Il terzo fratello Masciarelli, il più giovane: Francesco, classe 1986. Serviva un nipote forte nel cross come Lorenzo per riallacciare i rapporti con la famiglia abruzzese e scoprire che suo padre Simone, il primo della dinastia, ha trasferito la famiglia in Belgio per stare accanto al figlio. Che Andrea, quello di mezzo, lavora nel negozio di bici. Mentre Francesco, lo scalatore di talento che vinse il Giro del Lazio e domò il Mont Faron, è tornato dall’America e fa il preparatore. Il suo ruolo, appunto, è venuto fuori parlando con il fratello Simone e con Fidanza a proposito di Gaia Realini.
Il bar di Masciarelli, luogo di sport e divertimento Sport bar, il ciclismo al centro di tutto Decine di birre e quella bici sullo sfondo Suo figlio Riccardo aveva due anni quando la famiglia è volata negli Usa Un selfie sportivo nelle due sttimane di visita di Cassani Un brindisi americano con il suocero che si chiama Francesco Questo è lo svizzero che lo ha riportato allo sport Bellezze al bar: la mora sulla destra è sua moglie Francesca Questa foto fa venir voglia di partire
Il bar di Masciarelli, luogo di sport e divertimento Sport bar, il ciclismo al centro di tutto Decine di birre e quella bici sullo sfondo Un selfie sportivo nelle due sttimane di visita di Cassani Suo figlio Riccardo aveva due anni quando la famiglia è volata negli Usa Un brindisi americano con il suocero che si chiama Francesco Questo è lo svizzero che lo ha riportato allo sport Bellezze al bar: la mora sulla destra è sua moglie Francesca Questa foto fa venir voglia di partire
Fuga negli Usa
Insomma, la curiosità di farci raccontare quanto valgano i due giovani azzurri è forte, ma prima c’è la sua storia. Perché Francesco era forte davvero, ma smise di correre nel 2012, a causa di un piccolo tumore benigno che causava problemi sotto sforzo. Così, deluso e furibondo, appese la bici e sparì.
«Presi le mie cose e i soldi che avevo messo da parte correndo – racconta – e partii per la California. Mi piaceva andarci d’inverno in vacanza, ma quella volta fu per non tornare. Stavo lasciando il ciclismo con il rammarico per quello che sarebbe potuta essere la mia carriera. Fu una fuga dalla delusione».
Cosa sei andato a fare?
Ho investito in uno sport bar a Encinitas, località di mare a nord di San Diego. Venticinque gradi tutto l’anno, un paradiso. Ho fatto un’esperienza di quattro anni e ne è valsa la pena, anche se mi è costato tanto personalmente e sul piano economico. Non parlavo inglese. Ci sono stati giorni in cui temevo che non ci sarei mai riuscito, poi di colpo la ruota ha girato.
Che cosa significava sport bar e come si chiamava?
Si chiamava QBR, Quei Bravi Ragazzi. C’era la televisione sempre accesa con immagini di sport. Bici alle pareti. Cibo italiano, pizza e tanto ciclismo. All’inizio nessuno sapeva che fossi un ex atleta, anche perché io non l’avevo detto a nessuno. Poi si sparse la voce che avessi corso all’Astana e divenni un’attrazione. Finché un giorno arrivò uno svizzero, amico di Cancellara. Forse non credeva che avessi corso, perché cominciò a fare domande, ma alla fine diventammo amici. Fu lui a farmi tornare la passione per l’allenamento. Seguii dei corsi all’Università di San Diego, dove insegnano la multidisciplina a partire dal surf. E così cominciai ad allenare un gruppetto di atleti.
Perché sei tornato?
Perché il business era legato al visto. Dovetti vendere l’attività. Mi trovai a passare da imprenditore a manager, da pizzaiolo a cameriere e capii che le cose non potevano andare. In più c’erano stati dei problemi di salute nella famiglia di mia moglie e alla fine tornammo. Era il 2016.
Iniziasti subito a fare il preparatore?
Un po’ con quello che avevo studiato là, un po’ facendo Scienze Motorie che dovrei finire per marzo e partecipando al corso dell’Uci a Aigle. Prima mi appoggiavo al negozio di famiglia, ora ho uno studio mio. Viene qualche pro’ della zona e continuo a fare coaching a distanza con alcuni americani. In più ci sono Lorenzo, Gaia Realini e per un po’ c’è stato anche Ciccone.
Quanto vale tuo nipote Lorenzo?
Sta crescendo con i freni tirati. E’ come se stesse ancora giocando. Si fa qualità senza troppa quantità, che dovrà iniziare a breve. Il mondo è cambiato. Quando ero junior, nel 2004, facevo 12 ore di allenamento a settimana, ora ne fanno anche 20 e distanze di 130-140 chilometri. Ne abbiamo parlato a Aigle.
Di cosa avete parlato?
E’ come se stessero schiacciando gli U23 verso gli juniores e alla fine la categoria sparirà. Si tratterà di capire quanto durano i fenomeni che vanno ora per la maggiore. Si diventerà professionisti dagli juniores. Poi ci sarà sempre qualcuno che farà eccezione come Valverde. Avevo il suo stesso preparatore. Faceva 7,3 watt/kg da febbraio a ottobre, un campione.
Lorenzo correrà su strada con la stessa squadra?
Sì, col rischio di un calendario povero. Dovevano fare Gand e Fiandre juniores, ma a quanto pare non le organizzeranno. Sarebbe stato bello anche che avessero fatto il mondiale. La fortuna di essere in Belgio è che lassù le continental non sono come le nostre, le poche che sono rimaste, ma sono quasi tutte satelliti di grandi squadre. Per cui se da junior ti metti in luce, trovi quasi certamente un posto al sole. Qua invece se fai due anni da U23, poi fai fatica a uscirne.
Si è parlato della Deceuninck-Quick Step.
Ormai è uno della famiglia De Clercq, che ha agganci con tutti. Se dimostra quel che vale, non avrà problemi. Alla Deceuninck del cross non importa, ma è anche vero che i soldi veri ci sono su strada. Ed è anche vero che il cross grazie a VdP E Van Aert ora lo seguono tanti di più. Una volta il mondiale quasi non lo davano in diretta…
Che doti ha tuo nipote?
Non ha preso da nessuno dei tre fratelli, piuttosto dal nonno. Ciclista vecchio stampo, che ancora adesso a 68 anni esce in bici anche se fa freddo, coperto il giusto, con due dita di whisky nella borraccia. Lorenzo è un bello scattista, ha tanto da dire a crono e in salita va bene.
Quanto bene?
Quando c’è Ciccone in Abruzzo, facciamo sempre il test di massa. Andiamo a Passo Lanciano con un gruppetto di 20 atleti, facciamo qualche lavoro e poi si prende il tempo, perché in Abruzzo quella è la salita in cui ci si tira il collo. Stare sotto i 30′ è già un bel tempo. Giulio ha fatto 26′, Lorenzo è sotto i 30′. Gaia Realini e i suoi 48 chili hanno 33′. Io da junior non ho mai fatto Passo Lanciano, per dire quanto è cambiato il mondo.
Gaia è così forte?
Gaia è l’atleta più cattiva e determinata che io conosca. Dice che sta sempre bene, qualsiasi lavoro le proponi, tanto che devi stare attento che non vada in overtraining. Non si fermerebbe mai. A lei la strada non piace tanto, ma sono convinto che in salita ci dimostrerà la sua forza.
Il cross le darà vantaggi?
La multidisciplina funziona, stando attenti alla periodizzazione. Si fanno più break durante la stagione perché possano recuperare. Con le donne, devi tirare il freno in allenamento perché sono particolari a livello ormonale. Invece con gli uomini devi dare qualità e quantità nella giusta misura, a costo di invertire le fasi di lavoro. La qualità prima della quantità, in stile Sky.
Spiega…
Con Lorenzo iniziamo a fare la base del cross con allenamenti medio/lunghi a luglio e agosto. A settembre-ottobre si fa la parte qualitativa e quando si deve passare su strada dopo il cross, si cala la qualità e si cresce la quantità. Quindi il contrario rispetto agli stradisti che fanno la base fino a dicembre e poi cominciano a fare i lavori specifici. Il rischio di overtraining è dietro l’angolo, per cui vanno seguiti bene.
Fidanza ha spiegato che Gaia cercherà di sfruttare su strada la condizione del cross…
Corretto, poi avrà bisogno di una fase di scarico per preparare il Giro d’Italia. Lavorare con lei e con Giulio, fa capire che non tutti hanno lo stesso motore.
A proposito di Giulio…
Avevo iniziato a seguirlo nel 2017, ma quando è passato alla Trek ho dovuto interrompere e mi sono rimesso a studiare. L’idea potrebbe essere quella di entrare in una squadra, cercando di capire quali vincoli ci siano. Ci penserò dopo la laurea.
E tu puoi fare ancora sport? Quel problema è superato?
No, è sempre lì. Ma nel frattempo ho partecipato a tre Ironman, in uno sono arrivato secondo assoluto, in Inghilterra. A Cervia ho vinto la mia categoria, con un paio di mesi di allenamento, perché di più non posso. Per il resto, sto dietro ai miei ragazzi e non vado mai alle gare. Non mi piace stare troppo in mezzo.