Terzo posto al Giro di Romandia, a poca distanza dai due mostri sacri della Sd Worx Lotte Kopecki e Demi Vollering. E quei 46” di margine in classifica danno l’idea che il divario fra le primedonne del ciclismo mondiale e Gaia Realini si vada assottigliando sempre più. Per dare la giusta misura alla sua prestazione, era importante sentire direttamente il parere di chi la sta seguendo con grande attenzione, anche dall’alto della sua profonda esperienza come campionessa delle due ruote: Ina Yoko Teutenberg, la sua diesse.
Il podio del Romandia con Realini insieme a due mostri sacri come Vollering (da sinistra) e KopeckiIl podio del Romandia con Realini insieme a due mostri sacri come Vollering (da sinistra) e Kopecki
Pur mantenendo saldamente i piedi per terra, la Teutenberg sa di avere per le mani un gioiello e giudica molto positivamente la sua prestazione elvetica: «E’ tutto merito suo. Ma più che guardare il risultato fine a se stesso, io sono abituata a giudicare la prestazione nel suo complesso. E i segnali sono stati importanti, nel senso che ha fatto bene, che in salita si è dimostrata superiore a quasi tutte e quel quasi comprende campionesse come Garcia e Labous finite alle sue spalle».
La sensazione è che rispetto a Kopecki e Vollering, le specialiste della SD Worx, il divario si sia ridotto e che l’italiana sia sempre più competitiva. Sei di questo avviso?
Io sono ottimista, credo che effettivamente Gaia stia migliorando sensibilmente, anche se le due campionesse in questione sono ancora superiori. Io dico che lei può fare tutto se ci mette la testa, ossia ci crede prima di tutto lei. E’ un processo in evoluzione, con l’età che è dalla sua parte.
Realini ha saputo mettere alla frusta le più blasonate avversarie della Sd WorxRealini ha saputo mettere alla frusta le più blasonate avversarie della Sd Worx
Secondo te proprio considerando la giovane età della Realini, quali margini di crescita ha?
Penso che ci sia ancora un grande margine di miglioramento, come le tecniche di gara, il posizionamento nel gruppo e tutto il resto. E come dici tu, è ancora giovane. Deve imparare a gestire la pressione perché solo l’anno scorso è uscita dall’ombra. Quest’anno c’è un po’ più di attenzione su di lei, deve farci l’abitudine. Ma ha 23 anni, crescerà, continuando a lavorare sodo.
Il suo punto debole sono le discese, pensate di fare lavori specifici per la prossima stagione?
Ci sta già lavorando e noi con lei, ci stiamo focalizzando sul problema. Che, non dobbiamo dimenticarlo, ha un po’ a che fare anche con le sue dimensioni. Voglio dire, è davvero piccola e non riesce a vedere molto nel gruppo, per questo accennavo prima al discorso del posizionamento. Ma ci sta lavorando, ci tiene molto e se guardate bene le sue prestazioni anche al Giro d’Italia, è già migliorata. Ci arriverà. Fa tutto parte del gioco.
La marchigiana ha finora colto il 7° posto al Giro e il 5° al Tour, confermandosi portata per le grandi corse a tappeLa marchigiana ha finora colto il 7° posto al Giro e il 5° al Tour, confermandosi portata per le grandi corse a tappe
In questo momento la Realini è più competitiva nelle corse a tappe di 3-4 giorni o il numero di tappe non influisce sul suo rendimento?
Non credo che influisca. Voglio dire, ha avuto qualche piccolo disagio al Tour de France, ma c’erano un paio di corridori più grandi lì, in un grande evento. Non credo che la durata faccia la differenza, le sue doti di recupero ci sono, comprovate dai dati, anche al Tour è andata in crescendo e nell’ultima tappa sull’Alpe d’Huez è stata protagonista.
Gli arrivi di Markus e Fisher Black sono pensati anche per aiutarla nelle corse a tappe?
Difficile rispondere. Voglio dire, penso che vedremo cosa succederà l’anno prossimo, cosa faremo. Non posso ancora dire nulla di certo. Cosa faremo con loro, come le impiegheremo sono ragionamenti che faremo a bocce ferme. Ma io non mi focalizzerei su questo, la Realini ha già molto supporto, non le è certo mancato nelle gare di quest’anno. Quindi, voglio dire, faranno anche le loro gare a tappe e ce ne sono molte in calendario.
Per Teutenberg, l’abruzzese sta crescendo, ma c’è troppa pressione da parte della stampa italianaPer Teutenberg, l’abruzzese sta crescendo, ma c’è troppa pressione da parte della stampa italiana
Dovendo fare un bilancio della sua stagione, sei soddisfatta?
Sì, sicuramente lo sono perché c’è stato un evidente progresso rispetto al 2023. Penso che alcuni media fanno un gran parlare di ciò che è capace o meno perché l’anno scorso ha avuto due podi. Ma è ancora giovane e in evoluzione. Io dico che vincerà quest’anno, ma penso anche che i media italiani l’abbiano celebrata troppo e le abbiano messo troppa pressione e questo non aiuta.
Settima al Giro, ma soprattutto quinta al Tour de France Femmes, Gaia Realini si è trovata sparata da zero a cento in quella mischia immensa con un ruolo del tutto inaspettato. Stando a quanto le era stato detto, della classifica si sarebbero occupate Elisa Longo Borghini e Shirin Van Anrooy. Quando però la defezione della piemontese dopo le Olimpiadi è diventata ufficiale, la squadra l’ha chiamata e le ha passato il testimone: la classifica sarebbe toccata a lei.
In questi giorni l’abruzzese della Lidl-Trek si sta allenando, cercando da un lato di recuperare del tutto e dall’altro di arrivare pronta al Tour de Romandie (6-8 settembre), che sarà l’anticamera dei mondiali di Zurigo cui le piacerebbe prendere parte.
«Come è stato il Tour?», sorride con quella punta di ironia che basta più di mille risposte. «E’ stato duro, devo dire la verità, ma anche bellissimo. Non avevo mai vissuto un’atmosfera del genere. Soprattutto le prime tappe, fra l’Olanda e il Belgio che sono la patria della bici. E poi sull’Alpe d’Huez. Era la prima partecipazione, non sono in grado di fare confronti. Ma se guardo al Giro e alla Vuelta, il Tour de France è stato molto più grande e molto più duro».
Eppure quando nell’ultima tappa, Gaia si è ritrovata a darsi cambi con Kasia Niewiadoma ed Evita Muzic sull’Alpe d’Huez (foto di apertura) non sembrava la ragazzina che davanti a una simile sfida avrebbe potuto bloccarsi.
Senza Longo Borghini e con Van Anrooij non brillantissima, Realini si è ritrovata leader della Lidl-TrekSenza Longo Borghini e con Van Anrooij non brillantissima, Realini si è ritrovata leader della Lidl-Trek
Le tue colleghe hanno parlato di nervosismo e tappe lunghe.
Ogni giorno erano più di 160 chilometri e confermo che il gruppo era nervoso, forse perché il Tour è la corsa più attesa e tutti vogliono farlo bene. Anche il livello delle atlete era molto alto. Basti pensare che Kasia Niewiadoma e Demi Vollering hanno saltato il Giro d’Italia per arrivare pronte in Francia e andavano davvero fortissimo. Per me all’inizio non erano un problema, non avrei dovuto fare io la classifica. L’avevo presa come una prima partecipazione, in cui avrei potuto guardarmi intorno e prendere le misure.
Invece?
Invece la squadra mi ha dato il ruolo che sarebbe stato di Elisa Longo Borghini e a quel punto non mi sono tirata indietro. All’inizio magari un po’ la cosa mi ha colpito, però poi sono stata contenta che mi abbiano dato il ruolo e la fiducia. Dato che Elisa il prossimo anno ci abbandonerà, ho iniziato a prendermi le mie responsabilità e a fare da me. La squadra mi è stata molto vicina, è bastato che i direttori dicessero che sarei stata una delle leader e il meccanismo è stato perfetto.
Lizzie Deignan al Tour non ha vinto, ma è stata una super guida per la debuttante RealiniL’abbraccio con Longo Borghini dopo la vittoria del Giro parla più di mille parole. Dal 2025 la coppia si scioglieràLizzie Deignan al Tour non ha vinto, ma è stata una super guida per la debuttante RealiniL’abbraccio con Longo Borghini dopo la vittoria del Giro parla più di mille parole. Dal 2025 la coppia si scioglierà
Che leader hai scoperto di essere?
Sono una leader silenziosa, non sono una che pretende e detta regole. Ho visto che le compagne non hanno avuto problemi ad aiutarmi. Ho avuto vicina per tutto il tempo Lizzie Deignan e mi è sembrato che mi abbia avvolto in una coperta. Pure essendo una campionissima, è stata la mia matrioska: dov’era lei, c’ero anche io. In certi casi non serviva neanche parlare. Per fare un esempio, un giorno ho pensato che potesse avere sete e le ho preso una borraccia, scoprendo che lei aveva appena fatto la stessa cosa per me.
Non stai parlando di una gregaria qualsiasi, il suo palmares è notevole…
Infatti accanto a lei mi sentivo come una ragazzina e pensavo a come si sentisse a dover accudire una bambina di 23 anni. A volte mi parla da mamma, si capisce che lo sia davvero. Abbiamo condiviso la stanza al Giro e poi al Tour. Mi piace il suo modo di fare perché non mi fa sentire la mancanza della mia vera mamma.
Sfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a NiewiadomaSfinita sull’Alpe d’Huez, Realini alla fine ha pagato 30″ rispetto a Niewiadoma
Che cosa ti ha lasciato questo Tour de France?
Sicuramente non nego di dover crescere e imparare tanto. Chi è arrivato davanti ha più anni e più esperienza di me. Ma guardando e correndo, ho imparato tanto. E magari facendo degli altri passi di avvicinamento, potrei pensare che un giorno anche io potrò salire sul gradino più alto di quel podio.
Quindi fra una settimana si va al Romandia, poi il sogno è andare ai mondiali?
Esatto. Mi piacerebbe davvero molto ricevere la chiamata di Sangalli.
Diamo un seguito all'intervista con Giorgia Bronzini e parliamo con Yaya Sanguineti di come si può battere Wiebes. Il solo modo è anticiparla: ecco come
Il Giro d’Italia Women ha incontrato oggi, nella terza tappa, il primo arrivo in salita, conquistato da Niamh Fisher-Black. L’atleta della SD Worx ha anticipato la compagna di squadra Lotte Kopecky e la francese Juliette Labous. Le pendenze della salita di Toano non sono le preferite da Realini che ha pagato 36 secondi dalla vincitrice e 30 secondi da Longo Borghini e Kopecky.
«Sicuramente – spiega la scalatrice della Lidl-Trek – quest’anno il Giro non permette di abbassare molto la guardia. La tappa di ieri è stata abbastanza tranquilla, ma già da oggi era importante farsi trovare pronte e tenere le antenne dritte. Tutte le atlete volevano provare a mettere fatica e minuti nelle gambe delle avversarie. Il caldo ha giocato un ruolo importante nell’economia della corsa. Il ritmo è stato elevate per tutta la salita, con Mavi Garcia che ha messo in fila il gruppo. Nel finale ho aiutato la Longo Borghini a chiudere sui vari attacchi, l’ho accompagnata fino all’ultimo chilometro nel quale Elisa ha seguito bene Kopecky difendendo la maglia rosa».
Realini si era detta soddisfatta dopo la crono di Brescia dove aveva perso 1′ 08″ da Longo BorghiniRealini si era detta soddisfatta dopo la crono di Brescia dove aveva perso 1′ 08″ da Longo Borghini
Primi passi
Intanto Gaia Realini aveva sbloccato le gambe con la cronometro di Brescia, chiusa in 25ª posizione a un minuto e otto secondi dalla compagna Elisa Longo Borghini. Una prova positiva visto il percorso e la lunghezza di 15,7 chilometri. La prestazione era da considerare comunque positiva
«La cronometro – spiega Realini – non era la mia giornata, comunque è una cosa che fa parte delle gare e me la sono goduta fino in fondo. Sono riuscita a difendermi nonostante la prova impegnativa e le sensazioni sono state abbastanza positive. Sapevo che avrei perso qualcosa ma ero concentrata a fare il mio, senza guardare troppo alle altre».
Nella tappa di oggi con arrivo a Toano Realini ha perso 29″ dalla compagna di squadra e attuale maglia rosaLa maglia rosa oggi, dopo il primo arrivo in salita, è rimasta saldamente in mano a Elisa Longo Borghini
Sulle strade amiche
La tappa regina di questo Giro d’Italia Womensarà però a casa di Realini, in Abruzzo, sulle rampe del Blockhaus. Prima con la scalata di Passo Lanciano, nel secondo passaggio, quello finale, si arriverà fino in cima. Una frazione con pendenze sempre, o quasi, a doppia cifra.
Il distacco accumulato da Realini in classifica generale dopo tre tappe è di un minuto e 37 secondi. L’abruzzese rimane una delle favorite per la tappa con arrivo in cima al Blockhaus viste anche le pendenze quasi proibitive. Lo scotto pagato nei confronti delle rivali potrebbe aprire le porte per un attacco della Realini proprio sulle rampe di casa.
«Conoscere la salita – spiega – farà un altro effetto. Avere in testa anche i minimi particolari sarà utile, per sapere dove attaccare o dove magari si potrà respirare. Anche se credo che quest’ultima opzione sarà impossibile, però proverò a giocarmela al meglio. Scalare due volte quella salita farà male non solo alle gambe ma anche alla testa, perché è una salita molto dura ed esposta tutta al sole. Quindi siamo sicuri che se ci sarà grande sofferenza al primo passaggio anche il secondo non sarà facile».
Realini sul Blockhaus ci sale tutti i giorni, qui in foto era il 2021 e correva per la Isolmant-Premac Realini sul Blockhaus ci sale tutti i giorni, qui in foto era il 2021 e correva per la Isolmant-Premac
Gambe e testa
Entriamo però nel dettaglio di questa salitache potrebbe decidere la classifica finale, quali sono i punti in cui si può tirare il fiato? Quali, invece, dove sarà bene farsi trovare pronti?
«E’ una salita – racconta ancora Realini – che è costantemente al 9 per cento, i primi chilometri saranno anche al 12, 14 per cento. Punti dove poter respirare ce ne saranno davvero pochi, diciamo che quando dal 12 si passa al’8 per cento si fa un respiro di sollievo. Attaccare lo si potrà fare solamente ascoltando le gambe, dove diranno loro si potrà pensare di aumentare il ritmo. Non c’è da sottovalutare il primo passaggio, anche se si scollinerà a Passo Lanciano e non si arriva in cima. Farla forte subito potrà portare già ad una buona selezione, ma si dovranno fare i conti con le energie rimaste visto che è nella parte finale del Giro. Si tratta di una salita da meno di un’ora, quella di Passo Lanciano, mentre al secondo passaggio si arriverà fino in cima quindi staremo nell’ordine dell’ora.Quei chilometri in più che si faranno nel finale potrebbero giocare brutti scherzi sia alle gambe che alla testa. Quella tappa sarà anche una questione di nervi».
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Tre giorni senza bici dopo la Vuelta, Elisa Longo Borghini ha avvertito la voglia di ripartire. La sua primavera è stata un inno all’alto rendimento. Il terzo posto alla Omloop Het Nieuwsblad, il secondo alla Strade Bianche e poi le vittorie del Trofeo Oro in Euro, del Fiandre, della Freccia del Brabante. A seguire ci sono stati il terzo posto alla Freccia Vallone e il secondo della Liegi. Fra i tanti sorrisi delle ultime settimane, quello è stato il più tirato. Vissuto e convinto sul momento, con tanto di complimenti a Grace Brown. Ma pesante come un pranzo indigesto nei giorni successivi.
«Ogni tanto viene su – ammette Elisa con un sorriso rassegnato – però più ci penso e più credo che Grace Brown quel giorno non potesse che vincere. Se uno fa dieci volte quella rotonda come l’ha fatta lei, cade undici. Lei invece è rimasta in piedi e quello è stato il segno che avrebbe vinto. E poi è sempre un cliente scomodo nelle volate, perché è forte…».
Nessun problema a farsene una ragione se fossi stata la Elisa di due anni fa, che perdeva volate in serie. Ma da quando hai pure imparato a vincerle…
E non ditelo a me! Io ci ho creduto fino a 25 metri dall’arrivo, poi mi ha passato a doppia velocità e quando l’ho vista ho detto: «No! Ma che vuole questa? No!». Sai quando resti male perché ti cade il gelato o la fetta biscottata dalla parte della marmellata? E’ stato uguale…
Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering Lo sprint della Liegi, Grace Brown non lascia scampo: seconda Longo Borghini e terza Vollering
Torniamo alla Vuelta: era un obiettivo o il modo per chiudere la primavera?
Era in programma dall’inizio. Solo che ci sono arrivata con la condizione probabilmente già al limite. L’ho finita un po’ stanca. Alle Ardenne andavo veramente tanto forte, ma il clima non ci ha aiutato. Io sono una che non soffre troppo il freddo, invece l’ho sentito e quelle ghiacciate ti rimangono addosso. Con Slongo avevamo messo in conto che sarei arrivata alla Vuelta un pelo stanca, quasi al limite e alla fine non è andata così male. Mi è solo dispiaciuto che Gaia si sia dovuta ritirare, quella caduta non ci voleva (Gaia Realini si è ritirata per una caduta, dopo essere stata anche leader, ndr). Siamo partite entrambe leader, ma lei aveva seguito un diverso avvicinamento.
Hai capito subito che non fosse una Vuelta da dare fastidio a Vollering?
Vollering secondo me era alla portata, non è imbattibile o non ha lo stradominio dell’anno scorso. Piuttosto ero io in fase calante, ero abbastanza stanca e quindi non sono riuscita a tenerle tanto testa. Ma alla fine sul primo arrivo in salita mi sono mancati gli ultimi 700 metri e lei nella penultima tappa è stata battuta dalla Muzic, quindi non era irraggiungibile.
Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:Gaia Realini è caduta nella quinta tappa e l’indomani si è preferito non farla ripartire:
Resta il fatto che gli obiettivi di primavera erano le classiche e ora verrà il Giro, giusto?
Sì, adesso come primo obiettivo c’è il Giro d’Italia. Al Tour de France andrò veramente più in appoggio e per fare le tappe, con un approccio mentale diverso. Invece al Giro sarebbe bello poter fare classifica sul serio.
Come si concilia la generale del Giro che finisce il 14 luglio con la prospettiva, in caso di convocazione, di andare alle Olimpiadi che si corrono il 4 agosto?
Diciamo che adesso sto affrontando un periodo di stacco dopo la Vuelta. Poi avrò due settimane in cui ricomincerò ad allenarmi qui a casa, prima del training camp a San Pellegrino dal 27 maggio all’11 di giugno. Poi farò lo Svizzera e il campionato italiano, quindi avrò tempo di essere fresca sia fisicamente sia mentalmente, prima di affrontare un blocco di corse importanti come Giro d’Italia, Olimpiadi e Tour. Ho di fronte a me praticamente una quarantina di giorni per poter riprendere fiato, recuperare energie mentali e fisiche e poi ributtarmi nella stagione.
Marianne Vos esce dalla Vuelta con due vittorie di tappa. Qui con Delgado: due vittorie alla Vuelta e un TourDopo quasi un mese in altura con Marta Cavalli, Muzic riesce a vincere la sesta tappa a Laguna NegraMarianne Vos esce dalla Vuelta con due vittorie di tappa. Qui con Delgado: due vittorie alla Vuelta e un TourDopo quasi un mese in altura con Marta Cavalli, Muzic riesce a vincere la sesta tappa a Laguna Negra
Come funziona il riposo a casa di Elisa Longo Borghini?
Ho fatto tre giorni senza andare in bici. Finché ha piovuto, ho detto: «Vabbè dai, riposa perché sta piovendo». Poi il tempo è migliorato e mi girano già un po’ le scatole a star ferma. Dopo la Vuelta ho sentito la necessità di stare ferma. Mi è venuto mal di gola, ho sentito un po’ di stanchezza, tutte le cose che ti vengono quando sei cotta. Quando Vollering mi ha staccato negli ultimi 700 metri della prima tappa che ha vinto (ad Alto del Fuerte Rapitàn, quinta tappa, ndr) ho capito che ero in calando.
Da cosa lo hai capito?
Già a inizio salita avevo iniziato a sentire che mi facevano troppo male le gambe. E poi quando sono esplosa e lei ha vinto, mi sono resa conto che a cose normali avrei tenuto quei wattaggi senza problemi e ho capito che stavo raschiando il fondo del barile. Sono sintomi che ormai conosco bene, tipici di quando sono al lumicino. Non riesco più a riposare bene e inizio a capire che il mio corpo sta dicendo basta.
Quinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua VueltaQuinta tappa, Longo Borghini cede negli ultimi 700 metri e arriva terza. E’ il giorno che dà la svolta alla sua Vuelta
E se queste sono le sensazioni di sfinimento, come va quando si riparte dopo tre giorni?
Inizio a pensare di non essere sulla mia bicicletta. Sono talmente abituata ad uscire tutti i giorni, che anche dopo tre giorni, penso che il manubrio sia strano e l’altezza sella diversa. Un motore ingolfato, come quando cerchi di accendere la Vespa dopo tutto l’inverno che è stata in garage. Come dopo le ferie, insomma. Se invece stacchi due giorni dopo aver fatto il ritiro di gennaio, è tutto diverso. Il ritiro è stressante anche a livello di testa, perché ci sono centomila impegni. E se fai due giorni tranquilla dove mangi e riposi bene, quando risali in bici sembra che non hai neanche staccato.
Qual è stato il giorno dell’anno in cui ti sei sentita più forte?
Quello del Fiandre, avrei potuto fare ancora 20 chilometri. Stavo veramente bene. Di solito scendo dall’altura e alla terza corsa vado forte. Avevo fatto la Gand e la Dwars door Vlaanderen come gare di rodaggio e al Fiandre mi sentivo veramente bene e mentalizzata. Non era l’obiettivo stagionale e nessuno ne aveva parlato, neppure in squadra. Ci eravamo solo dette di arrivare al Koppenberg, perché lì si capisce sempre tutto. E quando ci siamo arrivate è stato come se, senza essercelo dette, tutte volessimo fare qualcosa di grande. E lo abbiamo fatto.
Ultimo giorno a Valdesquì, Vollering vince la tappa e si porta a casa la VueltaSul podio finale, oltre a Vollering e Longo Borghini, sale anche Riejanne MarkusUltimo giorno a Valdesquì, Vollering vince la tappa e si porta a casa la VueltaSul podio finale, oltre a Vollering e Longo Borghini, sale anche Riejanne Markus
Eppure non era un tuo obiettivo, come le prime gare in cui sei andata forte: sarà che ormai hai raggiunto una base di forza che ti permette di essere competitiva anche quando non sei al top?
Forse in un certo senso è vero, però questo livello di base ho dovuto recuperarlo quest’inverno. Credo che aver lavorato tanto a bassa intensità mi abbia dato le fondamenta della forma. Quindi da questa base posso avere dei buoni picchi, ma non dei down incredibili. Poi magari mi smentirò tra qualche mese o tra qualche settimana, però ho visto che la mia condizione media va bene, basta anche per essere vincenti. Magari non in tutte le corse, ma ci si va vicino. In fondo alla Vuelta ero in fase calante, però mi sono difesa e alla fine sono salita sul podio.
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L’ultima volta che ha avuto tra le mani una Gaia proveniente dal fuoristrada, Giovanni Fidanza ha plasmato una certa Realini, che ora è una delle atlete più promettenti a livello mondiale. L’abruzzese veniva dal ciclocross e nella Isolmant-Premac-Vittoria del tecnico bergamasco prese le misure alle corse su strada e spiccò il volo. Per questo oggi, scherzando ma neanche troppo, è venuto spontaneo chiedere a Giovanni che cosa tirerà fuori dalla nuova Gaia, che di cognome fa Tormena, ugualmente proveniente dal fuoristrada. Nel suo caso però, la specialità è l’eliminator di mountain bike, nella quale è una superstar internazionale, avendo vinto quattro mondiali e cinque europei. Nel mezzo la valdostana ha provato anche la pista e la BMX con quel vecchio sogno di andare alle Olimpiadi che probabilmente dovrà essere rimandato.
Giovanni lo intercettiamo in magazzino, mentre prepara i mezzi e le ultime cose in vista del primo ritiro e del debutto. La squadra ha ancora bici Guerciotti, il modello Veloce S, mentre è cambiato il fornitore dell’abbigliamento. Da Nalini, che ha il suo bel da fare per seguire le tre squadre del Team DSM Firmenich, sono passati con Rosti e il 24 febbraio presenteranno il team nel Bike Park Vittoria (in apertura, un’immagine del 2023 di Foto Ossola).
Giovanni Fidanza con Rossato e Realini: un’immagine del 2022, l’anno della consacrazione di GaiaGiovanni Fidanza con Rossato e Realini: un’immagine del 2022, l’anno della consacrazione di Gaia
Direttore, un’altra Gaia in squadra: ci sono similitudini?
Sono diverse. Tormena sicuramente ha motore. Il suo problema però è che non viene dalla strada e dal poco che l’ho vista nel 2023, le manca l’esperienza per capire i momenti di corsa. Penso che l’anno scorso abbia fatto il passo troppo lungo andando nel UAE Devo Team. Magari avrebbe fatto meglio a passare prima da noi, iniziando con un’attività più tranquilla. Comunque è andata così, ha ancor 21 anni e se ha voglia, potremo lavorare bene.
Ti sembra che questa voglia ci sia?
Deve capirlo. Se vuoi arrivare a certi contratti, la sola via possibile è la strada. In mountain bike hai i tuoi sponsor, ma la possibilità di guadagnare e farne un mestiere ce l’hanno di qua. Secondo me, lei è ancora combattuta. Potrebbe avere il timore di non sapere fin dove potrà arrivare su strada, è legittimo che abbia qualche dubbio.
E come si superano?
Vanno via quando cominci a prendere fiducia e vedi i primi risultati. Lei ha fondo, sta facendo le sue distanze anche su strada. Ha le caratteristiche dei pistard che fanno endurance, cioè ha tenuta ed è anche abbastanza veloce. Deve lavorarci passo per passo. Crescendo avrà sempre più resistenza, sarebbe sbagliato adesso mettere l’asticella troppo in alto. Cominceremo con le nostre corse open, poi ne faremo di più importanti e piano piano prenderà le misure.
L’arrivo di Gaia Tormena è una scommessa che potrebbe dare grandi risultati (foto Isolmant Premac Vittoria)L’arrivo di Gaia Tormena è una scommessa che potrebbe dare grandi risultati (foto Isolmant Premac Vittoria)
Un’altra Gaia che può spiccare il volo?
Non bisogna neanche caricarla troppo. Deve cominciare. Provare ad arrivare a fare la volata. Fare il primo piazzamento. E da lì capisci come lavorare per migliorare. Io dico sempre che prima di arrivare ai grandi risultati, bisogna fare un certo tipo di percorso naturale. Come fra gli uomini, non dobbiamo guardare quello che fanno i fenomeni, ma seguire il nostro percorso e poi a fine anno si tireranno le somme.
Quando si comincia?
Il 24 facciamo la presentazione, poi andiamo in ritiro Montecatini e ai primi di marzo si comincia come negli anni scorsi. La vita con tante WorldTour si è fatta più complicata per noi. Da una parte è bello, il movimento è cresciuto tantissimo e le ragazze finalmente non corrono solo per passione. Ormai l’attività è quasi parallela con quella maschile, le grandi corse hanno entrambe le prove, il problema è che fuori dal WorldTour si fa fatica a correre. Le continental devono sperare nell’invito, ma capitano anche grandi corse con pochi partecipanti che con noi potrebbero guadagnare partenti e impatto, invece preferiscono schierare solo 100 ragazze.
E’ un peccato…
Senza dubbio, perché anche noi dobbiamo avere un minimo di calendario per far fare esperienza. Alla fine il nostro ruolo è questo, ma abbiamo bisogno della platea per dare visibilità agli sponsor: anche loro si impegnano e meritano un riscontro. Non so nemmeno se avrebbe senso diventare il devo team di qualcun altro, perché significherebbe perdere la propria identità e disperdersi, come sta succedendo con la Valcar.
Emanuela Zanetti, qui prima al Memorial Silvia Piccini nel 2021, è tornata con Fidanza dopo i 4 mesi con la Zaaf (foto Ossola)Emanuela Zanetti, qui prima al Memorial Silvia Piccini nel 2021, è tornata con Fidanza dopo i 4 mesi con la Zaaf (foto Ossola)
Che cosa puoi dirci delle tue ragazze? Ci sono tante giovani e un paio di veterane…
Abbiamo Beatrice Rossato, con cui abbiamo ritrovato l’accordo e ha il suo lavoro di insegnante. Io non le metto pressione, si gestisce e sa quando è pronta. Le altre, a parte Sara Mazzorana cui diamo questa possibilità, sono giovani che devono crescere. Arrivano dopo gli juniores, hanno tre anni di tempo per arrivare a un certo livello e poi spiccano il volo. Questo è il nostro ruolo ed è importante. Perché se salta il passaggio e vanno subito negli squadroni, sarà sempre più difficile che abbiano una crescita adeguata e tante smetteranno.
Saresti in grado di indicare quale fra le tue è pronta per qualche risultato interessante?
Emanuela Zanetti ha avuto alti e bassi. Il 2023 è stato un anno particolare. Prima la vicissitudine della squadra dov’era andata (quattro mesi alla Zaaf Cycling Team prima che si scoprisse il brutto bluff, ndr), poi è tornata con noi, ma è stata male. Secondo me su certi percorsi è competitiva e lo ha dimostrato. Poi c’è Asia Zontone…
La quale?
La quale due anni fa ha vinto una tappa al Giro delle Marche, mentre nel 2023 ho avuto una stagione difficile fra alti e bassi, senza trovare una costanza di rendimento. Penso che possa fare il piccolo salto che manca per diventare grande.
Asia Zontone è passata su strada dal cross nel 2022, vincendo la seconda tappa del Giro delle Marche (foto Ossola)Asia Zontone è passata su strada dal cross nel 2022, vincendo la seconda tappa del Giro delle Marche (foto Ossola)
Cosa dici di Sara Pepoli, figlia d’arte?
Una bella atleta, solo che nel 2023 era al primo anno, quindi aveva la scuola e poi le è venuta una forte mononucleosi a inizio stagione. Praticamente i primi mesi li ha persi tutti, ha cominciato a correre bene a giugno e non è andata male. Ha fatto il suo. Sperando che quest’anno non incappi in problemi di salute, ha iniziato la preparazione con le altre e sono sicuro che abbia buoni margini di crescita.
Un’ultima battuta su Arianna e Martina, le sue figlie nel WorldTour con la maglia Ceratizit, impegnate fra strada e pista, poi Fidanza riprende il suo lavoro di sistemazione in magazzino. La stagione delle grandi squadre è iniziata dall’Australia, qui in Italia serivrà ancora qualche settimana.
Racconta Gaia Realini, 23 anni il prossimo 9 giugno, che quando fu finalmente in grado di scalare il Blockhaus in bicicletta, provò una gioia incontenibile. Per un ciclista nato e cresciuto sulle strade fra Pescara e Chieti, la sfida con quel monte è solo un fatto di tempo. Il 13 luglio lassù saliranno le ragazze del Giro d’Italia Women: edizione del debutto per RCS Sport, che ha pensato di proporre la doppia scalata del gigante d’Abruzzo.
Curiosa coincidenza, la prima volta che il Giro d’Italia salì lassù fu nel 1967 e a vincere fu Eddy Merckx, anche lui 23 anni. Ci si chiedeva già allora per quale motivo quella vetta avesse un nome tedesco e si scoprì che glielo aveva dato un ufficiale austriaco. Sulla cima di quell’angolo della Maiella per contrastare il passaggio dei briganti, aveva disposto i suoi uomini in un fortino costruito nel 1863 con la tipica architettura tedesca, detta appunto Blockhaus: con le pietre sotto e sopra il legno.
Gaia Realini è nata il 19 giugno 2001: dopo la carriera nel cross, nel 2021-22 ha corso alla Isolmant, poi è passata alla Trek Gaia Realini è nata il 19 giugno 2001: dopo la carriera nel cross, nel 2021-22 ha corso alla Isolmant, poi è passata alla Trek
Tra Francia e Italia
Quando il percorso del Giro d’Italia Women è stato presentato e avendo già visto quello del Tour de France Femmes (i francesi giustamente hanno usato il francese), anche un direttore sportivo esperto come Davide Arzeni si è chiesto se sia davvero più duro il finale sull’Alpe d’Huez o quello d’Abruzzo. E così abbiamo chiesto a Gaia che cosa ne pensi.
«Sinceramente non do torto ad Arzeni – dice sicura – la tappa italiana è molto più dura, perché parliamo della doppia ascesa del Blockhaus. La prima volta sarà una salita di 10 chilometri al 9 per cento di media. Con la seconda arriveremo ancora più su, quindi diventerà di 15 chilometri e saranno più duri. La seconda volta secondo me le pendenze si faranno sentire molto più che nella prima. E poi, a parte questo, arriveremo da una tappa completamente priva di pianura…».
Nel 2023 per l’abruzzese sono venute 3 vittorie, fra cui la tappa di Laredo alla Vuelta FemininaNel 2023 per l’abruzzese sono venute 3 vittorie, fra cui la tappa di Laredo alla Vuelta Feminina
Si ragionava nei giorni scorsi che il ciclismo delle donne sta affrontando salite mitiche molto più di un tempo. Un vantaggio per le scalatrici più forti?
Stiamo crescendo tanto a livello di visibilità, di spettacolo e di battaglia in ogni corsa. Gli organizzatori se ne sono resi conto e hanno fatto un grande passo avanti sui percorsi. Anche sono stupita di questo, perché vedere nei nostri percorsi queste doppie ascese e le grandi salite non è cosa di tutti i giorni. Sicuramente tutte queste novità fanno sì che ci siano cambiamenti anche a livello di preparazione e questo può fare solo bene, anche se non tutte saranno d’accordo.
In che senso?
Prendiamo questa grande salita da fare per due volte, okay? Sicuramente qualcuna si lamenterà, se fossi una velocista magari mi lamenterei anche io. Qualcuno potrebbe dire che facendola una sola volta, perderebbe meno terreno. Io invece parlo dalla mia parte, dal punto di vista dello scalatore ed è più che fantastico. Se perdo un po’ di tempo in pianura perché magari non prendo un ventaglio o qualche secondo di troppo nella crono, so che a fine Giro ci sarà due volte il Blockhaus in cui potrò recuperare tutto e magari fare la differenza.
All’Avenir 2023 Realini faceva il vuoto in salita e veniva ripresa e staccata in discesa: su questo sta lavorandoAll’Avenir 2023 Realini faceva il vuoto in salita e veniva ripresa e staccata in discesa: su questo sta lavorando
Scusa la nota dolente, fra una salita e l’altra c’è la discesa che al Tour de l’Avenir è parsa il tuo punto debole…
Vero, è una nota dolente, però ci stiamo lavorando. E sicuramente spero che, se quel giorno mi dovranno staccare, lo faranno in salita perché non avrò gambe, ma non in discesa. Ce la metterò tutta, anche perché come conosco la salita, conosco bene anche la discesa. Sicuramente faranno di tutto per mettermi in difficoltà, però ci sto lavorando con la mia squadra e le mie compagne.
Ti ricordi la prima volta che hai scalato il Blockhaus?
Sinceramente non ero proprio piccola, perché il preparatore di prima (Francesco Masciarelli, ndr) con me è sempre andato con molta calma. E dato che non è una salita di poco conto e ha grandi pendenze, l’abbiamo sempre presa con le molle. La prima volta fu nel 2021 e fu indimenticabile. Gli chiedevo di andare già da prima, era una continuazione e lui ogni volta diceva di no, che era presto. Quindi la prima volta è impossibile da dimenticare, come per il bambino che aspetta il regalo di Natale. E in fondo ho lo stesso stupore ogni volta che vado su ad allenarmi.
Francesco Masciarelli, suo allenatore fino al passaggio in Trek, l’ha sempre tenuta a bada per tutelarne lo sviluppoBlockhaus conquistato: è il 2021, Realini ha 20 anni e finalmente raggiunge quota 1.680. E’ fatta!Francesco Masciarelli, suo allenatore fino al passaggio in Trek, l’ha sempre tenuta a bada per tutelarne lo sviluppoBlockhaus conquistato: è il 2021, Realini ha 20 anni e finalmente raggiunge quota 1.680. E’ fatta!
Quanto spesso?
Diciamo che in questo periodo evito, perché la discesa è lunga ed è troppo freddo. Però quando la stagione è buona e me lo permette, vado su almeno 3-4 volte alla settimana. Praticamente un giorno sì e un giorno no.
Il programma 2024 prevede solo il Giro oppure anche il Tour?
Al momento prevede Vuelta, Giro e Tour, quindi farò anche l’Alpe d’Huez, così poi potremo dire quale sia la più dura. Lassù non ci sono mai andata, l’ho vista soltanto virtualmente durante la quarantena, ma non so se la realtà virtuale sia tanto fedele a quella vera, non sono così esperta. Per cui c’è da aspettare l’estate e poi potremo fare un confronto attendibile.
CALPE (Spagna) – Gaia Realini è una di quelle atlete che fa quasi paura quando ti guarda negli occhi. La sua determinazione è totale. L’abruzzese è forse la scalatrice più pura del circus femminile. E proprio su questo tema insistiamo con lei. Un viaggio tecnico nel modo di una scalatrice appunto. Una scalatrice non solo per i numeri (150 centimetri per 39-40 chili), ma anche per la testa.
Dopo lo stop invernale, la portacolori della Lidl-Trek sembra aver recuperato benone. «Le pile – dice Realini – sono state ricaricate. A distanza di un anno posso dire di essere cresciuta un po’, soprattutto se guardo all’anno ancora prima. Non mi aspettavo di fare la stagione che ho fatto. La squadra non mi ha messo pressione e mi ha fatto lavorare in tranquillità, facendomi godere gara per gara e dandomi le mie opportunità. Tutto ciò mi ha fatto crescere tantissimo».
Gaia Realini (classe 2001), a destra, in allenamento sulle strade spagnole con le compagne (immagine Instagram)Gaia Realini (classe 2001), a destra, in allenamento sulle strade spagnole con le compagne (immagine Instagram)
Gaia, sei la scalatrice perfetta: potente e leggera. Eppure questa figura sia tra le donne che tra gli uomini si sta perdendo?
Di certo è sempre più in difficoltà. Ci sono meno occasioni, come negli uomini. La figura dello scalatore puro anche nel mondo femminile sta andando in secondo piano. Serve e non serve, perché comunque le nostre gare non hanno così tante salite lunghe. Anche nei tapponi al massimo sono due.
Una figura in fase di rivoluzione dunque…
E’ chiaro che se uno nasce scalatore puro diventare velocista è impossibile, però è chiamato a diventare un po’ più completo. Se in pianura può nascondersi in qualche modo, deve imparare a difendersi in una volata un po’ ristretta. Quest’anno ho vissuto il mio momento clou, nella volata con Van Vleuten e l’ho battuta alla Vuelta Feminina. Però lì eravamo in 3-4 quindi è tutto da vedere. Tornando al discorso dello scalatore puro, diciamo che lo vedi anche dall’attenzione che dedica al cibo, ma anche ad altre cose nella vita. Insomma, tende a fare cose un po’ diverse rispetto alle altre.
Hai parlato di cibo e differenze. Per esempio tra te e una velocista cosa cambia? Chiaramente andiamo a cercare il capello nell’uovo…
Tra me scalatrice e una velocista, qualche differenza c’è. Una scalatrice va a battere sempre sullo stesso punto, cioè va a limare sui grammi e, come su altre cose, punta sul minimo indispensabile. Partendo dalla bici, ma anche dall’alimentazione appunto, dal vestiario…
Insomma, lo scalatore è un po’ più fissato…
Esatto, magari un velocista se deve mangiare o portarsi dietro qualche grammo in più lo fa senza problemi, lo scalatore o la scalatrice no. Secondo me cambia anche molto la mentalità tra lo scalatore e il velocista.
Possiamo capirti. C’era chi chiedeva di bucare il reggisella o forare il manubrio per ridurre il peso della bici…
Sono sempre in sfida con me stessa. Mi dico: «Fino a quel cartello l’altra volta ci ho messo undici minuti e quattro secondi. Oggi anche per un solo secondo però devo battere quel tempo». E anche queste piccolezze, secondo me, dicono molto dell’essere uno scalatore. Ma poi in corsa secondo me noi scalatori ce lo ritroviamo questo spirito, questo piglio. Nella testa dello scalatore c’è sempre la voglia di soffrire un po’ di più.
Gaia è sempre molto attenta per quel che riguarda l’alimentazione anche in corsaGaia è sempre molto attenta per quel che riguarda l’alimentazione anche in corsa
Scommettiamo che ogni volta che fai un allenamento, anche di scarico ci butti dentro una salitella, vero?
Assolutamente sì! Non lo nego. Magari un cavalcavia breve, ma c’è.
Hai una cadenza preferita? Quella che ti mette a tuo agio o dalla quale capisci che sei in forma?
Essendo una scalatrice pura, tendo ad andare con il rapporto pieno. Fuori sella, soprattutto. E infatti ogni tanto mi rimproverano. Mi dicono e mi chiedo: «Perché non vai più agile, così salvi la gamba per il finale?». E su questo aspetto hanno ragione, magari la gamba sarebbe un filo meno dura e affaticata. Quindi è un rimprovero che accetto, però dopo tutti questi anni ho preso il vizio e non è facile da togliere.
E in numero di rivoluzioni?
Dipende anche dalla salita. Quando è lunga, tipo quella al UAE Tour, viaggiavo sulle 80 rpm, poi quando mi hanno detto di iniziare a scremare il gruppo mi sono messa fra le 85 e le 90 rpm. Pertanto ero anche abbastanza agile. Quando invece ci sono tratti più ripidi preferisco stare sulle 70-75 rpm. Insomma avere una pedalata piena.
Se è così, davanti preferisci delle corone grandi, vero?
Sì, più il 39 che il 36. Ho la guarnitura 52-39 e mi piace. Qualora devo essere più agile preferisco aumentare i denti dietro, ma tenere il 39. Se poi un giorno andrò alla ricerca del 36, vedremo come come fare.
Un po’ per la sua statura e un po’ per il suo pedalare in punta, Gaia utilizza il reggisella con l’offset in avantiUn po’ per la sua statura e un po’ per il suo pedalare in punta, Realini utilizza il reggisella con l’offset in avanti
Che ruote preferisce una scalatrice come te?
Ad ogni gara i meccanici sono a nostra completa disposizione. Il giorno prima ci chiedono cosa preferiamo sia per le ruote che per la bici, la pressione delle gomme. Siamo dunque noi atlete che scegliamo il setup. Data la mia statura e il mio peso opto sempre per le ruote con profilo da 37 millimetri.
Profilo che una volta era medio, ma adesso in pratica è quello basso…
Esatto, io con questo profilo mi sento a mio agio. Anche in pianura. Perché basta che ci sia un po’ di vento e con il profilo più alto mi sento a disagio. Certo, se poi capita una giornata totalmente senza vento e una tappa tutta piatta, magari uso anche le ruote da 52. Ma al UAE Tour, per esempio, anche se di pianura ce n’era tanta, il vento non mancava e per questo utilizzavo sempre le 37.
E al profilo differenziato ci hai mai pensato: 52 posteriore, 37 anteriore?
A me non è mai capitato. Forse solo in un paio di gare ho usato il profilo da 52.
Prima, parlando del UAE Tour, hai detto una cosa interessante: come è variata la tua potenza dal momento in cui hai iniziato a fare il forcing per scremare?
E’ una domanda a cui non so rispondere, perché in corsa non guardo i watt. In allenamento sì. Anzi, bisogna allenarsi con i watt. Il preparatore ti dà lavori e valori e li devi rispettare, ma in gara preferisco non avere questo dato sotto controllo. Nella prima pagina del mio computerino non ci sono i watt. Se quel giorno stai male, ti fai influenzare. O magari fai i tuoi best power e ti esalti.
Realini non ama controllare troppo i dati in corsa, ma saggiamente registra tuttoRealini non ama controllare troppo i dati in corsa, ma saggiamente registra tutto
Insomma in corsa si va sensazione…
Sono concentrata sulla gara, su me stessa. Mi ricordo, per esempio, la tappa del Giro Donne quando è caduta Elisa (Longo Borghini, ndr). Ebbene, in quella frazione Van Vleuten tirava ma era al gancio, io ero al gancio ancora di più. Mi è andato l’occhio sul computerino che era rimasto su una schermata che non uso spesso e ho visto un wattaggio esagerato. Ero già fuori di molto e non mancava poco. Quindi mi sono detta: «Togliamolo del tutto. Mi concentro solo sulla sua ruota». E lo stesso in certi frangenti vale per i battiti del cuore. Alla fine non puoi rallentare perché sei fuori soglia. No, è una gara e in gara devi soffrire. Devi superare i tuoi limiti.
Però magari prima della bagarre, nelle prime fasi, ti aiuti con il computerino, i watt… per gestirti, magari anche per l’alimentazione?
Solo in parte. Io comunque ho i miei tempi di alimentazione. Ogni “tot tempo” mi alimento, mangio, bevo…
La tua bici perfetta è?
Sicuramente leggera! Poi anche pulita.
Hai apportato dei cambiamenti? Oggi si tende a portare la sella molto in avanti…
Quella io ce l’ho sempre avuta piuttosto avanti. Ho una pedalata molto in punta di sella. Non so se sia un vizio.
O qualcosa che viene dal cross?
Probabile, sì. Però diciamo che quando sono lì concentrata, tendo a mettermi in punta di sella e a pedalare a testa bassa.
Strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia potrebbe essere una salita ideale per RealiniStrada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia potrebbe essere una salita ideale per Realini
Pochi giorni fa è stato presentato il Giro Donne, e tra le scalate c’è anche il “tuo” Blockhaus…
Non solo, si farà tappa anche a Pescare e L’Aquila, per cui il Giro finirà proprio nel mio Abruzzo. Non conosco i programmi della squadra, ma non alzerò la mano per esserci: sono una ragazza che dove la metti dà il massimo. Quindi farò quello che che mi diranno.
Il Blockhaus lo consoci?
Lo conosco? Sono lì tutti i giorni in allenamento. Dove troviamo Gaia? Sul Blockhaus!
Se un giorno scoprissi che al Giro hanno previsto una tappa con Gavia e Stelvio. O Gavia e Mortirolo saresti contenta?
Contentissima, ho l’emozione per tutto il corpo solo a sentirla una cosa del genere. Sono salite che per ora sono soltanto nell’ambito maschile. Grandi salite, grandi arrivi: sarebbe bellissimo se un giorno capitasse anche a noi donne.
E i nomi di queste cime li leghi a qualche campione in particolare? O anche ad un tuo ricordo?
Campioni no, ma due anni fa ero in ritiro a Livigno. Ero da sola, dovevo fare un lungo. Era l’occasione giusta: nessuno che mi rompeva le scatole, che mi diceva cosa fare e come. Quindi in una giornata mi sono fatta Gavia e Stelvio. Oltre 5.000 metri di dislivello. Quei nomi li associo a quel giorno bellissimo. Io e la mia bicicletta. Passarci in corsa… un sogno.
Con i protagonisti della strada a riposo e in giro per il mondo per le vacanze, l’attenzione è tutta incentrata sul ciclocross. L’attività sui prati è già entrata a pieno regime, con tappe di Coppa del Mondo ogni fine settimana abbinate a prove degli altri principali circuiti. Non ci sono naturalmente i grandi protagonisti. Van der Poel ha già annunciato che tornerà sui prati solo nella seconda metà di dicembre per la serie di gare del periodo natalizio. Probabilmente sia Van Aert che Pidcock, gli altri “tenori” seguiranno la stessa impostazione.
Per Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su stradaPer Van Aert e VDP un inverno con poche gare, come ormai prassi vista l’attività su strada
E’ chiaro quindi che fino ad allora seguiremo “un altro sport”, con altri protagonisti ma con la consapevolezza che i valori espressi non sono quelli assoluti. Un trend che si sta allargando. Fra le donne, dove continua il netto dominio olandese, c’è chi come la Van Anrooij comincia a selezionare le sue apparizioni. In Italia poi è ormai chiaro come il panorama di praticanti di vertice si sia ulteriormente ristretto. Il ciclocross continua ad essere visto come un fastidioso intermezzo per i nostri ciclisti.
Su questo e tanto altro abbiamo ragionato con Fausto Scotti, organizzatore del Giro d’Italia ma per anni commissario tecnico azzurro e profondo conoscitore del movimento da tutta una vita. Partendo proprio dalle considerazioni internazionali: «I tre campioni li vedremo sempre meno spesso. La loro stagione su strada è troppo intensa, ma non lasceranno l’attività sui prati e questo non solo per una questione di passione. Ogni gara vale per loro un ingaggio dai 15 ai 25 mila euro, è un’attrattiva di non poco conto, ma che sta anche creando squilibri».
Fausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocrossFausto Scotti, ex cittì azzurro, oggi organizzatore del Giro d’Italia di ciclocross
In che senso?
Agli altri, a quelli che tirano la carretta per tutta la stagione resta poco, ma da parte loro c’è anche una certa rassegnazione sapendo del loro strapotere, anche se sono convinto che col tempo anche Thibau Nys salirà a quel livello, d’altro canto anche lui fa strada. I team dal canto loro hanno tutto l’interesse a lasciarli lavorare in pace e favorire le loro uscite nel ciclocross perché hanno ritorni d’immagine anche fuori stagione, con gli sponsor che vengono così gratificati nei loro investimenti. Gli organizzatori? Loro con gli introiti per ogni gara vedono i loro investimenti negli ingaggi ampiamente coperti. Hanno d’altronde protagonisti che ad ogni gara se le danno di santa ragione ma sempre nel reciproco rispetto. Ti garantiscono lo spettacolo.
Perché allora non seguire questa strada anche in Italia?
Intanto perché è un paragone improponibile considerando i nomi, ma anche a livello internazionale non tutto funziona. Questa continua volontà di portare la Coppa in America ad esempio non va. I team, piuttosto che programmare una trasferta simile preferiscono investire su un ritiro prestagionale in più che gli costa meno e coinvolge più gente. Guardate quanti sono andati a Waterloo, anche tra belgi e olandesi non erano così tanti.
Thibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di luiThibau Nys, vincitore della prima di Coppa negli Usa. Scotti è pronto a scommettere su di lui
Torniamo in Italia: spesso si sono criticati i diesse perché negano i permessi ai loro atleti per l’attività invernale, Si diceva che con l’avvento della multidisciplinarietà stava cambiando questa cultura, ma oggi senti i ragazzi più giovani che dicono che non vogliono più fare ciclocross per curare la preparazione per la strada. Allora di chi è la colpa?
E’ un discorso che coinvolge tanti attori e tante responsabilità. Iniziamo dai procuratori, che prendono i ragazzi da quando sono allievi, li lasciano correre nelle varie discipline ma appena possono li indirizzano verso quelle più remunerative. Faccio l’esempio di Fiorin che da ragazzo faceva un po’ tutto e che viene da una tradizione familiare dove il ciclocross era molto apprezzato, il padre l’ha quasi svezzato sui prati. Ora che è junior però viene spinto a fare solo strada e pista perché lì può emergere e soprattutto ha maggiori obiettivi, anche olimpici.
E i team che voce hanno?
I team guardano ai soldi, chi ha i campioni li coccola e chi non li ha cerca altre strade. In Italia come si diceva si dà molta colpa alle squadre ma io con loro ho lavorato per anni. Guardate Reverberi: a Paletti non ha messo limitazioni, ma qui è la famiglia che comincia ad avere perplessità, perché il ragazzo d’inverno rischia di avere un’attività ancor più stressante, fra allenamenti per la strada e le trasferte del fine settimana.
Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)Luca Paletti sta gareggiando con regolarità, una rarità fra i pro’ italiani (foto Lisa Paletti)
Che cosa servirebbe allora per dare un’inversione di tendenza?
Semplice: una vagonata di denaro. Per fare un team di primo piano che agisca su tutto, come l’Alpecin, servono decine di milioni di euro e dove sono gli sponsor italiani che possono investire tanto? Che cosa si garantisce loro?
Torniamo però al punto di prima, gli stessi ragazzi che sono contrari anche a fare qualche semplice gara per allentare la preparazione. Toneatti ad esempio vuole concentrarsi sulla strada…
Qui entriamo in un altro campo: la consapevolezza di sé dell’atleta. Davide era nato come ciclocrossista, i suoi risultati li ha ottenuti lì, è con quelli che l’Astana l’ha preso. Ora rinuncia alla disciplina dove aveva più chance di emergere per puntare alla strada dove le porte sono obiettivamente chiuse.
Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?Per la Realini il ciclocross è ormai un bel ricordo. Ma siamo sicuri che qualche gara senza assilli non sia utile?
E in campo femminile?
Avviene un po’ lo stesso. La Realini ormai non fa più ciclocross, con lei ho parlato a lungo, non è per pressioni esterne ma più per delusioni avute in questo ambiente, ad esempio la mancata convocazione per i mondiali americani. La Persico ha staccato la spina e forse farà qualche gara fra dicembre e gennaio, ma il 2024 è anno olimpico e lei può ambire non solo a partecipare a Parigi. Sono tutte cose che devi mettere nel conto: Silvia ha pagato l’attività nel ciclocross in questa stagione faticando a trovare la miglior forma perché non si era fermata mai. Lei al mondiale potrebbe anche far bene, ma le servono almeno 5-6 gare per trovare la forma.
Poi però ci sono casi come la Venturelli che reclama addirittura la possibilità di competere anche d’inverno perché le dà la carica per affrontare la preparazione…
Ma lei è junior, siamo sicuri che le cose non cambieranno passando di categoria? Io credo che la vedremo sempre meno nel ciclocross per privilegiare strada e pista, perché i suoi orizzonti sono già proiettati verso Los Angeles 2028, lì potrà davvero scrivere pagine storiche per tutto lo sport italiano. Intanto però non credo che quest’anno la vedremo spesso sui prati…
In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)In Italia l’attività è aumentata, i praticanti anche, ma mancano reali investimenti (foto Lisa Paletti)
Fa bene Pontoni a lavorare quasi esclusivamente sui giovani?
Che altro dovrebbe fare? Talenti veri non ce ne sono, quelli che abbiamo come Bertolini si sono persi inseguendo fantasmi come una convocazione olimpica nella mtb penalizzando quella che era la sua via preferenziale. Puoi lavorare sulle categorie giovanili, far crescere i ragazzi, poi loro prenderanno la direzione più redditizia e certamente non è il ciclocross perché chi ci investe sopra?
Quando ieri mattina la Jumbo-Visma ha diffuso il video dell'abbraccio con Vingegaard, Van Aert era già a casa. Decisione presa nel riposo. Parla il diesse
Il secondo campionato del mondo gravel, corso il fine settimana scorso, ha chiuso la breve parentesi su questa disciplina. Aperta in occasione del primo campionato europeo, disputato in Belgio il primo ottobre. Il gravel cresce, accoglie sempre più appassionati, sia tra i ciclisti quanto tra i tifosi. La provincia di Treviso, tra sabato e domenica, ha potuto godere di nomi illustri del panorama del ciclismo mondiale e di un pubblico da classiche.
Ma dove potrà arrivare questa disciplina? Piace a tanti atleti, grazie a percorsi sempre nuovi e diversi tra di loro. La differenza tra il campionato europeo e quello del mondo era estremamente profonda. Scelte tecniche che portano anche ai vari cittì a dover fare delle selezioni, così da portare in gara la miglior squadra possibile. La stessa Italia di Pontoni tra uomini e donne è variata tanto, costruendo quattro squadre (due per gara tra europeo e mondiale) tanto diverse tra di loro.
Le due prove elite del mondiale gravel 2023 hanno visto protagonisti di primo piano (foto Bolgan)Le due prove elite del mondiale gravel 2023 hanno visto protagonisti di primo piano (foto Bolgan)
I due percorsi tra europeo e mondiale ci hanno detto che il gravel cresce e cambia nei percorsi, questo comporta scelte diverse per la selezione dei corridori?
Assolutamente, devi schierare il miglior atleta possibile in base alle caratteristiche del percorso. Quello degli europei mi ha spinto a scegliere atleti molto più veloci e a puntare quindi su di loro. Per esempio nelle donne ho portato Elena Cecchini in tutte e due le prove, ma all’europeo era l’atleta di punta, mentre al mondiale ha dato supporto alle altre.
Cittì, tra europeo e mondiale hai cambiato tanto, soprattutto nella corsa delle donne.
Avevo più scelta, anzi ora posso dirlo: avremmo dovuto avere anche la Longo-Borghini, ma a causa dell’infortunio non è stato possibile. Con gli uomini ho lasciato più spazio agli under 23 all’europeo ma al mondiale non me la sono sentita, anche perché è venuta fuori una gara da cinque ore.
Nella gara delle donne l’Italia si è messa la corsa sulle spalle conducendo le danze per tanti chilometri (foto Bolgan)Nella gara delle donne l’Italia si è messa la corsa sulle spalle conducendo le danze per tanti chilometri (foto Bolgan)
Il livello degli atleti si è alzato, lo si è visto sia tra le donne che tra gli uomini…
Si è alzato e molto. Sia come nomi che come qualità dello sforzo da parte degli atleti. Troviamo team professionisti, che fanno di mestiere questa specialità. Credo che nel giro di 2-3 anni avremo squadre dedicate a questa disciplina con professionisti del settore sempre più competitivi. Soprattutto nel campo femminile abbiamo visto il meglio, mancava la Ferrand-Prevot e qualche atleta della mtb, però se si guarda alla strada c’erano tutte.
Il Lombardia il giorno prima della prova maschile ha un po’ precluso le scelte?
Alessandro De Marchi e Simone Velasco hanno comunque partecipato, certo la loro presenza va di pari passo con le esigenze dei team. Forse slittando la prova avanti di una settimana rispetto al Lombardia avremmo avuto differenti atleti, ma non scordiamo chi ha vinto (Mohoric, ndr) e il fatto che ci fosse un corridore come Van Aert.
Elena Cecchini è stata il punto di riferimento della nazionale di Pontoni sia all’europeo che al mondialeNella prova iridata Silvia Persico ha portato a casa un argento di un valore immenso per lei e per il movimento azzurroElena Cecchini è stata il punto di riferimento della nazionale di Pontoni sia all’europeo che al mondialeNella prova iridata Silvia Persico ha portato a casa un argento di un valore immenso per lei e per il movimento azzurro
Com’è il rapporto con le squadre dei vari corridori?
Non è semplice, siamo una specialità emergente, però già dall’anno scorso ad oggi si nota una voglia maggiore di partecipare. Una voglia che è anche delle aziende. Gli atleti, fosse per loro, ne avremmo tanti di più a disposizione. Credo che questi due mondiali e il prossimo, che si svolgerà nelle Fiandre, daranno il “la” definitivo a questa specialità.
Ci si riesce a coordinare in maniera costruttiva?
Molte squadre in questi due giorni post mondiale mi hanno contattato mostrando un grande interesse, così come i costruttori. Basta pensare a quali tipologie di bici vengono vendute maggiormente ora: le gravel occupano una buona fetta di mercato.
Tra le protagoniste della gara femminile c’era anche Demi Vollering, vincitrice dell’ultimo Tour de France FemmesTra le protagoniste della gara femminile c’era anche Demi Vollering, vincitrice dell’ultimo Tour de France Femmes
Che crescita si immagina per il gravel in futuro?
Quella che c’è stata per la mountain bike negli anni ‘90. Pensiamo che le Olimpiadi del 2028 si svolgeranno negli Stati Uniti e questa è una specialità che nasce lì. Il gravel si afferma come terza disciplina del fuoristrada, considerando che hanno assegnato i mondiali fino al 2028. Si è partiti con due edizioni in Italia, poi ci sposteremo in Belgio, Australia, Francia, ancora Belgio e poi Emirati Arabi ad AlUla. Ripeto, non mi stupirei se questa specialità potesse avere un futuro sempre più radioso.
Arrivare dal fuoristrada aiuta, ma le distanze poi diventano molto impegnative…
Chi ha già corso nel ciclocross o nella mtb a livello di guida è estremamente avvantaggiato. Già solo fare le curve in maniera corretta dà una grande mano, però poi entra in gioco la distanza. Entrambe le gare sono state sulle 5 ore, è chiaro dunque che la resistenza conta eccome. E quella la alleni solamente su strada. Pensiamo per esempio alla Cecchini che non ha mai fatto nulla in fuoristrada e si è comportata alla grande.
Il pubblico di Pieve di Soligo si è riversato in strada nella due giorni iridata, una prova di quanto il gravel sia ormai popolareIl pubblico di Pieve di Soligo si è riversato in strada nella due giorni iridata, una prova di quanto il gravel sia ormai popolare
Il pubblico poi ha risposto in maniera incredibile, sia sabato che domenica…
Ho visto tantissima passione e secondo me chi era a bordo strada torna a casa con uno stupore negli occhi non indifferente. Il gravel è tanto entusiasmante, non si ha assistenza e il corridore ci mette tanto del suo, è un tornare indietro nel tempo. Bisogna saper sfruttare i piccoli momenti e noi cittì dobbiamo riuscire a far sentire il nostro appoggio in ogni istante.
A lei che è rimasto di questa esperienza?
Mi ha lasciato un’altra medaglia oltre a quella della Persico, le persone e lo staff ci hanno davvero messo il cuore e questo per me è un premio enorme. Devo ringraziare tutti per questa seconda esperienza fantastica.