Pensando a Gino Mader, le parole del gruppo

17.06.2023
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«Non proprio la performance che speravo qui alla Volta Catalunya. Ma non perdo la speranza, anche la Lamborghini prima costruiva trattori». Spiritoso. Allegro. Sognatore. Ironico. Queste parole di Gino Mader prese da Instagram dopo il Catalunya sono il modo che abbiamo trovato per cominciare il racconto con un sorriso.

Gino Mader è nato il 4 gennaio 1997 a Flawil, è morto il 16 giugno 2023 a Coira
Gino Mader è nato il 4 gennaio 1997 a Flawil, è morto il 16 giugno 2023 a Coira

Sentimenti e social

Ventiquattro ore dopo la morte del giovane svizzero, il mondo del ciclismo fa comprensibilmente fatica a lasciarlo andare. Che le cose non andassero si era capito la sera stessa, dalle risposte insolitamente abbottonate sua squadra. E quando ieri mattina il cuore di Gino ha smesso di battere, c’è stata prima l’incredulità, poi è subentrato il dolore. E a quel punto le dispute sui dilettanti attaccati dello Stelvio sono parse ridicole e vuote.

Come ogni volta che un corridore se ne va, il gruppo si è raggomitolato su se stesso in una posizione quasi fetale. Poca voglia di parlare, zero interviste: solo messaggi fra amici che resteranno tali. Eppure tutti, ciascuno a modo suo, hanno trovato il modo di salutare l’amico scomparso sui social. Quella che vi proponiamo è una galleria di post, per come il gruppo ha voluto ricordare quel ragazzo sorridente, capace di portare allegria e impegnarsi per l’ambiente con lo slancio di un bambino.

Damiano Caruso

«Caro Gino è stato un onore averti come compagno di squadra, ma soprattutto aver avuto il privilegio di conoscere la splendida persona che eri. Intelligente ed educato , razionale e leale come pochi. Ciao Gino, ti voglio bene».

I compagni del team Bahrain Victorious in raccoglimento prima del via
I compagni del team Bahrain Victorious in raccoglimento prima del via

Michele Bartoli

«La cosa che ti ripetevo di più era Gino ridi, qui mi avevi ascoltato. Mi ascoltavi sempre, il confronto con te era sempre costruttivo. Oggi sto pagando con un dolore immenso, ma ringrazio Dio di averti conosciuto e di aver potuto costruire un grande rapporto con una persona speciale come te. Buon viaggio Gino, mi mancherai, non immagini quanto».

Sonny Colbrelli

«Sei stato un amico, un compagno e un motivatore quando ero in difficoltà. Da oggi abbiamo un angelo in più».

Matej Mohoric

«Gino, riposa in pace. Sarai vivo per sempre nei nostri cuori. Ho avuto così tanto rispetto per il tuo impegno per rendere il mondo un posto migliore per tutti. Porterò questo con me oggi, domani e ogni giorno».

Sandra, la mamma di Gino Mader, ha abbracciato i suoi amici corridori
Sandra, la mamma di Gino Mader, ha abbracciato i suoi amici corridori

Fabian Cancellara

«Riposa in pace, Gino. Ci mancherai, sei stato speciale per me per il modo in cui ti ho incontrato. I miei pensieri sono ora con la sua famiglia e i suoi cari».

Romain Bardet

«Come. Perché. Cosa ci resta adesso? I nostri occhi che piangono, i nostri pensieri devastati. Siamo tutti Gino, sfrecciando in ogni discesa sempre più veloci, al limite dell’equilibrio. Sfidando i nostri limiti curva dopo curva. Dopotutto, l’abbiamo già fatto 1000 volte. E’ buio il giorno in cui il destino viene a strapparci uno dei nostri, un nostro simile, acrobata in lycra, con un’ingiustizia che ci lacera e che nessuno può riparare. Coscienti dell’incoscienza solo quando la brutalità ci raggiunge e ci danneggia per sempre. Se solo la sincerità dei nostri pensieri bastasse per confortare coloro che rimangono. Facciamo questo sport per le emozioni, ma mai per vedere la nostra famiglia in lutto. Ad una stella che non smetterà mai di brillare, Gino».

Francesco Villa

«R.I.P. Gino. Eri un ragazzo speciale, non dimenticherò le nostre chiacchierate sul bus. Mancherai…».

Alejandro Torralbo

«Vaaamooos Gino, ora correrai per sempre e sarai vivo nei nostri ricordi».

Evenepoel ha parlato subito della sicurezza dell’arrivo in fondo alla discesa
Evenepoel ha parlato subito della sicurezza dell’arrivo in fondo alla discesa

Adriano Malori

«Oggi è morto un altro ciclista giovanissimo, Gino Mader della Bahrain Victorious, caduto ieri nella discesa che portava all’arrivo. I motivi? Sconosciuti e non serve a nulla cercarli! Posso solo dire un mio parere. Gli organizzatori devono capire che purtroppo il ciclismo è cambiato. I corridori hanno pressioni inimmaginabili, le biciclette sono dei missili super rigidi che non permettono errori. Ad oggi a un corridore pro’ basta accarezzare i pedali per fare in pianura i 35-40 km/h e gli bastano pochi metri di discesa per raggiungere 70-80 km/h. Questo sport che è cambiato del 70% negli ultimi 20 anni quindi anche i percorsi devono adeguarsi.
«Dunque mi associo alle dichiarazioni di Evenpoel che ha dichiarato: «Non è stata un’idea intelligente collocare il traguardo di una tappa così impegnativa al termine di una discesa. Ma ovviamente c’è sempre più bisogno di spettacolo. Detto questo, ciao Gino».

Mark Cavendish

«Assolutamente senza parole per questa notizia devastante. Amico, ci mancherai tu e il tuo sorriso che avrebbe illuminato il gruppo. Invio forza e amore alla tua famiglia, ai tuoi amici e al Team Bahrain Victorious. Riposa in pace, Gino».

Lungo i pochi chilometri percorsi ieri dal gruppo, il pubblico applaudiva e piangeva
Lungo i pochi chilometri percorsi ieri dal gruppo, il pubblico applaudiva e piangeva

Ineos Grenadiers

«Abbiamo il cuore spezzato nel sentire di Gino e i nostri pensieri sono con i suoi amici, la famiglia e tutti al Team Bahrain Victorious. Gino non era solo un ciclista di grande talento e un grande agonista, era anche una persona incredibile e un amico per molti di noi. La sua assenza sarà sentita da tutti nel gruppo e in tutto il nostro sport».

Elke Weylandt

«Senza parole. Sono oltremodo triste nel vedere un’altra famiglia, un altro gruppo di amici, un’altra squadra, un altro gruppo attraversare questo inferno vivente. RIP Gino»

Franco Pellizotti

«Ciao Ginetto, ti porterò per sempre nel mio cuore. Riposa in pace».

Fran Miholjevic

«Oggi ho perso un amico. Caro Gino, sei stato molto più di un collega. Sei stato un amico e un modello. Sono grato e orgoglioso di aver condiviso con te i tuoi ultimi giorni e la strada del tuo ultimo viaggio qui sulla terra. Riposa in pace».

Sul traguardo, uno striscione ha celebrato Gino Mader al passaggio dei suoi compagni
Sul traguardo, uno striscione ha celebrato Gino Mader al passaggio dei suoi compagni

Brent Copeland

«Ho cercato di trovare le parole tutto il giorno per esprimere i miei sentimenti per una giornata così tragica! Difficile trovare le parole, ma una cosa speciale si è evidenziata oggi ed è quanto sia veramente stretta la comunità del ciclismo, sia nei momenti buoni che in quelli cattivi. Possiamo tutti avere le nostre opinioni diverse, ma alla fine siamo tutti qui per supportarci l’un l’altro e questo è qualcosa di speciale! RIP Gino! Ci hai intrattenuto in tanti modi speciali e memorabili!».

Delfinato o Svizzera? La via per il Tour secondo Belli

31.05.2023
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Lo scorso anno, dopo una primavera non troppo esaltante, Jonas Vingegaard andò al Delfinato, vinse l’ultima tappa (foto di apertura) e si piazzò secondo dietro Roglic in classifica finale. Così prese fiducia e dopo 40 giorni si ritrovò vincitore del Tour. Ora che il Giro è finito, manca davvero poco perché si cominci a entrare nell’orbita della Grande Boucle. E il calendario WorldTour offrirà nelle prossime settimane due corse tradizionalmente dedicate al rodaggio dei campioni, dalle quali pochi davvero si asterranno. Stiamo parlando di Giro del Delfinato (4-11 giugno) e Giro di Svizzera (11-18 giugno), i cui albi d’oro sono pieni di corridori che nelle settimane successive hanno ben figurato nella sfida del Tour.

La cosa curiosa di quest’anno è che i primi due del Giro, quindi Roglic e Thomas, lo scorso anno avevano vinto rispettivamente il Delfinato e il Giro di Svizzera.

Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo fu Simoni, primo al Giro (foto Keystone)
Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo Simoni, primo al Giro (foto Keystone)

Tre volte terzo

Ne abbiamo voluto parlare con Wladimir Belli, che li ha fatti da corridore e a breve commenterà il Delfinato dai microfoni di Eurosport. Essendo un preparatore atletico, la nostra è una curiosità al contrario: vale ancora la pena passare attraverso certi percorsi di rodaggio per arrivare bene al Tour?

«Faccio due considerazioni – comincia Belli – e la prima che mi viene in mente è che sono arrivato per tre volte terzo allo Svizzera e una volta al Delfinato e nei primi tre casi uscivo dal Giro d’Italia. In quegli anni infatti, chi usciva bene dal Giro, andava in Svizzera e sfruttava la coda della condizione. C’era il confronto scontro tra chi doveva fare il Tour e chi veniva dal Giro.

«Ricordo che nel 2001 Simoni vinse il Giro e arrivò secondo allo Svizzera, dietro Armstrong che puntava al Tour. Io arrivai terzo, fu l’anno che mi squalificarono dal Giro e anche quello della presunta positività di Armstrong che fu coperta. Non credo che oggi qualcuno che ha fatto classifica al Giro d’Italia vada in Svizzera con lo stesso obiettivo. Mi pare che ci sarà Frigo e magari se ne servirà per fare un salto di qualità. Se ci scappasse un bel piazzamento fra i primi cinque, sarebbe già tanta roba».

Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Per parecchio tempo, chi puntava deciso sul Tour evitava di spremersi nelle corse di vigilia. E’ ancora così?

Sì, ma fino a un certo punto. Nel senso che essendo cambiata un po’ la programmazione dei corridori, non hanno bisogno della corsa per trovare la condizione. Per cui sicuramente qualcuno proverà la gamba e chi magari è già al top si può anche nascondere.

La corsa non è più indispensabile?

Mentre prima scendevi dall’altura e avevi bisogno di correre per fare ritmo, adesso i corridori scendono dall’altura e arrivano alle corse che sono già pronti. Vi faccio l’esempio di Thomas che subito prima del Giro ha fatto il Tour of the Alps, ma quasi non lo abbiamo visto. Con la tecnologia, la preparazione e la metodologia di adesso, sanno già a che percentuale di condizione sono. Per cui ci sta che qualcuno al Delfinato si nasconda.

Sfuggendo al confronto?

Qualcuno proverà anche a misurarsi con gli altri, ma non saranno confronti al 100 per cento. Se poi sei uno che non può vincere il Tour de France, allora ci sta che vai forte e ti porti a casa il Delfinato. Il Tour possono vincerlo in pochi, è giusto che altri cerchino gloria altrove.

Si dice che si va al Delfinato anche per fare l’abitudine al correre francese. E’ ancora così?

DI sicuro al Delfinato inizi a respirare un po’ il clima del Tour. Parlo di strade, hotel e tipologia di salite. Allo Svizzera le strade sono diverse, l’ambiente è diverso. Magari il contesto generale sembra quello di una corsa di dilettanti, però si va forte e magari trovi corridori che ormai conoscono molto bene il Tour e non hanno bisogno di correre sull’asfalto francese. Al confronto di quelle stradine, i percorsi dello Svizzera sono perfetti e la pedalata ne è condizionata.

Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Sono così particolari le strade francesi?

Sono strette, bisogna conoscerle. Come la prima volta che vai in Belgio e non capisci bene. Sei sempre a tutta e vedi i corridori che passano sulla pista ciclabile, oppure strade larghe che di colpo diventano strette. Sono le situazioni che devi conoscere se vorrai fare il Tour per vincere.

Quando correvi tu, era raro trovare squadre italiane al Delfinato…

Perché andare in Svizzera era più comodo per tutti, mentre adesso si sono orientati tutti sul Delfinato. Anche perché c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione: il Delfinato è organizzato dagli stessi del Tour, quindi c’è da considerare anche l’aspetto diplomatico. E poi finisce una settimana prima dello Svizzera, lasciandoti più tempo per lavorare.

Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Non si è ancora ben capito che cosa farà Bernal: se lo porteranno al Tour e dove correrà alla vigilia.

Forse un corridore come Egan, che rientra senza conoscere le sue condizioni, farebbe meglio a evitare il Delfinato. Neanche lui sa come stia, io eviterei i confronti più severi. Però magari lo portano al Tour per puntare alle tappe.

Perché invece Pogacar si preparerà al Giro di Slovenia?

Perché va forte e non ha bisogno di confronti diretti. Ormai sa quali sono le sue qualità e la sua forza. La corsa in Slovenia gli dà comunque morale, corre senza tirarsi troppo il collo e non si stressa a livello mentale. Non è che dormirà a casa sua, però vedere il tuo pubblico ti può dare la carica. Avete visto al Giro che belli erano i tifosi di Roglic?

Sagan, il ritorno e il Covid che non fa più paura

28.06.2022
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Dopo la vittoria al Giro di Svizzera, per Sagan è arrivato il campionato nazionale slovacco e nel mezzo è venuta anche un’altra dose di Covid. Il virus cambia forma e di riflesso varia anche l’atteggiamento delle squadre. In altri tempi, la squadra avrebbe fermato Peter, tenendolo a casa dal Tour. Oggi, fatte le necessarie verifiche, il programma va avanti. Le direttive UCI sono identiche, è cambiato l’atteggiamento.

Sagan ha raccontato questi giorni al belga Het Nieuwsblad, proprio lasciando intuire il diverso approccio con quel che gli è capitato. E la leggerezza del contagio.

Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Peter Sagan, stai di nuovo bene?

Sì, il contagio al Giro della Svizzera è stato un altro conto da pagare, un’altra gara che non ho potuto finire. Per fortuna questa volta non ho avuto nessun sintomo, una grande differenza rispetto alle volte precedenti. Ho potuto correre il campionato slovacco senza problemi.

Diversamente dalla tua catastrofica primavera, perché hai staccato la spina prima del Giro delle Fiandre?

Molto difficili. Non riuscivo a venirne a capo. Non ho capito neanche io cosa mi è successo. La mia forma era pessima, mi sentivo stanco, non funzionava niente… Alla lunga non riuscivo nemmeno a finire le gare più facili. Non era normale.

Hai parlato di un dolore alle gambe che non avevi mai provato.

Non era tanto il dolore, quello sulla bici lo sento ogni giorno. Era proprio il momento in cui iniziavo a pedalare. Se stai pedalando a 400 watt, il mal di gambe ci può stare. Ma io stavo già male quando pedalavo a malapena a 250 watt. Questa era la cosa strana.

La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
Eri sicuro che fosse correlato alle conseguenze del Covid di gennaio?

Così mi hanno detto i dottori. Ho fatto un esame medico dopo l’altro. Ovunque il risultato è stato lo stesso: post-Covid. Mi stava bene, avevo solo bisogno di tempo e pazienza. Lo so: molte persone pensano che sia una scusa, ma ognuno reagisce in modo diverso. Per alcuni è un grosso problema, per altri no. A quanto pare appartengo alla prima categoria. Inoltre, la maggior parte delle persone, torna al lavoro dopo due settimane. Sono un po’ stanchi, ma è tutto ciò che si può vedere. E’ diverso se, come me, hai bisogno del tuo corpo per lavorare. Le polemiche non cambiano quello che ho sentito io. Nessuno può guardare dentro il mio corpo.

Eri preoccupato che le cose non sarebbero mai andate bene?

Non proprio. Lo sapete, non mi preoccupo mai delle cose che non posso cambiare. Nemmeno adesso. Ero felice di qualsiasi progresso. Ma se non fosse stato così… Devi prendere la vita come viene: non preoccuparti troppo del futuro, meglio vivere nel presente.

Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Quando hai sentito il cambiamento?

Durante il mio ritiro in quota a maggio, in America. Lì ho notato che gradualmente tutto sembrava di nuovo normale. Il mio corpo reagiva come al solito, recuperavo dopo uno sforzo, mi sono sentito di nuovo bene… Poi era solo questione di tempo. E la dimostrazione c’è stata in Svizzera. Non ho intenzione di dire che sono completamente tornato, ma quella vittoria di tappa è stata bella.

Basterà per essere protagonista al Tour?

Vedremo, ma sono decisamente pronto. Una volta iniziato, vivrò giorno per giorno. Puoi pianificare quanto vuoi, ma dopo il primo giorno, tutto può essere diverso da quello che avevi in mente.

Van Aert punta decisamente alla maglia verde. Tu sai cosa significa…

Non è una cosa che puoi programmare. Ho vinto alcune maglie verdi. In certi anni non ero al meglio e l’ho vinta facilmente. Altri anni ero al top della forma e ho dovuto lottare fino all’ultimo giorno. Possono succedere tante cose in 21 giorni. Ma una cosa è certa. Van Aert è al top della forma. Se pedala come sta facendo da mesi, può vincerla davvero. Può vincere gli sprint, può andare forte in montagna… Può fare tutto. Non ci sono molti corridori di quel calibro. Van Aert, Van der Poel… Non vedo proprio nessun altro.

Non Sagan?

Vedremo. Proverò sicuramente. Ma la pressione stavolta non è su di me.

Corri il Tour per la prima volta con Total Energies, una squadra francese. Una grande differenza?

Non proprio. Per loro è la competizione più grande e importante del mondo. Ma non è così per ogni squadra? Spero solo di poter restituire qualcosa. In tutto quello che mi è successo in primavera, la squadra mi ha sempre supportato al cento per cento.

Nuova Bolide, ultimo test al Giro di Svizzera

21.06.2022
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Fu Fausto Pinarello per primo, commentando la Dogma F con cui Richard Carapaz aveva appena vinto il titolo olimpico su strada a Tokyo, ad anticipare che fosse allo studio anche una nuova bici da crono che avrebbe preso il posto della plurititolata Bolide, lanciata nel 2013 e affidata a Bradley Wiggins, che ne fece bella mostra al Giro d’Italia. Sulla nuova struttura sarebbe nata e nascerà verosimilmente anche la bici da inseguimento per la nazionale, che sulla Bolide ha conquistato titoli iridati e olimpici nelle prove individuali e a squadre. Sarà anche base per la bici del record dell’Ora di Filippo Ganna?

Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide
Nella crono di Villars al Romandia, Thomas aveva ancora la vecchia Bolide

Per Thomas e Martinez

Come succede sempre in questa fase della stagione che porta al Tour, alle corse bisogna tenere l’occhio… acceso ed è stato così che al Giro di Svizzera la nuova bici da crono è uscita dal garage del Team Ineos Grenadiers per Geraint Thomas e Dani Martinez. Neppure Ganna al Delfinato l’aveva ricevuta, pur vincendo la crono, probabilmente perché la novità è arrivata proprio nelle ultime ore. E mentre in altri casi il prototipo viene mascherato con una colorazione neutra, in questo Pinarello non ha fatto nulla perché la bici passasse inosservata. Perché è vero che la colorazione camouflage scelta potrebbe mascherare alcune soluzioni geometriche, ma d’altra parte era impossibile non accorgersi della differenza: di fatto l’unico tratto in comune con la nuova bici parrebbe essere il manubrio personalizzato stampato di 3D che è sempre stato il punto di forza degli atleti Pinarello. 

Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide
Ganna ha vinto la crono del Delfinato, 11 giorni prima del debutto della nuova bici, con la solita Bolide

Arrivano i dischi

Quelle che seguono sono osservazioni derivate per lo più dall’osservazione delle foto, in attesa di poter avere la bici tra le mani, verosimilmente nella prima tappa del Tour a Copenhagen. Pertanto la prima differenza che salta agli occhi è l’adozione dei freni a disco, eliminando il gap già colmato su strada con la Dogma F. Che poi i dischi abbiano anche una convenienza aerodinamica è da dimostrare. Secondo esperti più qualificati di noi, non costituiscono causa di aumento delle resistenze.

Fra le conseguenze più immediate del passaggio ai freni a disco, c’è l’eliminazione delle sagome con cui il freno anteriore e posteriore venivano integrato al tubo di sterzo e al carro posteriore. Il tubo sterzo sembra ora più stretto, mentre il nuovo disegno del carro non propone alcun tipo di accorgimento nella parte superiore, giacché il freno si trova in prossimità del mozzo.

Il tubo di sterzo, che ormai tubo non è nel senso stretto, ha uno schiacciamento aerodinamico e una profondità superiore che conferisce rigidità e probabilmente migliora la penetrazione.

Nuova forcella

Cambia la forcella, i cui foderi sono schiacciati e di conseguenza più larghi, mentre la ruota si avvicina la tubo obliquo, la cui sagomatura risulta essere più accentuata rispetto a quanto fosse già sulla Bolide. In prossimità delle punte della forcella permangono le linguette aerodinamiche rivolte verso la parte posteriore, la cui dimensione sembra in linea rispetto al modello precedente e forse superiore rispetto alla Dogma F da strada. Ma in questo caso il dettaglio andrebbe misurato: la valutazione visiva non può bastare.

Allo stesso modo, cambia il tubo orizzontale. Se nella Bolide era tendenzialmente… orizzontale, con un minimo valore di sloping, in questo caso esso risulta ben più inclinato. Il tubo stesso appare più schiacciato e piatto.

Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour
Nuova Bolide anche per Dani Martinez, che farà classifica al Tour

A misura di ruota

Come già accennato e valutato visivamente, in attesa del riscontro del calibro, anche il tubo obliquo è stato ridisegnato: la sagomatura è più accentuata e le sue dimensioni sono più simili al tubo corrispondente sulla Dogma F, di cui la nuova Bolide sembra essere la diretta emanazione. La conseguenza più immediata di ciò, unitamente al fatto che lo stesso tubo sembri avere una sezione inferiore, è che nella parte bassa il telaio sia totalmente nella sagoma della ruota anteriore, che fende l’aria a tutto vantaggio dell’aerodinamica.

A questo dato si aggiunge la sensazione, condivisa anche da altri osservatori, che la scatola del movimento centrale sia stata ridisegnata e collocata più in alto rispetto alla vecchia Bolide, ma quanto a questo potrebbe trarre in errore il nuovo disegno del carro.

Piantone slim

Evidentemente nuovo anche il piantone, che in apparenza ha la coda tronca come pure sulla Dogma F, il cui andamento è molto più semplice e meno… gotico, stante la scomparsa come si diceva del piccolo spoiler che copriva il freno posteriore. E’ ugualmente accentuata la sua svasatura, atta ad avvicinare il centro della ruota posteriore al movimento centrale.

Cambiati di conseguenza anche i foderi posteriori. Il disegno del carro è di evidente derivazione dalla Dogma F. Anche se osservando la vecchia Bolide e rimuovendo la sagoma dello spoiler del freno, si nota come anche la Bolide avesse già lo stesso disegno, con i foderi ora più sottili che si congiungono al piantone ben sotto rispetto al nodo della sella.

Due reggisella diversi

Osservando le bici di Thomas e Martinez, saltano all’occhio anche due diversi tubi reggisella, che permettono diverse inclinazioni. Non potendo personalizzare al 100% gli stampi monoscocca del telaio, si interviene sui componenti per ottenere il miglior fitting dell’atleta sulla bici.

Figlia della Dogma F

Insomma, allo stesso modo in cui la vecchia Bolide aveva parecchi tratti in comune con la F12, ecco che la nuova bici da crono (scopriremo presto se avrà un nome diverso) sembra essere derivata direttamente dalla Dogma F. Abbiamo approfondito in altra sede il discorso sugli investimenti necessari per ottenere bici da crono aerodinamiche. Il progetto in questione appare totalmente nuovo, i concetti che lo hanno ispirato sono in linea con la più recente ispirazione di casa Pinarello.

Evenepoel, l’apprezzabile arte dell’autocritica

20.06.2022
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Remco Evenepoel si è tolto di dosso i panni di Superman, ma sta lavorando (bene) per indossarli nuovamente. La vittoria della Liegi gli ha ridato fiducia. Il Tour of Norway, con tre tappe vinte su sei, ha confermato che la strada è giusta. Mentre in Svizzera (11° a 4’04” da Thomas) il belga ha conquistato l’ultima crono, ma ha capito che il livello WorldTour in mezzo a quelli che lavorano per la maglia gialla è un’altra cosa. Il suo obiettivo è la Vuelta e sarebbe stato preoccupante essere già al pari di chi fra dieci giorni sarà in lizza per il Tour.

«Tre secondi di vantaggio su Thomas e undici su Kung – ha commentato dopo la vittoria di ieri – sono un bel risultato, l’importante è aver vinto, non il distacco. Tuttavia il più grande avversario è stato il caldo. Terribile. Non sono nemmeno stato in grado di seguire la tabella che ci eravamo dati. Nelle crono, ero già arrivato secondo alla Tirreno e ai Paesi Baschi: vincere è meglio. Soprattutto dopo una settimana faticosa, in cui non ho pedalato al mio massimo livello e ho subìto parecchie lezioni lungo la strada».

A lezione da Thomas

Qualcuno non lo sopportava, perché dopo ogni bel risultato “sbruffoneggiava” da calciatore qual è sempre stato, senza considerare che avesse appena vent’anni. E il belga, che nel frattempo ne ha compiuti 22, ha rimesso i piedi sulla terra.

«Mi riferisco principalmente alla tappa di Novazzano (foto di apertura, ndr) – ha spiegato ai giornalisti il campioncino belga – quando ho perso più di due minuti, su un percorso che ricordava le corse delle Ardenne. Ero troppo rilassato. Pensavo che gli uomini di classifica avrebbero tenuto la corsa e poi Matthews o uno come lui avrebbe vinto lo sprint. Abbiamo sbagliato tutto. Ci siamo concessi un giorno di riposo totale, mentre avremmo dovuto prendere l’iniziativa, così io non avrei perso due minuti e sarei salito sul podio.

«Sotto questo aspetto devo ancora imparare molto da un corridore come Geraint Thomas. Ha sempre la corsa in pugno, è aggressivo e vigile, mentre io quel giorno non ero nemmeno preparato per sopportare il caldo. Ho persino sbagliato a scegliere il casco: dopo l’arrivo ci si poteva friggere sopra un uovo. Non ho nemmeno chiesto di avere del ghiaccio, perché non pensavo fosse necessario. Lo sbaglio più grande della mia carriera. Fortunatamente, imparo velocemente. Non commetterò più gli stessi errori».

Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria
Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria

Le energie sprecate

Zero scuse. Qualcuno avrebbe potuto intervenire, ma il ragazzo si è preso tutte le responsabilità e guarda avanti. Pagina voltata, il giusto atteggiamento. Lucido anche nel commentare il distacco sui traguardi in salita di Mosaalp e Malbun: rispettivamente 3’06” da Denz e 2’30” da Pinot.

«Quei tre minuti – ha spiegato – non mi preoccupano molto. Era la prima volta che salivo sopra i 2.000 metri in gara dopo il ritiro in altura. Questa volta sono stato anche abbastanza intelligente da portare impacchi di ghiaccio (ridendo, ndr). Mi sono accorto però che sopra i 1.800 metri non ho avuto l’accelerazione di corridori come Thomas e Higuita. Forse dopo il Giro di Norvegia sono arrivato al Giro di Svizzera un po’ stanco. Ho recuperato completamente solo alla fine della settimana ed è un’altra lezione. Se mai vorrò vincere queste corse, dovrò gestirmi diversamente

Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie
Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie

«Devo risparmiare quanta più energia possibile. Sempre e ovunque. Per Thomas è automatico, io devo impararlo. Dopo la Norvegia ho vinto la Gullegem Koerse. Ho esagerato. Ho fatto una cronometro di 170 chilometri e solo dopo mi sono reso conto di aver corso per ore a wattaggi folli. E’ stato stupido, uno spreco di energia. Per questo, visto il passaggio a vuoto di Novazzano, abbiamo deciso di togliere la Vuelta a Burgos dal programma. Voglio essere il più fresco possibile per la Vuelta».

Obiettivo Vuelta

Ora lo aspettano il campionato belga a cronometro, in cui l’anno scorso fu bruciato da Lampaert nonostante pochi giorni prima avesse vinto lui la crono al Giro del Belgio. Poi verrà il campionato belga su strada, quindi Remco tirerà i remi in barca, per preparare l’assalto alla Vuelta.

«Stacco per una settimana – ha riso – nulla di troppo. Starò accanto a “Oumi” (Oumaima Rayane, la sua compagna, ndr) durante gli esami. Durante l’ultimo stage in altura, lei ha cucinato per me, temo che ora sia arrivato il mio turno. Poi farò un altro ritiro in quota, quindi San Sebastian, un altro breve ritiro, e poi finalmente sarà tempo della Vuelta».

Il viaggio di Oss e Sagan: gravel negli States, vittoria in Svizzera

15.06.2022
5 min
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Dalla polvere all’asfalto. Da momenti difficili, alla gioia della vittoria. Ancora una volta Daniel Oss e Peter Sagan sono andati a segno. Ieri lo slovacco ha vinto al Giro di Svizzera, lasciandosi alle spalle uno dei momenti più duri della sua carriera.

Lui e Oss, ormai amici inseparabili, erano stati negli Stati Uniti per allenarsi. Ma prima di rientrare in Europa hanno preso parte al Unbound Gravel, evento importantissimo Oltreoceano. 

I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux
I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux

Oss: parola mantenuta

Quello delle “altre attività” era un discorso che Oss e Sagan avevano messo sul piatto nel momento in cui erano approdati alla TotalEnergies. «Vogliamo divertirci e provare nuove esperienze», ci aveva detto Oss lo scorso autunno. Sono stati di parola.

«Eh sì – racconta Daniel – siamo riusciti a farlo. L’Unbound Gravel ha coinciso con il ritiro in altura nello Utah. Poi era nell’aria. La data coincideva con il termine del training camp, Specialized ha preso l’iniziativa e quindi abbiamo detto: andiamo! Ed è stato figo.

«La nostra idea era di “non fare la gara”. Nel senso che non partecipavamo per vincere, ma per stare con la gente. Per divertirci e anche per capire come funzionasse davvero, anche in ottica futura. Io per esempio sto vedendo la Transicnusa, in Sardegna. Dei ragazzi mi hanno contattato ed è interessante. Sui social ho seguito la Bam! che c’è stata a Mantova…».

Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)
Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)

A studiare…

Ad Emporia, sede dell’evento nel Kansas, questo grande circus ha visto la presenza di migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo. Oss ci ha detto che al momento è l’evento ciclistico più grande degli States.

«C’erano cinque percorsi – riprende Oss – da 25, 50, 100, 200 miglia e quello XL da 350 miglia, che si faceva in un paio di giorni. Noi abbiamo preso parte a quello da 100 miglia, che sono circa 160 chilometri. 

«Il loro spirito è totalmente diverso. C’è il concetto di challenge, di sfida con se stessi. Di avventura in questo territorio così vasto. Per esempio il percorso non era molto frecciato. Bisognava arrangiarsi con il Gps e con la mappa. Al centro non c’era la prestazione. 

«La gente che vi prende parte non si allena tutti i giorni. Anche quando siamo partiti, l’andatura non è stata forte. Non cera cattiveria in gruppo».

«Io e Peter non sapendo come funzionasse, all’inizio siamo partiti davanti. Anche per una questione di sicurezza. Ma non si andava a 50 all’ora. Si andava sui 30-35. Poi dopo il primo “zampellotto”, poco più di un cavalcavia, siamo rimasti in 20 o poco più.

«Nei punti dove c’era l’acqua o l’assistenza ci siamo fermati. Abbiamo fatto selfie con la gente. Abbiamo parlato con loro. Peter ha anche avuto un problemino col manubrio e lo ha sistemato. Abbiamo preso il caffè e fatto rifornimento. Insomma è stato figo. Se dovessi rifarlo da ciclista semplice con gli amici, mi organizzerei con lo zaino. Uno porta il cibo, l’altro le camere d’aria e gli attrezzi, un altro ancora l’acqua…

«E comunque alla fine è stato un buon allenamento. Venivamo, come detto, dall’altura ed è stato un buon intermezzo».

Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)
Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)

Dalla polvere all’asfalto

Oss era dunque con Sagan in ritiro in altura. Erano ai 2.200 metri di Park City, nota località della Coppa del mondo di sci alpino. E ci sono stati per un bel po’.

«Quasi quattro settimane – spiega Oss – Dormivamo a 2.200 metri e ci allenavamo tra i 1.800 e i 3.000 metri. In pratica con una salita arrivavi su Plutone! E si sentiva tutta la quota… E’ servito un bell’adattamento.

«Poi Peter che è un fenomeno l’ha assorbita subito, io ci sto mettendo un po’ di più, ma sento di essere sulla buona strada. Manca un po’ il ritmo corsa. Passare dalla Mtb (in ritiro hanno usato anche la ruote grasse, ndr) alle gare non è facilissimo per me. Peter ci è più abituato».

Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese
Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese

Vittoria importante

E la vittoria di ieri a Grenchen è stata più importante di quel che si possa pensare. Oss racconta i momenti difficili del campione slovacco.

«Sono, anzi siamo, veramente contenti del successo di ieri – spiega Oss – Peter si è impegnato tanto per riprendersi. Ha lavorato un sacco. Ha sofferto tanto per il Covid, è stato fortemente messo in discussione e non è stato facile mettere tutto da parte. Per questo è stata una vittoria importante.

«Ieri ho visto tutti volti felici al ritorno sul bus. C’era Paul Ourselin che ha tirato tutto il giorno che aveva un sorriso da orecchio ad orecchio. E anche io sono rimasto molto soddisfatto del lavoro fatto da tutto il team».

«Una liberazione dalle pressioni? Mah, la squadra non ci ha messo poi tanta pressione. Era più per Peter proprio, per il suo morale. Si è ritrovato dall’andare forte al pedalare col dolore ai polmoni.

«E poi quando vince il capitano, va sempre bene. Va bene per tutta la squadra.

«Adesso guardiamo al Tour de France con tranquillità. Possiamo fare bene. Non abbiamo visto nessuna tappa, neanche quella del pavé, perché con Peter non si guarda mai prima. Si va e si scopre il percorso giorno per giorno!».

Bettiol si allena e dalla Toscana guarda ai prossimi impegni

04.06.2022
5 min
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Oggi l’allenamento si è prolungato oltre il tempo previsto, segno che le distanze aumentano mentre diminuiscono i giorni che lo separano dalle gare. Bettiol in questi giorni sta pedalando tanto sulle strade della sua Toscana, mettendo chilometri e metri di dislivello nelle gambe.

Il 12 giugno inizia il Giro di Svizzera e Alberto sarà al via con i suoi compagni della EF Education Easy Post. Il corridore toscano non corre dal 24 aprile, giorno della Liegi-Bastogne-Liegi. La sua “campagna del Nord” non è andata come sperava, complice il Covid che ha fatto sentire i suoi strascichi per un lungo periodo.

L’ultima corsa disputata da Alberto è stata la Liegi-Bastogne-Liegi il 24 aprile
L’ultima corsa disputata da Alberto è stata la Liegi-Bastogne-Liegi il 24 aprile

Un bel maggio

Dopo la tempesta esce sempre il sole. In questo caso, volendo sposare l’animo scaramantico di Alberto, potremmo dire che il sole non è ancora uscito, ma le nuvole si stanno diradando. 

«Complici le complicazioni – ci dice Alberto con il suo inconfondibile accento toscano – ho corso anche Liegi e Freccia Vallone. Sono stato in supporto alla squadra dando sempre il meglio. L’idea era, dopo la Liegi, di fermarmi una settimana, recuperare e riprendere gli allenamenti in vista della seconda parte di stagione.

«Le aspettative dopo il Giro delle Fiandre erano pari a zero ma, dopo qualche ritiro (al Fiandre, appunto, e poi alla Freccia del Brabante, ndr) ho trovato la motivazione e la carica per riuscire a concludere le gare successive. Certe corse è importante anche riuscire a finirle per avere qualcosa in più nel serbatoio nella seconda parte di stagione».

Il feeling giusto per la seconda parte di stagione Bettiol l’ha trovato riuscendo a finire le gare nonostante una condizione non eccellente
Il feeling giusto Bettiol l’ha trovata finendo le gare nonostante una condizione non eccellente

Un passo alla volta

A maggio Bettiol è stato in ritiro con la squadra, insieme ai suoi compagni ha lavorato molto ed ora le sensazioni sono migliori rispetto a qualche mese fa. Le prossime gare sono importanti e il Giro di Svizzera sarà un bel banco di prova per vedere i progressi fatti.

«Ora si riparte con il Giro di Svizzera – spiega Bettiol – e poi ci saranno i campionati italiani, l’obiettivo principale di queste gare è riprendere il colpo di pedale e fare qualche fuori soglia per riprendere il ritmo gara. Quello ad Andorra con la squadra è stato un bel ritiro, siamo stati 12 giorni, il meteo era favorevole e ci siamo allenati bene, siamo tutti motivati per fare un bel Tour de France.

«Dal Giro di Svizzera non so cosa aspettarmi, le gare che anticipano il Tour sono tutte dure, vedi anche il Delfinato. Sicuramente il livello degli avversari sarà alto, le formazioni principali saranno già tutte settate per il Tour».

Bettiol, insieme alla squadra ha fatto un ritiro di 12 giorni ad Andorra nel mese di maggio (foto Strava)
Bettiol, insieme alla squadra ha fatto un ritiro di 12 giorni ad Andorra nel mese di maggio (foto Strava)

Verso la Francia

Bettiol è stato al Tour nel 2020, mentre lo scorso anno ha corso il Giro, vincendo la tappa di Stradella, la più lunga di quell’edizione. 

«Al Tour dipenderà tutto da me – dice – se starò bene, avrò il sostegno della squadra, altrimenti mi metterò a disposizione. Come corsa altimetricamente non è difficile, lo è di più il Giro, tuttavia il livello è altissimo. Nelle tappe in cui non sarò di supporto al capitano, potrò tentare di giocarmi le mie carte, entrando in qualche fuga. Sicuramente la terza settimana sarà fondamentale perché i livelli tra noi atleti si pareggeranno, dipenderà tutto da come si saranno superate le due settimane precedenti».

Ora Alberto si sta allenando sulle strade della sua Toscana (foto Strava)
Ora Alberto si sta allenando sulle strade della sua Toscana (foto Strava)

Il caro vecchio pavé

Il Tour affronterà anche dei tratti in pavè: nella quinta tappa le pietre saranno protagoniste, un crocevia importante per gli uomini di classifica ma una bella occasione per chi vuole mettersi in mostra.

«Sono sincero – dice – mi aspetto una tappa nervosa. I tratti di pavé saranno pianeggianti, non in salita come i classici muri, quindi la vedo più lontana dalle mie caratteristiche. In quell’occasione sarò chiamato più ad un lavoro di supporto del capitano, anche se tutto è relativo. Prevedo che ci sarà una grande bagarre, dove tutti lotteranno per sé, ognuno deve cercare di andare avanti il più possibile».

Rispetto al periodo di marzo sentiamo un Alberto più sereno, forse anche rilassato. Il corridore toscano non si sbilancia, ma ha detto più volte che le sensazioni sono buone.

«Triste non lo sono mai stato, si è tristi per altre cose. Sicuramente ero un po’ abbattuto, mentalmente ora sto bene. Il programma di lavoro fatto con la squadra è stato buono, mi sento soddisfatto. Insieme al preparatore in ritiro abbiamo messo giù un bel piano di allenamento con tanta distanza, lavori specifici in salita e anche con la bici da crono. I chilometri nelle prove contro il tempo tra Giro di Svizzera e Tour saranno tanti (25 in Svizzera e 53 alla Grande Boucle, ndr)».

Kreuziger 2021

Kreuziger tra passato, futuro e i ricordi in Liquigas

18.11.2021
6 min
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Roman Kreuziger è alle Canarie, per godersi una settimana di relax con la famiglia prima di tuffarsi nel nuovo lavoro. Ha appena terminato i corsi per il patentino da direttore sportivo e già è pronto a tuffarsi nella nuova avventura nella Bahrain Victorious, ma vuole anche dedicare più tempo alla moglie e ai figli, che in questi anni ha potuto vedere poco. Le voci dei bambini che giocano fanno da corollario alla chiacchierata nella quale si sente che Roman sta entrando in una nuova dimensione.

La sua decisione di chiudere a 35 anni era maturata da tempo: «Ci avevo pensato già nel 2020 quando la NTT si dissolse, ma poi la Gazprom mi offrì la possibilità di riprovarci ancora. E’ un bel team, mi trovavo bene e mi avevano anche chiesto di restare a livello dirigenziale, la mia decisione non è dipesa da loro. Solo che le gare non mi davano più quelle emozioni di prima, in questo ciclismo attuale non mi ci rispecchio più come corridore, posso fare altro, sempre restando nell’ambiente». 

Kreuziger Amstel 2013
Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14
Kreuziger Amstel 2013
Kreuziger in solitudine sul traguardo dell’Amstel 2013, con 22″ su Valverde e altri 14
Com’è nato il tuo sodalizio con la Bahrain?

Parlando in gruppo con Colbrelli e Consonni. Quando gli ho detto che avrei mollato e che alla Gazprom mi avrebbero tenuto come diesse, mi hanno detto che alla Bahrain cercavano qualcuno di supporto, mi hanno messo in contatto con Miholjevic, con il quale avevo corso negli anni d’oro della Liquigas.

In tanti hanno parlato dell’ambiente che si respirava in quel gruppo con enorme nostalgia: che cosa c’era di così positivo?

Amadio era stato bravo a costruire un team equilibrato, con leader e giovani che potevano crescere con calma. Io sono passato professionista con loro a 19 anni nel 2006 rimanendo per 5 stagioni e sono state emotivamente le più belle, c’era un ambiente familiare che ti spronava a impegnarti, quando vinceva uno vincevano tutti, si viveva in un clima di fiducia. Non è un caso se da quel gruppo sono usciti campioni come Nibali, Basso, Sagan

C’erano anche tanti che poi hanno continuato nel ciclismo a livello tecnico/dirigenziale, da Cioni a Gasparotto, dallo stesso Miholjevic a Pellizotti che ritroverai alla Bahrain. Pensi che ci sia un legame con quanto appreso allora?

Sicuramente. Io dico sempre che a quei tempi il mondo del ciclismo era fatto da gente che lo viveva con passione, senza paura dei sacrifici da affrontare. Ma la passione veniva prima di tutto. Oggi viene visto molto come un lavoro, ma c’è meno convivialità e questo pesa. Una volta si giocava a carte, si scherzava, si stava insieme, oggi appena in hotel tutti attaccati allo smartphone e non si parla più, non c’è contatto umano e su questo bisogna lavorare.

Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadra
Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per quella magica squadra
Come?

Bisogna fare gruppo. Questa era la forza di gente come Amadio e Rijs, sapevano creare il clima giusto, dal quale poi venivano i risultati. Avevi voglia di andare in ritiro, oggi molti ragazzi lo sentono un dovere e basta. Quelli che hanno lo spirito di una volta li riconosci. Pogacar non è un campione solo per il talento o le vittorie, sa fare gruppo, sa motivare i compagni, sta con loro. Se il leader appena finita la corsa si ritira in camera, qualcosa non va e lì deve essere bravo il manager a intervenire perché il collante fra i corridori è ciò che porta alle vittorie.

Facendo un consuntivo della tua carriera, sei soddisfatto?

Sono cosciente di aver dato tutto quel che potevo. Se guardo indietro, alle premesse dei primi anni, forse mi manca il podio in un grande giro, ma non posso certo dire di non averci provato. Ho avuto una carriera costante, che nel complesso non mi ha lasciato rimpianti.

L’Amstel del 2013 è il successo che ricordi con maggiore piacere?

La corsa olandese mi è piaciuta subito, ma quella che più ha influito su di me è stato il successo al Giro della Svizzera nel 2008: vincere a 20 anni una gara così prestigiosa, dopo essere stato secondo al Romandia, mi ha fatto capire quel che potevo fare, che ero uno scalatore adatto alle corse a tappe. Questo mi favoriva anche in un certo tipo di classiche, pian piano diventai anche un corridore da Ardenne, mi piacevano molto quelle corse e l’Amstel era fatta su misura per me, infatti vinsi nel 2013 e finii secondo nel 2018.

Kreuziger Svizzera 2008
Il ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corse
Kreuziger Svizzera 2008
Il ceko in azione al Giro della Svizzera 2008: in carriera Kreuziger ha vinto 15 corse
Che cosa ti è mancato per emergere anche in una corsa di tre settimane?

Non saprei definirlo con precisione, solo che se guardo me e Nibali, lui aveva quel qualcosa in più che gli ha permesso di eccellere, è quello che fa la differenza, non è solo questione di resistenza. Molti dicevano che avevo paura ad attaccare, ma io sapevo di che cosa ero capace e cercavo l’occasione giusta. Oggi per un diesse è molto più difficile capire come andrà la gara, come sarà impostata tatticamente perché si va sempre a tutta, è un modo di correre diverso.

Quando sei passato professionista eri giovanissimo, oggi è molto più comune passare a quell’età e molti dicono sia un male…

Perché oggi il ciclismo non ti dà i tempo di maturare con calma, io ho potuto proprio per quell’ambiente nel quale ho vissuto i primi anni da pro’. Guardate Evenepoel: è sicuramente forte, ma ha addosso una pressione enorme, tutta una nazione addosso e finora non riuscito a tener fede alle attese. Avrebbe bisogno di molta più calma intorno.

Pensi di aver influito con la tua carriera e i tuoi risultati sull’evoluzione ciclistica in Repubblica Ceka?

Io credo di sì, grazie a me e a Stybar il ciclismo da noi non è più uno sport di nicchia. Ma secondo me non bisogna neanche guardare al solo aspetto agonistico: oggi c’è molta più gente che esce in bici nel weekend, che affronta escursioni in gruppo, prima ci si dedicava al golf, ora si va in bici. Per me conta tantissimo.

Kreuziger Astana 2012
Kreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocross
Kreuziger Astana 2012
Kreuziger è passato pro’ nel 2006 dopo uno straordinario 2004: da junior vinse oro e argento su strada e argento nel ciclocross
La Federazione del tuo Paese, sapendo dei tuoi propositi di ritiro, ha pensato di coinvolgerti?

A dir la verità no, credo che lo abbiano saputo dai giornali… Io comunque già da tempo lavoro per conto mio per la crescita del ciclismo giovanile ceko, abbiamo un team di allievi e junior che seguo da qualche anno. C’è un responsabile e un preparatore che li curano, sono una decina di ragazzi. Prima erano di più, ma abbiamo visto che 18 erano troppi avendo poche persone e pochi mezzi a disposizione, io quando potevo uscivo con loro in bici perché so che pedalando si parla e ci si apre molto di più che a tavola. Li seguirò ancora, in base al tempo disponibile, ma ora prima viene la famiglia e il nuovo impegno con la Bahrain.

Inizia una nuova avventura…

Sì, è una bella sfida, già da quel poco che ho visto ho capito che gestire una squadra è qualcosa di molto diverso da quello che pensi quando sei un semplice corridore. Devo imparare tanto, ma sono pronto a farlo.

Masnada e Ciccone, due scontenti nella fornace di Imola

20.06.2021
3 min
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Fa così caldo, che quando Masnada si versa una bottiglietta in testa, fai fatica a capire dove cominci l’acqua e dove invece finisca il sudore. Il gruppetto degli inseguitori deve ancora arrivare, sono i minuti a caldo del dopo corsa. Fausto è seduto su una rotonda e recupera la regolarità del respiro, ma davanti agli occhi gli scorrono le fasi finali di corsa. Pensare che a Livigno negli ultimi giorni si era anche allenato con Colbrelli e forse proprio averlo visto all’opera sta rendendo lo smacco del secondo posto meno pesante da digerire. Poi in un secondo passano Colbrelli di ritorno verso il podio e Nibali e Ciccone verso i pullman, nel segno di una polemica che monta. E Fausto resta lì seduto a raffreddarsi, mentre la fila degli scontenti si allunga. E finalmente comincia a parlare.

Il forcing di Masnada sulla Galisterna non è bastato per staccare Colbrelli
Il forcing di Masnada sulla Galisterna non è bastato per staccare Colbrelli

Difficile controllare

La corsa l’ha accesa lui. Mentre davanti Affini macinava i chilometri e dava la dimensione della sua grande forza, come un lampo dal gruppo si avvantaggiava una maglia azzurra della Deceuninck-Quick Step: quella di Masnada.

«Il percorso era difficile da controllare – dice con un filo di voce – eravamo rimasti uno per squadra e uno scatto poteva fare la differenza. Per questo mi sono avvantaggiato, ma Sonny ha dimostrato di essere il corridore più forte non solo in Italia, ma di tutto il WorldTour. In salita ho provato a staccarlo, ma se non facevo il mio passo regolare, finisce che mi staccava lui. E’ un mese che non correvo, ero andato a Livigno per cercare di migliorare la mia condizione, ma alla fine mi sono reso conto di non avere le gambe per fare la differenza. Il tendine del ginocchio ha retto bene, non mi ha dato fastidio. Vediamo come starà domattina…».

Ciccone ha qualcosa da recriminare, convinto che con Oss sarebbe potuto rientrare: gli uomini Trek sono scontenti
Ciccone ha qualcosa da recriminare, convinto che con Oss sarebbe potuto rientrare: gli uomini Trek sono scontenti

Polemica Trek

Nel gruppo alle sue spalle qualcosa deve essere successo. Quando ne è uscito Colbrelli, il distacco era di 21 secondi, era prevedibile che i numeri uno sarebbero piombati sui primi. Invece di colpo hanno cominciato a parlare, gesticolare, perdere tempo e terreno. E così nel breve tempo fra Mazzolano e Galisterna, il distacco è salito sopra il minuto e poi ha continuato ad aumentare.

Si è detto che il problema fosse l’assenza di radioline e di informazioni, ma qualcosa di insolito è successo e in parte è stato svelato dalle parole di Ciccone dopo il traguardo. L’abruzzese è colui che ha dato fuoco alle polveri e che poi si è mosso con Daniel Oss, anche se sulla sua azione è calato il maglio degli inseguitori: Nibali fra loro. E se prima magari Giulio non avrebbe detto nulla, la consapevolezza che a fine stagione il siciliano cambierà squadra potrebbe aver reso meno digeribile il suo inseguimento.

«In salita stavo bene – dice Ciccone – ma si è creata la solita situazione di tatticismi. Con Daniel Oss stavo rientrando ed eravamo arrivati a 15 secondi dal gruppetto, li avevamo nel mirino ed ero certo che in salita li avrei ripresi. Invece dietro hanno chiuso e così facendo hanno riportato sotto gli altri. Forse Vincenzo ha preferito chiudere perché si sentiva più sicuro così, ma alla fine stavamo bene entrambi ed entrambi siamo scontenti e non abbiamo portato a casa niente».