in stile Cavendish
Reggio Emilia 2022, prima vittoria al Giro per Dainese che batte Gaviria. Notare la testa e il busto bassi in stile Cavendish
Dice di sé che non ha tanti watt, ma supplisce con l’aerodinamica.

Il contrario di Milan, insomma. Come posizione assomiglia a Cavendish. Neanche Mark ha dei watt fuori dal comune, ma con l’aerodinamica e la superficie corporea ridotta colma la differenza. Quando “Cav” fa le cronometro da solo, tira fuori anche delle prestazioni decenti. Perché è piccolino, compatto, come coefficiente aerodinamico ti riporta un po’ al discorso di Evenepoel. E’ talmente piccolo e compatto che con i suoi watt riesce ad andare a 55 orari di media, mentre un Milan per andare alla stessa velocità deve fare magari 30 watt in più.

Secondo te anche Dainese ha bisogno di un ultimo uomo?

Io credo che al giorno d’oggi, se hai un paio di uomini davanti, prima di tutto rischi meno. E poi quel giorno che sei al 95 per cento, il 5 che manca te lo fanno i compagni. Altrimenti devi pigliare tre volte il vento in faccia a 60 all’ora e quando arrivi alla volata, sei al 92 per cento e non rendi come potresti. Se invece hai qualcuno che ti aiuta, ti risolve il problema di risalire, di stare più coperto, di essere un po’ più esplosivo nel momento in cui serve.

Gruppetto, salvagente dei velocisti. Qui Dainese con Gaviria e Consonni. Ha chiuso il Giro penultimo nella generale
Gruppetto, salvagente dei velocisti. Qui Dainese con Gaviria e Consonni. Ha chiuso il Giro penultimo nella generale
Lo scorso anno Dainese ha fatto in successione Giro d’Italia, Giro del Belgio e Tour e ha fatto terzo nella penultima volata del Tour: cosa significa?

Fare Giro e Tour è pesante. Pensiamo a Van der Poel, che l’anno scorso ha fatto il Giro e andava fortissimo, da schifo. Poi è andato al Tour e non la muoveva, ma non perché fosse cambiato il livello di corridori, semplicemente perché lui non andava. Non è riuscito a ritrovare un picco di forma come quello che aveva avuto al Giro. Invece Van Aert, che ha fatto un Tour spaziale, aveva preparato solo quello e quest’anno rifarà uguale. Oggi non si fa più come una volta, dopo una corsa come il Giro serve uno stacco.

Quindi è stato un errore?

E’ vero che un velocista puro la volata magari te la vince uguale, però ormai Giro e Tour non lo fa quasi più nessuno. Per l’amor di Dio, se riesci a fare il recupero giusto, ad allenarti e fai una garetta prima di riandare al Tour, puoi anche ritrovare una buona condizione, però ormai devi programmare la stagione. Non vai più alle gare per allenarti, non si faceva quasi più neppure ai miei tempi. Ora vanno forte come le bestie, ancora di più. Approcciano le corse sempre per vincere, quindi portare un corridore a correre troppo significa non fargli un favore. Guardate cosa ha fatto la Ineos prima del Giro.

Bennati lo ha convocato nel 2022 per gli europei, chiusi in 11ª posizione: lo chiamerà per i mondiali?
Bennati lo ha convocato nel 2022 per gli europei, chiusi in 11ª posizione: lo chiamerà per i mondiali?
Che cosa hanno fatto?

Hanno fatto quattro corse dall’inizio dell’anno e poi hanno partecipato al Tour of the Alps che erano già quasi tutti a puntino. Quelli che andavano meno erano Arensman e Thomas, che al Giro sono stati i più forti. Sono anche convinto che senza la caduta, Geoghegan Hart rivinceva il Giro, perché era quello che andava di più in assoluto e poteva lottare con Roglic.

Quindi adesso quale programma sarebbe giusto per Dainese?

Se pensa di voler andare al mondiale, che sarà veloce, allora potrebbe anche riconsiderare il Tour. Chi va in Francia sicuramente può fare un buon mondiale, perché il percorso è veloce, dicono buono per Matthews, Van der Poel e Van Aert. Dainese è un corridore che mi piace molto ed è anche un bravissimo ragazzo, però con tutto il rispetto non si può paragonare con quei nomi in una gara di 270 chilometri. Su quel percorso o qualcosa di simile Trentin vinse l’europeo battendo proprio Van der Poel e Van Aert, ma anche in quel caso erano meno chilometri e anche Matteo aveva qualche anno di meno. Quindi spero che Dainese vada a fare la Vuelta, sarebbe per lui la scelta più logica.

Storia di Duque, argentino con la valigia piena di sogni

04.06.2023
6 min
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ODERZO – Giovedì della scorsa settimana. C’è il Giro d’Italia che parte verso Val di Zoldo, per una delle tappe che ne scriverà la storia con la vittoria di Filippo Zana. Il piazzale dei pullman è assiepato dai tifosi e in un angolo Michele Biz ha portato con sé Mateo Duque, il giovane argentino in forza alla sua Gottardo Giochi-Caneva, che ha da poco conquistato due medaglie d’oro ai Giochi Panamericani juniores su pista. Nell’omnium prima e nella madison poi.

Ci accorgemmo di lui alla presentazione delle squadre juniores alla Vuelta a San Juan, quando su quel palco e accanto al Governatore Sergio Unac passò la maglia gialla e nera della squadra friulana. Fu così che con un whatsapp transoceanico, Biz ci spiegò che si trattava di un ragazzo classe 2005 di Buenos Aires, che da marzo avrebbe corso con loro in Italia: cosa che puntualmente è accaduta. Il ragazzino ha vinto i Panamericani e già ottenuto due quarti posti su strada.

Duque parla un ottimo italiano. Vicino a lui c’è suo padre, la baraonda dei tifosi intorno suggerisce di spostarsi un po’ per conoscerne la sua storia.

Quella maglia del Caneva, alla presentazione della Vuelta a San Juan. Con la camicia, il Governatore Unac
Quella maglia del Caneva, alla presentazione della Vuelta a San Juan. Con la camicia, il Governatore Unac

Famiglia di sportivi

Il papà, colombiano, si chiama Alvaro ed è stato un calciatore di prima serie. La madre Veronica, oggi marketing manager, è stata una tennista. Il fratello Thiago, 15 anni, è una promessa del calcio e sta facendo dei provini anche da noi.

«La passione per il ciclismo – racconta Duque – è venuta perché mio papà ha sempre ha seguito i grandi Giri e io li guardavo con lui. La mia fame di ciclismo è iniziata da lì. Andare in bicicletta a Buenos Aires è difficile, da piccoli ci allenavamo sempre nel Circuito KDT, anche se non siamo mai stati in tanti: due o tre al massimo. Il mio primo titolo nazionale lo vinsi in pista nella corsa a punti a San Luis, avevo 13-14 anni. Avevo iniziato allenarmi in pista, anche se l’ho sempre abbinata con la strada. Da noi la pista è una cosa importante, abbiamo i fratelli Curuchet e la loro storia è stata una grande motivazione per crederci di più. E come tecnico c’è anche Cristiano Valoppi, che conosco bene…».

Quadro di famiglia durante la vacanza europea: Da sinistra Thiago, mamma Veronica, papà Alvaro e Mateo Duque
Quadro di famiglia durante la vacanza europea: Da sinistra Thiago, mamma Veronica, papà Alvaro e Mateo Duque

Doppio oro

I diciotto anni parlano di freschezza e anche di un’apparente convinzione nei suoi mezzi. Suo padre di tanto in tanto si volta per osservarlo, Biz appare compiaciuto.

«Rivincere il titolo panamericano da junior – racconta Mateo – è stato più importante che da allievo, perché la conferma non è mai facile. La Colombia era forte, gli Stati Uniti erano forti. Forse però noi argentini in pista siamo più furbi delle altre nazioni e giochiamo un po’ più con la testa, non solo con le gambe. Credo di aver vinto per questo.

«Delle due medaglie, forse mi ha dato più soddisfazione l’omnium. Non vincevo da ottobre dell’anno scorso e quella vittoria ha mandato via la tensione. Il successo nella madison col mio compagno Augustin Ferrari è stato come la ciliegina sulla torta. Non mi allenavo con lui da parecchi mesi, ma in due giorni siamo riusciti a ritrovare l’affiatamento che in passato ci ha permesso di raggiungere importanti traguardi nelle categorie giovanili. Condividere con lui l’emozione dell’oro è stato bellissimo».

Passaggio in Italia

Lo scorso anno avvenne il contatto con la Gottardo Caneva e da allora Duque non se ne è più andato. La nazionale argentina era qua in preparazione ai mondiali e la mamma di Mateo era con loro come accompagnatrice. Fu per un fatto di vicinanza, che si rivolse a Michele Biz. Lui prima rispose con cortesia, poi si accorse delle prestazioni di uno di quei ragazzini anche su strada e decise di vederci più chiaro.

«A luglio l’anno scorso – prosegue Duque – sono venuto in Italia. Ho fatto 45 giorni di preparazione con la nazionale prima del mondiale in pista e ho capito che il ciclismo è qua in Europa. In Argentina il livello è più basso, non si fanno tante gare come qua. Da voi, tutte le domeniche ci sono gare di 120-130 chilometri, con 200 ragazzi che vogliono vincere. A marzo e aprile, sono venuto con mia madre. Poi sono arrivati mio papà e mio fratello per una vacanza e sono ancora qui. Rimarranno in tutto per un mese, mentre io resterò fino a ottobre, sino alla fine della stagione».

Da marzo, Duque corre nella Gottardo Giochi-Caneva di Michele Biz, figlio dell’indimenticato Gianni
Da marzo, Duque corre nella Gottardo Giochi-Caneva di Michele Biz, figlio dell’indimenticato Gianni

Strada e pista

Quel che ha trovato è totalmente diverso dall’Argentina e dal ciclismo di laggiù. In Friuli, Duque si allena, corre e studia. Frequenta la scuola di italiano e fa anche quella argentina a distanza.

«Adesso è un po’ difficile – sorride – perché ci sono mio papà e mio fratello in vacanza, ma la scuola è importante, come pure la vita del ciclista. Faccio strada e pista, sono entrambe belle e non so decidere quale mi piace di più. Per la pista vado a Pordenone, nel Velodromo Bottecchia, con l’aiuto di Valentina Alessio. Invece su strada esco spesso da solo, qualche volta quando c’è Andrea Montoli mi alleno con lui. La salita mi piace, credo che un corridore completo deve fare tutto. Salita, volata, discesa, andare in pianura…

«Di giorno i ragazzi vanno a scuola e se aspetto il pomeriggio per allenarmi, non faccio abbastanza. Seguendo la scuola online, posso seguire dopo l’allenamento. Ora che loro finiranno le lezioni, andremo più spesso insieme. Allenarsi in gruppo è meglio».

Duque alterna in modo regolare la pista e la strada
Duque alterna in modo regolare la pista e la strada

Sogni da grande

L’Argentina manca, ma la determinazione nel portare avanti questo progetto di vita suona superiore, con la benedizione e la buona pace degli amici argentini che da un giorno all’altro se lo sono visto sparire di sotto il naso.

«Mi mancano le amicizie e i compagni di scuola – dice – quando sono partito, erano un po’ sorpresi anche loro. Però sapevano qual è il mio sogno e capiscono che la situazione qua in Europa è migliore per me. Sono argentino, le cose che mi danno felicità sono la bicicletta e la mia famiglia. Il mio sogno è fare il professionista, entrare nel gruppo più grande. Mi piacciono le corse con un po’ di su e giù, percorsi un po’ duretti che fanno selezione. Se arrivo in volata con un gruppo di 25-30 corridori, posso giocarmela in volata. Quand’è così, mi piace…».