Rapporti liberi e crescita. Nella mtb si cerca l’agilità

24.07.2022
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Crescita, rapporti liberi o bloccati, sviluppo fisico: continuiamo ad indagare in questa sfera del settore giovanile del ciclismo. In Francia come abbiamo già scritto lo sblocco, nelle gare interne, è realtà già da un po’. Presto si allineeranno anche gli altri Paesi, tra cui il nostro. Ma in un certo senso già lo siamo, visto che alcune discipline come pista e mtb già prevedono l’utilizzo di rapporti liberi. E proprio con il cittì della nazionale di mountain bike, Mirko Celestino, cerchiamo di capire quanto influiscano sulla crescita dei piccoli biker (in apertura, foto Michele Mondini).

In questo weekend il circus della mtb italiana è in Val Casies (Bolzano) per i campionati nazionali. Il cittì ci dedica tempo fra una gara e l’altra, anche dei più giovani. E dall’ultimo degli allievi a Luca Braidot, fresco vincitore di due tappe di Coppa del mondo, la scala dei denti utilizzata è la stessa. Così come è lo stesso (quasi) per intero il circuito che affrontano.

Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)
Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)

Sviluppi metrici corti

«Il problema dei rapporti bloccati, ma direi in generale dei rapporti, in mtb non c’è – chiarisce subito Celestino – Il bloccaggio dei rapporti nelle categorie giovanili su strada infatti riguarda gli ingranaggi più lunghi, quelli che sviluppano più metri, ma in mountain bike certi sviluppi non si raggiungono.

«Non si raggiungono e non ce n’è neanche questa grande necessità, visto che la differenza si fa sulle pendenze estreme o al contrario in discesa. Semmai si va alla ricerca dell’agilità».

E questo aspetto è vero, tanto che negli ultimi anni si è cercato (riuscendoci) d’ingrandire moltissimo i pignoni posteriori. Si è arrivati anche ad un 52, con il 30-32 davanti. E la differenza fra un allievo e un elite, è solo nella scelta della corona anteriore. A parità di percorso un ragazzino userà un 30, per esempio, e un elite un 34. Ma è una scelta libera, non un’imposizione.

Una scelta doppiamente tecnica: sia per una questione di forza dell’atleta (che chiaramente è diversa), sia per una questione di ricerca dell’agilità che al tempo stesso è legata anche al superamento degli ostacoli. Avere sempre una certa cadenza infatti, aiuta a stare in equilibrio e a mantenere sempre quel tanto d’impulso che serve per avanzare.

Agilità docet

Celestino poi parla della sua esperienza e di quanto i rapporti lunghi della strada lo abbiano aiutato da una parte, ma di certo non  lo abbiano avvantaggiato dall’altra. Lo ricordiamo lui è stato un grande stradista, prima di passare alla “ruote grasse”.

«Quando sono passato alla mtb, per tre anni non ho toccato la bici da strada – dice Celestino – e questo perché mi serviva per la posizione e la guida. Quando prendevo la specialissima, infatti, e poi risalivo in mtb mi sembrava di fare dei passi indietro da un punto di vista tecnico. Era come se perdessi sensibilità, e mi ritrovavo al punto di partenza. E dopo tanti anni con i rapportoni della strada spesso mi ritrovavo ad andare duro. 

«Ma per tornare al nostro discorso, in quei tre anni, nonostante la lontananza dalla bici da strada, il rapporto mi era “rimasto addosso”. Lo spingevo bene. Di certo quello e la distanza non erano i miei problemi. E poi va detto che io correvo nelle marathon dove i percorsi sono più “lineari” e meno tecnici rispetto ad un cross country».

L’esperienza di Celestino è indicativa è vero, si riferisce però ad un atleta adulto. Tuttavia è anche vero che il rapporto ti forma. E proprio per questo, se è vero che si va alla ricerca dell’agilità, il discorso che vuole i ragazzini della doppia attività più forti perché in mtb possono utilizzare rapporti liberi “tende a cadere”.

Il fattore che eventualmente sviluppa la forza è la pendenza estrema. Ma poi subentra il discorso della durata di questa pendenza che solitamente è ben inferiore ai 2′ consecutivi nella mtb.

Ancora Braidot. Da giovane il suo coach Cucinotta doveva incalzarlo per far sì che su strada andasse agile (foto M. Mondini)
Ancora Braidot. Da giovane il coach Cucinotta doveva incalzarlo perché su strada andasse agile (foto M. Mondini)

Più guida che forza

Il rapporto ti forma okay, però tornando ai nostri tempi, se Lenny Martinez in salita riesce a spingere uno o due denti in meno dei suoi avversari, questo certo non dipende dalla sua attività in mtb. Semmai dagli allenamenti che ha fatto (e fa) su strada. Ma anche in questo caso Celestino pone dubbi più che legittimi.

«Oggi – continua il cittì – soprattutto i ragazzini, tendono ad allenarsi quasi sempre con la mtb. La bici da strada la usano davvero poco e quando la prendono è per fare scarico, per fare un po’ di agilità in scioltezza su percorsi più lineari che la mtb non consentirebbe di fare. Qualcuno un po’ più “grandicello” la usa per farci una distanza, ma non i lavori di forza. L’approccio è totalmente diverso. Non c’è l’esigenza di ritrovarsi il rapportone. Anzi…».

«Viste le pendenze, una cadenza bassa in mtb si nota ancora di più e noi diciamo sempre di andare più agili, di cercare di spingere subito un rapporto più corto. Quando il muscolo si stanca infatti va alla ricerca del rapporto più “comodo” (che è quello lungo), ma se questo non va bene su strada, in mtb è ancora peggio.

«Un Lenny Martinez spinge di più perché probabilmente ha una sua predisposizione sia fisica che nell’adattarsi al cambio repentino della bici».

Juniores, i rapporti sono solo una parte del problema

13.07.2022
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Andrea Morelli fa parte della Commissione scientifica voluta dalla Federazione lo scorso anno e assieme ai suoi colleghi, fra cui Paolo Slongo, aveva già messo mano alla questione dei rapporti liberi per gli juniores. Dalle loro osservazioni è nata una relazione, per cui quando ha letto sul tema l’intervista di Adriano Malori, il direttore del ciclismo in Mapei Sport ha proposto la sua visione delle cose. Partendo dalla propria esperienza e da quella relazione.

«Sapevamo che la Francia aveva eliminato la limitazione – spiega – allo stesso modo in cui sapevamo che da noi tante squadre allenavano già i ragazzi con i rapporti liberi e magari adesso sono fra quelli che si lamentano. Il nostro punto di partenza è stata la relazione scientifica dei francesi. Secondo loro la limitazione delle velocità derivante dall’uso di rapporti troppo brevi avrebbe impatto sulla formazione atletica e sul futuro degli atleti. Mentre le loro ricerche non avrebbero rintracciato problemi sul piano fisiologico».

E’ stata la Francia per prima a eliminare la limitazione, ma gli juniores erano già liberi nelle gare nazionali
La Francia per prima ha eliminato la limitazione, ma gli juniores erano già liberi nelle gare nazionali

In realtà, par di capire ogni giorno di più, non esistono grandi studi al riguardo che stabiliscano una linea diretta fra i rapporti liberi e i problemi articolari. Non più di quelli che si potrebbero generare con i rapporti bloccati, esagerando con la forza in salita.

Forse il discorso dei rapporti è secondario?

Forse sì. Quello che cerco di far passare con chi lavora sugli atleti più giovani è di limitare i lavori sulla forza. Che non esagerino. Ci sono Paesi che fanno educazione alla forza, semplicemente creando i presupposti perché un domani gli atleti possano sostenere carichi superiori. Quindi esercizi a secco, corpo libero, core stability e anche in bicicletta. Componenti che spesso si tende a trascurare, privilegiando invece l’intervento su altre caratteristiche fisiologiche. Ma la maturazione fisica non è uguale per tutti, per cui si dovrebbero fare valutazioni a lungo termine per instradare la crescita dei ragazzi.

Nelle sue crono da junior (qui oro a Innsbruck 2018) Evenepoel avrebbe tratto vantaggio da rapporti più lunghi
Nelle sue crono da junior (qui oro a Innsbruck 2018) Evenepoel avrebbe tratto vantaggio da rapporti più lunghi
La troppa agilità fa male?

Può creare problemi articolari se eccessiva, ma in genere si può e si deve dire che su ogni terreno, dallo sprint alla crono, esiste un range ottimale di frequenza di pedalata e sviluppo della forza. Ai giovani si deve proporre un’attività coerente con il loro livello di prestazione. Evenepoel faceva le crono da junior a frequenze impossibili, perché non aveva il rapporto che gli permettesse di raggiungere la giusta cadenza. Per la forza che aveva, avrebbe tratto vantaggio da un rapporto più lungo.

Si gioca tutto sulla forza, dunque?

Il rapporto che si usa passa in secondo piano rispetto alla giusta cadenza. E paradossalmente, maggiore è la potenza di cui si dispone e più si avrà necessità di fare una cadenza elevata. Froome può essere un esempio calzante. Al contrario, se propongo delle SFR o delle partenze da fermo, produco dei sovraccarichi che possono portare a infiammazioni o degenerazioni articolari. E questi sono lavori che prescindono dal rapporto che si usa. Lo dimostra il fuoristrada…

Coppa Montes, domina la Auto Eder. L’uso di rapporti liberi nelle volate potrebbe fare la differenza (photors.it)
Coppa Montes, domina la Auto Eder. L’uso di rapporti liberi nelle volate potrebbe fare la differenza (photors.it)
Cosa dimostra?

Che anche nel settore giovanile si usano rapporti liberi e questo non crea problemi. Quello che limita la resa della pedalata è l’affaticamento neuromuscolare. Se anche li lascio con il 52×14 e in salita propongo delle SFR con un rapporto duro, stimolo livelli di forza altissimi. Come andare in palestra e fare la pressa all’80-90 per cento del carico massimale.

Quindi si parla di qualcosa che non causerà problemi?

Premesso che negli allievi la limitazione resta, credo che il quadro sia poco chiaro. Di sicuro va insegnato il corretto uso dei rapporti. Si parla tanto dei preparatori dei pro’, ma la FCI dovrà avere a cuore anche i corsi per creare la giusta cultura fra gli allenatori delle categorie giovanili. E poi c’è da lavorare sull’aspetto psicologico. Lo scalatorino di 50 chili non tirerà mai il rapportone e potrebbe arrivare alle salite già staccato. Alla quarta batosta di questo tipo, c’è rischio che smetta. Questo perché al primo anno da junior non sai come si svilupperà il corridore. Di sicuro ci saranno grosse problematiche, non è una fase da ignorare.

Anche con il 52×14 in salita i più forti riescono a fare parecchia forza (photors.it)
Anche con il 52×14 in salita i più forti riescono a fare parecchia forza (photors.it)
Si è parlato anche di ragioni commerciali.

Chi produce i gruppi e le stesse bici ne trarrà vantaggio. Ormai le bici arrivano già montate e non è semplice per chi lavora nelle società giovanili chiedere di smontare i gruppi di serie per mettere pignoni e guarniture da juniores. Ormai è difficile anche trovare i componenti, perché ci sono aziende che il 52 hanno anche smesso di produrlo.

La regola non si cambia, come si fa per conviverci bene?

Bisogna mettersi a tavolino per valutare lo sviluppo dell’atleta. Bisogna capire che il primo step è sviluppare le sue capacità tecniche, mentre sulla forza è corretto lavorare dopo lo sviluppo ormonale. E l’ultimo step si farà al passaggio negli U23 affinché da pro’ si possa puntare alla prestazione. E poi dipende dall’atleta…

In che misura?

Malori dice bene, che se avesse avuto il 53×11 avrebbe fatto disastri. Ricordo bene di averlo allenato e lui era il primo a esagerare con i lunghi rapporti. Quelli che vanno duri ci sono sempre stati. Non tutti riescono a fondere forza e cadenza come Ganna e Cancellara.

L’uso del lungo rapporto genera in pianura le differenze maggiori (photors.it)
L’uso del lungo rapporto genera in pianura le differenze maggiori (photors.it)
Avendo i rapporti liberi negli juniores, inizieresti a fare qualche intervento anche fra gli allievi?

Non vedo perché spingerli a velocizzare un adattamento per cui non sono pronti. Mi concentrerei più su quello che voglio raggiungere nel lungo periodo. Per migliorare la cadenza si usava il fisso oppure il dietro moto, che accresce la capacità di fare velocità a cadenze maggiori, senza sovraccaricare. Il dietro moto porta adattamenti che fanno migliorare la prestazione. Ma sono aspetti molto complicati. Vanno costruiti programmi perseguendo la crescita e non il risultato. Perché se inizio a fare il pro’ già da allievo, arrivo negli U23 che mentalmente sono già bruciato. La testa non regge. Bisogna tornare a pensare che il passaggio al professionismo è solo l’inizio.

Richiamare la forza d’estate (e in altura). Sentiamo Cucinotta

02.07.2022
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In questo momento della stagione alcuni atleti, la maggior parte a dire il vero, sono alle prese con lo stacco estivo. Chi non è al Tour de France è in altura o sta già riprendendo a pedalare in vista della seconda parte di stagione. C’è da ricostruire parecchio. A partire dalla forza, come ci spiega Claudio Cucinotta.

Cucinotta è uno dei coach dell’Astana Qazaqstan e con lui parliamo in modo specifico proprio di questa importante componente. Come ci si lavora in questa fase? E come in altura?

Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana

Forza, altura e intensità

E la risposta non può che essere complessa. «Come si lavora per la forza in questo periodo? Dipende – dice Cucinotta – dipende da com’è la condizione dell’atleta, da che gare ha fatto sino a questo momento, da quanto tempo ha staccato, da quanto ha ripreso.

«Un conto è chi si presenta in altura già con un mese di preparazione, un conto è chi ricomincia in quel momento. E dipende soprattutto dalle caratteristiche dell’atleta, molto varia infatti se si tratta di uno scalatore o di un velocista».

«Per la forza in altura si lavora un po’ come a casa, ma tenendo conto dell’intensità, che è più bassa rispetto al livello del mare. E poi bisogna vedere anche che tipo di altura si fa: si dorme e ci si allena in quota (come chi va a Livigno, ndr)? O si dorme in quota e ci si allena in basso (come chi va sull’Etna, ndr)?

«Per chi si allena in alto l’intensità è più bassa di un 5% o poco più. E questo vale sia per la forza in bici, come le SFR, in parte per gli sprint… Sia per la forza in palestra. Mentre per chi si allena in basso non cambia nulla».

Soprattutto fino a pochi anni fa, gli scalatori (qui John Gadret) escludevano la parte di forza a secco e puntavano tutto sul peso minimo
Fino a pochi anni fa, gli scalatori (qui Gadret) escludevano la forza a secco e puntavano tutto sul peso minimo

Intensità minore

Gli esercizi di forza, sia in bici che “a secco” sono molto simili. Tuttavia qualche differenza c’è.

«Abbiamo detto – spiega Cucinotta – che varia l’intensità. Pensando alle SFR appunto, si lavora con un po’ meno di potenza. Ma se si fanno esercizi di forza massima, come sprint o partenze da fermo, l’intensità è la stessa. Questo perché nel primo caso si va a coinvolgere il sistema aerobico e nel secondo no, o in minima parte, e il discorso dell’altura viene meno».

«C’è poi da valutare la componente del tempo a disposizione. Perché in teoria serve una fase di adattamento. Ma questo adattamento corrisponde quasi al periodo dell’intero ritiro, quindi tante volte si tratta di fare più un lavoro di “reclutamento” delle fibre muscolari, che della forza vera e propria».

Per la forza in altura bisogna abbassare i parametri d’intensità di circa il 5% rispetto ai propri valori
Per la forza in altura bisogna abbassare i parametri d’intensità di circa il 5% rispetto ai propri valori

Esercizi specifici

«Rispetto alla forza fatta a novembre-dicembre – spiega Cucinotta – quella dell’estate è più specifica. Magari i velocisti o i biker, che fanno dei richiami tutto l’anno anche in palestra, possono riprenderla in modo più generale, e hanno una fase di adattamento molto ridotta, ma tutti gli altri lavorano principalmente sulle gambe».

A conti fatti dunque se un corridore, tipo un passista veloce o uno scalatore potente, d’inverno fa 3 serie di squat da 10 ripetizioni ciascuna con 100 chili (numeri a caso, ndr), in questo periodo farà sempre tre serie ma con 70 chili. «Magari però facendo qualche ripetuta in più», precisa Cucinotta.

I velocisti curano la forza tutto l’anno. Fanno dei richiami anche per la parte superiore del corpo
I velocisti curano la forza tutto l’anno. Fanno dei richiami anche per la parte superiore del corpo

Forza tutto l’anno

«La tendenza – riprende Cucinotta – è quella di fare dei richiami durante tutto l’arco della stagione. E se questo prima era prerogativa dei velocisti, adesso vale sempre di più anche per gli scalatori. Per i velocisti i richiami sono importanti. Loro hanno esigenze di forza dalle quali non possono prescindere.

«Però può succedere che facciano un grande Giro, seguito da una settimana di riposo, ed ecco che per un mese non hanno fatto richiami neanche loro».

Il core stability diventa ancora più importante in questo caso.

«Questo tipo di esercizi ormai sono assodati e sono mantenuti da tutti per tre, anche quattro, volte a settimana. Vengono fatti al pari dello stretching o dei massaggi. Il corridore è più forte nel suo insieme: a livello di schiena, di addominali, di postura.

«Il lavoro specifico invece, come accennato, riguarda soprattutto le gambe. La parte degli arti superiori, velocisti a parte, serve a poco. Alcuni atleti poi sono molto propensi all’ipertrofia: con poca palestra mettono massa. Ma questa non serve, specie sulle braccia e in questo momento. Bisogna evitare di mettere un chilo in più sulle braccia o la parte alta del corpo. E’ un chilo in più che non dà propulsione».

Il biker Mattia Longa in palestra presso il centro sportivo Aquagranda di Livigno ad oltre 1.800 metri di quota
Il biker Mattia Longa in palestra presso il centro sportivo Aquagranda di Livigno ad oltre 1.800 metri di quota

Pochi esercizi

E allora quali sono gli esercizi per la forza in questo periodo? Se la differenza con l’altura sta soprattutto in quella percentuale di intensità, per il resto di cosa parliamo di concreto?

«Si fanno principalmente tre esercizi: squat, affondi e split squat jump, cioè degli affondi più dinamici con un saltello nel cambio gamba in fase di atterraggio». 

«La leg press, meglio della leg extension, che è un esercizio più generalista. La leg press ripara da eventuali infortuni. In questo momento infatti un corridore benché con la forza in calo è molto forte, pertanto è in grado di sollevare con le gambe 100 chili, per dire, ma la sua schiena magari no. Ebbene, con la leg press si evitano questi rischi».

E a proposito di forza. Sapete quanta se ne ha in meno in questa fase? Mediamente il 5%. «Ma se non si sono mai fatti dei richiami, c’è chi è arrivato a perdere anche il 10%. Ed è un bel problema recuperarla.

«In tutto, questo lavoro di richiamo della forza dura un paio di settimane (o poco più, ndr). Si fa 2-3 volte a settimana, più gli esercizi in bici. Tutto insieme è un bel blocco di lavoro».

Sella più bassa? Comanda la ricerca (disperata) di forza

10.05.2022
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Vi ricordate, eravamo partiti da Thibaut Pinot e quanto pedalasse basso. Il francese aveva catturato la nostra attenzione al Tour of the Alps. In quei giorni lo avevamo visto dal vivo, sia nelle fasi di corsa che in quelle di contorno, come andare e tornare al foglio firma. E in effetti ci sembrava davvero basso di sella. Teoria rincarata da Adriano Malori.

Per non parlare poi di quella sua posizione tanto raccolta anche in termini di lunghezza. 

Qualcosa però che a ben analizzare non riguarda solo il corridore della Groupama-Fdj. In tanti pedalano qualche millimetro al di sotto dei canoni biomeccanici. Ma a questo punto ci siamo domandati se questi canoni siano ancora esatti. Ancora attuali. 

Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena
Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena

Parola a Mariano 

Alessandro Mariano è uno degli esperti in materia. Con lui già avevamo parlato qualche mese di argomenti simili, come per esempio la sella in avanti. E adesso torniamo a battere il chiodo sul discorso dell’altezza.

«La vostra sensazione – spiega Mariano – è corretta. Avevamo già parlato più o meno di questo discorso, che infatti è strettamente legato all’avanzamento della sella stessa.

«C’è questa tendenza di abbassare la sella perché sono cambiate le strategie di allenamento. Poi Pinot lo fa in modo esagerato, ma anche altri l’hanno abbassata. Mediamente, almeno guardando i mei corridori si è scesi di 3-5 millimetri, ma c’è anche chi è arrivato ad 8».

«Portare la sella in avanti o abbassarla implica un maggior lavoro del quadricipite. Oggi sono molto sviluppati. Questo perché? Perché si va a prendere la forza dove c’è… Di riflesso è qualcosa che vogliono anche gli amatori, ma gli si fa del male. Perché questa posizione va a sovraccaricare ginocchia e tendine rotuleo. Il che, in teoria, non va bene neanche per un pro’. A loro però una vittoria cambia la vita, la ricerca della prestazione è centrale. E poi non lo devono fare per tutta la vita».

Senza contare, aggiungiamo, che sono seguiti da staff medici.

Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui
Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui

Parola a Toni

Mariano tira in ballo la preparazione e allora abbiamo ascoltato anche un preparatore. E uno dei più attenti al discorso legato alla biomeccanica è Pino Toni.

La cosa bella è che i due tecnici, seppur di settori differenti, parlano esattamente la stessa lingua. Toni conferma quel che sostiene Mariano.

«Personalmente – spiega Toni – non ho mai consigliato di abbassare la sella, ma c’è chi lo ha fatto. Per quel che mi riguarda accade maggiormente nei biker. Io seguo anche Josè Dias, un biker potente. Lui ha abbassato la sella e ha anche cambiato preparazione e qualche crampo lo ha avvertito. Questo perché quando i muscoli sono fortemente sollecitati, si accorciano. Pertanto ci sta che abbassino la sella per ridurre queste estensioni».

Ma in cosa è cambiata la preparazione? Si è detto che oggi i corridori vanno più agili: è in questa direzione che è cambiata? E sempre per questa motivazione si è ridotta l’altezza della sella? Anche in questo caso Toni fa chiarezza: la questione dell’agilità è marginale.

«Oggi – spiega il tecnico toscano – serve più potenza, più energia. Per fare un esempio, oggi un corridore di 65 chili che fa 400 watt alla soglia non dico che non va da nessuna parte, ma è uno dei tanti. Sono i numeri che lo dicono. Per forza di cose, andando a cercare la forza là dove ce n’è di più (sul quadricipite, ndr) mi devo abbassare, devo creare più energia, più efficienza muscolare».

«Poi il discorso dell’agilità a me in quanto preparatore paradossalmente riguarda fino ad un certo punto (nell’ambito di questo discorso, ndr). Non si tratta di andare agili o duri, si tratta di fare forza, di sviluppare energia. Se poi lo si fa con l’alta o bassa cadenza non cambia».

Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura
Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura

Comanda la forza

Sia Toni sia Mariano pertanto dicono che alla base c’è la ricerca della forza. Non si abbassa quindi la sella perché si va più agili, ma perché si deve sviluppare più forza. E i muscoli che si sviluppano di più sono i quadricipiti.

Anche per questo motivo Mariano aggiunge una nota molto interessante. «L’abbassamento della sella riguarda soprattutto i corridori potenti, i passisti veloci, quelli da classiche. Sono loro che spingono di più, che sviluppano più forza e chiamano in causa i quadricipiti. Ma si vede ad occhio nudo. La muscolatura dello scalatore è più allungata, lavora di più col bicipite femorale e anche col polpaccio».

«Già 25 anni fa in Telekom – conclude Toni – dicevano, quando si parlava di biomeccanica, che non si trattava solo di misure degli arti, ma anche d’intersezione dei tendini (altro cavallo di battaglia anche di Mariano, ndr). Una biomeccanica fisiologica dell’atleta, se così possiamo dire. Non è detto infatti che due corridori che hanno la stessa lunghezza di femore abbiano gli stessi attacchi tendinei.

«Questo per dire che alcune caratteristiche poi non possono essere cambiate: chi va duro, va duro. E chi va agile, va agile. Sì, ci si può lavorare, ma non si può stravolgere». 

La forza del velocista negli anni ’90. Leoni era già nel futuro

02.01.2022
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Negli articoli che abbiamo dedicato al lavoro sulla forza ci aveva colpito il grande ricorso alla palestra che faceva, e che fa, Davide Cimolai il velocista chiamato in causa. Spesso abbiamo sentito dire che corridori di 20 o 30 anni fa si allenavano in maniera molto più semplice, salivano in bici e andavano. Incuriositi da tutto ciò, abbiamo chiesto ad Endrio Leoni, uno degli sprinter più forti degli anni ’90 e anche di inizio 2000.

Vi anticipiamo però che dopo averlo sentito siamo rimasti parecchio colpiti anche noi. Leoni infatti era un vero antesignano della preparazione moderna, anche se non mancavano, come vedremo, elementi vecchio stampo.

Endrio Leoni è stato pro’ dal 1990 al 2002, era davvero molto potente. Il guizzo dei 50 metri finali era il suo punto di forza
Endrio Leoni è stato pro’ dal 1990 al 2002 era davvero molto potente. Il guizzo dei 50 metri finali era il suo punto di forza
Endrio, come allenava la forza il velocista ai tuoi tempi?

Posso dire come facevo io e non tanti avevano i miei metodi. Oggi il preparatore ha una certa idea di forza e impone i suoi lavori agli atleti, ma ognuno è diverso. Io sono Leoni, tu sei Cipollini e lui è Van der Poel: ognuno è diverso e reagisce diversamente a questa componente. Io per esempio non credevo alle classiche SFR in salita. Almeno per un velocista, a mio avviso, non andavano bene perché rallentavano troppo le fibre.

E come facevi la forza in bici?

Facevo molte partenze da fermo e delle volate in salita. Entrambe con il rapportone… Iniziavo con durate di 12”-15” secondi fino ad arrivare a 30”. Le facevo al massimo.

E lavoravi anche in palestra?

Sì, molto, anche quattro volte a settimana.

Cosa facevi?

In palestra lavoravo con massimali abbastanza alti, al 90%. Facevo il “castello”, lo squat… Lavoravo da prima con una gamba, esercizi monopodalici, e poi con due gambe con le quali curavo soprattutto l’esplosività. Ero arrivato a fare lo squat anche con più di 120 chili.

Tante volate al massimo con il lungo rapporto per Leoni: così curava la forza in bici
Tante volate al massimo con il lungo rapporto per Leoni: così curava la forza in bici
Come eseguivi queste ripetizioni?

Facevo delle serie da 5-6 ripetute molto veloci. E già nel 1999 usavo il “biorobot” il quale mi dava dei range di velocità di esecuzione da rispettare.

Biorobot? Di cosa si tratta?

È un macchinario che si attaccava il bilanciere. Bisognava eseguire la ripetuta più o meno in 3-4 decimi di secondo. Se si era più veloci vuol dire che il carico era poco, se si era più lenti vuol dire che era troppo. Era un qualcosa di molto raro, di derivazione dall’atletica leggera. Mi seguiva Mario Del Giudice, un preparatore molto esperto appunto nell’atletica. Colui che accompagnò Manuela Levorato (fortissima sprinter degli ’90-2000 e tutt’ora primatista dei 100 metri, ndr) ai suoi record. Del Giudice poi lavorò anche con Davide Rebellin.

Quanto facevi palestra e quante volte ci andavi a settimana?

La iniziavo a novembre e la concludevo a fine gennaio. Anche perché poi si andava in ritiro e la si lasciava. I ritiri non erano organizzati come adesso. Ci andavo quattro volte a settimana: due volte facevo pesi e corpo libero e due volte solo corpo libero. Tanta palestra mi ha fatto molto bene, a mio avviso. Mi ha “ringiovanito” muscolarmente. E infatti nel 2001 e nel 2002, a 33-34 anni, ho vinto ancora abbastanza.

Durante la stagione mantenevi le sedute in palestra?

Ho fatto dei richiami, ma non mi davano grossi frutti. Credo che fosse un qualcosa di molto soggettivo. Avevo la sensazione di “incatramarmi”. Lavorare in palestra era un mesociclo che richiedeva 30, anche 40, giorni per essere metabolizzato. Invece oggi vedo che è cambiato molto. Ho sentito di gente che ha fatto i pesi prima delle crono o anche durante il Giro d’Italia. Poi vedo anche che si cura la forza in altri modi: con corde in sospensione, che riguardano anche l’equilibrio, come voi stessi avete scritto.

Hai parlato anche di esercizi a corpo libero: cosa facevi?

Sostanzialmente ci curavo l’esplosività, l’agilità generale del corpo. Penso per esempio al mezzo squat (balzi accosciati molto veloci, ndr), skip, corsa calciata…

In effetti c’è molta atletica leggera in tutto ciò…

Vero. Ma lo dice la parola stessa: atletica, atleta. Prima si forma l’atleta poi il corridore, il ciclista. Sotto questo punto di vista il ciclismo è stato indietro per molti anni. Ci si è messo un bel po’ a capire l’importanza della palestra e di certi esercizi.

Com’era pertanto una tua seduta in palestra?

Iniziavo con il tapis roulant, 20′ anche 30′ di riscaldamento. Poi passavo alla bici: 15′ di rulli. E poi ancora mi dedicavo agli esercizi a corpo libero. Successivamente passavo al castello, agli esercizi di squat. Dapprima monopodalico, anche per ritrovare una simmetria tra le due gambe che io non avevo, e poi con tutte e due. Quindi facevo la pressa. Al termine della seduta trasformavo tutto in bici. Ogni due o tre settimane aumentavo i carichi. Con il preparatore valutavamo i miglioramenti in modo costante.

Leoni faceva molta ruota fissa nel periodo invernale. Secondo lui sarebbe stato ottimale riprenderla anche nel corso della stagione
Leoni faceva molta ruota fissa nel periodo invernale. Secondo lui sarebbe stato ottimale riprenderla anche nel corso della stagione
Cosa facevi, agilità?

Uscivo con la ruota fissa. Per me è un gesto molto importante, fondamentale direi. Si utilizzano appieno i muscoli antagonisti e protagonisti. Completano la preparazione e il lavoro a secco.

Che rapporti giravi?

Utilizzavo il 39×19 e man mano andavo a scalare con il 18, il 17… a non meno di 110 rpm. Facevo la ruota fissa per un arco di tempo di 40 giorni, tre volte a settimana. Ci facevo anche 100 chilometri. Per un velocista potente è anche più facile farla rispetto ad uno scalatore, anche psicologicamente. Ecco, la ruota fissa sarebbe stato opportuno richiamarla anche durante la stagione, ma spesso per “pigrizia” nel preparare la bici non la si faceva. Se potessi tornare indietro…

Una tua settimana tipo d’inverno quindi com’era strutturata?

Il lunedì andavo in palestra e poi uscivo in bici due ore. Il martedì correvo a piedi, attività che se ben fatta dà molti benefici, facevo poi degli esercizi a corpo libero e un giretto in bici. Il mercoledì facevo esercizi a corpo libero e poi uscivo in bici. Il giovedì riposavo (giovedì e mercoledì a volte si potevano invertire). Il venerdì come il lunedì: palestra e bici. Il sabato e la domenica pedalavo con la bici normale. Iniziavo con un paio d’ore e man mano andavo ad aumentare.

La forza del velocista: palestra, volate e SFR alternative

27.12.2021
4 min
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Forza, forza e ancora forza. Come abbiamo detto per l’esplosività dello scalatore con Aru, questa è il fulcro dello sport moderno e non solo del ciclismo. Ma se sei chiamato a vincere in volata lo è ancora un po’ di più. Stavolta quindi andiamo a vedere come cura la forza il velocista, o quantomeno il passista veloce. Per l’occasione ci siamo rivolti a Davide Cimolai, fresco acquisto della Cofidis.

Davide, partiamo dalla palestra: immaginiamo abbia un bel peso specifico nella preparazione di un velocista?

Direi proprio di sì. Io poi non la faccio solo d’inverno, ma la mantengo anche durante il corso della stagione. In questo caso più che aumentare i carichi vado a modificare un po’ il lavoro.

La forza di Cimolai passa anche attraverso il metodo Redcord, che ha anche valenze posturali
La forza di Cimolai passa anche attraverso il metodo Redcord, che ha anche valenze posturali
Cosa fai in palestra?

In passato tendevo a fare molti più macchinari, oggi invece lavoro molto di più con il corpo libero, TRX (e RedCord, ndr), salti, bilancieri, squat… L’unico macchinario che ancora utilizzo è la pressa.

Di inverno come la fai?

Da novembre in poi la faccio circa due volte a settimana. Poi gradualmente con l’avvicinarsi delle gare la riduco ad una sola volta a settimana. Nei periodi più intensi di gare anche una volta ogni dieci giorni.

E varia anche la tipologia del lavoro durante la stagione?

No, la tipologia no, quello che cambia semmai sono i carichi, che nel pieno della stagione sono un po’ più leggeri. In pratica carico meno per squat e pressa, mentre il resto, la parte di core zone, resta sempre quello. Generalmente comunque inizio con più forza esplosiva e man mano che si avvicinano le corse velocizzo il tutto. Per esempio le alzate di squat diventano dei balzi. In più io faccio anche le braccia, perché in volata contano anche quelle. 

Giro d’Italia 2021, a Termoli Davide Cimolai è secondo dietro Caleb Ewan
Giro d’Italia 2021, a Termoli Davide Cimolai è secondo dietro Caleb Ewan
Qual è il tuo modo di eseguire questi esercizi in palestra?

Generalmente io lavoro con parecchio carico, circa l’80% del massimale. Faccio poche ripetizioni, ma abbastanza veloci, soprattutto nella fase di spinta e più lente nella fase di ritorno. Mentre la forza dello scalatore è un po’ diversa: prevede meno peso e più ripetizioni.

E in bici quanti tipi di forza alleni?

Sostanzialmente due. Faccio le volate e le SFR. Ma anche questo aspetto negli anni si è modificato. Oggi tendo a fare più forza esplosiva. Quindi più partenze da fermo anziché le classiche salite forza resistenza al medio, che a quanto pare sembrano essere meno redditizie per un velocista. Queste le eseguo in modo particolare.

E come?

Anziché mettermi al medio alle classiche 50 rpm, viaggio ad intensità un po’ più alte e con una cadenza prossima alle 60 pedalate al minuto. Sempre però su salite tra il 6% e il 7% di pendenza, già all’8% sono un po’ durette per questo esercizio.

Esegui anche le volate in allenamento?

Sì, negli ultimi anni è aumentato molto il numero di volate in allenamento. Le inserisco sempre a fine uscita. Di solito ne faccio un paio. Vado molto a sensazione e durano sui 10″. Poi ci sono anche degli esercizi specifici. C’è la giornata dedicata alle volate e può capitare di fare due o tre serie da quattro-cinque sprint. La quantità dipende dal periodo. Di solito faccio dei lavori al medio con volata finale, l’idea è quella di simulare gli ultimi chilometri intensi della gara, come se si stesse in un treno.

In allenamento non mancano delle volate più o meno lunghe a seconda del periodo della stagione (foto Instagram)
In allenamento non mancano delle volate più o meno lunghe a seconda del periodo della stagione (foto Instagram)
Che wattaggi raggiungi in allenamento?

Sto sui 1.400-1.500 watt, ma quello che più conta è raggiungere il picco più alto dopo tante ore.

E come si fa per curare questo particolare aspetto?

Eh – sorride Cimolai – ci si aiuta molto con i lavori in palestra sicuramente, ma dipende molto da madre natura! Di solito è una caratteristica che si ha o non si ha.

Quando inizi ad eseguire le volate? C’è differenza durante il corso della stagione?

Se sto bene qualche volata la inserisco sempre, come detto. Le prime dell’anno sono molto brevi, durano 5-7 secondi. Si fanno proprio per riprendere il colpo. E’ giusto una “botta” iniziale, per arrivare poi col tempo fino a 12”. Le stime dicono che le volate durano mediamente 8”-10” secondi.

Forza esplosiva: lo scalatore l’allena così…

24.12.2021
4 min
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Buttare giù il rapporto, alzarsi sui pedali e con una botta secca attaccare. Ecco l’immagine forse più bella del ciclismo, specie se in salita e a farla è uno scalatore. La forza, soprattutto quella esplosiva, quella in grado di fare le differenze in un ciclismo sempre più livellato, è al centro dei discorsi tecnici e atletici del ciclismo, ma forse sarebbe meglio dire dello sport. E’ così nel tennis, nella pallavolo, nel calcio… E chiaramente lo è ancora di più in uno sport come quello del pedale in cui vince chi arriva prima.

Come dicevamo, l’attacco brutale è uno dei momenti più intensi. Pensiamo a Pantani, alle bordate di Contador e anche a quelle di Fabio Aru. Ma alle spalle c’è un grande lavoro e proprio al sardo chiediamo come allenava questa sua caratteristica.

Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Fabio, l’esplosività è importantissima per uno scalatore che deve fare la differenza. Come la allenavi?

Ricordo che da dilettante, ma anche da professionista, cercavo la classica salita a tornanti e rilanciavo alla morte o quasi all’uscita di ognuno. Cercavo salite con 10-20 tornanti. E quando non era così, in allenamento si cercava di fare un passo bello sostenuto. Mi sono accorto che quando attaccavo, dovevo davvero spingere forte. Inutile insistere sul medio. Era tutto soglia e fuori soglia.

Che tipologie di lavori facevi?

Lavori brevi e intensi, ma che non fanno solo gli scalatori, magari loro ne fanno un po’ di più. Penso ai 40”-20“, ai 20”-40”, ai 30”-30”. Quando la parte intensa erano i 40”, li facevo a soglia o appena sopra, quando erano i 20” li facevo a tutta. E lo stesso metodo, una via di mezzo, valeva per i 30”-30”.

E quante ripetute facevi?

Facevo queste variazioni per dieci minuti, poi man mano che andavo avanti con la condizione, ripetevo i dieci minuti due volte, tre nei periodi più intensi di carico. Ma sono arrivato a farle anche quattro volte.

Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Come gestivi i 20”-40”, che sono i più esplosivi?

I 20 secondi erano davvero fatti forte, pieno fuori soglia. Mentre il recupero, i 40”, erano ad un ritmo più blando. Ma non si trattava di un recupero totale, si andava in quella che per me era la “zona due”, vale a dire sui 300 watt. Ai tempi dell’Astana con Slongo e Mazzoleni abbiamo fatto spesso lavori così.

E i 40”-20”?

I 40 secondi erano fatti poco al di sopra della soglia, mentre i 20 secondi erano un recupero più completo.

E invece la palestra è prevista nel “menu” dello scalatore?

Sì, io ne facevo soprattutto d’inverno. Parecchie ripetute veloci sui 15″-20” a prescindere dall’esercizio, magari con poco peso.

E la facevi anche nel pieno della stagione?

Andavo in palestra soprattutto d’inverno, ma è capitato di riprenderla anche in stagione nel periodo dello stacco estivo. Durante le corse invece non ne facevo.

Contador dava vere fucilate. Soprattutto se c’erano salite pedalabili, era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Contador era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Nell’arco della settimana quanti lavori specifici facevi per la salita?

Di salita ce n’era sempre, ad esclusione della sgambata, quindi almeno cinque volte su sette. Comunque non facevo mai meno di mille metri di dislivello. Se invece intendete dei carichi importanti, intensi, quelli non erano più di due volte a settimana. Consideriamo che anche le SFR sono lavori per la salita, quindi già saremmo a tre volte. Anche se poi le SFR non riguardano solo la salita, però sono degli specifici che si fanno dove la strada sale.

Cosa ti passava per la testa quando facevi quei lavori sui tornanti? C’era anche una sorta di tensione?

Sicuramente ero molto concentrato, ma era più stimolante quando c’erano anche altri: subentrava la sfida. Magari in quel caso c’era sempre un passo piuttosto spinto. Ma quando si è motivati, si spingeva forte anche da soli. Un atleta si basa molto sulle sue sensazioni. Ricordo di essere tornato a casa alcune volte contento e motivato perché le sensazioni erano state più che positive ed altre volte, invece, di essere rientrato con le orecchie basse. Poi tensione vera e propria no, era pur sempre un allenamento.

E invece le volate in pianura: l’allenamento dello scalatore esplosivo passa anche da quelle? Ti è capitato di farle?

Non spessissimo, ma mi è capitato. Eseguivo le volate quando facevo la ruota fissa, tipo con il 53×14. Facevo delle partenze quasi da fermo, da 10 chilometri orari. E mi è capitato di fare anche delle volate vere proprie.

E poi sentivi la differenza in salita?

Sì, servivano anche quelle per scattare forte in salita.