Forza esplosiva: lo scalatore l’allena così…

24.12.2021
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Buttare giù il rapporto, alzarsi sui pedali e con una botta secca attaccare. Ecco l’immagine forse più bella del ciclismo, specie se in salita e a farla è uno scalatore. La forza, soprattutto quella esplosiva, quella in grado di fare le differenze in un ciclismo sempre più livellato, è al centro dei discorsi tecnici e atletici del ciclismo, ma forse sarebbe meglio dire dello sport. E’ così nel tennis, nella pallavolo, nel calcio… E chiaramente lo è ancora di più in uno sport come quello del pedale in cui vince chi arriva prima.

Come dicevamo, l’attacco brutale è uno dei momenti più intensi. Pensiamo a Pantani, alle bordate di Contador e anche a quelle di Fabio Aru. Ma alle spalle c’è un grande lavoro e proprio al sardo chiediamo come allenava questa sua caratteristica.

Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Lo scatto secco era una delle armi vincenti di Fabio Aru
Fabio, l’esplosività è importantissima per uno scalatore che deve fare la differenza. Come la allenavi?

Ricordo che da dilettante, ma anche da professionista, cercavo la classica salita a tornanti e rilanciavo alla morte o quasi all’uscita di ognuno. Cercavo salite con 10-20 tornanti. E quando non era così, in allenamento si cercava di fare un passo bello sostenuto. Mi sono accorto che quando attaccavo, dovevo davvero spingere forte. Inutile insistere sul medio. Era tutto soglia e fuori soglia.

Che tipologie di lavori facevi?

Lavori brevi e intensi, ma che non fanno solo gli scalatori, magari loro ne fanno un po’ di più. Penso ai 40”-20“, ai 20”-40”, ai 30”-30”. Quando la parte intensa erano i 40”, li facevo a soglia o appena sopra, quando erano i 20” li facevo a tutta. E lo stesso metodo, una via di mezzo, valeva per i 30”-30”.

E quante ripetute facevi?

Facevo queste variazioni per dieci minuti, poi man mano che andavo avanti con la condizione, ripetevo i dieci minuti due volte, tre nei periodi più intensi di carico. Ma sono arrivato a farle anche quattro volte.

Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Per i suoi lavori esplosivi Aru andava alla ricerca di salite con molti tornanti
Come gestivi i 20”-40”, che sono i più esplosivi?

I 20 secondi erano davvero fatti forte, pieno fuori soglia. Mentre il recupero, i 40”, erano ad un ritmo più blando. Ma non si trattava di un recupero totale, si andava in quella che per me era la “zona due”, vale a dire sui 300 watt. Ai tempi dell’Astana con Slongo e Mazzoleni abbiamo fatto spesso lavori così.

E i 40”-20”?

I 40 secondi erano fatti poco al di sopra della soglia, mentre i 20 secondi erano un recupero più completo.

E invece la palestra è prevista nel “menu” dello scalatore?

Sì, io ne facevo soprattutto d’inverno. Parecchie ripetute veloci sui 15″-20” a prescindere dall’esercizio, magari con poco peso.

E la facevi anche nel pieno della stagione?

Andavo in palestra soprattutto d’inverno, ma è capitato di riprenderla anche in stagione nel periodo dello stacco estivo. Durante le corse invece non ne facevo.

Contador dava vere fucilate. Soprattutto se c’erano salite pedalabili, era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Contador era in grado di spingere il 53 come pochi e di procedere poi in agilità
Nell’arco della settimana quanti lavori specifici facevi per la salita?

Di salita ce n’era sempre, ad esclusione della sgambata, quindi almeno cinque volte su sette. Comunque non facevo mai meno di mille metri di dislivello. Se invece intendete dei carichi importanti, intensi, quelli non erano più di due volte a settimana. Consideriamo che anche le SFR sono lavori per la salita, quindi già saremmo a tre volte. Anche se poi le SFR non riguardano solo la salita, però sono degli specifici che si fanno dove la strada sale.

Cosa ti passava per la testa quando facevi quei lavori sui tornanti? C’era anche una sorta di tensione?

Sicuramente ero molto concentrato, ma era più stimolante quando c’erano anche altri: subentrava la sfida. Magari in quel caso c’era sempre un passo piuttosto spinto. Ma quando si è motivati, si spingeva forte anche da soli. Un atleta si basa molto sulle sue sensazioni. Ricordo di essere tornato a casa alcune volte contento e motivato perché le sensazioni erano state più che positive ed altre volte, invece, di essere rientrato con le orecchie basse. Poi tensione vera e propria no, era pur sempre un allenamento.

E invece le volate in pianura: l’allenamento dello scalatore esplosivo passa anche da quelle? Ti è capitato di farle?

Non spessissimo, ma mi è capitato. Eseguivo le volate quando facevo la ruota fissa, tipo con il 53×14. Facevo delle partenze quasi da fermo, da 10 chilometri orari. E mi è capitato di fare anche delle volate vere proprie.

E poi sentivi la differenza in salita?

Sì, servivano anche quelle per scattare forte in salita.

Giro: sul “piattone” della tappa 11 critiche giuste o sbagliate?

17.11.2021
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Su alcuni social è stata fortemente criticata la tappa numero 11 del prossimo Giro d’Italia, la Sant’Arcangelo di Romagna-Reggio Emilia: 201 chilometri piatti come un biliardo, quasi tutti lungo la Via Emilia (foto di apertura). «Sarà una noia mortale». «Basterà accendere la Tv solo negli ultimi cinque chilometri». E ancora: «Oggi è improponibile una tappa così». «Sembra una tappa d’inizio Tour di qualche anno fa».

Commenti negativi dunque, ma davvero è così brutta una frazione del genere? Anche se valutata nel contesto di una gara che si disputa nell’arco di tre settimane?

Ne parliamo con tre corridori che rispondono ad altrettante categorie: un velocista, Alessandro Petacchi, un attaccante da percorsi misti, Andrea Vendrame, e uno scalatore, Fabio Aru.

Parola al velocista

«Oggi organizzare un Giro non è semplice – dice Petacchi – Si parte e si arriva nelle località che richiedono l’ospitalità e che pagano. Le frazioni vengono disegnate in base a queste. Se Mauro Vegni avesse avuto a disposizione un budget maggiore probabilmente avrebbe disegnato un Giro migliore. Ma in questo caso se deve fare un collegamento tra queste due località… deve passare di lì (vanno considerate anche le località che ospitano i traguardi volanti, ndr). E se l’Italia è fatta così c’è poco da fare».

Ale Jet poi continua. E a dire il vero un po’ ci stupisce…

«Una tappa così è noiosa anche per i corridori e non solo per chi la guarda da casa. Non è come la pianura francese o quella spagnola dove spesso piove, c’è vento o sono vallonate. In quel caso non sarebbe noiosa per nessuno. Al Tour o alla Vuelta non esiste una tappa così. In Francia soprattutto anche quando è piatta fai 2.000 metri di dislivello, ma come ripeto il territorio italiano è così».

A questo punto facciamo notare a Petacchi che negli ultimi anni le frazioni per gli sprinter erano arrivate a 1.800-2.500 metri di dislivello e che gli stessi velocisti si dovevano “guadagnare” la volata. A loro dovrebbe andare bene una frazione così.

«Non è detto che una tappa piatta sia per forza per un velocista – conclude l’ex sprinter – Io non aspettavo le frazioni piatte per fare la volata. Non bisogna pensare che questa frazione sia stata fatta per i velocisti, ma semplicemente perché è capitata in pianura. Se avessero voluto le colline sarebbero passati dalla Toscana».

La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello
La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello

Parola all’attaccante

Andrea Vendrame è un vero attaccante e i percorsi vallonati sono il suo terreno. Da buon cacciatore di tappe, la prima cosa che è andato a guardare è stata la collocazione della Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia. Se arriva cioè dopo frazioni intermedie, dopo un giorno di riposo o prima di una tappa di montagna.

«Duecento chilometri non sono pochi – spiega Vendrame – oggi anche 150 chilometri fanno la differenza e in tappe così lunghe e piatte già si sa che al 99,9% si arriverà in volata. Ho chiesto conferma su come fosse collocata perché se volevano creare un giorno di riposo attivo dovevano metterla prima di un tappone di montagna. L’anno scorso la tappa di Bagno di Romagna (che vinse proprio Vendrame, ndr) alla fine fece registrare 4.500 metri di dislivello e la tappa del giorno dopo, la Ravenna-Verona fu un giorno di transizione prima dello Zoncolan e di Cortina, anche per questo motivo.

«Dal mio punto di vista, essendo posizionata tra due tappe intermedie è un bene. Mi consente di recuperare un po’. Se ci fossero state due frazioni adatte a me attaccate mi sarei focalizzato di più su una. In questo modo invece posso recuperare un po’ e puntare ad entrambe. Si tratta di un recupero attivo, perché 200 chilometri non sono comunque una passeggiata, ma vedendola così sembra abbastanza soft».

Appurato il fatto che Vendrame in qualche modo può trarne vantaggio, il veneto parla poi dal punto di vista dei tifosi.

«Sarà poco spettacolare per il pubblico e “bella per noi corridori”, anche se fare 200 chilometri piatti ha poco senso. Un po’ quindi hanno ragione i tifosi quando dicono che ci sarà spettacolo solo nel finale.

«Se un corridore si annoia in una frazione così? Eh, diciamo che la distanza non è poca, ma se ci si trova un buon compagno di chiacchierate il tempo passa!».

Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente
Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente

Parola allo scalatore

Anche se Fabio Aru ha appeso la bici al chiodo resta uno scalatore. E ancora di più un uomo di classifica.

«Questa tappa è stata criticata: e perché, che problema c’è? – si chiede il sardo – Capisco l’attesa dei tifosi che vorrebbero sempre avere l’arrivo su uno strappo, in fondo ad una discesa o su una salita, però una tappa del genere non la vedo come un male. E poi non è detto che non possa esserci spettacolo. Se c’è vento? Anche una tappa piatta può diventare dura, credetemi. Nel vento si possono fare gli stessi wattaggi che in salita. Non è detto insomma che sia noiosa. Tante volte dalla Tv non si vede, non si percepisce la velocità o lo stress che c’è in gruppo.

Anche se la tappa 11 misura 201 chilometri è però un “mezzo giorno di riposo” per gli uomini di classifica. E Aru lo ammette.

«Se al mattino ti svegli e vedi che non piove e non tira vento, sì: la prendi come una giornata di quasi riposo. La prendi in tranquillità, soprattutto nella prima parte. Sai che magari andrà via una fuga e che dovrai stare attento gli ultimi 30-40 chilometri. Ecco, lì non è facile per gli uomini di classifica. Nell’ultima ora di gara l’insidia ci può essere sempre. Ricordate quest’anno quando è caduto Landa? Anche quella era una tappa per velocisti.

«No, io non ci vedo niente di male – conclude Aru – Pensiamo ai velocisti puri. E poi da quello che ho visto il prossimo Giro dovrebbe essere molto duro, con tante tappe che piacciono ai tifosi».

Aru e Baroncini, amicizia a sorpresa sulle strade dei Sibillini

25.10.2021
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Hanno pedalato fianco a fianco per tutto il finale, almeno per 15 chilometri (in apertura nella foto di Martino Areniello). Poi si sono seduti allo Spuntino di Montegallo e hanno continuato a tavola fino al pomeriggio inoltrato, mentre fuori il ristoro andava avanti in una giornata d’autunno al profumo di lenticchia, di farro e d’inverno. Aru e Baroncini: un ex corridore e uno che si sta appena affacciando sulla scena. Due che tecnicamente non si somigliano neanche volendo e che invece si sono scoperti lungo i chilometri di #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sui Monti Sibillini, nata nel 2016 dopo il primo terremoto e aggrappata con le unghie al suo grande obiettivo.

Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record
Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record

Dieci anni giusti

Il primo è nato il 30 luglio del 1990. Il secondo il 26 agosto di dieci anni dopo. Il primo ha vinto bene da U23, spingendo parecchio in salita e con le diete, poi si è portato a casa la Vuelta, due podi al Giro, la maglia tricolore e un assaggio della gialla. Il secondo ha appena conquistato l’iride degli U23 e debutterà nel 2022 con la Trek-Segafredo. Giusto dieci anni dopo il battesimo del sardo, che passò con l’Astana nel 2012. Numeri che tornano e pensieri che si accavallano.

Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco
Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco

Aru da Lugano

Il corridore che smette te lo immagini finito. Scavato, demotivato e scarico. Aru è arrivato sorridendo di buon mattino, con un paio di chili in più rispetto alla Vuelta, ma in gran forma. Ha viaggiato da Lugano con Maurizio Anzalone, compagno fra i dilettanti, amico e lo scorso anno sua spalla nell’avventura del cross. Potrebbe correre anche subito, ma forse il sollievo nel suo sguardo deriva proprio dall’aver preso la decisione di smettere. Diventerà testimonial di brand del ciclismo, alcuni che già lo hanno sostenuto, e poi non nasconde che gli piacerebbe fare qualcosa per il ciclismo in Sardegna.

«Baroncini – dice – mi è parso veramente bravo. Non lo lo conoscevo e veramente mi ha fatto un’ottima impressione. Mi ha fatto piacere scambiarci due parole. Un bravo ragazzo si vede subito. E lui sembra una persona intelligente, umile, per niente montato, anche dopo una vittoria così importante come il mondiale. Benvenga, sicuramente questi sono buoni presupposti per un gran futuro». 

Tratti in comune

Anche Fabio ai suoi 21 anni era così. Semplice, piedi per terra. Ambizioso come si può essere dopo aver assaporato la grande vittoria, ma abbastanza intelligente da stare al suo posto.

«Mi ha chiesto un po’ di tutto – racconta – abbiamo parlato un po’ della della mia carriera, un po’ di vacanze visto che il periodo si avvicina. Mi ha chiesto qualche consiglio per quanto riguarda l’avvicinamento ai professionisti. E un po’ davvero mi ci rivedo. Ha un bell’entusiasmo, ma anche la sua semplicità mi ha fatto molto piacere. In un periodo in cui, non è per criticare, le nuove leve hanno meno i piedi per terra e si vedono alcuni ragazzi un po’ esaltati. E questo non mi piaceva molto…».

Baroncini, padre e figlio

Baroncini è arrivato con suo padre Carlo da Massa Lombarda, entrambi altissimi. #NoiConVoi aveva avuto al via la maglia di campione d’Europa di Marta Bastianelli, mai però quella iridata nella quale il romagnolo sembra ancora più statuario. La strada è lunga, i presupposti perché possa percorrerla bene ci sono tutti.

Al via, il campione del mondo ha realizzato la sua storia su Instagram e posato per tante foto. Ha fatto due chiacchiere con Gilberto Simoni, che lo ha visto correre a San Daniele del Friuli e insieme hanno commentato il lungo inseguimento. Poi, dopo aver affrontato con… dignità gli ultimi tre chilometri di salita piuttosto impegnativa, il romagnolo ha posato per qualche foto all’interno delle strutture donate dopo il terremoto da associazioni emiliane e romagnole, accolto per questo come un eroe.

«Con Fabio – dice – abbiamo parlato un po’ di tutto. Mi ha dato un po’ di dritte anche per come arrivare ai primi ritiri. Gli ho chiesto se ci sia tanta fretta, oppure si possa fare con calma. Mi ha detto che comunque è meglio arrivarci un pelo pronti. Poi abbiamo parlato del più e del meno, anche della vita fuori corsa. Di come gestire le interviste, perché comunque lui ha tanta esperienza su quelle. Non lo conoscevo, mi ha fatto piacere».

Aru, ricordo di Scarponi

Prima di andare, Aru e Baro si sono guardati intorno per l’ultima volta e poi sono partiti verso casa.

«Fa un certo effetto – dice Baroncini – vedere ancora sulle case i segni del terremoto».

«Sinceramente – dice Aru – un giorno è troppo poco per vedere tutto, ma sicuramente il motivo di questa manifestazione è molto importante. Per troppi anni ho rimandato l’appuntamento. Della prima edizione ricordo che mi parlò Scarponi, l’ho detto a qualcuno poco fa in gruppo. Nel 2017 eravamo ancora in squadra insieme e mi raccontò di quando venne nel 2016 per la prima edizione…»

Michele avrebbe partecipato anche nel 2017, la storia è nota. Ma la sua vita si fermò ben prima. Troppo presto. Per questo la manifestazione porterà per sempre il suo nome.

Aru, l’ultima tappa di un cammino non sempre agevole

07.09.2021
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La fine del cammino è segnata dal tic tac. Con i loro bastoncini da nordic walking, i pellegrini si mettono stanchi e sorridenti in coda, davanti all’Oficina de Acogida per mettere il “sello”, il sigillo sul loro registro di viaggio. Poco più in là, davanti alla Cattedrale di Santiago di Compostela, un altro tic tac, quello del cronometro, scandisce le ultime pedalate della carriera di Fabio Aru. Il Cavaliere dei 4 Mori ha scelto la Spagna, dove fu consacrato re nel 2015, per scendere di sella. Voleva conservare nelle orecchie e nel cuore l’applauso di un pubblico che l’ha conosciuto nel massimo splendore, che non l’ha dimenticato.

La scena perfetta

La scena è semplicemente perfetta, forse neppure lui se lo sarebbe potuto immaginare. Taglia il traguardo mentre la voce inconfondibile dello speaker Juan Mari Guajardo lo acclama. Sale sulla rampa che porta al podio allargando il suo sorriso più felice, quello dei giorni migliori e si lascia travolgere dagli applausi, dagli abbracci. Ci sono i suoi compagni, lo staff della Qhubeka-NextHash con la quale è rinato, ci sono mamma Antonella e papà Alessandro, c’è Valentina (che ha lasciato ai nonni la piccola Ginevra). E c’è il manager Alberto Ziliani che ha preparato per tutti magliette con la scritta “Il Cavaliere dei Quattro Mori” che ritraggono Fabio con le quattro maglie più importanti: tricolore, gialla, rosa e roja. Fabio è confuso, emozionatissimo, ringrazia e sorride. Improvvisamente è di nuovo al 100 per cento il campione che ha voluto essere, non sempre riuscendoci, non sempre per demerito proprio. 

La squadra gli ha riconosciuto l’impegno, tributandogli un saluto molto caloroso
La squadra gli ha riconosciuto l’impegno, tributandogli un saluto molto caloroso

Scrive Locatelli

Fabio abbraccia i genitori, come faceva quando li salutava nelle rare visite sul “continente”, ai tempi della Palazzago e della rigorosa conduzione di Olivano Locatelli. «E’ stato il solo che ha tirato fuori tutto il meglio di me a livello caratteriale, la grinta, la voglia di non mollare mai. Anche in questa Vuelta, lui che non scrive mai a nessuno, a me ha mandato un messaggio in cui mi diceva di non mollare. Ed è ciò che ho imparato da lui».

In quell’abbraccio c’è la riconoscenza verso chi gli ha consentito di spiccare il volo. Fabio ha trovato in casa le risorse per inseguire il proprio sogno, con “caparbietà”. Poi abbraccia a lungo Valentina, la donna della sua vita: «Lei è senza ombra di dubbio sopra tutti. E’ parte del mio percorso e di me stesso».

Del passato e del futuro, come lo sono stati tanti personaggi che idealmente sono ai piedi di quel palco, lungo quel “cammino” che per Fabio non è stato forse un pellegrinaggio, ma certo ha avuto tanti momenti di sofferenza. Entusiasmante nella prima fase, dal ciclocross ai successi da under 23 (doppio Val d’Aosta, su tutti). Dal debutto con podio in Colorado nel 2012 al trionfo nel Giro 2013 come gregario di Vincenzo Nibali. E poi le due annate d’oro, il 2014 e 2015 con i tre gradini del podio di Giro e Vuelta, il 2016 olimpico, il 2017 tricolore e giallo.

Dalla Sardegna, oltre a Carlo Alberto Melis, sono arrivati i genitori Alesandro e Antonella
Dalla Sardegna, oltre a Carlo Alberto Melis, sono arrivati i genitori Alesandro e Antonella

Figure chiave

Due i personaggi-cardine di quel periodo dell’Astana. Il primo è Paolo Tiralongo. «Con Tira abbiamo passato molti bei momenti e mi godo più quelli da corridore che non gli ultimi anni, come la sua vittoria al Giro. Quelli sono stati i momenti migliori».

L’altro è Beppe Martinelli: «A Martino devo la tattica, l’esperienza sui percorsi». Un rapporto schietto, intenso: «Da parte mia con certe persone il rapporto è sempre profondo».

Anche nel periodo buio della Uae Emirates, con l’operazione all’arteria iliaca e la difficile risalita, ci sono stati personaggi di spicco. Matxin o Saronni? «Matxin tutta la vita! A lui voglio bene e gliene vorrò sempre, una persona che mi ha dato e mi ha lasciato tanto, Saronni per me non esiste».

Le scelte di getto

Ecco, da lì in poi il percorso di Fabio Aru diventa un cammino in salita, talvolta al buio. Fabio, che recentemente ha rivelato a Famiglia Cristiana la propria fede, si chiude, come fa quando non riesce a dare in corsa la miglior immagine di sé. I suoi interlocutori sono selezionatissimi, evita i proclami, lavora in silenzio e in silenzio soffre per quelle critiche che arrivano come un fuoco amico. Spesso ha detto di non essersi mai allenato con l’intensità e la costanza degli anni in cui non ha vinto. «Le decisioni che ho preso di getto si sono rivelate meno buone», ammette. Tra queste, la scelta di alcune persone che accanto a lui non hanno funzionato. E in quei momenti che il filo invisibile con la Sardegna è stato la sua salvezza. Il conforto degli amici veri gli ha fatto digerire il voltafaccia dei finti tifosi. «Sono sempre stato nell’occhio del ciclone, si parla spesso di me, fa notizia se non arrivano i risultati. Adesso magari se ne parlerà un po’ meno…», dice tradendo l’amarezza.

Sorridente alle interviste alla fine del cammino, come dopo essersi tolto un peso dalle spalle
Sorridente alle interviste alla fine del cammino, come dopo essersi tolto un peso dalle spalle

L’asticella sempre alta

Sul podio della Vuelta (con la bandiera sarda che lo fece ribattezzare da Riccardo Magrini “Il Cavaliere dei 4 Mori”) o ciondolante sulla bici in coda al gruppo nei giorni più bui, Fabio è sempre rimasto se stesso. Ed è così, può piacere o no. Il suo carattere testardo, deciso, lo ha fatto arrivare dove le gambe non lo avrebbero portato. La sua determinazione lo ha spinto oltre un’asticella che ha sempre cercato di sollevare al massimo. Ha sempre voluto competere al massimo livello. Soltanto quest’anno, quando è entrato in una squadra diversa dalle altre, la Qhubeka-NextHash dopo la consapevole rinuncia al Tour de France, ha accettato di ridimensionarsi. In Romania ha fatto una scelta in linea con quella di tornare alla semplicità del fango, al ciclocross. E lì ha ritrovato la sua dimensione. Quella di corridore d’attacco, a caccia della vittoria.

E con la mascherina si riconosce Valentina Bugnone, sua compagna e mamma di Ginevra, rimasta con i nonni
E con la mascherina si riconosce Valentina Bugnone, sua compagna e mamma di Ginevra, rimasta con i nonni

Cuore sardo

A quel punto ha capito di essere nel punto giusto del cammino. Gli mancava fare la stessa cosa al cospetto dei rivali più forti e il secondo posto di Burgos lo ha fatto sentire di nuovo Fabio Aru. Adesso poteva lasciare senza che sembrasse una fuga dall’incubo. Ha scelto lui quando smettere, ha fatto di testa sua, come sempre. Scende dalla bici a 31 anni e 2 mesi, la stessa età che aveva Gigi Riva quando lasciò il calcio accasciandosi sul prato con un grido di dolore. Fabio Aru lascia con il sorriso, dopo aver dato un nuovo simbolo alla Sardegna che già ne sente la mancanza e ha chi gli chiede perché risponde: «Perché voglio godere appieno della mia grande passione, andare in bicicletta».

Santiago de Compostela, i sorrisi diversi di Roglic e Aru

05.09.2021
4 min
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Primoz Roglic ha conquistato la terza Vuelta, dopo aver vinto il prologo di Burgos e altre tre vittorie di tappa, compresa la diciassettesima a Lagos de Covadonga e la crono finale a Santiago de Compostela.

«E’ stata un’altra bella giornata e sono state tre settimane bellissime – ha detto – sono molto felice per me stesso e per i ragazzi intorno a me. Questo è stato davvero un lavoro di squadra. E’ stata un’ultima crono difficile. Tuttavia mi hanno aiutato molto il pubblico e il supporto lungo la strada».

A fondo nel dolore

Con la bici nera e oro di campione olimpico, il leader della Jumbo-Visma ha trovato la testa e le gambe per replicare alla grande crono di Magnus Cort, che ormai sperava di avercela fatta.

«Ho solo cercato di concentrarmi sulla tappa – ha detto Roglic – e di fare del mio meglio. Sono andato veramente a fondo dentro me stesso, nel mio dolore. E’ incredibile, pazzesco. A volte si vince con una grande differenza, a volte con molta meno. Ma ogni modo di vincere è fantastico. L’abbiamo vissuta giorno per giorno. Ho fatto del mio meglio e mi sono divertito. E sono onorato di aver vinto per la terza volta».

Amore per la Spagna

Al di là della lotta per il podio e con la caparbia difesa di Jack Haig dall’attacco di Adam Yates, l’ultima crono a Santiago de Compostela è stata anche l’ultima gara di Fabio Aru. Un tema che nello stesso giorno abbiamo affrontato anche con Dario Cataldo e Giuseppe Martinelli.

«Gli ultimi 3 anni sono stati molto difficili per me – ha raccontato Fabio – ma proprio alla fine ho ritrovato un buon feeling con la bici. Mi mancava essere capace di attaccare e guidare con la libertà che provi quando puoi effettivamente fare la gara

«Nel 2014 ho vinto la mia prima gara da professionista al Giro d’Italia, è stato speciale. Quella vittoria ha cambiato la mia vita e ha fatto sì che le persone iniziassero a sapere chi sono. Ma quell’anno ho anche avuto modo di scoprire questo bellissimo Paese, la Spagna. E agli spagnoli piace il modo in cui corro. Ho sempre amato correre su queste strade e sulle grandi salite in giro per la Spagna, conservano tanti dei miei ricordi più belli».

«Di sicuro, felice…»

Il suo annuncio ha colpito, poi Fabio si è tuffato nella gara come ha sempre fatto nella sua carriera: a testa alta e stringendo i denti.

«Ho attraversato un periodo molto difficile in questa gara – ha detto – un grande ringraziamento va alla squadra per avermi aiutato, è stata di per sé una piccola vittoria. In questi ultimi giorni mi sono davvero divertito a dare il massimo. Essere davanti con la forza nelle gambe. Il supporto è stato speciale, ho ricevuto tante belle parole e vi ringrazio tutti. Certamente, avrò bisogno di alcuni giorni per capire completamente le mie sensazioni. Quindi è difficile dire in questo momento come mi sento. Ma di sicuro sono felice».

Martinelli su Aru: «Una sorpresa, ma ci ha pensato a lungo»

05.09.2021
5 min
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Martino è al Benelux Tour e giusto stamattina, andando alla partenza parlava col suo meccanico di quanto sia strano pensare che oggi Fabio Aru chiuderà la carriera. Il sardo è stato uno dei suoi ragazzi, come prima di lui lo furono Pantani, Cunego, in parte Simoni e in parte Nibali. Grandi campioni che fidandosi di lui e stando alle sue regole hanno ottenuto grandi risultati. E poi, per motivi che si somigliano sempre, hanno cambiato strada. Martino, al secolo Martinelli Giuseppe da Rovato, pensando ad Aru usa il termine “sorpresa” e a ben vedere la reazione davanti alla decisione di smettere dopo il ritorno ai piani alti è stata la stessa in tutti noi.

«Lo avevo incontrato prima dell’inverno – racconta – quando ancora non sapeva dove avrebbe corso. Nonostante l’incertezza, sembrava sul pezzo. Veniva da due stagioni non facili, eppure voleva ripartire. Poi l’ho visto a Burgos ed è andato indubbiamente bene, perché non si arriva secondo lì per caso. Per cui è proprio il caso di dire che la decisione mi ha sorpreso. Però conoscendolo, non ci è arrivato per un colpo di testa. Deve averlo meditato a lungo. E magari ha aspettato un risultato positivo per essere in pace con se stesso».

Oggi Fabio Aru chiuderà la sua carriera a Santiago de Compostela: l’annuncio a sorpresa dopo la Vuelta Burgos
Oggi Fabio Aru chiuderà la sua carriera a Santiago de Compostela: l’annuncio a sorpresa dopo la Vuelta Burgos

Martino è un fine conoscitore di uomini e anche se spesso se ne sta sulle sue, quando parla non è mai banale. A volte risulta scomodo, perché per abitudine va dritto ed è poco propenso al compromesso. Ma tant’è, non pensiamo che cambierà dopo 35 anni di carriera da direttore sportivo e lui peraltro non ne ha la minima intenzione.

A un certo punto Fabio se ne andò dall’Astana…

L’ho detto più di una volta ad altri giornalisti. Se ne è andato sbattendo un po’ la porta. Noi abbiamo fatto di tutto per tenerlo, ma evidentemente ha fatto una scelta di carriera e non di soldi, perché quelli li avrebbe presi anche qui. Magari non gli stessi, ma comunque tanti. Forse pensava di trovare qualcosa che qui non aveva, ma a me è dispiaciuto. Perché con me è nato. Ha vinto la Vuelta e ha fatto un secondo e un terzo al Giro. Ha vinto un italiano e ha preso la maglia gialla del Tour…

Che cosa cercava?

Magari ha pensato che qui in Astana qualcosa non funzionasse. Il rapporto con me era buono, ma ci siamo anche presi. Sono esigente. Se devo dire una cosa, non sto zitto. Forse voleva un altro Martino o uno meglio di me. Un po’ mi dispiaceva vederlo in difficoltà, ma non l’ho mai chiamato per rincuorarlo. Lui era là, io ero di qua. Sono fatto così, ho il mio carattere.

Nel 2015 dopo il podio del Giro, arriva la vittoria della Vuelta. Il ritiro è una vera sorpresa
Nel 2015 dopo il podio del Giro, arriva la vittoria della Vuelta. Il ritiro è una vera sorpresa
Proprio il carattere si diceva fosse un suo limite, molto cocciuto. Molto sardo…

Aveva il suo “io” nel dna. Ci scontravamo su cose che lui pensava fossero o dovessero andare in un certo modo, mentre io gli dicevo che non era così. Si poneva con convinzioni che alla fine lo condizionavano, senza ascoltare che magari le cose potessero essere diverse. Il suo inizio di carriera è stato tutto bello, ma abbiamo discusso. A spiegargli che se fai ciclismo al 100 per cento, poi ti torna tutto indietro. Se non fai il massimo, soprattutto oggi, non vinci più.

E adesso smette…

E la parola resta “sorpresa”.

Lo scorso anno si disse che sarebbe potuto tornare, ma non si fece. Ora pare che torni Nibali: che differenza c’è fra i due possibili ritorni?

Come Giuseppe Martinelli, Fabio lo avrei anche preso, ma non so quanto sarebbe stata una cosa buona per entrambi. Quello di Vincenzo invece è il ritorno dell’atleta più importante che abbiamo avuto nella nostra storia di squadra, che vuole rivedere le stesse facce di quando tutto riusciva bene. Che vuole stare bene, ma non perché non stia bene dov’è ora. E’ venuto perché il binomio Nibali-Astana è stato vincente.

Primo anno in Astana, il 2013, e per Nibali arriva il Giro d’Italia
Primo anno in Astana, il 2013, e per Nibali arriva il Giro d’Italia
Perché vanno via se stanno così bene? Ieri se ne parlava con Cataldo, è per i soldi, per cambiare aria, per gli stimoli?

C’è tutto questo. Perché l’erba del vicino è più verde. Per trovare qualcosa di diverso. Per guadagnare di più… E per i procuratori, che spesso e volentieri manipolano il modo di pensare dei corridori e li portano a fare ragionamenti che non sarebbero i loro. La sintonia fra procuratore e atleta è spesso superiore a quella fra tecnico e atleta. Noi sappiamo che la forza del corridore è nella testa, nel corpo e nelle gambe, ma se la testa va in una direzione diversa, è difficile poi riprenderlo. Sapete quante volte ho detto a Cataldo che se voleva ancora correre doveva restare qui?

E lui cosa diceva?

Ha la compagna spagnola, ho pensato che andasse alla Movistar per chiudere la carriera. Forse pensava che là sarebbe rimasto tranquillo, perché una cosa è certa: qua si corre sempre per vincere. Ti sembra di stare male perché c’è tensione. E’ difficile dire a un corridore che ha fatto il Tour di prepararsi per la Vuelta, ma questa è anche la squadra in cui puoi parlare ed essere ascoltato. E’ un’abitudine che ho sempre portato con me. A volte va bene, a volte vai a rompere. E per questo a volte se ne vanno…

Cataldo si rimbocca le maniche e strizza l’occhio a Nibali

05.09.2021
4 min
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Le parole di Unzue due giorni fa sembrano aver chiuso le porte del Team Movistar anche per Dario Cataldo. E poco importa che in altre occasioni, lo stesso manager spagnolo lo avesse lodato per il suo ruolo di regista in corsa. Così per l’abruzzese, che comincia oggi il Tour of Britain, e il suo agente Manuel Quinziato questi sono giorni di valutazioni e scelte, fra le possibilità che ci sono sul tappeto. Oggi è anche il giorno dell’ultima corsa di Fabio Aru e non è possibile dimenticare che proprio sei anni Dario facesse parte del gruppo che con il sardo si apprestava a conquistare la Vuelta.

Dal Polonia alla Germania, ancora in fuga con Cavagna
Dal Polonia alla Germania, ancora in fuga con Cavagna

«Il mio 2021 – dice Cataldo – è stato un anno a metà. Ho avuto bei momenti di condizione e ci ho messo tanto impegno per trovarla, ma in corsa non sono riuscito a concretizzarla. Come avere il colpo in canna e non poter sparare. Le ultime corse che ho fatto non sono state le più adatte, con il Polonia più facile degli ultimi anni, il Germania che è notoriamente una corsa veloce e ora qui in Gran Bretagna su un percorso di strappi secchi e corti che non tanto si sposano con le mie caratteristiche».

Perché non sei andato alla Vuelta?

Perché la squadra è stata per due anni a rincorrere e la Vuelta di colpo si è ritrovata con la priorità assoluta. Hanno portato lo zoccolo duro della squadra, con Rojas, Erviti e Oliveira. Poi i capitani spagnoli Valverde, Mas e Soler. Lopez non si discute e alla fine la squadra è fatta. Solo che s’è pensato così tanto alla Vuelta che il resto dell’attività è stato fatto come capita, è passato in secondo piano.

La voglia di continuare c’è ancora, giusto?

Assolutamente, considerando però che ci sono tanti giovani che vanno forte e impongono un modo di correre molto aggressivo.

Nel 2015 anche Cataldo faceva parte dell’Astana che scortò Aru alla Vuelta
Nel 2015 anche Cataldo faceva parte dell’Astana che scortò Aru alla Vuelta
Capisci la scelta di Aru di appendere la bici al chiodo?

Sì, la capisco. Stava cercando di risollevarsi e c’era anche riuscito. Ma quando arrivi tanto in basso, tornare ad alto livello è difficilissimo, perché ogni giorno ti trovi a dover dimostrare qualcosa. Per avere la fiducia delle squadre devi fare più di quello che sarebbe necessario e probabilmente Fabio ha capito che nei 3-4 di carriera che avrebbe davanti, dovrebbe sempre rincorrere quello che era. Immagino abbia pensato a questo e visto che ha anche una vita e che il ciclismo non è tutto, si sarà chiesto se ne valesse davvero la pena.

Tu senti mai questa necessità di doverti confermare?

La sento anche io, lo confermo. Ci sono momenti in cui le necessità delle squadre cambiano e adesso sono tutti a cercare giovani fortissimi che possano fare risultati. E se poi non riescono, li hanno comunque pagati poco. Il corridore può essere forte, ma può anche non essere una punta. Invece per come va adesso, si perde il concetto di squadra. Il mio dimostrare si basa sul lavoro e non sul risultato, solo che sta diventando molto complicato. Già non se ne accorgono nelle squadre, figurarsi al di fuori.

Al Giro di Germania, chiuso con il 2° posto nella classifica dei Gpm, firma autografi
Al Giro di Germania, chiuso con il 2° posto nella classifica dei Gpm, firma autografi
E’ possibile un ritorno all’Astana? Se torna Nibali, sarà un po’ come ricomporre la famiglia…

E’ una delle ipotesi. Quando mi chiamò la Movistar, la prima cosa che valutai fu la voglia di cambiare dopo cinque anni nello stesso posto. Mi inorgogliva entrare a far parte di una delle squadre con la maggior tradizione. Per contro ero anche dispiaciuto perché in Astana si era creato un bel gruppo di lavoro, si stava bene.

Un anno con Nibali e poi basta?

In realtà mi augurerei di farne di più. Ho un anno meno di Vincenzo e l’idea di ritirarmi ancora non ha bussato alla mia porta…

Assos presenta la Replica Jersey del team Qhubeka-NextHash

03.09.2021
3 min
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Assos è sinonimo di qualità e stile, da sempre. La realtà ticinese storicamente coinvolta con il grande mondo del ciclismo professionistico, anche quest’anno sponsor e partner tecnico del team WorldTour Qhubeka-NextHash, propone a beneficio di tutti gli appassionati la Replica Jersey della squadra di Nizzolo, Pozzovivo e Fabio Aru: una maglia concepita tecnicamente sulla base del modello estivo di casa Assos Mille SS.

Così Fabio Aru a una partenza di tappa della Vuelta con la maglia Qhubeka-NextHash
Così Fabio Aru a una partenza di tappa della Vuelta con la maglia Qhubeka-NextHash

Filati leggeri

Il capo in questione offre davvero uno standard elevatissimo in termini di comfort e di mix di materiali e tessuti tecnici utilizzati per poterlo confezionare, raggiungendo livelli top sia per quanto riguarda la traspirabilità che la leggerezza. Il poliestere, l’elastane e la poliammide – i filati super leggeri ed altamente traspiranti con i quali la Qhubeka-NextHash Replica Jersey è realizzata – garantiscono inoltre una vestibilità eccezionale. La comodità della maglia indossata è esaltata dal classico taglio RegularFit che conferisce la migliore elasticità per adattarsi perfettamente all’anatomia del ciclista. Ma non è tutto, anche le maniche cucite a taglio vivo fanno la loro parte in termini di comodità. Queste ultime sono caratterizzate dal design privo della tradizionale cucitura nella zona delle spalle, che invece prosegue fino al collo per offrire maggior libertà di movimento.

Prezzi e misure

Nella parte posteriore di questa maglia Assos sono state previste tre ampie e comode tasche nelle quali è possibile posizionare piccoli oggetti e rifornimenti. La maglia è disponibile nelle misure XS, S, M, L, XL, XXL e tripla XL, mentre il prezzo consigliato al pubblico è di 140 Euro (ricordiamo che il 10% del ricavato dalla vendita di ciascuna maglia sarà direttamente devoluto da Assos al programma di donazione di biciclette predisposto da Qhubeka).

assos.com

Aru, vigilia un po’ strana dell’ultima settimana da corridore

31.08.2021
4 min
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Hai dormito un po’?

Quasi tre ore oggi pomeriggio, per quello non ho risposto subito.

La pennichella pomeridiana è fatta, ora ti manca di andare a guardare i cantieri e sei pronto per la pensione.

Vedo che non hai perso la simpatia, in questi giorni…

Tarda serata del secondo riposo della Vuelta, la risata arriva all’unisono. Fabio Aru sta vivendo l’ultima settimana da corridore. E anche se la sua scelta di ritirarsi al termine della corsa spagnola l’abbiamo masticata per giorni, il boccone è ancora impegnativo da deglutire. Conoscendolo, la provocazione è sferzante, ma utile per capire. Questo non sarà un altro caso Dumoulin, anche se in fondo quasi ce lo auguriamo. Il mal di stomaco pare alle spalle, almeno a giudicare dalla fuga con Majka (foto di apertura). Sarebbe stato brutto doversi ritirare dall’ultima corsa della carriera.

Tre settimane di corsa per salutare gli amici dopo una carriera di 9 anni tra i pro’. Qui con Caruso
Tre settimane di corsa per salutare gli amici dopo una carriera di 9 anni tra i pro’. Qui con Caruso
Come stai?

Un po’ meglio di quattro giorni fa. L’ho vista veramente brutta, l’altro giorno dopo ho rischiato di non partire. Ho avuto dissenteria, ho rimesso, ma sono riuscito a salvarmi. Andando a El Barraco ho avuto buone sensazioni, solo che Majka le ha avute migliori. Per due ore e mezza sono stato bene, poi mi sono proprio spento. Speriamo di aver recuperato e di continuare a farlo nella tappa di domani (oggi per chi legge, ndr). Perché poi ricominciano le salite.

Come stavi prima?

Il secondo posto alla Vuelta Burgos mi ha dato fiducia, mi sentivo veramente bene. Sono stato male fra la settima e la nona tappa. L’obiettivo, adesso si può dire, era entrare nei dieci ed era fattibile. Senza puntare troppo in alto, bisogna essere realisti. Ora ci sono ancora quattro tappe in cui potrò dire la mia. Non è la Vuelta che mi aspettavo, purtroppo, ma è quella che mi è toccata.

E’ arrivato alla Vuelta dopo il secondo posto di Burgos, in ottime condizioni
E’ arrivato alla Vuelta dopo il secondo posto di Burgos, in ottime condizioni
L’annuncio che a fine Vuelta smetterai di correre…

Quando l’ho annunciato, mi ero già abituato all’idea. A meno che uno non sia un folle, certe cose non le dici se non sei sicuro. Ci pensi e ci ripensi varie volte. Il fatto di averlo detto prima della Vuelta e non alla vigilia di una corsa secca mi sta dando la possibilità di godermi la mia storia di corridore, con tutti i pro e tutti i contro. Avrei fatto a meno del mal di stomaco, ma fa parte del pacchetto.

In gruppo cosa dicono?

Ogni giorno, anche se per caso, arrivano corridori che mi parlano. Mi chiedono perché. Ascoltano la mia risposta, poi la corsa continua. L’altro giorno è venuto Jakobsen, con cui prima non avevo mai parlato.

L’orgoglio sardo da sempre suo compagno di viaggio, qui sugli scarpini Gaerne
L’orgoglio sardo da sempre suo compagno di viaggio, qui sugli scarpini Gaerne
Qualcuno ha detto che l’abbraccio dei tifosi, ora che vai nuovamente forte, ti avrebbe convinto a tornare sui tuoi passi.

Non torno indietro per questo. L’abbraccio dei tifosi mi ha fatto molto piacere. In Spagna mi vogliono bene. Chi ti vuole manifestare del calore lo fa, chi ti disprezza scrive sui social.

Quando hai preso la decisione definitiva?

Dopo Burgos.

Cioè torni competitivo dopo tre anni a masticare sudore e fango e proprio in quel momento decidi di averne abbastanza?

Ma se vi dico tutto adesso, poi che cosa racconto? Voglio avere il tempo per mettere insieme le idee e i pensieri di tutto quello che è successo in questi anni. L’ho detto quando ne sono stato sicuro.

Quando a inizio anno correvi nel cross pensavi già di smettere?

Non ve lo dico per lo stesso motivo di prima (ride di gusto, stavolta la provocazione è sua, ndr).

In salita lo si è rivisto finalmente al suo posto nel gruppo dei migliori
In salita lo si è rivisto finalmente al suo posto nel gruppo dei migliori
Valentina (la sua compagna, ndr) che cosa ti ha detto?

Fra le tante cose che apprezzo della mia famiglia, da Valentina ai miei genitori, c’è che mi hanno lasciato prendere da solo questa decisione perché si tratta della mia vita. Se ne parla. Mi vengono dati consigli. Ma se vedono che chiedo più di quello che possono dirmi, fanno un passo indietro. Sono persone molto intelligenti.

Correre la Vuelta sapendo che sarà l’ultima può far calare l’ambizione?

Mai. Mi scoccia mollare, mi sarebbe scocciato doverlo fare nei giorni scorsi. Ho provato e proverò ancora. Il sogno di lasciare il segno c’è sempre, ma non so se ci riuscirò. Non avrei mai potuto affrontare la Vuelta con le ambizioni al minimo. Vediamo cosa potrò fare nei prossimi giorni. E del resto parleremo dopo, ne avremo certo l’occasione.