In Spagna attenti a Riccitello, oriundo nostrano

15.08.2024
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Non si può certo dire che Matthew Riccitello sia una rivelazione. Il ventiduenne americano di Tucson già da giovanissimo si era messo in luce come uno dei talenti più promettenti, ma non ha avuto quella deflagrante esplosione che ci si attendeva e che hanno avuto altri della sua generazione, da Evenepoel in poi. Pian piano però l’oriundo italiano ha trovato il suo spazio, anzi in questa stagione ha mostrato di che pasta è fatto.

L’ultimo Giro della Svizzera lo ha visto protagonista, quasi un Don Chisciotte contro l’armata della Uae, ma Matthew non si è per nulla intimorito, dando battaglia quasi come un corridore smaliziato. Tanto che all’Israel Premier Tech si sono lustrati gli occhi, confidando di avere fra le mani un vero diamante grezzo. Alla vigilia della Vuelta dove conta di essere protagonista, Riccitello ha deciso di farsi conoscere un po’ di più anche nella terra delle sue origini.

Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Come hai iniziato a fare ciclismo?

Sono cresciuto in questo sport perché mio padre era un triatleta professionista, quindi il Tour de France era sempre in TV d’estate. Mi piaceva guardarlo, ma da ragazzino seguivo molto le gesta di mio padre, quindi correvo e nuotavo, avrei voluto fare come lui. Poi quando avevo 14 o 15 anni, per qualche motivo ho deciso che volevo iniziare ad andare solo in bici e fare ciclismo su strada, da allora non mi sono più fermato.

Tu vieni dall’Arizona, quanto è diffuso il ciclismo e l’uso della bici in quello stato?

Direi che è decisamente più popolare rispetto alla maggior parte degli altri Stati, perché il clima è così bello lì, tanto che è stato un posto dove per molti anni molti ciclisti professionisti si allenavano d’inverno, quindi direi che è uno sport piuttosto popolare, ma non è neanche lontanamente come lo è in Italia o in questi Paesi europei.

L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
Il tuo cognome tradisce le origini italiane: da dove viene la tua famiglia e che legami hai con l’Italia?

La parte di mio padre è italiana: il mio bisnonno è venuto dall’Italia, neanche so più da dove, per prima cosa a New York e poi da lì con la famiglia si è spostato a Tucson. Quindi abbiamo un po’ di sangue italiano. Io amo l’Italia. Amo la cultura. Amo le corse di queste parti, è il mio Paese preferito in Europa, mi piace molto venirci a correre e, perché no, a mangiare…

Di te si parla molto sin da quando eri junior, ma quest’anno sembri aver fatto un vero miglioramento, a che cosa è dovuto?

Penso che nel tempo ho acquisito più esperienza. In realtà ogni gara che ho fatto sin dagli inizi, sono sempre migliorato un po’. La cosa più importante è semplicemente essere costante e allenarsi in modo coerente e cercare di imparare il più possibile. Quest’anno ho fatto un grande passo avanti e credo che molto sia dovuto al fatto che sono sicuramente migliorato fisicamente, ma quel che conta è acquisire sicurezza e sapere che posso esserci quando la corsa si decide. Una volta che ce l’hai in testa, che ne sei convinto, è molto più facile.

Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Stai emergendo molto nelle corse a tappe, è quella la tua dimensione preferita?

Sì, di sicuro. Le corse a tappe sono dove mi esprimo meglio, ma non solo in quelle brevi, io credo che col passare dei giorni posso andare sempre meglio e per questo attendo la Vuelta con curiosità. Sento di riprendermi bene ogni giorno ed è quello che mi piace. Vedremo dove mi porta.

Al Giro di Svizzera sei stato il vero avversario del team di Yates e Almeida: ti sentivi in minoranza?

Forse un pochino. Erano in ottima forma e avevano una squadra fortissima dalla loro. Stavano andando davvero bene, quindi è stato difficile tenere loro testa. In quegli arrivi in cima alla montagna, era come se potessi tenere il passo con loro, quindi si trattava solo di cercare di tenerli il più a lungo possibile. Forse io ero un po’ isolato ma non c’era molto altro che potessi fare. Loro erano semplicemente più forti, almeno in quell’occasione, ma ciò mi dà maggiore stimolo per cercare di colmare quel divario man mano che cresco e faccio più esperienze.

Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Sei già confermato all’Israel per il prossimo anno, come ti trovi e pesa per voi il non essere un team WorldTour?

Per me è il primo contratto da professionista e la squadra è stata subito super, super fantastica. Per me, il fatto che sia una squadra professionistica e non un World Team non cambia molto. Voglio dire, penso che lo sia, come valore e come calendario seguito. E credo che valga un po’ per tutti noi. La squadra è gestita in modo molto professionale, quindi per me non c’è differenza.

Ora parti per la Vuelta, quali saranno gli obiettivi tuoi e della squadra?

Per me, voglio partire bene sin dalle primissime tappe e cercare di fare una buona classifica generale. La squadra è molto competitiva, ci sono Bennett e Woods che possono anche loro puntare alle posizioni alte, poi Corbin Strong per le volate. La squadra è anche ben costruita, con Teuns, Frigo, Raisberg e Sheehan che potranno darci aiuto nelle prime fasi delle tappe, proteggerci un po’. Non abbiamo una strategia definita, penso che la prenderemo giorno per giorno e man mano che la gara si sviluppa, decideremmo il da farsi.

Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Tu sei americano e dalle tue parti ora si festeggia la vittoria nel medagliere olimpico. Se dovessi scegliere fra vincere un mondiale o un’Olimpiade che cosa preferiresti?

Domanda molto difficile per me – ride – Penso che come hai detto, essendo americano, le Olimpiadi siano così importanti. Succede solo una volta ogni quattro anni, hai tutti gli occhi puntati addosso. Mettiamola così: dovrei scegliere una medaglia d’oro olimpica piuttosto che un titolo mondiale, ma sceglierei sicuramente una maglia iridata piuttosto che una medaglia d’argento o di bronzo olimpica.

In Slovenia si rivede Pozzovivo, che promette un gran finale

18.06.2024
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Tra le pieghe del Giro di Slovenia si annida anche la storia di un quarantunenne che a dispetto della sua età e di tanti piccoli/grandi problemi alla vigilia, come vedremo, è arrivato a sfiorare il podio finale. Ma d’altronde chi conosce Domenico Pozzovivo non si sorprende di certo, visto tutto quel che ha fatto in vent’anni di carriera.

Per lui ogni corsa, da quando ha annunciato a fine stagione il ritiro definitivo, è diventata una passerella, ma non è nel carattere del lucano affrontare le gare in maniera superficiale, anzi. E’ stato così anche in Slovenia, dove ci sono stati anche momenti che lo hanno profondamente toccato.

«Siamo passati anche per Skofja Loka, dove vinsi nel 2012 – racconta – e non nascondo che quando è successo mi sono venuti tanti pensieri. Non posso negare che queste settimane siano particolari, ogni corsa si vela di sensazioni malinconiche. Non è detto che sia una cosa negativa, è solo una carrellata di emozioni che mi investe».

Pozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore Aleotti
Pozzovivo ha chiuso lo Slovenia al 4° posto, a pari tempo con Pellizzari, a 26″ dal vincitore Aleotti
Da che cosa dipende?

Quando hai alle spalle vent’anni di carriera, affrontando tante corse più volte nella tua vita, è normale che sia così. Ci tengo a sottolineare che non è nausea da bici, voglia di finire, saturazione. Niente di tutto questo. E’ la consapevolezza che il tempo scorre e che è arrivato il momento di girare pagina, di chiudere una parentesi grandiosa e sofferta, piena di bene e di male, che ha contraddistinto la mia vita sin da quand’ero adolescente. Per un ultraquarantenne non è cosa da poco.

Come sei arrivato al Giro di Slovenia?

Con tanti dubbi, soprattutto perché già il finale del Giro d’Italia non era stato semplice. La particolarità è che l’ho finito con addosso il Covid, che per la terza volta mi ha colpito e sempre nello stesso periodo. Diciamo anzi che ho fatto appena in tempo a finire la corsa. Poi sono stati dieci giorni a soffrire per la tosse con addirittura un principio di polmonite. Pensavo a un certo punto di non esserci, ma mi sarebbe spiaciuto proprio perché non avrò un’altra occasione. Poi all’immediata vigilia con il mio team della VF Group Bardiani abbiamo deciso di partire nonostante tutto.

Il lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finali
Il lucano davanti alla maglia gialla Aleotti. In Slovenia il corridore della Bardiani è stato protagonista nelle tappe finali
Non era certo lo spirito migliore…

Le prime due tappe per fortuna non avevano grandi influenze sulla classifica e ho potuto viaggiare di conserva, rimanendo nel gruppo. Quelle due tappe mi hanno restituito un po’ di brillantezza e nelle tappe successive ho potuto lottare con i migliori. Già dalla frazione di Nova Gorica ho visto che potevo fare qualcosa d’interessante.

Lo Slovenia è arrivato due settimane dopo il Giro. Dopo una grande corsa a tappe ci si divide sempre tra chi dice che fare un’altra corsa a tappe è controindicato e chi invece lo ritiene utile. Tu a quale schieramento appartieni?

Io sono sempre stato uno di quelli che usciva dalla corsa rosa con un’ottima gamba da sfruttare, ad esempio al Giro di Svizzera dove ho vinto una tappa nel 2017 e dove, quando ho corso, non sono mai uscito dai primi 10. La differenza secondo me dipende dal tempo dopo: il Delfinato arriva troppo a ridosso del Giro, è chiaro che lì non sei ancora riuscito a recuperare, fisicamente ma anche mentalmente. Ma la settimana successiva è già utile, la forma a quel punto emerge. Poi molto fa anche l’esperienza: nei primi anni avevo sensazioni altalenanti, poi sono andato sempre meglio.

Sono concetti assoluti o dipende molto dall’individuo?

Le caratteristiche del singolo corridore pesano sempre, ma parlando nel tempo con i compagni delle varie squadre, ho riscontrato che il principio di base è quello, la prima settimana è difficile, ma dopo si emerge. Il discorso legato al Delfinato è subordinato alla sua lunghezza: non parliamo di una corsa a tappe breve, ma quando si tratta di prove di 7-8 giorni, è un impegno diverso dal punto di vista organico, quindi richiede qualche accortezza in più.

Che livello era la corsa slovena?

Molto buona, c’erano squadre WorldTour e altri corridori che venivano dal Giro. Si andava sempre molto forte, è una corsa che è molto cresciuta e che mette alla prova chi gareggia.

A Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° posto
A Roma, il suo addio da corridore al Giro d’Italia chiuso nonostante tutto al 20° posto
Ti vedremo ai tricolori?

Sarà la mia ultima apparizione da corridore, voglio onorarli al meglio e gestirli bene, anche perché poi tirerò i remi in barca. Non avrebbe senso continuare senza impegni imprescindibili e proprio considerando quel che ho avuto alla fine del Giro. Gli altri anni non avevo mai tempo per recuperare, ora voglio staccare, riprendermi bene e cominciare a preparare la seconda parte di stagione.

Che cosa ti attendi?

Mi propongo di fare una bella chiusura, ritrovare la condizione che avevo due anni fa quando mi rammaricai molto di non aver potuto correre al Lombardia. Quest’anno non voglio mancare e prometto a tutti che sarà comunque una grande festa. Ci stiamo già pensando, soprattutto a qualcosa di gastronomico…

Pidcock torna alla mtb. Col Tour sempre nel mirino

17.06.2024
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Una cosa è certa: nessuno sta affrontando il percorso di avvicinamento al Tour de France come Tom Pidcock. Il suo è un continuo saltellare dalla bici da strada alla mtb e solamente il futuro dirà se è quello giusto. Il britannico è per certi versi tirato per la giacchetta tra chi guarda alla Grande Boucle sognando un possibile podio e chi invece punta a un clamoroso bis olimpico nelle ruote grasse, non dimenticando il fatto che, fra la conclusione della corsa a tappe e la prova di mtb a cinque cerchi ci saranno solamente 8 giorni.

Il primo a essere conteso è lo stesso britannico della Ineos Grenadiers (in apertura, foto Ramos) che vuole entrambe le cose e non ne fa mistero. Per questo si allena contemporaneamente per le due discipline, seguendo schemi che ha collaudato nel tempo. Il bello è che lo stesso Tom ne parla tranquillamente, molto meno tranquillo è il suo preparatore Kurt Bogaerts, che già di per sé è molto restio a comparire e che sul tema non proferisce parola, pensando a continuare a far lavorare il suo pupillo.

Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida
Pidcock ha chiuso 5° nella cronoscalata finale in Svizzera, a 50″ da Almeida

5 utili giorni di montagna

Pidcock è reduce da un Giro della Svizzera che, al di là del sesto posto finale, gli ha lasciato ottime sensazioni, soprattutto la cronoscalata: «Ho fatto la mia miglior prova contro il tempo da quando sono professionista – ha affermato all’arrivo – Quando ho iniziato la corsa elvetica ero appena sceso dall’altura e all’inizio le gambe non giravano, ma col passare delle giornate sono andato sempre meglio. I dati sono molto incoraggianti, soprattutto ritengo utile aver affrontato cinque giorni consecutivi di montagna, mi hanno fatto sentire sempre meglio ed è stato il miglior viatico per il Tour».

Ora però Pidcock resta in Svizzera. Niente campionati nazionali, c’è un altro evento che l’interessa: «Il fine settimana sarò a Crans Montana per affrontare la tappa di Coppa del Mondo di mountain bike, è un test importante per misurarmi con i miei avversari a Parigi. La forma c’è, ora bisogna riabituarsi in pochi giorni a un tipo di sforzo molto diverso».

Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita
Sesto posto finale nella corsa a tappe elvetica, dopo un inizio difficile buone sensazioni in salita

Due allenamenti complementari

Il principale cruccio del britannico è proprio il lavoro specifico per la mountain bike, che viene giocoforza un po’ penalizzato in questo periodo della stagione: «So che non mi alleno in mtb quanto dovrei – ha detto in un’intervista su Cycling Weekly – ma io penso che i due tipi di allenamento siano abbastanza intercambiabili. Ora sto sicuramente facendo più sforzi in superleggera, il che significa fare più volume, ma questo lavoro si rivelerà utile anche per il fuoristrada. Io sono convinto che le due discipline si completino a vicenda».

Il passaggio repentino da una disciplina all’altra è per Pidcock cosa usuale, è anzi diventato una sorta di tradizione. Molti sono rimasti stupiti dalla sua scelta, all’indomani della sua quarta vittoria a Nove Mesto, nella tappa di Coppa, di atterrare a Barcellona e da lì, al lunedì, effettuare più di 230 chilometri verso la sua casa ad Andorra, il che vuol dire oltre 4.000 metri di dislivello: «Ho impiegato più di 8 ore in bici” affermava tramite social per poi spiegare nel dettaglio.

Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico
Pidcock prepara il Tour de France dove punta a far classifica, per poi pensare al bis olimpico

I lunghi viaggi in mtb

«I lunghi viaggi mi danno la possibilità di decomprimere la mente, di rilassarmi. Oltretutto, in bici ho scoperto posti e visto località che in auto non avrei mai apprezzato. Già due anni fa feci il trasferimento da Albstadt in Germania a Nove Mesto in Repubblica Ceka in bicicletta, oltre 190 chilometri e i risultati non mi pare che ne risentirono… Per me quella è una tradizione di primavera, è come se avesse un valore al di là dell’aspetto prettamente tecnico, è un buon auspicio. E poi sono sempre chilometri messi in cascina…».

Chi pensava che l’amore di Pidcock per la mtb stesse venendo meno (visto che aveva preannunciato come dal 2025 si dedicherà quasi esclusivamente alla strada) è servito. D’altronde i risultati che il britannico ottiene in mountain bike sono strategici nell’evoluzione della sua carriera. Quindi risponde stizzito a chi lo critica: «Sarò io e nessun altro a decidere come voglio che sia il mio Tour de France. Altrimenti non si otterrà nulla da me. Devo credere nella mia idea di come affrontare la Grande Boucle, come avvicinarmi, che cosa fare.

In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera
In mtb il britannico ha già dominato a Nove Mesto, per la quarta volta in carriera

«Nessuno sarà come Pidcock…»

«Chi mi è accanto sa come lavoro e quanto sono serio, so che cosa serve per ottenere il mio obiettivo. So che molti guardano la mia carriera, paragonandola a quella di Pogacar o Evenepoel che sono della mia generazione e mi criticano. Ci sta, ma credo che al termine della mia carriera, se avrò vinto una classica Monumento o un mondiale su strada, unendoli a quel che ho portato a casa fra ciclocross e mountain bike, si potrà dire che come Pidcock non c’è stato proprio nessuno…».

Yates e Almeida, ci si gioca tutto in 16 chilometri

15.06.2024
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A prescindere da come finirà il Giro di Svizzera e la sfida (sperando che ci sia) fra i due compagni di squadra Adam Yates e Joao Almeida nella cronoscalata finale, c’è chi è già più che contento. E’ chiaro che la Uae Team Emirates porta a casa un prestigioso trofeo, ma soprattutto è soddisfatto Joxean Matxin, lo stratega della formazione che pensa già al Tour, dove ci saranno entrambi e dove entrambi saranno al servizio di Pogacar.

Yates e Almeida hanno fatto il vuoto, ancora una volta. Segno di una condizione già ideale per il Tour
Yates e Almeida hanno fatto il vuoto, ancora una volta. Segno di una condizione già ideale per il Tour

Una marcia in più

La loro condizione è evidentemente quasi al top, anche nella tappa con arrivo a Villars sur Ollion non si sono mai minimamente preoccupati né della fuga iniziale, né del lavoro della Ineos con Rivera che macinava chilometri portandosi dietro Bernal e Pidcock. Negli ultimi 3 chilometri hanno cambiato marcia per andarsi a giocare la vittoria di tappa. In tre giorni due successi per il britannico e uno per il lusitano, ma il conteggio è fallace visto che i due sono arrivati insieme e l’ordine di arrivo è dato solo dalla casualità della fotocellula.

Matxin, come detto era stato chiaro: «Tutti coloro che andranno al Tour sanno che dovranno correre per Tadej, ogni altra opzione è secondaria e dipenderà dallo sloveno». Avere luogotenenti simili, capaci di fare la differenza è per il trionfatore del Giro una garanzia ulteriore per andare a caccia della mitica doppietta. C’è però un sottotesto: con corridori in queste condizioni non è comunque da scartare anche la costruzione di un “piano B” nel caso non tutto vada come si deve per il campione vincitutto.

Bernal continua a rimanere coperto, ma è intanto terzo in classifica. Sarà protagonista al Tour?
Bernal continua a rimanere coperto, ma è intanto terzo in classifica. Sarà protagonista al Tour?

Sfida aperta su 16 chilometri

C’è però un Giro di Svizzera da onorare fino alla fine. La partita fra i due è aperta, c’è una cronoscalata ancora da affrontare con 16 chilometri che decideranno il vincitore finale. Yates ha nei confronti di Almeida 31”. Pochi? Tanti? Il portoghese ha di certo una propensione maggiore per le sfide contro il tempo e da quel che si è visto anche una condizione che raramente ha raggiunto, altrimenti non si spiegherebbe come sia stato lui a forzare l’andatura alle spalle dell’austriaco Felix Gall, per andarlo a riprendere, chiamando addirittura il compagno, rimasto con Skjelmose e Kelderman, per andare via insieme.

Fatto il vuoto alle loro spalle c’era da decidere chi doveva vincere, ma i due non si sono posti il problema: «Nessuno ha chiesto all’altro di lasciarlo vincere – ha detto Yates dopo l’arrivo – ci siamo semplicemente detti di arrivare insieme, perché avevamo vinto insieme. Joao è un’ottima persona, un compagno ideale. E’ in ottima forma e potrebbe facilmente vincere. E’ una situazione strana, magari domani questi 4 secondi risulteranno decisivi, ma ripeto, è stato frutto del caso. Io spero di poter vincere ancora, anche lui lo spera, è giusto che ce la giochiamo ad armi pari onorando la nostra maglia».

Staune-Mittet ancora non ha vinto quest’anno, ma sta crescendo a vista d’occhio
Staune-Mittet ancora non ha vinto quest’anno, ma sta crescendo a vista d’occhio

Un confronto nel segno del rispetto

Da parte sua Almeida è sulla stessa lunghezza d’onda, il che lascia aperta la tappa finale a qualsiasi esito: «Finché facciamo primo e secondo siamo entrambi felici, fra noi c’è pieno rispetto reciproco, lavoriamo per un fine comune. Io ovviamente voglio fare di tutto per conquistare la vittoria finale, so di avere un bel distacco ma so anche che la frazione conclusiva può favorirmi. Noi abbiamo costruito la corsa come meglio non si poteva, domani possiamo divertirci e vinca il migliore, sicuramente chi sarà secondo sarà comunque contento».

Non c’è però solo la Uae e questo Giro di Svizzera un po’ schiacciato dalla squadra numero uno al mondo lo scorso anno mette in mostra anche altri corridori, qualcuno di quei giovani che cercano i raggi del sole. Uno di questi è Johannes Staune-Mittet, norvegese che conosciamo bene vista la sua vittoria al Giro Next Gen dello scorso anno. Oggi è entrato nella fuga di giornata ma poi si è sorbito 55 chilometri di fuga solitaria e quando a una quindicina dal traguardo aveva ancora oltre un minuto e mezzo, qualcuno dei mammasantissima ha iniziato anche a preoccuparsi…

Il giovane yankee Riccitello, chiare origini italiane, molto forte in salita
Il giovane yankee Riccitello, chiare origini italiane, molto forte in salita

I giovani emergenti

«E’ stato un bello sforzo e comunque sia andata io sono soddisfatto – ha dichiarato all’arrivo – Erano tanti chilometri, l’arrivo in salita era troppo importante per chi lotta per la vittoria finale, ma intanto credo di aver fatto qualcosa d’importante. E’ il mio primo anno nel WorldTour e c’è tanto da imparare, verranno occasioni anche per me per emergere».

Un altro da tenere d’occhio è Matthew Riccitello. Il cognome non deve trarre in inganno, viene dall’Arizona, anche lui come il norvegese della Visma-Lease a Bike ha 22 anni e fa parte di quella nidiata di talenti pescati dalla Israel nel nuovo ciclismo a stelle e strisce, come quel Sheehan che lo scorso anno sorprese tutti alla Parigi-Tours: «E’ stata dura tutto il giorno – ha detto lo statunitense che ha chiuso 3° a 14” dalla coppia regina – Sull’ultima salita ho provato a tenere Yates ma ero un po’ stanco. Comunque è stata una buona giornata, la condizione è solida e comincio ad abituarmi a stare in mezzo ai grandi. Il podio finale è lontano oltre un minuto, forse un po’ troppo, ma voglio dare qualcosa al team che mi ha supportato molto in questa corsa».

Per Cavendish la notizia arrivata in corsa della nomina a baronetto da parte di Carlo III
Per Cavendish la notizia arrivata in corsa della nomina a baronetto da parte di Carlo III

Finita la corsa, si torna nei ranghi…

Quella sua, come per Bernal che è terzo e zitto zitto continua a progredire, o come per Skjelmose, il campione uscente che vuole abdicare con l’onore delle armi, sarà un’altra corsa rispetto a quella della “premiata coppia”. Alla fine si vedrà chi alzerà la coppa, poi però si tornerà nei ranghi: c’è un Tour da vincere e l’uomo per farlo, in casa Uae, non è in Svizzera…

E’ giusto fare una corsa a tappe dopo il grande Giro?

10.06.2024
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Il grande Giro e poi la corsa a tappe a seguire: va sempre bene? Si dice che dopo le tre settimane si abbia una grande gamba e allora perché non sfruttarla? 

In questi giorni abbiamo visto diversi corridori che dopo il Giro d’Italia hanno preso parte al Delfinato o al Giro di Svizzera o stanno per partire allo Slovenia: Tiberi, Fortunato, Piganzoli, Quintana, Caruso, Conci (questi ultimi due si notano nella foto di apertura)…

Cosa comporta questa scelta di calendario? E cosa accade nel fisico? C’è una frase di qualche giorno fa di Lorenzo Fortunato che torna con prepotenza: «Adesso si fa più lavoro al training camp in altura che al Giro. E quindi quando vai in corsa, vai a raccogliere i frutti del lavoro. Non si usano più i Grandi Giri per allenarsi. A me è capitato di fare il Giro d’Italia e poi andavo allo Slovenia oppure alla Adriatica Ionica Race, dove il livello era un pochino più basso e mi salvavo. Ma per come si va adesso, il Grande Giro deve essere l’ultimo atto di un cammino iniziato prima proprio per questo». 

Michele Bartoli, preparatore di molti professionisti e della Bahrain-Victorious, è pronto a rispondere alle nostre questioni.

Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi un preparatore affermato. E ancora un ottimo ciclista! (foto X)
Michele, il grande Giro, il Giro d’Italia ovviamente in questo caso, e poi una corsa a tappe: si può sfruttare la condizione che lasciano le tre settimane?

Io cambio un po’ le vecchie teorie, per me non è più così. Oggi si è talmente al limite sia mentalmente che fisicamente che qualcosa salta. Se dopo il grande Giro c’è la concentrazione e la voglia di mangiare ancora bene, di riposare il giusto… allora bene, ma è molto, molto complicato. Prima era vero il contrario: era complicato andare piano!

Perché? Cosa è cambiato adesso?

Il modo di correre, si pesano i grammi del cibo, si deve assumere un tot preciso di carboidrati, lo stress in gara e soprattutto ci si arriva già al top col peso senza quel chiletto in più, la condizione è subito alta dopo il grande lavoro a monte (la teoria di Fortunato, ndr). Si deve pensare davvero a tante cose e quando arrivi al termine del tuo Giro ti viene voglia di mollare. Ed è normale, è comprensibile.

Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Lo scorso anno al Tour VdP si è gestito alla perfezione, facendo la “fatica giusta”. Ma ha potuto farlo perché non mirava alla classifica
Diversi corridori del Giro sono andati al Delfinato e altri allo Svizzera: passano 6 giorni tra Giro e Delfinato, 13 fra Giro e Svizzera e 16 fra Giro e Slovenia. Incide questa differenza?

Sì e secondo me peggiora con passare dei giorni. Se ci si deve togliere il dente, meglio farlo subito. Poi chiaramente, dipende sempre dalla mentalità dell’atleta. Ma non è facile dopo il Giro mantenere la concentrazione. Tenere duro altri sei giorni magari ancora è fattibile, ma per lo Svizzera diventa più dura. Sì, si ha un po’ più di recupero. Puoi rifare qualche piccolo allenamento, ma ormai l’obiettivo grande è passato.

Abbiamo capito che la componente mentale è centrale, ma da un punto di vista prettamente fisiologico, muscolare?

Difficile scindere le due cose. Quando poi assaggi il riposo, la tranquillità, dopo che sei stanco il gioco si fa duro. Meglio fermarsi, mettere un punto e poi riprendere dopo aver recuperato. Chiaramente parlo per Delfinato e Svizzera e di chi deve andare lì per fare bene. Ma se vieni dal Giro e sai che poi staccherai queste corse non ti danno nulla o ti danno poco. Poi, attenzione, non dico che il grande Giro non ti lasci la buona condizione, però oggi mentalmente pesa di più. Oggi non è fattibile o è molto più difficile.

E se fosse per una corsa di un giorno?

Cambia tutto. Il Tour per l’Olimpiade (o la Vuelta per il mondiale) sono il top. Lì la concentrazione è massima e se ne trae il massimo beneficio. Il Giro è l’unico dei grandi Giri che poi non ha questo tipo di obiettivi a seguire.

Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Nonostante la grande fatica, alla fine Lorenzo Fortunato si è portato a casa la maglia dei Gpm dal Delfinato
Che poi, a meno che non si è Pogacar, se non si punta decisi alla classifica, un grande Giro lo puoi gestire in vista della gara di un giorno. Pensiamo a Van der Poel l’anno scorso con il Tour…

Esatto, quella è la preparazione migliore. Non hai lo stress della classifica, puoi mollare di tanto in tanto, puoi gestire gli sforzi, mangi bene, fai ritmo, fai i massaggi tutti i giorni.

E invece, tornando alla corsa a tappe che segue il grande Giro: c’è differenza se lo fa un giovane o un esperto? Per esempio abbiamo visto Tiberi al Delfinato e Caruso allo Svizzera…

Per me è peggio per il giovane, anche perché oltre ad una situazione di recupero, a cui magari è più abituato l’esperto, ritorna il discorso delle motivazioni. Ad un atleta come Caruso cosa può dare un piazzamento al Delfinato o allo Svizzera della situazione? Per Tiberi già è un discorso diverso è giovane e nonostante non sia andato bene non condanno la sua scelta di provarci.

Chiaro…

Penso a Fortunato per esempio. Ha fatto un buon Giro, ma al Delfinato nonostante sia stato bravo a mettersi in mostra che fatica ha fatto? Si staccava da 20-25 corridori mentre al Giro era tra i migliori. Però per lui un Delfinato ha più senso che per un Caruso. Per lui un quinto posto diventa importante anche ai fini di un contratto, di visibilità, d’importanza.

Dal Tour de Suisse un Ayuso formato gigante

21.06.2023
5 min
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Il recente Tour de Suisse ha segnato un altro tassello in quanto a ricambio generazionale. Se Remco Evenepoel è ormai un “veterano”, Mattias Skjelmose, il vincitore, e Juan Ayuso, secondo, sono ancora dei novellini.

In particolare Ayuso è un classe 2002. Juan non lo scopriamo adesso. Lo abbiamo seguito da vicino nel Giro U23 del 2021 e lo scorso anno si è preso il podio della Vuelta. Però stavolta il corridore della UAE Emirates  entra di fatto tra i giganti. E’ stato l’unico a vincere due tappe. A sfiorare il successo finale dopo una giornata di “crisi” e, soprattutto, a battere Remco a crono.

La grinta di Ayuso (classe 2002) sull’arrivo di La Punt, dopo aver staccato tutti sull’Albula
La grinta di Ayuso (classe 2002) sull’arrivo di La Punt, dopo aver staccato tutti sull’Albula

Ayuso il meticoloso

Una prestazione così non poteva certo passare inosservata. Viene da chiedersi dove potrà arrivare già quest’anno il talento spagnolo. Che nel lungo periodo andrà lontano… beh, quello si sa già! 

«Sapevamo che Juan stesse bene – commenta Fabrizio Guidi, che lo ha diretto dall’ammiraglia in Svizzera – che andava forte. Oggi gli strumenti ci dicono molto, ma da qui a vincere una tappa di montagna e una crono… non era semplice. E poi non contano solo i numeri.

«Di questo ragazzo mi è piaciuta e mi piace la meticolosità. Juan è attento ai dettagli in qualsiasi cosa faccia: dagli allenamenti alla strategia in corsa fino ai materiali. E poi ama la vita da atleta. Correre gli piace».

Che sia un… animale da gara ce lo aveva detto in tempi non sospetti anche Gianluca Valoti, suo diesse alla  Colpack Ballan: «Fermarlo a volte è impossibile». 

Hirschi in testa a tirare e Ayuso in coda, verso Leukerbad. Quel giorno lo spagnolo ha pagato oltre 50″ (abbuoni inclusi) a Remco e Skjelmose
Hirschi in testa a tirare e Ayuso in coda, verso Leukerbad. Quel giorno lo spagnolo ha pagato oltre 50″ (abbuoni inclusi) a Remco e Skjelmose

Tre momenti chiave

Evidentemente nell’era dei fenomeni bisogna inserire di diritto anche Ayuso. «Fa parte – dice Guidi – di quella schiera di giovani che si presentano alla scena dei pro’ già pronti. Acquisiscono esperienza in modo più rapido. E in questo Juan è una spugna.

«Per esempio nel giorno della sua “crisi” (terza tappa, ndr), quando ha avuto freddo in discesa. Ha capito molte cose, soprattutto l’importanza della squadra, dei compagni. Quel giorno fu Hirschi a salvarlo. Poi ha recuperato bene nel finale, ma è stata comunque una lezione importante. E quando dico lezione non intendo punizione, ma apprendimento. Perché poi certe esperienze è bene viverle da pro’. Uno come lui, da dilettante, prende e vince con 10 minuti. Se ha problemi, recupera. Tra i pro’ no, non è così».

Per Guidi, il giorno della crisi è uno dei tre momenti chiave dello Svizzera di Ayuso, insieme alla vittoria di tappa e quella finale della crono.

Fabrizio insiste sul fatto che Ayuso abbia corso pochissimo quest’anno. E questo ha complicato le cose. Per certi aspetti al via dello Svizzera era sin troppo fresco. Prima della corsa elvetica, lo spagnolo aveva preso parte solo al Romandia, tra l’altro sempre in Svizzera. E anche in quel caso era riuscito a dare una zampata, proprio nella crono. Stavolta però il livello era ben più alto.

Nella crono finale Juan ha staccato Remco di 8″ e di 9″ Skjelmose
Nella crono finale Juan ha staccato Remco di 8″ e di 9″ Skjelmose

Doti di recupero

«Il fatto che Juan abbia gareggiato poco lo ha fatto arrivare al via del Tour de Suisse con poco rodaggio. Gli sono mancati quei primi 2-3 giorni. Ed è lì che abbiamo perso la corsa. Il quarto giorno, quando ha pagato dazio, è stata una conseguenza del grande dispendio energetico del giorno precedente.

«Poi le cose sono cambiate. E’ scattato il campione che è in lui. Ha preso il ritmo gara, sono emerse le sue enormi doti di recupero e ha fatto quel che ha fatto. Questo vuol dire che hai un motore grosso così, altrimenti ti affossi».

Sull’Albula, Juan ha fatto un numero da capogiro. Ha staccato tutti, Remco e company inclusi. Una vittoria di forza e tenacia. Una vittoria da campione nel Dna. Come a dire: “Ieri le ho prese? Bene, oggi vi faccio vedere io”. Non tutti sono in grado di ragionare così.

«E anche la crono finale – prosegue Guidi – quegli otto secondi di vantaggio su Evenepoel sembrano pochi. In realtà c’è dentro un mondo. Non c’è solo un mare di watt, c’è anche la capacità di saper soffrire». E una grande attenzione verso questa disciplina che da quest’anno regna in UAE Emirates.

Aver battuto Remco a crono lancia Ayuso tra i super di questa era
Aver battuto Remco a crono lancia Ayuso tra i super di questa era

Favola Tour?

Ayuso sta benone dunque. I malanni sembrano del tutto alle spalle. E adesso dove potrà arrivare? Dovrebbe fare la Vuelta, ma in teoria c’è il Tour che chiama. Parte dalla Spagna e sembra fatto apposta per una nuova favola, una favola stile Pogacar. Juan potrebbe starci bene nella formazione per la Grande Boucle.

«Ci starebbe bene: e come fai a dire di no? Fisicamente Juan sarebbe pronto, è chiaro. Ma poi ci sono altre dinamiche di squadra, altri programmi. Ed è giovane».

E’ giovane: anche il suo compagno Pogacar era giovane quando fu buttato nella mischia del Tour (che vinse) dopo il podio della Vuelta l’autunno precedente. Semmai Pogacar all’epoca non aveva in squadra… Pogacar, un campione di tale peso che giustamente catalizza ogni attenzione.

Ma questo è un altro discorso. Quel che conta è che Ayuso sta mostrando chi è tra i professionisti, con la stessa grinta con cui attaccava strade ed avversari tra gli under 23. E quella vittoria a crono su Evenepoel non è cosa da poco.

«Anche in questo caso – conclude Guidi – un particolare che mi è piaciuto di Ayuso è che non è stato tanto lì a dire: “Ho vinto la crono su Evenepoel”, il quale comunque veniva dalle sue vicissitudini del Giro d’Italia, quanto piuttosto si è chiesto: “Dove ho perso il Giro di Svizzera? Dove posso fare meglio?“. Poi è chiaro, magari dentro di sé era contento, ma fin lì non ci leggo!».

Evenepoel e Van Aert, voci fiamminghe dalla Svizzera

18.06.2023
5 min
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Come quello che fece Lance a Limoges. Dell’americano si può dire quel che si vuole, ma in quel giorno del 1995, arrivando con le dita che indicavano Fabio Casartelli nel cielo di Francia, ci toccò i cuori come poche altre volte. Ieri Remco Evenepoel ha fatto qualcosa del genere, anche se Gino Mader non era suo compagno di squadra e Dio solo sa quanto puoi essere scosso quando hai visto morire un tuo amico. Armstrong invece partì per fare quel gesto, il campione del mondo lo ha sentito nascere da dentro e lo ha assecondato.

«Non era questo il piano stamattina – ha detto Evenepoel – volevo aiutare i nostri velocisti Merlier e Van Lerberghe, ma sono stati loro a chiedermi di provare. E’ stata una bella vittoria, ma non è questa la cosa più importante oggi. Era più importante onorare Gino e penso che questo sia stato il modo migliore per farlo. La mia mente non era sulla vittoria quando ho tagliato il traguardo. Ho pensato solo a Gino, alla sua famiglia e ai suoi cari».

Come per Jakobsen

La tappa di Weinfelden è iniziata con un toccante minuto di silenzio in memoria di Gino Mader. I corridori si sono tolti i caschi e una colomba bianca è stata fatta volare verso il cielo. Il Team Bahrain Victorious, la Intermarché e la Tudor Pro Cycling non erano al via, mentre altri 37 corridori si sono ritirati non sopportando il dolore. Il mattino infatti aveva ancora il sapore della morte. Il dio dei ciclisti, che in tante occasioni ha tenuto una mano sul capo dei suoi figli, l’altro giorno non c’era: Evenepoel lo sa bene. A lui ha salvato la vita quando volò giù dal ponte al Giro di Lombardia.

«Questa vittoria – ha detto Evenepoel – mi ricorda quando al Giro di Polonia vinsi per Jakobsen dopo il suo incidente. Questo però è stato molto peggio ovviamente. Fabio può ancora fare quello che gli piace fare con la sua famiglia, purtroppo Gino non può più. Preferisco dare tutti i premi che ho ricevuto per la mia vittoria alla famiglia di Mader. Cercherò di fare il massimo per sostenerli, ma so anche che questo non lo riporterà indietro».

La lettura di Van Aert

Anche Wout Van Aert, giunto secondo all’arrivo, ha raccontato di aver pedalato per tutto il giorno con uno strano senso di disagio addosso.

«E’ stato un po’ strano – ha detto – ma d’altra parte credo fosse giusto ricominciare a correre. Ho pensato che sia stata una decisione giusta e penso che tutti abbiano rispettato il modo in cui l’abbiamo gestita. Ho trovato positivo che non ci sia stata una vera battaglia, ma ho sentito molto rispetto nel gruppo. Alcune squadre non volevano continuare, altre hanno pensato che fosse una buona decisione. Bene che abbiamo rispettato l’opinione di tutti e che non ci sono stati attacchi subito dopo l’inizio. E’ stato più giusto andare di nuovo a tutto gas su una salita e per me è stato il modo giusto per affrontare la giornata. In questo modo abbiamo rispettato anche gli spettatori».

Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo
Evenepoel non aveva in programma di attaccare, sono stati i compagni a spingerlo

Tutto nella crono

E così il Giro di Svizzera è arrivato faticosamente all’ultima tappa: la cronometro di Abtwil, che in 25,7 chilometri metterà ordine fra le ambizioni dei contendenti. La prima, di soli 12,7 chilometri a Einsiedeln, ha visto la vittoria di Kung su Remco e Van Aert. La maglia di leader la indossa ancora Skjelmose, con 8 secondi di vantaggio su Gall, 18 su Ayuso, 46 su Evenepoel.

«Domani cercherò ovviamente di puntare alla vittoria finale – ha detto Remco a Het Nieuwsblad – ma voglio soprattutto avere buone gambe e vincere la tappa. E poi vedremo dove finirò in classifica. Mi rendo conto che sarà difficile rubare la maglia gialla a Skjelmose, ma alla fine siamo davvero vicini».

Pensando a Gino Mader, le parole del gruppo

17.06.2023
6 min
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«Non proprio la performance che speravo qui alla Volta Catalunya. Ma non perdo la speranza, anche la Lamborghini prima costruiva trattori». Spiritoso. Allegro. Sognatore. Ironico. Queste parole di Gino Mader prese da Instagram dopo il Catalunya sono il modo che abbiamo trovato per cominciare il racconto con un sorriso.

Gino Mader è nato il 4 gennaio 1997 a Flawil, è morto il 16 giugno 2023 a Coira
Gino Mader è nato il 4 gennaio 1997 a Flawil, è morto il 16 giugno 2023 a Coira

Sentimenti e social

Ventiquattro ore dopo la morte del giovane svizzero, il mondo del ciclismo fa comprensibilmente fatica a lasciarlo andare. Che le cose non andassero si era capito la sera stessa, dalle risposte insolitamente abbottonate sua squadra. E quando ieri mattina il cuore di Gino ha smesso di battere, c’è stata prima l’incredulità, poi è subentrato il dolore. E a quel punto le dispute sui dilettanti attaccati dello Stelvio sono parse ridicole e vuote.

Come ogni volta che un corridore se ne va, il gruppo si è raggomitolato su se stesso in una posizione quasi fetale. Poca voglia di parlare, zero interviste: solo messaggi fra amici che resteranno tali. Eppure tutti, ciascuno a modo suo, hanno trovato il modo di salutare l’amico scomparso sui social. Quella che vi proponiamo è una galleria di post, per come il gruppo ha voluto ricordare quel ragazzo sorridente, capace di portare allegria e impegnarsi per l’ambiente con lo slancio di un bambino.

Damiano Caruso

«Caro Gino è stato un onore averti come compagno di squadra, ma soprattutto aver avuto il privilegio di conoscere la splendida persona che eri. Intelligente ed educato , razionale e leale come pochi. Ciao Gino, ti voglio bene».

I compagni del team Bahrain Victorious in raccoglimento prima del via
I compagni del team Bahrain Victorious in raccoglimento prima del via

Michele Bartoli

«La cosa che ti ripetevo di più era Gino ridi, qui mi avevi ascoltato. Mi ascoltavi sempre, il confronto con te era sempre costruttivo. Oggi sto pagando con un dolore immenso, ma ringrazio Dio di averti conosciuto e di aver potuto costruire un grande rapporto con una persona speciale come te. Buon viaggio Gino, mi mancherai, non immagini quanto».

Sonny Colbrelli

«Sei stato un amico, un compagno e un motivatore quando ero in difficoltà. Da oggi abbiamo un angelo in più».

Matej Mohoric

«Gino, riposa in pace. Sarai vivo per sempre nei nostri cuori. Ho avuto così tanto rispetto per il tuo impegno per rendere il mondo un posto migliore per tutti. Porterò questo con me oggi, domani e ogni giorno».

Sandra, la mamma di Gino Mader, ha abbracciato i suoi amici corridori
Sandra, la mamma di Gino Mader, ha abbracciato i suoi amici corridori

Fabian Cancellara

«Riposa in pace, Gino. Ci mancherai, sei stato speciale per me per il modo in cui ti ho incontrato. I miei pensieri sono ora con la sua famiglia e i suoi cari».

Romain Bardet

«Come. Perché. Cosa ci resta adesso? I nostri occhi che piangono, i nostri pensieri devastati. Siamo tutti Gino, sfrecciando in ogni discesa sempre più veloci, al limite dell’equilibrio. Sfidando i nostri limiti curva dopo curva. Dopotutto, l’abbiamo già fatto 1000 volte. E’ buio il giorno in cui il destino viene a strapparci uno dei nostri, un nostro simile, acrobata in lycra, con un’ingiustizia che ci lacera e che nessuno può riparare. Coscienti dell’incoscienza solo quando la brutalità ci raggiunge e ci danneggia per sempre. Se solo la sincerità dei nostri pensieri bastasse per confortare coloro che rimangono. Facciamo questo sport per le emozioni, ma mai per vedere la nostra famiglia in lutto. Ad una stella che non smetterà mai di brillare, Gino».

Francesco Villa

«R.I.P. Gino. Eri un ragazzo speciale, non dimenticherò le nostre chiacchierate sul bus. Mancherai…».

Alejandro Torralbo

«Vaaamooos Gino, ora correrai per sempre e sarai vivo nei nostri ricordi».

Evenepoel ha parlato subito della sicurezza dell’arrivo in fondo alla discesa
Evenepoel ha parlato subito della sicurezza dell’arrivo in fondo alla discesa

Adriano Malori

«Oggi è morto un altro ciclista giovanissimo, Gino Mader della Bahrain Victorious, caduto ieri nella discesa che portava all’arrivo. I motivi? Sconosciuti e non serve a nulla cercarli! Posso solo dire un mio parere. Gli organizzatori devono capire che purtroppo il ciclismo è cambiato. I corridori hanno pressioni inimmaginabili, le biciclette sono dei missili super rigidi che non permettono errori. Ad oggi a un corridore pro’ basta accarezzare i pedali per fare in pianura i 35-40 km/h e gli bastano pochi metri di discesa per raggiungere 70-80 km/h. Questo sport che è cambiato del 70% negli ultimi 20 anni quindi anche i percorsi devono adeguarsi.
«Dunque mi associo alle dichiarazioni di Evenpoel che ha dichiarato: «Non è stata un’idea intelligente collocare il traguardo di una tappa così impegnativa al termine di una discesa. Ma ovviamente c’è sempre più bisogno di spettacolo. Detto questo, ciao Gino».

Mark Cavendish

«Assolutamente senza parole per questa notizia devastante. Amico, ci mancherai tu e il tuo sorriso che avrebbe illuminato il gruppo. Invio forza e amore alla tua famiglia, ai tuoi amici e al Team Bahrain Victorious. Riposa in pace, Gino».

Lungo i pochi chilometri percorsi ieri dal gruppo, il pubblico applaudiva e piangeva
Lungo i pochi chilometri percorsi ieri dal gruppo, il pubblico applaudiva e piangeva

Ineos Grenadiers

«Abbiamo il cuore spezzato nel sentire di Gino e i nostri pensieri sono con i suoi amici, la famiglia e tutti al Team Bahrain Victorious. Gino non era solo un ciclista di grande talento e un grande agonista, era anche una persona incredibile e un amico per molti di noi. La sua assenza sarà sentita da tutti nel gruppo e in tutto il nostro sport».

Elke Weylandt

«Senza parole. Sono oltremodo triste nel vedere un’altra famiglia, un altro gruppo di amici, un’altra squadra, un altro gruppo attraversare questo inferno vivente. RIP Gino»

Franco Pellizotti

«Ciao Ginetto, ti porterò per sempre nel mio cuore. Riposa in pace».

Fran Miholjevic

«Oggi ho perso un amico. Caro Gino, sei stato molto più di un collega. Sei stato un amico e un modello. Sono grato e orgoglioso di aver condiviso con te i tuoi ultimi giorni e la strada del tuo ultimo viaggio qui sulla terra. Riposa in pace».

Sul traguardo, uno striscione ha celebrato Gino Mader al passaggio dei suoi compagni
Sul traguardo, uno striscione ha celebrato Gino Mader al passaggio dei suoi compagni

Brent Copeland

«Ho cercato di trovare le parole tutto il giorno per esprimere i miei sentimenti per una giornata così tragica! Difficile trovare le parole, ma una cosa speciale si è evidenziata oggi ed è quanto sia veramente stretta la comunità del ciclismo, sia nei momenti buoni che in quelli cattivi. Possiamo tutti avere le nostre opinioni diverse, ma alla fine siamo tutti qui per supportarci l’un l’altro e questo è qualcosa di speciale! RIP Gino! Ci hai intrattenuto in tanti modi speciali e memorabili!».

Delfinato o Svizzera? La via per il Tour secondo Belli

31.05.2023
6 min
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Lo scorso anno, dopo una primavera non troppo esaltante, Jonas Vingegaard andò al Delfinato, vinse l’ultima tappa (foto di apertura) e si piazzò secondo dietro Roglic in classifica finale. Così prese fiducia e dopo 40 giorni si ritrovò vincitore del Tour. Ora che il Giro è finito, manca davvero poco perché si cominci a entrare nell’orbita della Grande Boucle. E il calendario WorldTour offrirà nelle prossime settimane due corse tradizionalmente dedicate al rodaggio dei campioni, dalle quali pochi davvero si asterranno. Stiamo parlando di Giro del Delfinato (4-11 giugno) e Giro di Svizzera (11-18 giugno), i cui albi d’oro sono pieni di corridori che nelle settimane successive hanno ben figurato nella sfida del Tour.

La cosa curiosa di quest’anno è che i primi due del Giro, quindi Roglic e Thomas, lo scorso anno avevano vinto rispettivamente il Delfinato e il Giro di Svizzera.

Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo fu Simoni, primo al Giro (foto Keystone)
Belli è arrivato per tre volte terzo in Svizzera: qui nel 2001, quando vinse Armstrong. Secondo Simoni, primo al Giro (foto Keystone)

Tre volte terzo

Ne abbiamo voluto parlare con Wladimir Belli, che li ha fatti da corridore e a breve commenterà il Delfinato dai microfoni di Eurosport. Essendo un preparatore atletico, la nostra è una curiosità al contrario: vale ancora la pena passare attraverso certi percorsi di rodaggio per arrivare bene al Tour?

«Faccio due considerazioni – comincia Belli – e la prima che mi viene in mente è che sono arrivato per tre volte terzo allo Svizzera e una volta al Delfinato e nei primi tre casi uscivo dal Giro d’Italia. In quegli anni infatti, chi usciva bene dal Giro, andava in Svizzera e sfruttava la coda della condizione. C’era il confronto scontro tra chi doveva fare il Tour e chi veniva dal Giro.

«Ricordo che nel 2001 Simoni vinse il Giro e arrivò secondo allo Svizzera, dietro Armstrong che puntava al Tour. Io arrivai terzo, fu l’anno che mi squalificarono dal Giro e anche quello della presunta positività di Armstrong che fu coperta. Non credo che oggi qualcuno che ha fatto classifica al Giro d’Italia vada in Svizzera con lo stesso obiettivo. Mi pare che ci sarà Frigo e magari se ne servirà per fare un salto di qualità. Se ci scappasse un bel piazzamento fra i primi cinque, sarebbe già tanta roba».

Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Niente Giro per Hindley quest’anno, ma classiche, Delfinato e Tour
Per parecchio tempo, chi puntava deciso sul Tour evitava di spremersi nelle corse di vigilia. E’ ancora così?

Sì, ma fino a un certo punto. Nel senso che essendo cambiata un po’ la programmazione dei corridori, non hanno bisogno della corsa per trovare la condizione. Per cui sicuramente qualcuno proverà la gamba e chi magari è già al top si può anche nascondere.

La corsa non è più indispensabile?

Mentre prima scendevi dall’altura e avevi bisogno di correre per fare ritmo, adesso i corridori scendono dall’altura e arrivano alle corse che sono già pronti. Vi faccio l’esempio di Thomas che subito prima del Giro ha fatto il Tour of the Alps, ma quasi non lo abbiamo visto. Con la tecnologia, la preparazione e la metodologia di adesso, sanno già a che percentuale di condizione sono. Per cui ci sta che qualcuno al Delfinato si nasconda.

Sfuggendo al confronto?

Qualcuno proverà anche a misurarsi con gli altri, ma non saranno confronti al 100 per cento. Se poi sei uno che non può vincere il Tour de France, allora ci sta che vai forte e ti porti a casa il Delfinato. Il Tour possono vincerlo in pochi, è giusto che altri cerchino gloria altrove.

Si dice che si va al Delfinato anche per fare l’abitudine al correre francese. E’ ancora così?

DI sicuro al Delfinato inizi a respirare un po’ il clima del Tour. Parlo di strade, hotel e tipologia di salite. Allo Svizzera le strade sono diverse, l’ambiente è diverso. Magari il contesto generale sembra quello di una corsa di dilettanti, però si va forte e magari trovi corridori che ormai conoscono molto bene il Tour e non hanno bisogno di correre sull’asfalto francese. Al confronto di quelle stradine, i percorsi dello Svizzera sono perfetti e la pedalata ne è condizionata.

Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Correre il Delfinato significa anche fare l’occhio al contesto francese in cui si correrà il Tour
Sono così particolari le strade francesi?

Sono strette, bisogna conoscerle. Come la prima volta che vai in Belgio e non capisci bene. Sei sempre a tutta e vedi i corridori che passano sulla pista ciclabile, oppure strade larghe che di colpo diventano strette. Sono le situazioni che devi conoscere se vorrai fare il Tour per vincere.

Quando correvi tu, era raro trovare squadre italiane al Delfinato…

Perché andare in Svizzera era più comodo per tutti, mentre adesso si sono orientati tutti sul Delfinato. Anche perché c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione: il Delfinato è organizzato dagli stessi del Tour, quindi c’è da considerare anche l’aspetto diplomatico. E poi finisce una settimana prima dello Svizzera, lasciandoti più tempo per lavorare.

Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Pogacar fa ancora una volta eccezione: correrà il Giro di Slovenia, lontano dai rivali del Tour
Non si è ancora ben capito che cosa farà Bernal: se lo porteranno al Tour e dove correrà alla vigilia.

Forse un corridore come Egan, che rientra senza conoscere le sue condizioni, farebbe meglio a evitare il Delfinato. Neanche lui sa come stia, io eviterei i confronti più severi. Però magari lo portano al Tour per puntare alle tappe.

Perché invece Pogacar si preparerà al Giro di Slovenia?

Perché va forte e non ha bisogno di confronti diretti. Ormai sa quali sono le sue qualità e la sua forza. La corsa in Slovenia gli dà comunque morale, corre senza tirarsi troppo il collo e non si stressa a livello mentale. Non è che dormirà a casa sua, però vedere il tuo pubblico ti può dare la carica. Avete visto al Giro che belli erano i tifosi di Roglic?