Bragato, ora il ruolo è chiaro. Si può cominciare…

27.11.2021
4 min
Salva

Dopo le voci, le ipotesi e le suggestioni, quel che resta tra le mani di Diego Bragato – fino a ieri al Centro Studi Federale (in apertura ai mondiali di Roubaix con il quartetto iridato) – è il ruolo che parlando con il presidente Dagnoni aveva immaginato per sé. Responsabile dell’Area Performance, con un pool di preparatori sotto di sé con cui offrire supporto ai commissari tecnici.

Voci, suggestioni e ipotesi

Si diceva di voci, ipotesi e suggestioni perché a un certo punto si era fatta largo la voce secondo cui il trevigiano sarebbe potuto essere il tecnico delle donne della pista, una volta che il settore fosse stato sfilato di mano a Dino Salvoldi. Poi le cose hanno seguito un altro corso. La pista è stata unificata e affidata a Marco Villa, di cui Bragato sarà collaboratore assieme a Fabio Masotti. Richiesto sul tema, il cittì d’oro di Tokyo col quartetto, ha espresso una valutazione legittima che a qualcuno ha fatto storcere il naso per i toni.

«Amadio – ha detto Villa, marcando il territorio – mi consiglia di far seguire le ragazze da Bragato, ma visto che sono io il commissario tecnico, le voglio gestire in una certa maniera. Bragato sarà quello che avrà i riferimenti, ma il responsabile sarò sempre io come coi maschi. Mi toglierà quel lavoro di contatti e di programmazione settimanale. Se devo capire chi viene la settimana prossima in ritiro, non posso mettermi a fare 28 telefonate. Vorrà dire che Masotti chiamerà i 14 uomini e Bragato le 14 donne. Però il modo di allenare resta il mio, perché non voglio dividere i settori».

Compri, Bragato, Lupi: l’uomo dei pesi, il referente tecnico federale e il cittì della Mbx
Compri, Bragato, Lupi: l’uomo dei pesi, il referente tecnico federale e il cittì della Mbx

Un ruolo trasversale

Il veneto, che non ha mai puntato a un ruolo da tecnico ma a forza di sentirselo dire aveva probabilmente iniziato a pensarci, è pertanto ben contento del ruolo ricevuto.

«Un ruolo più trasversale rispetto all’ultimo periodo – spiega – e a breve verrà indetto un concorso per quattro preparatori con cui seguiremo tutti i gruppi. Sono curioso. Tra i requisiti è richiesta l’esperienza, poi ci sarà un colloquio. Voglio vedere chi si farà avanti. Sul lato dell’operatività, riceverò le richieste dei tecnici e avrò come interfaccia la Commissione Scientifica appena insediata, che in quanto Scuola Tecnici sta sistemando la parte didattica dei corsi, da cui avrò supporto scientifico».

Bragato è amico di Viviani da sempre: il progetto di coinvolgerlo in Fci nacque dopo Londra 2012
Bragato è amico di Viviani da sempre: il progetto di coinvolgerlo in Fci nacque dopo Londra 2012
Ci saranno nomi già visti?

Qualcuno c’è già, anche se con incarichi diversi. Avrei visto Tacchino con i paralimpici perché c’è già stato, mentre ad ora potrebbe andarci Cucinotta cui l’aspetto interessa personalmente, anche se per esperienza lo vedrei bene anche nel fuoristrada. Poi ci sarà da vedere se potranno crearsi conflitti di interesse fra preparatori dei club che prestano la loro opera in Federazione. Cucinotta è all’Astana, come peraltro Slongo che fa parte della Scuola Tecnici è alla Trek-Segafredo. Credo che siano tutti grandi ed esperti abbastanza da non incorrere in problemi.

Come si svolgerà il vostro intervento?

Facciamo tutti capo ad Amadio, che ci segnalerà le esigenze. Portiamo avanti il lavoro fatto, dalla palestra in avanti. Adesso stiamo per iniziare una bella fase con il cross country, perché finora non hanno mai fatto test sistemici. Celestino mi ha chiesto di essergli di supporto nel colloquio con i preparatori degli atleti, dato che finora si era mosso da selezionatore. L’idea è di estendere a tutti i settori un metodo di lavoro omogeneo.

Ispirato a quali criteri?

A quello che ho imparato con Villa nella progettazione e nella costruzione del settore pista. Credo si possa estendere agli altri. Io sarò il filtro, vaglierò le richieste e assegnerò i preparatori, spendendomi ovviamente anche in prima persona. In questi giorni ad esempio sono a Verona con la Bmx.

Bragato affiancherà Masotti (qui con Scartezzini) tra i collaboratori di Villa
Bragato affiancherà Masotti (qui con Scartezzini) tra i collaboratori di Villa
Collaborerai ancora con Villa in pista?

Certo, è una delle mie mansioni. I ragazzi chiedono, perché con alcuni di loro lavoro individualmente. Per l’alto livello in realtà non vedo grossi problemi, perché hanno i loro preparatori, invece per U23 e juniores è importante relazionarsi con le società. Con Salvoldi, che ha da poco preso gli juniores, stiamo programmando una serie di test a tappeto per avere uno screening del materiale umano di cui disponiamo. L’idea è anche di ripetere quelli in pista, ma dipenderà da quando Montichiari tornerà disponibile. E la stessa esperienza la estenderemo a tutti i settori.

Sei soddisfatto dell’incarico?

E’ quello che avevo proposto all’inizio, fu il presidente a dirmi che forse ci sarebbe stato dell’altro. Certo l’ipotesi di un ruolo tecnico mi allettava, ma sto nel mio e faccio quello che mi riesce meglio. Cresco. E chissà che non sia propedeutico ad altro per il futuro.

Fci al lavoro per Bertazzo. E noi tifiamo tutti per lui

24.11.2021
3 min
Salva

In questo momento sghembo, fatto di squadre che rincorrono bambini prodigi e lasciano a piedi fior di corridori, tra coloro ancora in cerca di contratto c’è anche Liam Bertazzo. Il padovano (in apertura con Mareczko, dopo averlo aiutato a vincere alla Coppi e Bartali), uno dei quattro campioni del mondo dell’inseguimento a squadre, ha corso dal 2015 fino al 2021 nelle squadre di Angelo Citracca. E così ora, visto l’esito non proprio felice di quel team, si ritrova alla ricerca di una maglia.

«A Liam stiamo cercando di dare una mano – ci ha detto Marco Villa – da campione del mondo, mi sento in dovere di aiutarlo a trovare una squadra. Ha guadagnato la qualifica olimpica, è importante. A lui nessuno ha mai regalato niente e ha avuto tanta sfortuna, compresa l’ernia del disco nello stesso periodo in cui esplodeva Milan. Bertazzo se lo merita».

La vittoria nel mondiale del quartetto a Roubaix sarà sicuramente il miglior viatico
La vittoria nel mondiale del quartetto a Roubaix sarà sicuramente il miglior viatico

Federazione al lavoro

Quel che stupisce è che Bertazzo sia l’unico di quel gruppo di pistard a non far parte di un corpo militare, come invece Scartezzini e Lamon. Ma lui pare sereno, segno che sotto traccia qualcosa si sta muovendo e che la Federazione in un modo o nell’altro si sia presa a cuore la sua vicenda.

«Non ho più l’età per entrare nei corpi – dice – e poi comunque non è che in un mese avrebbero potuto predisporre il mio ingresso. Però sono sereno, soprattutto perché la maglia iridata è una certezza che si porta via parecchi dubbi. In Federazione hanno prima sistemato i quadri tecnici, poi hanno messo mano alla mia situazione. So che stanno parlando e spero che presto possa venire fuori qualcosa. Non hanno mai mancato la parola, solo che l’anno è particolare, le squadre hanno tutte il budget tirato, quindi semmai le cose sono più complicate. Ma sono fiducioso. Come ho già detto altre volte, mi è capitato altre volte di aspettare la fine di novembre per trovare un contratto».

Bertazzo ha partecipato a due Giri d’Italia: nel 2016 (foto) e nel 2018
Bertazzo ha partecipato a due Giri d’Italia: nel 2016 (foto) e nel 2018

Preparazione olimpica

La Federazione è già intervenuta in passato per aiutare uno dei suoi atleti di riferimento della pista, mediante un supporto offerto alla squadra di club che lo ha tesserato.

«Le Federazioni – spiega Renato Di Rocco, presidente Fci nei casi in cui l’intervento è stato disposto – percepiscono dal Coni dei fondi per la preparazione olimpica e hanno praticamente l’obbligo di usarli per i propri atleti. Ricordo che nel caso di Bertazzo abbiamo dato noi un contributo alla società, pari a metà dell’ingaggio o giù di lì. E’ una prassi abbastanza consolidata, con la quale abitualmente si supportano gli atleti di interesse olimpico. Si fa per tutti, sono borse a loro disposizione. In teoria si è ragionato sull’ammissione ai corpi militari per tutti i ragazzi della pista. Poi è chiaro che uno come Ganna si sia chiamato fuori e così pure Liam. Diciamo che non è difficile, parliamo di cose che si sono sempre fatte».

Ed è probabilmente questo il fronte su cui la Fci sta lavorando per trovare a Bertazzo una sistemazione all’altezza dei risultati che ha finalmente raggiunto, dopo anni di rincorse, lavoro e sfortuna. In questo momento sghembo, fatto di squadre che rincorrono bambini prodigi e lasciano a piedi fior di corridori, pensare che Liam possa rimanere a piedi dopo aver vinto un mondiale e aver centrato la qualificazione olimpica sarebbe davvero una bestemmia.

Sangalli: continuità, porte aperte e più trasferte con le junior

10.11.2021
7 min
Salva

Paolo Sangalli raccoglie l’importante eredità di Dino Salvoldi, con il quale ha collaborato negli ultimi 12 anni. Dice convinto che se non fosse stato necessario spostare il milanese al settore degli juniores, avrebbe continuato senza problemi a collaborare con lui.

Sangalli si è tagliato i capelli dopo aver raggiunto lunghezze inaudite. Aveva scommesso che lo avrebbe fatto quando un’azzurra avesse vinto il mondiale e la vittoria di Elisa Balsamo ha fatto scattare le forbici.

Come tutti gli altri tecnici azzurri, anche il bergamasco è reduce dai meeting che si sono svolti a Milano per impostare i programmi e creare le sinergie in vista della prossima stagione. E come tutti i suoi colleghi appare entusiasta del lavoro svolto.

«Sono stati due giorni belli – dice – abbiamo fatto gruppo. Ognuno ha portato i propri programmi, che poi saranno valutati. Il presidente e Amadio hanno le idee chiare. La pandemia ha fatto saltare il banco, ma vogliamo recuperare. Uno dei punti del mio programma sarà quello di fare attività internazionale con le junior, che già due anni fa volevamo fare, ma il Covid lo ha impedito. Quindi cominceremo quasi sicuramente con la Gand-Wevelgem, che fanno anche gli junior maschi e gli under 23. Un bell’appuntamento di una nazionale unita».

Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Come ti approcci a questo ruolo? Diciamo che in fondo resti in casa tua… 

Il mio ruolo è la continuazione dell’ottimo lavoro di Dino (Salvoldi, ndr) con cui ho lavorato in questi 12 anni. Quindi resto in casa con responsabilità maggiori, in un ambiente in piena salute perché così lo ha lasciato il lavoro di Salvoldi. L’hanno mandato in un settore che aveva bisogno di un cambiamento e lui, se non è il più bravo, è di certo uno dei migliori della Federazione.

In assoluto c’è aria di continuità. Come gestirai le donne?

Per quanto riguarda le élite, ormai sono professioniste come gli uomini. Hanno il loro programma, i loro preparatori, il mental coach. Questa sarà una figura introdotta anche dalla Federazione nella persona di Elisabetta Borgia (in procinto di essere inserita anche in modo permanente alla Trek-Segafredo, ndr), che già seguiva alcune ragazze e ora fa parte del nostro staff. E’ in gambissima. Davvero si sta facendo un ottimo lavoro, che sarà l’ideale anche per il futuro

Se sono professioniste, dovrai seguirle le loro gare?

Andrò a vedere praticamente tutte le gare WorldTour. In alcune occasioni, quando ci sarà la concomitanza delle prove maschili, mi muoverò assieme a Bennati. Questo è un punto fermo, voglio seguire anche le grandi corse a tappe, anche se durante il Giro d’Italia c’è la concomitanza dei Giochi del Mediterraneo

Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Le nazionali di Salvoldi non prescindevano da alcuni punti fermi…

Ci sono delle atlete indiscutibili. Abbiamo la campionessa del mondo, Longo Borghini, Bastianelli. Abbiamo tantissimi nomi. C’è la Cavalli, Bertizzolo se torna ai suoi livelli. Sarà come con Dino, nessuna chiusura. Chi andrà forte, farà parte della nazionale, ovviamente con le caratteristiche giuste per il percorso. Vedremo i percorsi, darò le indicazioni alle interessate e assieme ai loro tecnici stabiliremo il miglior avvicinamento.

Cosa si sa dei percorsi?

Gli europei di Monaco di Baviera hanno qualche strappo nel tratto in linea, poi non sembrano difficili. I mondiali in Australia sembrano per velocisti, almeno da quanto hanno detto. Quindi servirà gente veloce e in Italia atlete con questo profilo non ci mancano. 

E’ uno svantaggio non avere più il controllo del gruppo pista?

E’ uno svantaggio se chi fa strada non ha la percezione dell’importanza della pista, ma io con Marco Velo e con Villa avrò dei contatti non dico giornalieri, ma ogni 2-3 giorni. Vogliamo creare un percorso e quindi non ci sarà nessunissimo problema. Siamo da tanto in Federazione, sappiamo come funziona. Io sono convinto che la pista sia fondamentale. Magari il prossimo anno le ragazze daranno più spazio alle loro società, ma dovranno fare richiami periodici che permettano loro di non perdere il colpo di pedale e tutto il resto. Nessuno si arroccherà in difesa e l’esperienza degli ultimi anni, delle donne e degli uomini, conferma che si va forte in pista e anche su strada.

Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
C’è polemica per gli juniores che passano professionisti, in realtà fra le donne è la regola…

La categoria juniores donne è una fase di studio. Devono capire quel che serve per diventare corridori. Quindi bisogna lavorare nel modo giusto, senza l’ossessione del risultato che semmai è la conseguenza indiretta del buon lavoro. Hanno bisogno di tutto, anche di capire come mangiare. Faccio un esempio: prendiamo una ragazza di 17 anni che va a scuola e in famiglia non ha nessuno sportivo. Magari è una banalità, ma se si allena appena uscita da scuola, che cosa dovrà mangiare e quando? Deve essere davvero una scuola, in modo che quando andranno nelle WorldTour, saranno preparate.

Sei a favore della creazione della categoria U23 per le donne?

Sono fermamente convinto che serva, perché c’è dispersione di talento fra le junior e le elite. Il livello è altissimo e nelle WorldTour corrono in sei, quindi è difficile entrare in squadra. Questo alla lunga diventa un problema. Con le U23, hai la gradualità di un livello vicino al tuo.

Ci saranno dei ritiri collegiali?

Per le junior di sicuro, per le grandi solo se ci sarà lo spazio e se qualcuna avrà necessità. Se ad esempio c’è un ritiro invernale del gruppo pista e due o tre stradiste hanno bisogno di lavorare, potranno andare con loro e ci sarò anche io. Non credo che torneremo in altura all’inizio dell’anno. Aveva un senso l’anno scorso con gli europei della pista a marzo, poi rinviati. Casomai si andrà in alto con le junior, sarà per spiegare loro a cosa serva e quali potrebbero essere le reazioni fisiologiche.

E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
Terrai lo stesso staff tecnico di sempre?

Ci sarà interscambio fra gruppi pista e strada, fra Dino e me e anche con quelli del professionismo. Invece sono contento di avere come collaboratrice la Rossella Callovi, che sarà preziosa anche per la pista.

Quindi, stringendo, sarai selezionatore con le elite, mentre con le junior entrerai anche nella preparazione?

Esatto! Come dicevo prima, faremo formazione nel rispetto delle società. Avrò un rapporto forte con loro, lo stesso già creato con Dino. Sanno come lavoro, non ci saranno problemi. Abbiamo sempre concordato le convocazioni, la linea resta la stessa.

Ma parliamo del commissario tecnico Sangalli. Hai detto di aver fatto 12 anni con Salvoldi e magari, se Di Rocco fosse rimasto presidente, ne avresti fatti altri 12. Hai mai avuto la voglia di uscire in prima persona?

No, perché io ho sempre lavorato bene, tranquillo. Non c’era questa necessità da parte mia. Neanche a livello di ambizione personale, perché ero contento di quella collaborazione. Non si trattava di dire chi fosse primo e chi il secondo. Lavoravamo agli stessi obiettivi, condividendo tutto. Il fatto di diventare tecnico neanche me lo aspettavo. E aggiungo che se non ci fosse stata questa necessità, forse non sarebbe neanche successo.

Quando te lo hanno detto?

Dopo i mondiali di Roubaix e dopo aver parlato con Dino. Prima doveva essere lui ad accettare. De Candido ha fatto tanto, ma la categoria è difficilissima. Per Dino sarà una grande sfida.

Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Il ciclismo come è entrato nella tua vita?

E’ una passione, non ho mai corso. Mio padre, che è mancato tantissimi anni fa, era ai mondiali di Coppi a Lugano nel 1953. Mio zio ha allenato i giovanissimi della Pagnoncelli e io andavo con lui per divertirmi un po’.

Sembri entusiasta…

Lo sono. Vorrei passasse il messaggio che nessuno è venuto a stravolgere il buon lavoro che si era fatto. Vedo Marco Velo molto competente e coinvolto con le crono, spero che si possa tornare presto ad avere il velodromo. Abbiamo bisogno di Montichiari, per le nazionali e per l’attività di base da cui arriva la nuova linfa. Se dici in giro che la nazionale italiana, dopo tutti i risultati che ha fatto, non ha un velodromo per allenarsi, forse non ci credono neanche. Dovremmo essere senza fino a marzo, ma sono certo che Dagnoni e Amadio non molleranno la presa. C’è davvero tanta voglia di fare bene…

Velocista in Italia, la solitudine e il velodromo che non c’è

10.11.2021
6 min
Salva

Fare il velocista (su pista) in Italia è molto suggestivo, ma in fondo è come vendere frigoriferi agli esquimesi. E d’altra parte le ultime scelte della Federazione fanno capire che l’intenzione di mettere mano al settore sia per ora piuttosto tiepida. Partendo da questo presupposto, sentire la voce di Matteo Bianchi è la cosa giusta da fare per raccontare che cosa significhi aver scelto le specialità veloci in Italia.

Matteo vive a Laives, sud di Bolzano. E proprio lì dove i più sognano i tornanti e le altezze delle Dolomiti, un bel giorno di qualche anno fa lui decise di guardare più in basso e di andare contro il comune modo di vivere il ciclismo.

«Velocisti si nasce o si diventa – sorride – io lo sono diventato. A un certo punto decidi se specializzarti nelle discipline di endurance o quelle veloci. Io ho corso su strada da allievo e fino al primo anno da junior, poi ho scelto. Il passaggio non è facile. In Germania ci sono squadre che fanno solo tornei di velocità, perché hanno un calendario completo. Qui non c’è niente di tutto questo. Le società danno la precedenza alla strada, devi avere la fortuna di trovarne una disposta a farsi carico della spesa in cambio di una visibilità davvero minima. Io per questo devo ringraziare tanto la Uc Trevigiani-Campana Imballaggi, perché ci crede e mi dà una grandissima mano. Essere velocista su pista da under 23 è un’altra cosa. Fai quasi un altro sport».

La voce sicura, vent’anni compiuti il 21 ottobre, il senso di ottimismo e fiducia che permea attraverso le parole. Matteo racconta di essersi diplomato, di essersi preso poi un anno sabbatico e ora di essere iscritto a Economia in una facoltà online che gli permette di conciliare lo studio e lo sport. Ma qua il problema è proprio il suo sport che non si concilia con quello che abbiamo a disposizione nella culla del ciclismo.

Che cosa fa un velocista?

Si allena e in teoria corre. Al velocista serve una parte di fondo, per cui esci con la bici da corsa. Ma siccome su strada i lavori specifici non puoi farli tanto bene, allora fai anche tanta pista e tanta palestra. D’estate mi sono allenato a Dalmine e a Montichiari. La mia ragazza vive a Milano, per cui ho una buona base logistica. Ma adesso Montichiari è chiuso e probabilmente dovrò allenarmi in velodromo all’aperto anche d’inverno, tra Dalmine e Busto Garolfo. Ci sarebbe anche quello di Mori, che è vicino casa mia, ma non c’è nessuno che possa aiutarmi dietro moto e allora non va bene. Di sicuro la stagione comincerà per tutti lo stesso giorno e quello che altri fanno al chiuso, dovrò riuscire a farlo comunque.

Si può parlare di solitudine del velocista?

E’ brutto da dire, ma è così. A volte parlo con amici e rivali olandesi e tedeschi e sentire il racconto di come vivono e si allenano loro fa pensare. In Italia siamo fermi, per colpa di tutti e di nessuno. Per fortuna da gennaio scorso assieme a Miriam Vece siamo entrati nel Gruppo Sportivo dell’Esercito, che ci aiuta con le spese. Ma l’Esercito non può costruire un velodromo per due-tre atleti.

Perché Amadio parlando di te ha fatto riferimento al Centro Uci di Aigle?

Sono un sacco di mesi che spingo per andarci. Il guaio è che non ci sono posti. Hanno un ostello che fa da base per i ragazzi della pista e ora sono pieni (il centro di Aigle nasce per dare supporto agli atleti di Paesi poco sviluppati, difficile reclamare un posto per gli italiani, oltre quello già ottenuto da Miriam Vece, ndr).

Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Sarebbe una soluzione?

La numero uno. Hai la pista, la palestra, un allenatore e talenti di alto livello con cui confrontarti e crescere. Nel 2019 mi invitarono per dieci giorni di stage e mi trovai benissimo. Poi concordo che vivere lassù in certi giorni possa essere duro affettivamente, ma sono cose da sopportare se hai un traguardo da raggiungere.

Essere velocista significa gonfiarsi come Harrie Lavreysen che domina il settore?

Negli ultimi dieci anni la velocità è cambiata. Mi sono confrontato più volte con Roberto Chiappa, che è stato l’ultimo velocista di alto livello dell’Italia, e sono cambiati i rapporti e il modo di fare le volate. Erano dei giganti anche loro, ma correvano in modo molto diverso da oggi.

Con che rapporti si corre?

Sono diversi in qualifica e in finale e per arrivare a quelli dei big, c’è da lavorare tanto. Da junior facevo il lancio con il 53×13, ora uso il 63×13-14. Quelli forti davanti mettono il 70. Ci si arriva per step, adesso non avrei la forza per lanciarlo. Negli anni di Chiappa usavano rapporti più corti e facevano sprint più brevi ad altissima frequenza di pedalata. Ora la volata finale del keirin dura praticamente per tre giri.

Come è fatta la settimana del velocista?

Varia in base ai programmi e alle gare. Di solito comunque fai 3 sedute in palestra, 3 in pista, a volte la doppia sessione e un giorno di recupero. Poi hai il giorno in cui esci su strada, inserendolo magari quando fai palestra, e lì dipende se hai o meno la disponibilità del velodromo.

La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
Che cosa vuoi dire?

Che se hai la pista, i lavori specifici li fai lì. Ma se come adesso la pista non c’è, allora devi provare a farli su strada. Solo che la bici da strada non è abbastanza performante, non è fatta per certe sollecitazioni e allora ci sarebbe quasi da usare su strada la bici da pista.

Senza freni e col fisso: ti è mai capitato?

Non ancora, ma so che si fa. Devi trovare una strada poco trafficata per fare partenze da fermo, senza arrivare mai al picco massimo di velocità. Altrimenti su strada fai 3-4 ore ed è anche il modo per distrarti un po’, perché quando lavori in pista devi essere molto concentrato.

Hai già un’idea di calendario per il prossimo anno?

Di solito il primo picco stagionale è a luglio con gli europei. Per prepararli si fanno internazionali di classe 1-2 e magari da elite non vai alle gare under 23. Prima del Covid i Paesi più frequentati erano Repubblica Ceca e Germania.

Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
In Italia cosa c’è?

A proposito di solitudine, in Italia non c’è niente. Dalle Sei Giorni estive il programma veloce è stato cancellato e magari li capisco se si trovano al via solo dieci atleti.

Allora perché un ragazzino dovrebbe appassionarsi a uno sport che non vede neanche in tivù?

Bella domanda (ride, ndr). In tivù riesci a vedere due gare all’anno, perché Eurosport almeno trasmette i mondiali. Ora è nata la Champions League, vediamo come andrà. Io mi appassionai da allievo, dopo aver partecipato ai tricolori. Prima facendo tutte le specialità, poi capendo che continuando nella velocità avrei avuto più risultati e più soddisfazioni.

In questa Italia che non si decide, le Olimpiadi di Parigi sono un obiettivo o un miraggio?

Un obiettivo. Bisogna vedere come evolve la situazione già quest’anno, perché mancano solo tre anni che nella vita di un atleta non sono tanti. Possiamo puntare alla qualifica, se però cambia il metodo di lavoro anche qua. Se potessi, andrei subito fuori. Forse, stando così le cose, è il solo modo per puntarci seriamente.

Amadio: «Ecco la mia squadra, ecco come è nata»

06.11.2021
6 min
Salva

La presentazione dei nuovi tecnici a Milano ha chiuso il cerchio. Ora Amadio, che delle nazionali è il team manager, ha davanti un weekend di lavoro in vista dell’incontro di lunedì e martedì in cui tutti i tecnici cominceranno a parlare di programmi e faranno prove di intesa. Senza troppi preamboli, lo abbiamo perciò tempestato di domande.

E’ davvero come allestire una squadra?

A livello tecnico direi di sì, ma ci sono differenze rispetto al calendario. Un team WorldTour ha più impegni importanti nella stagione, la nazionale ha appuntamenti per 12 mesi, anche se il focus restano europei e mondiali.

Entriamo nella scelta dei tecnici.

La decisione spetta al Presidente e al Consiglio Federale, ma ovviamente ci siamo confrontati spesso, perché poi dovrò lavorarci io. Non è stato semplice. I risultati dimostrano che si stava lavorando bene, per cui cambiare non era semplice.

Salvoldi lascia la nazionale donne a tre anni da Parigi e passa agli juniores
Salvoldi lascia la nazionale donne a tre anni da Parigi e passa agli juniores
Spostare Salvoldi agli juniores, ad esempio?

Il tema juniores, di cui parlammo già al mio insediamento, sta diventando sempre più importante. A causa di pochi fenomeni, per procuratori e squadre è normale pescare fra i più giovani. Invece io credo che la categoria U23 sia importante e quello che sta succedendo mi sembra esagerato. Ci può essere l’eccezione, ma tutti gli altri non sono all’altezza di un simile passaggio, anche se li trattassero con i guanti bianchi.

E Salvoldi cosa deve fare?

Salvoldi è la persona adatta, uno dei tecnici più qualificati, per ricreare la giusta cultura nelle squadre. Faremo attività internazionale, ma uno junior non è un professionista. Devono andare a scuola, crescere, divertirsi. Non devono stremarli. Poi è chiaro che se arriva l’offerta della Ineos, uno ci pensa, altrimenti passano ragazzi privi della giusta maturità. Rischiamo di perderne tanti, mentre basta guardare Colbrelli e Caruso per capire che si può crescere in modo graduale e arrivare in alto.

Cosa fa dunque il tecnico della nazionale?

Dino è preparato per entrare nel merito della preparazione, individuare le criticità nelle squadre e provare a ripartire dalla base. In più lui e tutti gli altri avranno a disposizione un pool di allenatori, nutrizionisti e mental coach con cui affrontare le varie situazioni.

Marco Villa, Filippo Ganna, mondiali pista Berlino 2020
Marco Villa, qui con Ganna ai mondiali di Berlino 2020, è il responsabile di tutta la pista
Marco Villa, Filippo Ganna, mondiali Berlino pista 2020
Marco Villa, qui con Ganna ai mondiali di Berlino 2020, è il responsabile di tutta la pista
Intanto Villa deve gestire le ragazze della pista.

Marco ha raggiunto una conoscenza e una maturità tali da poter coordinare bene il settore, ma ovviamente non farà tutto lui. Gestirà un pool di collaboratori, fra cui per il settore specifico Diego Bragato.

Fatto salvo lo spostamento di Salvoldi, pensi si possa parlare di continuità?

Abbiamo fatto dei cambiamenti strategici, ma il nocciolo rimane quello. Ora serve che tutti i tecnici collaborino e portino le loro competenze. Il ciclismo è cambiato tantissimo, il fatto che 3/4 del quartetto provenga da squadre WorldTour fa capire la necessità di incontrarsi con i team e condividere il programma. A parte Ganna e Milan che fanno sembrare tutto facile, c’è bisogno di grande programmazione.

Lunedì e martedì si comincia.

Sarà fondamentale averli tutti. Lunedì, strada e pista. Martedì, il fuoristrada. Entriamo nel calendario, nella preparazione e nella logistica. Ma questi incontri si ripeteranno, magari più specifici: delle verifiche periodiche a uso dei cittì.

Il settore velocità sembra ancora fermo…

Abbiamo due atleti come Miriam Vece e Matteo Bianchi che stanno crescendo e per i quali il centro di Aigle è il miglior riferimento perché possano allenarsi con velocisti di alto livello. Nel frattempo, con Villa che è referente anche per la velocità, si sta facendo un lavoro di monitoraggio sugli juniores per creare una struttura a partire dal 2023. Il settore dà tante medaglie, ma in Italia si è persa la cultura. A livello mondiale ci sono Nazioni fortissime, ma ad esempio la Francia va avanti dai tempi di Morelon, mentre qui la storia si è fermata e non è semplice riallacciare i fili. Bisogna ripartire dai gruppi sportivi militari per offrire una prospettiva di guadagno, intanto la nascita della Uci Champions League può essere allettante per gli atleti perché permette altre entrate.

Velo diventa tecnico del settore crono: «Ha competenza – dice Amadio – e la stima degli atleti»
Velo diventa tecnico del settore crono: «Ha competenza – dice Amadio – e la stima degli atleti»
Si era parlato di Ivan Quaranta come tecnico della velocità.

Ivan sarà collaboratore di Villa per il settore, però dobbiamo ancora capire come impostarlo.

Quanto è agile la struttura?

La Fci è una macchina grande, con un’infinità di aspetti da gestire. Molto macchinosa. Per le nazionali stiamo cercando di snellire i processi. Ma mi sono reso conto, dopo una vita nel ciclismo, che è un contenitore di abitudini stratificate da anni e difficili da cambiare.

Pensi che i tecnici abbiano accettato subito bene l’arrivo di Amadio?

Il mio ruolo dovrebbe metterli nelle condizioni di lavorare al meglio, cosa che ho cercato di fare da subito. Si sono ritrovati con qualcuno che li osserva e vuole che le cose siano fatte al meglio. Probabilmente si sono sentiti messi in discussione e questo ci ha permesso di mantenere la concentrazione dopo le Olimpiadi.

Intanto Basso alla Eolo sta ricostruendo un pezzetto di Liquigas. Gli manca solo Scirea…

Mario ha acquisito competenza in Liquigas poi in Uae e sarà un utile raccordo fra la nazionale e i team. Con Ivan ho parlato (sorride, ndr), Scirea resta con noi. Si è ben integrato con Amadori e Velo e farà bene con Bennati.

Velo e le crono.

Resta nel suo ruolo. La crono è una specialità che si deve conoscere, nelle dinamiche che la precedono e in quello che comporta. L’ho osservato alle Olimpiadi e ai mondiali, ha competenza e soprattutto la considerazione dagli atleti. A lui toccherà il compito di stilare un calendario nazionale di crono che sia funzionale agli appuntamenti azzurri.

Bennati tecnico dei professionisti: la scelta più difficile per cui c’erano diversi candidati, di cui però Amadio è super convinto
Bennati tecnico dei pro’: la scelta più difficile, ma Amadio è soddisfatto
E alla fine s’è scelto Bennati…

Si sono fatti tanti ragionamenti. Avevamo pensato anche di puntare su qualcuno che fosse già su ammiraglie importanti, come Bramati, Tosatto e Volpi. Poi abbiamo pensato di prendere un diesse per i vari appuntamenti

Un cittì a gettone?

Una cosa del genere, che si è fermata per il rischio di conflitti di interesse, che secondo me non ci sarebbero stati perché conosco la professionalità delle persone in ballo. Credo in ogni caso che Bennati sia la scelta migliore. Conosce l’ambiente. Ha smesso da poco. Ha fatto i corsi da direttore sportivo. Mi ha sempre dato ottime sensazioni, anche quando correva. E’ pacato, sa parlare al momento giusto e gestire le emozioni anche nella concitazione degli arrivi. Negli ultimi anni la sua crescita come atleta è andata nella direzione della gestione del team. Avrà il supporto di Velo e Scirea, sarà un ottimo tecnico.

Che rapporto ci sarà fra team manager e il cittì?

Lo stesso che c’è fra il team manager e il primo direttore sportivo. Ci sentiremo spesso, ma io sono a disposizione di tutti. Il cittì è Bennati, guiderà lui la squadra.

Acsi e Federazione, prove di intesa a Roma sulla sicurezza

03.11.2021
6 min
Salva

«Quello della sicurezza non è un tema nuovo purtroppo – dice Nibali al tavolo dell’Acsi – per questo anno dopo anno sono stati aggiunti nuovi strumenti. Il primo fu l’uso obbligatorio del casco in corsa. E’ normale, con la grande cultura del ciclismo in Italia, che tanti ragazzi si avvicinino alla bicicletta, in più l’e-Bike ha messo in sella tante persone alle prime armi. Il popolo italiano è cresciuto con le auto e anche se un po’ sta cambiando, i numeri degli incidenti che coinvolgono le bici sono impressionanti. Come utenti più esperti, riusciamo ad anticipare i problemi. Per gli altri la situazione è più complicata…».

Il forum sulla sicurezza voluto dall’Acsi si è svolto nel Salone d’Onore del Coni a Roma
Il forum sulla sicurezza voluto dall’Acsi si è svolto nel Salone d’Onore del Coni a Roma

Nibali e Agnoli

Roma, pomeriggio d’inizio novembre, Salone d’Onore del Coni al Foro Italico. L’Acsi ha organizzato un forum sulla sicurezza e ha scelto per farlo la casa dello sport italiano. Il presidente Malagò passa per gli onori di casa, risponde con due frasi di maniera, poi torna a un meeting sugli aspetti fiscali delle associazioni sportive. Fra gli ospiti chiamati a intervenire ci sono la Federazione e vari soggetti che di questa battaglia hanno fatto una ragione di impegno quotidiano. Per cui si riconoscono l’avvocato Federico Balconi, creatore di Zerosbatti, il Prefetto Sgalla in collegamento su Zoom, la stampa di settore e appunto Vincenzo Nibali. 

Il siciliano è arrivato da Fiuggi, dov’è ospite dei suoceri, assieme a Valerio Agnoli. La mattina l’hanno passata in gravel a coprirsi di fango. Il tempo di un saluto al telefono al neo cittì azzurro Bennati, scherzando sui 150 battiti medi di Valerio in appena due ore mentre lo Squalo si è fermato a 100, e il discorso prende il largo.

Tutto lo staff di Acsi, con Nibali. Da sinistra, il presidente Antonino Viti e accanto il suo vice Emiliano Borgna

Nel 2019, 253 morti

Antonino Viti è il presidente dell’Acsi. E’ un signore discreto che trasmette buone maniere, che prima racconta che l’associazione che presiede nacque proprio a Roma nel 1960 in occasione delle Olimpiadi. Ma quando snocciola i numeri, nella sala cala il silenzio.

«I dati Istat riferiti al 2019 – dice – parlano di 3.173 morti sulla strada, di questi 253 sono ciclisti, con un aumento del 15 per cento dal 2018. Nel 2020 la pandemia ha fatto esplodere il numero dei praticanti. La bici è sempre più amata, per allenamento, gara e turismo. Parliamo per l’Italia di 55 milioni di pernottamenti di turisti in bicicletta. Il prossimo passo è abbattere la barriera tra professionisti e praticanti per condividere le stesse esigenze e le problematiche comuni».

Il casco obbligatorio

Roberto Sgalla ha un curriculum imponente. E anche se adesso è direttore del Centro Studi Americani, in passato ha rivestito anche il ruolo di direttore della Polizia Stradale, per cui sul tema sicurezza ha sempre avuto l’occhio critico e la propensione a non… propendere necessariamente dalla parte dei ciclisti, ravvisandone spesso i comportamenti impropri. La Federazione però l’ha inserito nella Commissione sicurezza e in questa veste parla nel microfono del suo iPad.

«Il ciclismo – dice – è lo sport con più alta mortalità in rapporto al numero dei praticanti. In Italia c’è un numero eccessivo di gran fondo, che espongono i partecipanti a rischi impensabili. Abbiamo dei video che lo dimostrano (dirlo a casa di chi ha nelle gran fondo la sua ragione sociale è piuttosto singolare, ma il tema c’è, ndr). L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui il casco non è ancora obbligatorio. In cui sotto Covid si sono fatte ciclabili semplicemente comprando secchi di vernice e tracciando righe bianche, mentre ci sarebbe bisogno di infrastrutture più stabili».

Crisafulli, consigliere Fci, ha parlato di azione nell scuole e di scuola guida
Crisafulli, consigliere Fci, ha parlato di azione nell scuole e di scuola guida

Iniziare dalle scuole

Ci sarebbe bisogno soprattutto di concretezza, viene da pensare ascoltando gli interventi. E forse, come fa notare Nibali, anche una semplice striscia di vernice bianca sulla strada consente alle auto di sapere quale sia la loro corsia e mostra alle bici dove stare.

«Bisogna intervenire nelle scuole – spiega Gianantonio Crisafulli, consigliere federale addetto al cicloturismo – partendo magari dai ragazzi delle superiori, che si avviano a prendere la patente. Bisogna che si parli di più di biciclette nei corsi di scuola guida. I fondi europei per la ripartenza dal Covid hanno stanziato 750 milioni di euro per la creazione di ciclovie e per la ciclabilità urbana. In Italia la pista ciclabile è promiscua, ci sono ciclisti e pedoni, all’estero no. E’ bello andare al lavoro in bici, ma bisogna essere certi di ritrovarla all’uscita, per cui servono depositi sicuri. La manutenzione delle nostre strade è da Terzo Mondo. E da ultimo, bisognerebbe che i ciclisti fossero più educati. Sarà un percorso lungo, il Governo è a fine legislatura, magari non è il momento di affrontare il tema, sperando che nel frattempo quelle risorse vengano spesi nel modo giusto».

Il vero appello alla concretezza è arrivato da Emiliano Borgna, presidente di Acsi Ciclismo
Il vero appello alla concretezza è arrivato da Emiliano Borgna, presidente di Acsi Ciclismo

Basta parole

Valerio Piccioni, giornalista della Gazzetta che conduce il dibattito con Antonello Orlando della Rai, fa notare che anche l’ultima volta il Governo era in scadenza e si disse che non fosse il momento di parlarne. E a un tratto ti assale la sensazione che l’esercizio verbale abbia preso nuovamente il sopravvento sulla concretezza, che però torna quando parlano Emiliano Borgna e Federico Balconi: loro la concretezza l’hanno sposata.

«Dopo il lockdown – dice Borgna, vicepresidente Acsi e presidente di Acsi Ciclismo – sulle strade si è riversata un’utenza nuova e concordo sul fatto che per creare una cultura diversa servirà del tempo. Però intanto dobbiamo fare formazione per chi utilizza la bici e dobbiamo farlo insieme. Come Acsi ci occupiamo di sport di base, la Fci di sport olimpico: il nostro sforzo deve essere comune per il bene di chi va in bici».

Il patto tra Fci e Acsi l’ha annunciato a parole Crisafulli prima di scappare verso l’aeroporto ed è qualcosa su cui terremo lo sguardo, viste le tante promesse del passato. Fra i due enti non corre buon sangue. La Fci non vede di buon occhio l’Acsi per i numeri del tesseramento totalmente dalla loro parte, grazie a tariffe più abbordabili e a un’elasticità organizzativa che in Federazione per ora non sono in grado di garantire. E adesso che alla tessera Acsi si aggiunge l’iscrizione gratuita a Zerosbatti e l’accesso gratuito alla tutela legale, il pacchetto è completo.

Balconi e Nibali, Zerosbatti ha preso il volo grazie alla loro collaborazione
Balconi e Nibali, Zerosbatti ha preso il volo grazie alla loro collaborazione

L’omicidio stradale

Federico Balconi, che con Nibali e Johnny Carera, anche lui presente, s’è inventato Zerosbatti infatti chiude con parole nette e finalmente chiare. Intanto racconta la breve storia della sua associazione, che già da tempo vi abbiamo raccontato, poi fa notare che nell’ultimo anno, i 350 casi gestiti hanno visto incidenti fra ciclisti solitari e automobilisti distratti, dal telefono o chissà cos’altro. Il loro intervento è di supporto e mediazione. La base degli avvocati si è estesa a tutta Italia, con una rete territoriale che sta diventando sempre più importante (Nibali conferma ad esempio che Fausto Malucchi, suo avvocato di sempre, è entrato nella squadra).

«Anche se il codice della strada si riferisce alle bici in modo superato – chiude Balconi – vi è prevista la fattispecie del sorpasso delle bici ed è previsto anche il reato di omicidio stradale. Perciò, rivolgendomi anche e soprattutto agli amici della stampa, quando vi trovate davanti a un ciclista ucciso, smettete di usare parole come fatalità e parlate di omicidio. Forse è il modo perché la gente apra finalmente gli occhi».

C’è concretezza anche nell’annuncio che in settimana Antonino Viti sarà a colloquio con Valentina Vezzali, Sottosegretario allo Sport nel Governo Draghi, e le sottoporrà anche il delicato tema della sicurezza. Quei 253 morti e quelli che purtroppo verranno meritano leggi e non parole.

Bennati cittì: succede a Cassani. A Milano i nuovi tecnici azzurri

02.11.2021
6 min
Salva

«Ballerini mi ha insegnato una cosa importante – dice Bennati mentre è in auto di ritorno verso casa – che l’amicizia per un corridore è una cosa e il lavoro di tecnico è un’altra. Io e lui eravamo super amici, è stato anche mio testimone di nozze. Eppure nei due mondiali vinti da Bettini, io sono stato il corridore escluso. C’era una ragione tattica superiore e Franco tirò dritto».

Bennati cittì dell’Italia

Daniele Bennati succede a Davide Cassani nel ruolo di commissario tecnico dei professionisti (i due sono insieme nella foto di apertura alla Vigilia di Ponferrada 2014, quando il toscano fu per la prima volta regista della nazionale del romagnolo). Lo hanno ufficializzato stamattina a Milano durante una conferenza stampa organizzata dalla Federazione, ma se ne parlava da un pezzo. Con lui poi se ne ragionava da almeno quattro anni, da quando tra il serio e il faceto si cominciò a parlare di un possibile passaggio di Cassani alla guida del Giro d’Italia e dell’ammiraglia azzurra da occupare con qualcun altro. Le cose sono andate come tutti sappiamo e il risultato è che il Benna, 41 anni lo scorso 24 settembre, dal 2022 avrà le chiavi di quell’auto e tutte le incombenze che il ruolo comporta.

La strada corre sotto le ruote. Il navigatore l’ha mandato verso Cesena e poi da lì affronterà l’Appennino sulla via per Arezzo, dato che a Sasso Marconi a causa di un incidente la coda sembrava proibitiva

Oggi a Milano sono stati annunciati i nuovi tecnici federali. Bennati ai pro’, Salvoldi agli juniores
Oggi a Milano sono stati annunciati i nuovi tecnici federali
Da quanto tempo ci pensavi a questo incarico?

In realtà mi sono sempre ispirato alla figura di Alfredo Martini, che pure è inavvicinabile. I suoi modi mi hanno sempre affascinato. Poi sono diventato amico di Franco (Ballerini, ndr) con cui è nato un bellissimo rapporto. Mi è sempre piaciuto il suo carisma, la capacità di confrontarsi con gli atleti guardandoli negli occhi. Poi quando a fine carriera ho cambiato ruolo, mettendomi a fare il regista in corsa, erano gli altri a dirmelo

Dirti cosa?

Che ero tagliato per quel ruolo, che potevo fare il tecnico della nazionale. E a forza di sentirmelo dire, ho cominciato a farmelo frullare per la testa. Nel frattempo durante il covid ho preso i tre livelli da direttore sportivo, ma non pensavo ancora a questo ruolo. Mi ero portato avanti, avevo parlato con Ineos e Movistar, ma non avevo la necessità impellente di salire su un’ammiraglia.

E allora come è successo?

Una mattina mi squilla il telefono e leggo il nome di Dagnoni. Avevo il numero perché durante le Olimpiadi, con Iuri Chechi s’era fatta una trasmissione dal Vigorelli e mi era servito il suo contatto. Non lo conoscevo, visto il risultato delle elezioni, ci avevo messo una pietra sopra. Invece mi chiama e dice che avrebbe piacere a incontrarmi. Non ci ho messo molto a capire il perché. Così c’è stato il primo incontro con lui. Al secondo c’era anche Roberto Amadio. E poi sono iniziate varie consultazioni.

Cassani, Dagnoni e Amadio: siamo alla Coppi e Bartali, non si sa ancora se Davide sarà riconfermato
Dagnoni e Amadio, foto dalla Coppi e Bartali: il rinnovamento è in fase di lancio
E ora ci ritroviamo con Bennati tecnico della nazionale…

Oggi ero in quella conferenza stampa con la maglia azzurra che non vestivo da Bergen 2017. Devo ancora metabolizzare la cosa. Sono sincero! Ho delle idee per la testa che mi piacerebbe mettere in atto, ma ancora devo ordinare i pensieri e incontrarmi con gli altri tecnici. Una cosa l’ho ben chiara e oggi l’ho detta. E’ bella questa cosa di far provare il professionismo ai giovani portandoli alle gare italiane con la maglia azzurra, ma quella maglia va assolutamente meritata. Forse perché ricordo bene quanto ho dovuto sudarla la prima volta per metterla in una gara internazionale in Italia nel 1997 da junior.

E’ un ruolo di scelte e decisioni da comunicare…

Bettini mi ha detto spesso che si tratta della fase più delicata e non stento a credergli. E’ un ruolo in cui si devono prendere decisioni e l’esempio di Ballero che mi lasciò fuori quelle due volte me lo porto dentro.

Obiettivo maglia iridata?

Per forza. Firmerei anche subito per i quattro campionati europei vinti da Cassani, ma la priorità è il mondiale che manca dal 2008. Lo vinci se hai il fuoriclasse, oppure se hai tanti buoni corridori, che in Italia non mancano. Nel 2019 Trentin ha perso un mondiale che sembrava già vinto contro Pedersen, che non è un fuoriclasse, ma un buon corridore. In Italia abbiamo almeno 5-6 corridori di quello spessore. Il ciclismo sta cambiando, ma possiamo dire la nostra. Per cui serviranno fortuna e lavorare bene, ma si può provare a vincerlo.

Marino Amadori con Gazzoli: il romagnolo è stato confermato alla guida degli under 23
Marino Amadori con Gazzoli: il romagnolo è stato confermato alla guida degli under 23
Nella tua storia ci sono stati due mondiali controversi. Nel 2011 eri capitano e la squadra ti ha voltato le spalle. Nel 2016 eri il più forte, ma ugualmente si è corso per altri…

Il 2011 è stato una brutta parentesi personale. Magari non avrei vinto, ma potevo giocarmi il podio o perlomeno provarci. Non andavo piano. Ero uscito bene dalla Vuelta e in allenamento ero arrivato a fare 1.700 watt. Quella nazionale però era troppo giovane e io evidentemente non fui abbastanza leader. A causa di quel mondiale si rovinarono i miei rapporti con Bettini e anche lui in seguito ammise di aver sbagliato qualcosa nei miei confronti. Ci è capitato di parlarne, perché col tempo il rapporto si è ristabilito e adesso siamo buoni amici.

E il 2016?

Il 2016 e quello che feci forse sono il motivo per cui sono qui a fare il tecnico azzurro.

In che senso?

Il mondiale di Doha fu il giorno in cui io sono andato più forte di sempre sulla bici. Tutti sapevano che ero il più in forma, ma io da parte mia non potevo tradire i compagni e il tecnico con cui mi ero impegnato a lavorare per arrivare in volata. Non mi pento di quello che ho fatto, né in corsa ho mai pensato di rimangiarmi la parola. Quel mondiale è un esempio che porterò ai miei ragazzi parlando dei ruoli. Anche se nei giorni successivi feci fatica a dormire, perché se fossi stato un altro uomo, avrei potuto sfruttare l’occasione.

Salvoldi non seguirà più le donne, ma gli juniores. Il ruolo è di assoluto rilievo, ma il colpo per lui è stato duro
Salvoldi non seguirà più le donne, ma gli juniores, ruolo di assoluto rilievo
Bennati sarà un tecnico capace di cambiare idea?

Nella vita normale sono capace di farlo. Ci deve essere la capacità di ripensare a un decisione presa, anche per avere un piano di riserva che non guasta. Certo al mondiale si complica tutto, perché non ci sono le radioline e ti devi fidare ciecamente dei tuoi compagni… Dei tuoi compagni, Benna… Non sei più un corridore (ride, ndr). Ti devi fidare dei tuoi uomini ed essere chiaro con loro prima del via.

Si parla di nazionale come un team, cosa vedi di diverso?

Ho corso quattro mondiali, non ho mai visto come venivano preparati dietro le quinte. Arrivavo in hotel che era tutto pronto. Vedo però che Amadio vuole dare il senso di una sola grande squadra, per cui ci troveremo a Milano la prossima settimana per impostare programmi che siano legati dallo stesso filo. Come idea mi è piaciuta dall’inizio, ma devo metabolizzare il tutto, conoscere le persone e il loro modo di lavorare.

E a casa Bennati come l’hanno presa?

Forse si sono abituati loro all’idea più di me. Dopo il secondo incontro erano sicuri, io mi ero preso del tempo per rifletterci ancora. Ma sono contenti, molto contenti…

EDITORIALE / Perché Tiberi non ha corso la crono under 23?

20.09.2021
4 min
Salva

Ai mondiali di Harrogate, facendosi notare per un rocambolesco cambio di bici nei primi metri di corsa, Antonio Tiberi portò a casa l’oro della crono juniores. Un grande risultato che faceva immaginare un futuro radioso sia per la sua carriera di club, sia ovviamente in nazionale. Uno che vince l’oro da junior te lo aspetti in azzurro anche da under 23. Ti aspetti che i tecnici federali se lo contendano, lo seguano, lo mettano al centro di un progetto che lo porterà negli anni successivi a giocarsi il titolo fra i grandi.

Il 2020 è stato l’anno balordo che tutti ricordiamo, per cui gli under 23 non hanno avuto vetrine internazionali. Quest’anno qualche segnale fra i grandi Tiberi lo ha lanciato e giusto la scorsa settimana ha centrato un nono posto nella cronometro dello Skoda Tour of Luxembourg. E allora perché non è stato convocato per i mondiali under 23 della crono in Belgio? Perché non è stato organizzato per lui un piano di avvicinamento alle sfide di Bruges? E perché, volendo ampliare l’angolazione, non è stato portato al Tour de l’Avenir? 

Prima del via, Baroncini parlava di bici con Irizar e De Kort della Trek: l’anno prossimo sarà ai mondiali della crono?
Prima del via, Baroncini parlava di bici con Irizar e De Kort della Trek: l’anno prossimo sarà ai mondiali della crono?

Nessuna regola

L’Unione ciclistica internazionale non ha regole che impediscano agli atleti WorldTour di essere convocati, vige pertanto una sorta di blocco tutto italiano, per cui si preferisce puntare sugli atleti delle continental e delle squadre di dilettanti, aprendo al massimo la porta a quelli che provengono dalle professional, come confermano le ripetute convocazioni di Zana. Filosofia rispettabile, ma non condivisibile. Tiberi non avrebbe il diritto (sportivo) di continuare a crescere nella specialità con la quale ha reso grande il suo Paese? E non avrebbe lo stesso diritto Filippo Baroncini, che giusto oggi ha ottenuto il nono posto fra gli under 23, anche se dal prossimo anno sarà anche lui alla Trek-Segafredo?

Struttura unica

Per ammissione di Roberto Amadio, responsabile delle nazionali, con la sua organizzazione sportiva l’Italia rappresenta un’eccezione. E questo, ad avviso di chi scrive, rischia di penalizzare i nostri atleti se la Federazione per prima non deciderà di recitare nuovamente un ruolo da protagonista. Il punto forse è fare chiarezza su quale debba essere l’atteggiamento delle nazionali giovanili in questo Paese, culla del ciclismo e capace allo stesso tempo di aggrovigliarsi su se stesso, perdendo occasioni d’oro.

Come abbiamo già visto analizzando la situazione degli juniores, il tecnico federale fa il selezionatore e sta ai direttori sportivi preparare gli atleti. Un cambiamento introdotto quando il Centro Studi distribuì in giro la preziosa qualifica e ritenne che la Federazione potesse lavarsi le mani della preparazione degli atleti di interesse azzurro. I direttori sportivi sarebbero stati in grado, si disse, di gestire la preparazione dei ragazzi. Solo che, senza il filtro e la vigilanza federale, alcuni lo hanno fatto con l’ottica di farli crescere e altri avendo come unica stella polare il risultato.

Tiberi ha vinto il mondiale della crono nel 2019 nello Yorkshire. Qui con il tecnico De Candido
Tiberi ha vinto il mondiale della crono nel 2019 nello Yorkshire. Qui con il tecnico De Candido

Dubbio under 23

Che cosa si deve fare fra gli under 23? L’atleta che conquista un titolo mondiale va considerato un capitale dell’intero movimento nazionale e come tale gestito a quattro mani, fra il club e la Federazione? Oppure si volta la pagina e ci si lascia alle spalle la preziosa occasione di farlo crescere perché un domani porti a casa altre medaglie? Basterebbe semplicemente dirsi chiaramente quali siano gli obiettivi e attenersi alla normativa internazionale. Tutto il resto complica le cose e non rende giustizia ai corridori. Affrontare un mondiale contro i pari età è il solo modo per crescere ed è la chiave grazie alla quale la Federazione può monitorare gli step di crescita dei suoi atleti. Limitarsi a selezionarli, avendo identiche possibilità di vincere o perdere, non è gratificante per nessuno. Un tecnico federale dovrebbe avere il diritto, la possibilità e soprattutto la voglia di fare di più.

Bettini, dica lei: come è fatto il cittì della nazionale?

17.09.2021
6 min
Salva

Chissà se al momento di cercare un sostituto per Cassani qualcuno ha pensato per un secondo a Paolo Bettini. Il campione olimpico di Atene lasciò la nazionale alla fine del 2013, dopo aver visto sfumare il mondiale di Firenze con la caduta di Nibali. Alla partenza dal diluvio di Lucca, tutto l’ambiente si era accorto della presenza di Fernando Alonso. Il pilota spagnolo aveva rotto gli indugi e sembrava sul punto di lanciare la sua squadra di ciclismo. Bettini gli diede fiducia. Rinunciò a essere il cittì azzurro, ma alla fine non se ne fece niente.

Paolo era diventato cittì subito dopo la morte di Ballerini, per una sorta di obbligo morale dopo la lunga strada percorsa accanto all’amico Franco. La sua gestione azzurra, a parte alcune tensioni con il presidente Di Rocco, aveva avviato la nazionale lungo la direzione poi ripresa e sviluppata da Cassani. E soprattutto, nella nazionale di Bettini, i corridori stavano bene. C’erano i ritiri con i giovani delle altre categorie. I piloti dei caccia militari che parlavano di motivazioni. C’era l’orgoglio di appartenere a un club esclusivo, il cui comandante era uno di loro. Sceso da poco di bici, dopo aver vinto appunto tutto quello che c’era da vincere.

Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Bettini scelse di ritirarsi con la maglia azzurra: il mondiale di Varese fu la sua ultima gara
Perciò, caro Paolo, diccelo tu: cosa serve per fare il tecnico della nazionale?

Devi essere un grande psicologo con un’altrettanto grande esperienza sul campo. Un selezionatore che non prepara i suoi atleti. Nessun cittì dei professionisti prepara i suoi atleti, malgrado quello che a volte si sente dire. Il cittì attinge al patrimonio nazionale e crea il miglior gruppo squadra per caratteristiche personali e resa. Non è la pallavolo in cui scegli in base agli avversari. Da noi comanda il percorso.

Un… gioco facile, insomma?

Non scherziamo. La parte più brutta è scegliere. Lo capii al debutto, nel 2010. Non era un mistero che Pozzato e Bennati non si prendessero e io non ero Alfredo Martini, che era capace di mettere insieme Moser e Saronni. Perciò per Geelong scelsi Pippo e significò rovinare i rapporti con Bennati. Li abbiamo ricuciti da poco, ora andiamo d’accordo, ma non fu facile.

Bello poter scegliere…

Allora c’erano tanti corridori, più di adesso. Le generazioni non sono mai uguali, ma non significa che fosse più facile. Devi comunque amalgamare il gruppo e Cassani lo ha fatto bene, riprendendo il mio lavoro che a sua volta seguiva da quello di Ballerini. Con lui si può essere critici quanto si vuole, ma al suo palmares manca solo il mondiale. Il resto l’ha vinto.

Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Per il primo mondiale nel 2010, Bettini puntò su Pozzato, che arrivò quarto
Che cosa può aver sbagliato?

Detto che ha lavorato bene, siamo diversi perché io sentivo la gara come un corridore. A Londra vennero i grandi del Coni e provarono a forzarmi la mano per portarmi alla cerimonia inaugurale. Mi dissero che non era possibile che prima da corridore e poi da tecnico io non avessi mai visto quell’evento. Ce la misero tutta, ma io dissi che sarei rimasto senza anche quella volta. I miei ragazzi avevano bisogno di me. In quei momenti, anche se nella vita di ogni giorno fanno i fenomeni, hanno bisogno di appoggio. Una vicinanza psicologica e il cittì deve esserci. Prima, durante e dopo la gara. Ricordate le barzellette di Alfredo ?

Impossibile dimenticarle…

Con le sue battute e i suoi racconti che contenevano il mondo, facevamo anche mezzanotte la sera prima del mondiale. Quest’anno Davide si è isolato con la squadra prima degli europei di Trento e ha parlato della vigilia più bella. Ecco, se posso, le vigilie avrebbe dovuto viverle tutte così. Senza dover seguire le prove di tutte le categorie, insomma. E se mi permetto questa critica, è perché queste cose le ho fatte.

Adesso alla guida delle nazionali c’è Amadio.

Credo che sia la persona migliore in quel ruolo. Prima delle elezioni mi chiesero di fare un nome per il possibile commissario tecnico e io feci il suo, ma così è anche meglio. Mi ricordo nel garage di Stoccarda quando Ballerini gli disse che dopo l’esclusione di Di Luca non avrebbe fatto correre Nibali, ma avrebbe richiamato Tosatto. Ricordo gli urli di quel giorno. Per cui quando vennero i mondiali del 2013, in cui non avrei convocato nessuno dei suoi atleti della Liquigas, ero pronto a discuterci. In più, avrei dovuto chiedergli la presenza di Archetti come meccanico e il camion officina. Invece mi spiazzò. Mi disse che capiva che stavo facendo delle scelte e mi disse di chiedere quello che mi serviva e lui me l’avrebbe dato.

Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Ai mondiali 2011 l’Italia corse con Bennati capitano, qui con Visconti
Dicci la verità, ti hanno proposto di tornare?

La verità? No e penso che la minestra riscaldata non sia buona. Ma parliamo di nazionale e avrei mancato di rispetto alla maglia azzurra se, qualora me lo avessero chiesto, non ci avessi almeno pensato.

Si parla di Fondriest, Pozzato, Bennati…

Maurizio è un grandissimo amico. Abbiamo condiviso tanti viaggi crociere con la Gazzetta e Giri d’Italia con Mediolanum. Però fa anche il preparatore e il procuratore. Pozzato uguale. Il più libero al momento è proprio Bennati. Ma questi sono discorsi teorici, perché se vale la regola che non devono esserci altri incarichi, Cassani sarebbe stato il primo a non poter essere nominato. Io fui etichettato come “cittì marchettaro”, perché il primo Giro d’Italia da tecnico lo feci con Mediolanum, senza costare un euro alla Federazione. Una parte della stampa mi asfaltò, mentre ora non ci si fa più caso.

Sei d’accordo con l’idea di un cittì a giornata?

Neanche per sogno. Significherebbe che la nazionale è diventata una baracchetta e il ciclismo smetterebbe di essere il secondo sport nazionale. Piuttosto, inventiamo il mestiere di tecnico della nazionale. Guardiamo ad esempio quanto guadagna quello del basket. Facciamo che il nuovo tecnico debba lasciare tutto quello che ha in ballo e firmi con la Federazione un contratto a progetto di 4 anni ben retribuito. Io sono andato avanti con contratti annuali, esposto alle critiche di 40 milioni di commissari tecnici. Ero l’ultimo a dover accettare quell’incarico, ma dissi di sì per rispetto verso Martini e Ballerini.

Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, in ricognizione sul percorso iridato
Il suo ultimo mondiale da tecnico fu Firenze 2013: qui con Nibali, sul percorso iridato
Quindi la strada giusta resta la loro?

Secondo me sì. Sono convinto che sia un ruolo talmente importante da dover essere un punto fisso. Il calendario ormai è strapieno di impegni, pari a quello delle altre discipline olimpiche, in cui il tecnico della nazionale è una figura di riferimento. E va pagato, come accade nelle altre federazioni.