Damiano Cunego, Giada Borgato ed Alessandro Ballan. Sono questi i nomi dei tre nuovi ambassador Alé: tre riconosciute ed apprezzate figure che vanno ad aggiungersi al già nutrito gruppo dei testimonial del brand veneto produttore di abbigliamento per il ciclismo. Tre grandi personaggi, legati indissolubilmente al mondo del ciclismo italiano, che sapranno trasferire sia la propria storia sia l’esperienza e l’impegno instancabile profuso al giorno d’oggi nel mondo della bicicletta.
Si comunica la qualità
Damiano Cunego, conosciuto con il soprannome di “Piccolo Principe”, rappresenta un’icona del ciclismo italiano, forte in modo particolare di una vittoria al Giro d’Italia nel 2004 e numerosi successi in Giri di Lombardia e Amstel Gold Race. La sua presenza nel team Alé aggiunge una nuova dimensione, rappresentando la dedizione e la determinazione che sono alla base dei suoi passati trionfi in bici. Alessandro Ballan, iridato a Varese 2008 (Cunego in quell’edizione fu secondo e medaglia d’argento…) e vincitore del Giro della Fiandre nel 2007, è un altro autentico pilastro del ciclismo italiano. La sua vittoria nel mondiale di Varese 2008, caratterizzata da un memorabileallungo nel finale, ha segnato un momento indelebile nella storia del ciclismo. Compito di Ballan come nuovo ambassador Alé sarà quello di incarnare e comunicare l’eccellenza e l’impegno che il marchio stesso rappresenta.
Giada Borgato, attualmente opinionista tecnica per Rai Sport, porta in dote al team Alé alcuni elementi unici. Vincitrice di un campionato italiano in linea nel 2012, la padovana nutre una grandissima passione per il ciclismo. La sua presenza nel team sottolinea sempre più l’importanza e il peso del ciclismo femminile, oltre alla volontà di Alé di promuovere l’uguaglianza e l’eccellenza in entrambi i generi.
Tra le fila degli ambassador di Alessia Piccolo arriva anche Giada BorgatoIl terzo, nuovo, volto di Alé è Damiano Cunego
Passione ed eccellenza
Come già anticipato in precedenza, questa triade di assoluti talenti si unisce alla già prestigiosa squadra di ambasciatori Alé, consolidando ulteriormente il marchio come uno dei brand di riferimento nel suo specifico settore.
«La filosofia Alé – ha dichiarato Alessia Piccolo, CEO di APG, ovvero il gruppo proprietario del brand – è basata sulla coerenza, sulla visione e sulla creazione di capi unici e iconici. Una filosofia che al tempo stesso si è trasformata in una nostra vera e propria mission. Il nostro continuerà ad essere un percorso che si rifletterà ancor di più nei successi dei nostri nuovi testimonial e nell’impegno costante di tutto il gruppo verso l’eccellenza produttiva».
Giada Borgato ha raccontato il Giro dalla moto cronaca della Rai. Ora fará le recon del Tour. Il suo stupore. Le difficoltà. La pioggia. Gli sconfitti. I vincitori
Appena dopo un exploit le aspettative si alzano e la domanda che tutti si pongono è: riuscirà a mantenerle con gli occhi di tutti puntati addosso? Gli sguardi pesano e quando corri in bici, dove la leggerezza (in tutti i sensi) la fa da padrona, si sentono. Ti curvano la schiena, ti riempiono la mente di domande e a volte rischi di dubitare anche delle tue qualità. E se gli sguardi pesano, le parole di più e anche quelle possono far male. Ne parliamo con Damiano Cunego, uno che di aspettative se ne intende. Gli chiediamo come faranno Colbrelli e Caruso a lavorare serenamente cercando di ripetere la stagione passata.
Caruso e Colbrelli saranno chiamati al difficile compito di ripetere gli ottimi risultati ottenuti nel 2021 (foto Instagram) Caruso e Colbrelli saranno chiamati al difficile compito di ripetere gli ottimi risultati ottenuti nel 2021 (foto Instagram)
Il rapporto con se stessi e gli altri
«La prima cosa che cambia – incalza Damiano Cunego – e che il corridore nota, è la preparazione. L’anno precedente si ha avuto modo di poterla fare con calma preparando gli appuntamenti che più si desideravano. Ora, invece, viene il bello. Forte e consapevole dei risultati fatti il corridore alza l’asticella. Sei tu per primo che hai aspettative più alte su te stesso e quello che hai fatto l’anno precedente lo consideri la base dalla quale ripartire. Poi si aggiungono le aspettative e le pressioni di sponsor e tifosi, alla fine ci sono due ipotesi…».
La prima è quella che anche lavorando bene, con delle ottime sensazioni a livello di numeri, poi arrivi in gara e ti accorgi che ti manca la sicurezza. Non riesci a rendere come l’anno precedente e fai fatica, è la testa che pesa, piena di pensieri. Il cervello lavora il doppio e alla fine la paghi.
La seconda?
E’ quella secondo la quale anche con le pressioni che ti circondano rimani lucido e concentrato. C’è da aggiungere un particolare importante, questa piccola percentuale di corridori che non soffre le pressioni entra nella categoria dei campioni. Che è quella in cui spero rientrino Sonny e Damiano.
Colbrelli farà il suo esordio stagione alla Omloop Het Nieuwsblad sabato 26 febbraio Colbrelli farà il suo esordio stagione alla Omloop Het Nieuwsblad sabato 26 febbraio
Caruso cambia obiettivo, dal Giro al Tour, mentalmente potrebbe essere come ripartire da zero?
Ripartire nella stagione nuova con un nuovo obiettivo aiuta a resettare mentalmente, questa è una giusta chiave di lettura. Alla fine fare una competizione nuova potrebbe porlo ancora in una situazione di vantaggio, nessuno sa cosa aspettarsi da lui lì. E’ anche vero che la squadra gli ha alzato l’asticella, questo vuol dire che crede nelle sue potenzialità. Vedremo cosa succederà.
Al contrario di Sonny che torna subito dove ha vinto, in Belgio.
Per lui non c’erano molte scelte viste anche le sue caratteristiche.
La differenza è anche che lui ha vinto, deve difendere il titolo…
Nelle corse di un giorno hai anche un “obbligo” verso i tifosi, l’organizzazione e gli sponsor. In più una volta vinta hai anche voglia di dimostrare che non lo hai fatto per caso, poi dipende anche dalla mentalità dei corridori. C’è anche chi si sente più sereno e la vittoria non la vede come una pressione ma una carica in più, pensa: «Ho dimostrato di poter vincere una volta, lo posso fare ancora».
Colbrelli e Caruso, il loro 2022 culminerà in estate col Tour, in base alle esigenze di squadra Per Caruso e Colbrelli due approcci differenti alla nuova stagione
Di sicuro in gruppo non passano inosservati.
Lo senti che in corsa hai gli occhi tutti su di te, sia del pubblico che degli avversari. Cambia anche il modo di correre, non puoi nasconderti o tentare di anticipare perchè ora sanno tutti della tua forza e non ti lasciano libertà di azione.
Colbrelli e Caruso hanno avuto questo exploit rispettivamente a 31 e 34 anni che è diverso rispetto ad averlo da giovani.
Mentalmente sono più maturi e questo li potrebbe aiutare. Si dice che superati i 30-32 anni si abbia un calo fisiologico, si ha meno esplosività ma più fondo e scaltrezza. Sai correre meglio e posizionarti nei posti giusti senza sprecare energie.
I social hanno cambiato il rapporto con il pubblico, ora i corridori sono sempre sotto la lente d’ingrandimentoI social hanno cambiato il rapporto con il pubblico, ora i corridori sono sempre sotto la lente d’ingrandimento
Una cosa che è cambiata è anche il rapporto con i tifosi, ora ci sono i social, prima i corridori li vedevi solo alle gare ora sai sempre cosa fanno.
Sei alla mercé di tutti i tifosi: buoni o cattivi, gentili o maleducati. I commenti negativi si cerca di non leggerli ma alla fine quasi ci inciampi. Quelli positivi possono darti più motivazione e alzare il morale oppure metterti ancora più pressione, non è un mondo facile.
Anche la squadra deve cambiare modo di correre?
Sì, anche la squadra deve trovare un modo differente di correre, più di controllo e di presenza. Devi avere i compagni giusti al tuo fianco, soprattutto nei momenti cruciali altrimenti gli avversari ti mettono in mezzo. E’ capitato tante volte che il corridore dovesse vincere la grande corsa ma la squadra non lo ha supportato a dovere.
Per Strand Hagenes e Zoe Backstedt, le vittorie ai mondiali di Leuven, per come sono arrivate, sono foriere di grandi speranze, ma quante volte avere vinto il titolo iridato junior ha poi portato realmente fortuna? Analizzando gli albi d’oro si scoprono storie molto interessanti. Non sempre emergere in età così giovane porti poi a una grande carriera. L’esempio di Alessandro Ballan, del quale abbiamo recentemente parlato, è solo uno dei casi di campioni scopertisi tali nel tempo, grazie alla propria costanza e soprattutto alla pazienza di chi li ha gestiti.
Mondiali juniores, via nel 1975
I mondiali juniores presero il via nel 1975 e subito a emergere fu un nome di un certo peso: Roberto Visentini, grande talento italiano delle corse a tappe, vincitore di un Giro d’Italia ma che aveva davvero tutto per imprimere il suo marchio su un’epoca, visto come andava a cronometro ma anche in salita. Dal 1975 al 2021, considerando naturalmente l’edizione persa lo scorso anno a causa del Covid, ci sono state quindi 46 edizioni. Solo in due casi il biennio fra gli juniores è stato coronato da due titoli iridati e in entrambe le occasioni a riuscirci sono stati ciclisti italiani.
Il primo a realizzare la doppietta è stato Giuseppe Palumbo, nel 1992 e 1993. Sul corridore siracusano e un futuro luminoso erano tutti pronti a scommettere. Alla fine ha vissuto per 12 anni fra i professionisti, con 3 vittorie in tutto e una carriera vissuta soprattutto sulla partecipazione a cinque Giri d’Italia, senza però acuti. Tornando al biennio da junior, allora il ciclismo italiano dominava: nel 1992 Palumbo batté PasqualeSantoro, professionista per un paio d’anni, mentre terzo fu il compianto belga Frank Vandenbroucke, protagonista di tante classiche.
Una delle “tante” maglie iridate di VDP, mondiali junior 2013, fra Pedersen e l’albanese NikaUna delle “tante” maglie iridate di VDP, mondiali junior 2013, al suo fianco il danese Mads Pedersen
Italia padrona
Nel 1993 terzo giunse Michele Rezzani, che ha fatto maggior fortuna nelle gran fondo. Il culmine si raggiunse nel 1997, con Valentino China davanti a Ivan Basso e Rinaldo Nocentini: paradossalmente l’iridato ha vissuto una fugace esperienza fra i pro’, gli altri hanno invece scritto pagine importanti, soprattutto Basso.
Ben diverso il discorso per Diego Ulissi, anche lui capace della magica doppietta nel 2006 e 2007. Ancora oggi il portacolori della Uae Team Emirates è un protagonista fra classiche e brevi corse a tappe. Nel complesso l’Italia comanda il medagliere alla stragrande, con 30 medaglie fra cui 11 ori per 9 atleti. Non tutti loro, come si è visto, hanno però potuto esplodere fra i pro’. Damiano Cunego iniziò nel 1999 la sua grande carriera. Altri come Roberto Ciampi(1980), Gianluca Tarocco(1988), Crescenzo D’Amore(1997) non hanno avuto la stessa fortuna. Marco Serpellini, iridato nel 1990, è rimasto per 12 stagioni tra i pro’, cogliendo 9 vittorie e partecipando anche ai mondiali pro’ di Verona del 1999.
Due giovani campioni del mondo junior, Cunego e Ulissi. Da pro’ hanno continuato sulla stessa strada…Due giovani campioni del mondo junior, Cunego e Ulissi. Da pro’ hanno continuato sulla stessa strada…
Il primo squillo di Lemond
Allarghiamo però il discorso: chi è davvero riuscito, fra i campioni del mondo juniores, a imprimere il proprio marchio anche da grande? In definitiva sono solamente 8, considerando vittorie in grandi giri oppure classiche di peso.
Detto di Visentini e Cunego, pochi ad esempio ricordano un ragazzino con la maglia a stelle e strisce che vinse nel 1979. Si chiamava Greg LeMond e avrebbe cambiato la cultura ciclistica americana per sempre con i suoi trionfi al Tour de France.
L’America chiama, l’Unione Sovietica risponde, nel 1987 con Pavel Tonkov, che poi con la nazionalità russa conquisterà un Giro d’Italia e sarà uno dei grandi rivali di MarcoPantani. Dobbiamo poi saltare al nuovo secolo: nel 2004 il titolo va a Roman Kreuziger, ancora oggi in carovana e con tanti successi al suo attivo tra cui un’Amstel Gold Race; nel 2009 Jasper Stuyven, l’ultimo Mister Sanremo; nel 2012 Matej Mohoric, esponente di punta dell’ondata slovena (capace quell’anno di precedere un velocista in erba come Caleb Ewan). L’anno dopo altra accoppiata di spicco con Mathieu Van Der Poel davanti a Mads Pedersen (un oro perso ma si rifarà tra i grandi…). Infine nel 2018 l’esplosione della galassia Evenepoel (nella foto d’apertura) che sta rivoluzionando il ciclismo dalle fondamenta.
Elena Pirrone iridata junior nel 2017, con lei Letizia Paternoster che vinse il bronzoElena Pirrone iridata junior nel 2017, con lei Letizia Paternoster che vinse il bronzo
Fra le donne porta bene…
Già, ma per le donne? Qui il discorso cambia un po’. I mondiali juniores iniziarono nel 1987, quindi più tardi con una vincitrice di lusso come Catherine Marsal, la francese che avrebbe rappresentato l’antitesi dell’infinita Jeannie Longo. Spesso, negli anni a seguire, sono arrivati successi di atlete che poi si sarebbero confermate fra le “adulte” dalle tedesche Ina-Yoko Teutenberge Hanka Kupfernagel alla lituana Diana Ziliute, dalla britannica Nicole Cooke(due vittorie nel 2000 e 2001) a Marianne Vos che dall’oro conquistato nel 2004 non ha smesso più, dalla francese Pauline Ferrand Prevot iridata quasi in ogni disciplina ciclistica a Elisa Balsamo, “bimba d’oro” nel 2016 e fra le elite 5 anni dopo.
Anche qui il medagliere è guidato dall’Italia con 20 medaglie di cui 5 ori. Anche restringendo il panorama dall’arcobaleno all’azzurro, si scopre che chi vince fra le junior poi avrà il suo spazio quasi sempre.
E’ accaduto così con Alessandra D’Ettorre, prima nel 1996, poi campionessa d’Europa U23 e stella della pista quando ancora doveva iniziare il cammino della ripresa. E’ accaduto con Elena Pirrone, prima nel 2017 e che la sua carriera se la sta costruendo con pazienza e fiducia. Eleonora Patuzzo, prima nel 2007, ha corso fino al 2011 approdando anche alla Bepink prima di appendere la bici al chiodo e dedicarsi agli studi. Rossella Callovi, vincitrice nel 2009, ha corso fino al 2015. D’altronde, per spiegare ancor meglio il concetto, basta guardare questo podio: prima Marianne Vos, seconda Marta Bastianelli, terza Ellen Van Dijck: non è una gara della stagione appena conclusa, ma l’ordine d’arrivo dei mondiali junior 2004…
Attacco sulla Redoute e tanti saluti. Remco Evenepoel debutta alla Liegi con una vittoria dopo 30 chilometri da solo. Apprensione per Alaphilippe caduto
Quando si metteva davanti Fornaciari, la velocità impazziva e il gruppo dietro smetteva di parlare. Oggi che fa i gelati, Paolo mette nelle sue giornate la stessa grinta. Per questo, quando ci sentiamo a notte fonda, ha lo stesso tono delle sere nella hall degli hotel a raccontarci come fosse andata la tappa. Una volta si faceva così. E lui stavolta è arrivato lungo perché a un certo punto ha finito il latte ed è dovuto andare alla Esselunga per trovarlo.
Nel 2008, dopo il ritiro, riceve da Johnny Carera e Roberto Bettini il premio Sprint Cycling MagazineNel 2008 riceve da Roberto Bettini il premio Sprint Cycling Magazine
«Sono stato tutto il giorno a inseguire il gruppo col 53×11 – scherza Fornaciari – ma ora sono rientrato. Arriva il primo caldo, la gente vuole il gelato. Ma noi abbiamo lavorato anche durante il lockdown. L’8 marzo abbiamo cominciato a portare le vaschette a casa e quei clienti poi sono tornati. Ne portavamo fino a 100 al giorno per 5 euro in più. Con le scatole termiche, il ghiaccio e quello che serviva. Perché s’è corso in bici e con tutta la fatica che facevo, non erano quei chilometri a farmi paura. Ma adesso non pedalo più. L’anno scorso ho fatto in tutto 210 chilometri, in un giorno solo. E’ venuto un amico a propormelo e allora gli ho detto che il percorso lo avrei deciso io. Siamo partiti alle sei del mattino e siamo tornati alle cinque del pomeriggio. Montecatini, Lucca, Massa, Versilia, Pisa e poi a casa. Non prendevo la mia Wilier da 11 anni e quando sono rientrato, ho tolto le ruote e l’ho rimessa sull’armadio. Mi ha fatto male il soprassella per qualche giorno…».
La bici è una parentesi
Paolo ride e parla, l’ha sempre fatto. Da quando era dilettante fino al passaggio nel 1992 e poi per tutta la carriera, conclusa nel 2008 con una sola vittoria personale ma strepitosi successi dei suoi capitani. Ha il vocione e il suo modo di raccontare le cose ti fa pensare di aver vissuto insieme degli anni davvero speciali. Racconta che gioca a tennis con dei ragazzotti di 20 anni che dopo un po’ non ce la fanno più. Dice di essere 10 chili più di quando ha smesso, ma allora era tutto muscolo. Adesso le gambe sono la metà, però ha i capelli bianchi.
Visconti e Pozzato non si tirano indietro all’offerta di gelato
Al buffet improvvisato si fermano anche Garzelli, Ballan e Codol
Cancellara è super serio, saluta ma non mangia
Nella sua gelateria Ultimo Kilometro a Buggiano
Alla Tirreno-Adriatico del 2010 il gruppo si ferma davanti alla sua gelateria Ultimo Kilometro
Visconti e Pozzato non si tirano indietro all’offerta di gelato
Al buffet improvvisato si fermano anche Ballan e Codol
Cancellara è super serio, saluta ma non mangia
Nella sua gelateria Ultimo Khilometro a Buggiano
Tirreno 2010, il gruppo davanti alla sua gelateria
«Lunedì e martedì siamo chiusi – dice Fornaciari – anche d’estate. Ho la casa, la mia famiglia. Mia moglie Maddalena s’è laureata in geologia con 110 e lode, ha fatto la geologa per vent’anni e adesso lavora con me. Mia figlia Arianna è al secondo anno all’università, mentre Greta è in seconda media. E’ un lavoro che si fa con grande passione, cercando la qualità del prodotto. La bicicletta è stata una parentesi e a me è andata bene. Dovevo aprire un negozio di bici e per fortuna non l’ho fatto. Ho la mia casa con la piscina. Non ti arricchisci a fare questi lavori, ma c’è grande soddisfazione».
Con Gotti e Cunego
Paolo ride e parla. Poi di colpo il tono si abbassa ed è come se dal manubrio si voltasse per guardare quel che ha lasciato indietro.
Nel 1995 partecipa alla Roubaix vinta da BalleriniNel 1995 partecipa alla Roubaix vinta da Ballerini
«Sono contentissimo – dice Fornaciari – e devo dire grazie a tante persone che mi hanno consigliato benissimo. Eravamo insieme in Sicilia da neoprofessionisti, ti ricordi? Bartoli e Fornaciari, primo e terzo. Sembrava fossero nati due campioni, invece ne era nato uno solo. Ho capito presto che non ero un vincente. Fu Salutini ai tempi della Mercatone Uno a dirmi che se volevo fare carriera dovevo mettermi a disposizione di un capitano, perché con il mio fisico avrei fatto la differenza. Anche Luciano Pezzi seppe parlarmi in modo saggio. Ho un bellissimo rapporto con tutti, l’unico con cui ho rotto è Cipollini e non so perché. Eravamo a Genova alla partenza del Giro del 2004. Noi avevamo Cunego, andai vicino a Mario a dirgli di dare un occhio a questo ragazzino e mi rispose: “Con lui ci parlo, con te no”. Mai più una parola da allora. Gli altri li ho risentiti tutti. Calcaterra, Bramati, Scirea. I toscani li vedo e li sento spesso e ho un ottimo rapporto ancora con Martinelli. La Saeco è la squadra che più mi è rimasta nel cuore. Vincemmo prima il Giro con Gotti e poi con Cunego».
Al Giro del 2003 sullo Zoncolan, che non si addice ai gigantiAl Giro del 2003 sullo Zoncolan, che non si addice ai giganti
I suoi massaggiatori
Paolo adesso non ride più e lo dice con un sorriso amaro, perché quasi gli fa male parlare del ciclismo, che fatica a riconoscere.
«Non mi garba più – ammette Fornaciari – perché è cambiato tanto. Sono in contatto con i massaggiatori e me lo dicono che non è più come una volta. E’ vero quello che si diceva poc’anzi. Dopo la corsa ci si trovava nella hall, si chiarivano eventuali incomprensioni e poi si andava avanti. Adesso invece sono tutti coi cellulari, i computer e le mail. Io andavo sul pullman a prendere il caffè con i massaggiatori, che fanno una vitaccia. L’ultima cosa che fanno sono proprio i massaggi. Prima preparano i rifornimenti, poi te li passano in corsa, portano le valigie, fanno le camere. Arrivano la sera distrutti e devono ancora fare i massaggi. Devono darti morale ed essere sempre onesti a dirti le cose come sono. I miei li ricordo tutti. Noè, Mugnaini, Della Torre, Avogadri e Cerea che mi salvò quando caddi al Tour e mi pelai da testa a piedi. Ero alla Saeco, nel Tour che partì da Dublino. Erano anni che stavo più con il massaggiatore che con la moglie. Facevo anche 100 corse all’anno, ma fisicamente sono integro. Mai una tendinite, mai una frattura…».
Alla Tirreno del 2007, con Bettini iridato, Basso e Roberto PetitoAlla Tirreno del 2007, con Bettini iridato e Basso
Kemmel, che paura
Paolo parla e ride forte, questa volta ricordando quanta paura abbia avuto in certi momenti.
«Se c’è una corsa che davvero faceva paura – dice Fornaciari – era la Gand a scendere dal Kemmel. Quello era il rischio più grande, si aveva paura per tutto il tempo prima di arrivarci. Si faceva in discesa a 70 all’ora sul pavé. Le borracce cadevano, l’acqua bagnava le pietre e diventava impossibile restare in piedi. Duecento metri, non di più. Sull’asfalto scivoli. Sul pavé, se va bene sono contusioni, altrimenti ti rompi. Vi ricordate nel 2007 Velo che male si fece in quella discesa?».
Mito Indurain
Il ricordo è un fiume in piena e le sue parole tratteggiano situazioni e personaggi cui non pensavamo da tempo.
«Ho corso con tanti campioni – dice Fornaciari – Museeuw, Bettini, Bartoli, Ballerini, Tafi, Zanini. Ma per me il più forte al mondo come persona fu Miguel Indurain. Un signore, furbo il giusto. Si è fermato al momento opportuno. Una volta al Tour, un paio d’anni dopo che aveva smesso, era venuto al Villaggio di partenza ed era sotto un gazebo circondato dai giornalisti. Io ero con Fagnini quando mi accorsi che c’era Miguel, ma stavamo in disparte. E sai lui cosa fece? Li lasciò tutti lì, si alzò, venne da noi a salutarci. Quando ero dietro a prendere le borracce e rimontavo, se passavo accanto a lui, mi diceva sempre “Vai Forna, vai Forna!”».
Al Fiandre del 2008 ritrova Bartoli, vincitore nel 1996 e grande amicoAl Fiandre del 2008 ritrova Bartoli, vincitore nel 1996 e grande amico
La scatola dei ricordi
Eppure in casa del suo ciclismo non c’è niente, appena un paio di foto in gelateria.
«A casa ci sono più trofei di gelato che altro – ammette – ma ho uno scatolone in cui tengo tutte le altimetrie dei Giri che ho fatto e i Garibaldi. Ogni tanto mi metto a riguardarli e a ricordare. C’è stato il periodo che facevo i gusti del gelato in onore dei corridori. Il gusto Nibali quando vinse il Tour e anche il giallo Nocentini. Ma ormai vado su quelli classici e altri che inventiamo noi, che portiamo ai concorsi. Quella è una parte bella, ma è più importante seguire la gelateria. Me lo insegnò Carlo Pozzi, il decano dei gelatai, che purtroppo non c’è più. Dopo che vinsi il titolo di miglior gelataio d’Italia, mi disse che i concorsi erano adatti a me perché quando attacco il numero sto meglio, ma la gente vuole vedermi dietro al banco. Quando fermai la Tirreno-Adriatico, mi chiamò per dirmi che era contento di avermi visto con la giacca dell’Accademia».
Che paura nelle discesa del Kemmel quando cadevano le borracceChe paura nelle discesa del Kemmel quando cadevano le borracce
S’è fatto tardi. Ci diamo appuntamento al giorno di Larciano, per rivederci dopo tanto tempo. E poi l’ultima risata, “Forna” ce la strappa augurando la buona notte.
«Devo andare a chiudere le galline – dice – sperando che la volpe non le abbia già mangiate. Di solito le chiudo prima. Le teniamo per le uova di casa. Uguale con le anatre, sai che ci sono nate con l’incubatrice in casa? Ma adesso sapeste che buona la frittata con le uova di anatra…».
Una chiamata a Eddy Mazzoleni, perso di vista tanti anni fa. Lo abbiamo trovato nel suo ristorante. Abbiamo parlato dei vecchi tempi, di capitani e scelte di vita
Ne sono passati tanti, di campioni, attraverso le strade del Giro della Lunigiana. Ne abbiamo sentito parlare pochi giorni fa da Johnny Carera, come cartina al tornasole per corridori di sicuro avvenire (in apertura il podio 2019, con Piccolo davanti a Martinelli e Piras). La storia della più importante corsa a tappe italiana per juniores ha subìto lo scorso anno l’ultimo stop, naturalmente per Covid, ma nel corso della sua evoluzione non è stato un caso isolato. Basti pensare che dal 1950 la gara, che era nata nel 1929 per mano dell’Us Vezzanese, era stata cancellata dai calendari, per poi essere ripresa in mano dall’Us Casano nel 1975. Da allora si era andati avanti ininterrottamente fino al 2014, anno nel quale la corsa era saltata per problemi interni all’organizzazione, attraversando anche il grande passaggio dalla categoria dilettanti a quella junior, all’inizio degli anni Ottanta.
Corsa di casa
Renato Di Casale, direttore generale della corsa, è un po’ la memoria storica del Giro, sempre disegnato in questo territorio di confine fra Liguria e Toscana con tutte le tappe fra le province di La Spezia e Massa Carrara (anche se in qualche edizione si “sforò” nel Pistoiese con la tappa di Lamporecchio). «La cosa curiosa – dice – è che il Giro della Lunigiana rinacque per dare un terreno di battaglia fra due grandi rivali dell’epoca. Corrado Donadio, che quel Giro lo vinse, era sempre sfidato da un corridore di La Spezia, allora pensammo che una gara a tappe potesse essere l’ideale per dirimere la questione e così fu».
Si corre a cavallo fra le province di La Spezia e Massa Carrara: scenari bellissimi, rampe ripide (foto Giro della Lunigiana)Si corre a cavallo fra La Spezia e Massa Carrara (foto Giro della Lunigiana)
Paesi e regioni
Il passaggio alla categoria juniores comportò anche un regolamento particolare. «Il Giro doveva essere per rappresentative – dice – questo consentì l’adesione di nazionali estere. A cominciare dal 1979 con Cecoslovacchia e Polonia e la presenza delle squadre del Blocco dell’Est, rimase sempre una caratteristica della corsa, uno dei pochi punti d’incontro tra americani e sovietici sui pedali. Potevano partecipare le squadre nazionali e le rappresentative regionali, metà e metà, con qualche eccezione. Non potevamo non dare spazio anche alla società organizzatrice e alle formazioni di rappresentanza per le province interessate… Erano tempi molto particolari, ricordo ad esempio un anno nel quale la nazionale polacca non voleva rientrare in patria e qualche corridore scappò… Il Giro della Lunigiana divenne il corrispettivo autunnale e per junior del Giro delle Regioni, che si svolgeva in primavera ed era riservato ancora ai dilettanti».
Per Antonio Tiberi, nel 2019 piazzamenti e subito dopo l’oro al mondiale crono di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)Per Tiberi piazzamenti, nel 2019 poi l’iride crono (foto Giro della Lunigiana)
Cunego e Nibali
Nel corso degli anni sono tantissimi i corridori passati attraverso il Giro della Lunigiana che poi hanno avuto una grande carriera professionistica. Qualcuno era ancora acerbo, come nel 1982, quando la nazionale italiana presentò gente come Gianni Bugno e Franco Ballerini, ma la corsa la vinse il sovietico Yuri Abramov (Bugno però era finito secondo l’anno prima). Sulle sue strade hanno pedalato anche campioni del mondo come Moreno Argentin, Maurizio Fondriest e Paolo Bettini, terzo nel ’92. «Io però – riprende Di Casale – ne ricordo due che già da junior erano vincenti: Damiano Cunego primo nel ’98 e Vincenzo Nibali nel 2002, si vedeva che ne avevano tanto di più degli altri, soprattutto il grande siciliano».
Nel 2019 secondo Martinelli, qui con il Ct De Candido, che finirà sul podio dei mondiali di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)Nel 2019, Martinelli fu 2° anche ai mondiali di Harrogate (foto Giro della Lunigiana)
Aspettando Brenner
Tanti altri che al Giro sono emersi non sono poi diventati campioni. Ripensandoci, a Di Casale viene però in mente un corridore dalla partecipazione molto recente e che ha ancora tutto il tempo per emergere. «E’ il tedesco Marco Brenner (quest’anno al suo esordio fra i pro’ nel Team Dsm, ndr), che nel 2019 vinse tre tappe, ma non finì neanche sul podio tutto italiano, con la vittoria di Andrea Piccolo. Ebbi forte la sensazione che gli avessero fatto la guerra in casa, nella sua nazionale, per questo perse, senza nulla togliere all’azzurro».
Effetto Remco
Parlando di campioni passati per il Lunigiana, il direttore di corsa Alessio Baudone non ha però dubbi nell’indicare chi l’ha più impressionato. «Remco Evenepoel, primo nel 2018 – dice – mai visto un corridore spaccare la corsa come lui, appena si partiva andava al doppio della velocità degli altri, un atleta potente e intelligente come nessuno. Un altro che andava davvero forte era lo sloveno Matej Mohoric, primo nel 2012, in discesa era veramente un funambolo già allora».
Nel 2019 tre tappe per il tedesco Brenner, oggi pro’ al Team Dsm (foto Giro della Lunigiana)Nel 2019 tre tappe per il tedesco Brenner (foto Giro della Lunigiana)
Il giallo Bettiol
C’è un episodio, risalente all’anno prima, che però ha segnato l’esperienza di Baudone alla guida della corsa ligure-toscana. «Nel 2011 l’ultima tappa nacque sotto una cattiva stella – racconta – con un diluvio che costrinse a togliere la classica salita di Fosdinovo, appuntamento topico ogni anno. Su una curva verso Marina di Carrara ci fu un ruzzolone generale e dovemmo fermare la corsa. Alberto Bettiol, che era al comando della classifica, venne verso di noi dicendo che gli faceva molto male la gamba: lo portammo di corsa all’Ospedale di Sarzana, ma i controlli furono negativi e la dottoressa gli diede il nullaosta per tornare in gara. I responsabili del team della Lombardia piantarono una polemica enorme, ma avevo applicato i regolamenti e l’Uci mi diede ragione, così Bettiol si aggiudicò la gara».
Per la partecipazione alla Waffle Belgian Ride, Cattaneo ed Evenepoel hanno portato in gara la nuova Specialized Crux. Bici leggerissima, nata per correre
Forse Martinelli un po’ se lo aspettava che lo chiamassimo, dopo aver parlato con Andrea Tonti. Nel finale del discorso, infatti, il marchigiano aveva lanciato parole da approfondire sulla gestione di Cunego dopo la vittoria al Giro del 2004, dicendo che lo si volle trasformare per forza in un uomo da corse a tappe, nell’erede di Pantani, compromettendo la sua esplosività in cambio di magri risultati. Per cui con il grande bresciano, che dal 2010 è il riferimento tecnico dell’Astana, si entra alla sua maniera subito nel vivo del discorso.
Al Giro 2004, il capitano Simoni si convertì in gregarioAl Giro del 2004, Simoni divenne gregario
«Damiano è passato nel 2002 – inizia Martinelli – nel 2003 ha fatto il primo Giro e lo ha finito dando la sensazione di andare meglio alla fine che all’inizio. Nel 2004 ha vinto quasi tutto, compresa la maglia rosa. Aveva 23 anni e sfido chiunque a dire che sia stato per caso. Nel 2005 andava anche forte, ma ebbe la mononucleosi. Non era come oggi, che la scopri subito e bastano 6 mesi fermo per riprendere. La trovammo che l’aveva quasi finita e ci aveva corso sopra. Perciò rifarei tutto. Compresi gli scontri quando mi accorsi che aveva iniziato a fare di testa sua. Chiedetelo anche a lui se non avrebbe fatto meglio ad ascoltarmi…».
Che cosa significa fare di testa sua?
Non ascoltava, smise di farlo. Dopo quelle vittorie, era il momento di cominciare a fare i sacrifici veri, allenarsi più duramente degli altri. Invece lui non faceva tutto al 100 per cento. Non parlo di abitudini di vita, non era uno che andava in discoteca. Ma in allenamento a volte non dava tutto. Forse avremmo dovuto cambiargli programma, per dargli qualche stimolo in più. Tirava un po’ a campare. Ha fatto vivere per 10 anni la Lampre e la Lampre ha fatto vivere per 10 anni lui.
Dopo la stop al Giro del 2005, per Cunego venne il 4° posto nel 2006. Qui è con TiralongoDopo la resa del 2005, il 4° posto al Giro 2006
Avevi tra le mani un ragazzino prodigio come quelli di oggi…
Anche se magari non fu il suo caso, negli anni ho avuto tanti giovani che abbiamo tenuto nella bambagia. Oggi li butterei di più nella mischia. Ti diverti. Recuperano meglio. Fanno risultati fuori dal comune. Dureranno meno? Ce lo sapremo dire fra 10 anni se li hanno bruciati. Intanto Pogacar ha vinto il Tour a 21 anni.
Tonti ha parlato per Cunego anche di qualche limite caratteriale.
Da questo punto di vista, anche quando vinceva a mani basse bisognava dirgli cosa fare, forse perché era ancora molto giovane. Quando si decise di staccare il cordone da Martino, secondo me era prematuro. Damiano aveva bisogno di essere aiutato come giovane atleta, che si è sposato e ha avuto una figlia molto presto. Secondo me gli è cambiata la vita troppo in fretta. Glielo dico ancora, perché abbiamo ricominciato a sentirci spesso…
Che cosa gli dici?
Che deve buttarsi di più. «Mi piace che studi, ma se vuoi fare il preparatore in una squadra WorldTour devi anche agganciarti a uno già esperto e imparare da lui, per puntare a venir fuori». Secondo me quando vinse il Giro gli è scoppiata in mano una cosa più grande di lui, anche riguardo alle aspettative.
Forse avreste dovuto tutelarlo voi?
Facemmo di tutto, anche nei confronti dei media, ma sorprese anche noi. Se Simoni fosse andato appena un po’ più forte, il Giro lo avrebbe vinto lui. E giuro che ci abbiamo provato in tutti i modi. Ma davvero non c’era competizione. Sembrava un predestinato e che tutto fosse persino troppo facile. Il Giro del 2005 invece gli fece capire che facile non era. E da quel momento in poi gli è sempre mancato qualcosa.
Cunego con la moglie Margherita e la piccola Ludovica nata ad agosto 2005Cunego con Margherita e Ludovica nata nel 2005
Hai detto che avevate smesso di sentirvi.
Nel 2006/2007 avemmo un paio di scontri, come mi capita quando vedo che i corridori cercano di sfuggire senza dare spiegazioni. Gli chiesi ragione di un po’ di cose, anche duramente. E lui si chiuse e chiuse i ponti. Successe poco prima che andassi via dalla Lampre. Ora mi rendo conto che eravamo nell’anticamera di generazioni che fanno veramente fatica a sentire dei discorsi, anche delle prediche. Perché non le sentono più da nessuno.
Sembra di sentire quello che raccontava giorni fa Rino De Candido a proposito degli juniores…
Un tempo nelle famiglie c’erano i nonni che raccontavano storie. Poi sono diventati nonni dei genitori che forse cose da raccontare ne avevano sempre meno. Oggi nessuno parla e tutti hanno in mano il cellulare, pensando di avere ogni cosa sotto controllo. Ci sono corridori che il libro del Tour, il Garibaldi, lo tengono sul pullman. Lo guardano soltanto la mattina andando alla partenza. E quando facciamo la riunione spiegando la tappa, dopo 2 minuti si alzano, vanno a farsi i caffè, si mettono gli scarpini. Non ce la fanno a restare concentrati. Poi la corsa parte e dopo 20 chilometri cominciano a chiedere via radio quello che in realtà gli è già stato spiegato…
Andrea Tonti è un leone in gabbia, aspettando che gli eventi possano riprendere. Quest’anno la sua Bike Division ha dovuto fermarsi quasi del tutto, ad eccezione di qualche finestra fra una chiusura e l’altra. Il primo viaggio 2021 dovrebbe portare il gruppo a Gran Canaria alla metà di febbraio, cercando di capire la logistica e come fare con i tamponi e quanto sarà richiesto. La bicicletta non si farà fermare, insomma, e il risvolto turistico del ciclismo professionistico, con la partecipazione agli eventi Rcs, è il modo con cui Andrea continua a tenerci dentro il piede.
«Quando sei lì – dice – sia pure a margine di certi eventi, vengono fuori insieme l’emozione del tifoso e quella del bambino che un giorno si innamorò del ciclismo. E’ un richiamo così forte, che anche ieri guardavo in televisione la Coppa del mondo di ciclocross, nonostante sia una disciplina che non ho mai praticato, e mi emozionavo. E’ una voce che in qualche modo l’inconscio riconosce».
Nel 2006 vince il Gp Castelfidardo con una dedica speciale a suo figlio DanielNel 2006 vince Castelfidardo e lo dedica al figlio Daniel
Perché il ciclismo, una volta che ti ha contagiato, non ti abbandona…
Anche se adesso significa seguirlo da sportivo e da appassionato e lo stesso mi immedesimo nelle situazioni. Magari poi alla fine sfocia in chiacchiere da bar, con il privilegio di avere ancora contatti con ex colleghi. Quest’anno sono dieci anni che ho smesso, non sembrerebbe passato così tanto. Forse per il coinvolgimento diretto con l’ambiente, chissà…
L’ambiente… Hai provato a restarci dentro solo all’inizio, poi ti sei fatto da parte.
Dal 2011 al 2014 ho fatto la continental con Nippo, fino a quando Nippo decise di crescere e passò ad altri lidi. Erano anni di altre continental, non vivai come oggi. Eppure vincemmo la classifica dell’Asia Tour, che per loro era importante, e qualche bel corridore l’avevamo anche noi. Arredondo, che poi andò alla Trek. Baliani e anche Richeze, che dopo il periodo con Reverberi era rimasto a piedi e ora è un riferimento a livello mondiale. Poi Nippo si unì alla Fantini e io, rimasto senza main sponsor, preferii dedicarmi ad altre attività imprenditoriali.
Quali sono i tre ricordi del Tonti ciclista?
La vittoria del 2006 a Castelfidardo, nella Due Giorni Marchigiana, in casa che di più non si poteva. Il mondiale 2007 vinto con Bettini. Il Giro d’Italia 2004 con Cunego, di cui ancora si parla, anche se sono passati 16 anni.
Nel 2008 con Boonen e Visconti, durante il sopralluogo sul percorso dei mondiali di VareseNel 2008, con Boonen e Visconti sul percorso di Varese
Quali i tuoi grandi capitani?
Nelle gare di un giorno Bettini, non si discute. Per le corse a tappe, ho vissuto l’ultimo Simoni e il primo Cunego. Nella mia carriera ho potuto anche lottare per me stesso, ma la soddisfazione personale maggiore è stata quella di lavorare per un grande capitano.
Saeco e Quick Step, grandi differenze?
La prima era una famiglia. La squadra cui approdai dopo la Cantina Tollo. Era molto blasonata, con loro iniziai a fare le corse importanti e capii la differenza fra capitano e gregario. Alla Quick Step, con il ciclismo che nel frattempo aveva accelerato verso certi cambiamenti, si respirava aria di gruppo internazionale, senza il contatto diretto che poteva esserci prima. I programmi di colpo arrivavano via mail.
Visconti lasciò quella Quick Step e tornò con Scinto, come te lo spiegasti?
Se hai l’ambizione di fare il capitano e vuoi che la squadra aspetti te, non è detto che nello squadrone ti trovi bene. Se non riesci a ricavarti quello spazio, sai che a un certo punto dovrai tirare per un altro. Sai che nella corsa che ti piace, magari non sarai l’ultimo uomo, ma quello che parte ai 100 dall’arrivo. Anche Trentin lasciò la Quick Step, perché magari sapeva che in Belgio ne aveva altri davanti. Anche a me nel 2006 capitò di fare il passo indietro. Ero di quelli che avevano firmato con Ferretti (il tecnico romagnolo finì in un raggiro e mise in piedi la mai nata Sony Ericsson, ndr) e a dicembre dovetti accasarmi all’Acqua&Sapone. Vinsi le mie 2-3 corse, ma sapevo che per il Giro serviva l’invito e c’erano meno possibilità.
Smette di correre e nel 2011 mette su una continental, il Team Nippo che tiene fino al 2014Dal 2011 al 2014 manager del Team Nippo
Cunego vinse il Giro a 23 anni, Pogacar il Tour a 21. Fu un’anticipazione del futuro?
Fu un’eccezione, in anni in cui la maturità atletica arrivava fra i 28 e i 30. Ora sembra sia scontato andare forte da così giovani, ma credo che la situazione 2020 sia stata falsata dal Covid e dai diversi tempi di reazione di giovani e meno giovani.
Però nel momento in cui ci si interroga se poi dureranno meno, anche Cunego tutto sommato fece un paio di anni a fiamma, poi cominciò a calare…
Se Cunego farà un’analisi della sua carriera, qualche errore capirà di averlo fatto. Lo hanno subito etichettato come il nuovo Pantani. Lo hanno messo a lavorare sulla crono, mentre era un ragazzo esplosivo, che andava forte in salita. Alla fine si è ritrovato meno prestante sul suo terreno preferito e a prendere bastonate a crono dagli specialisti veri. Nel 2004 andava molto forte, gli bastava alzarsi sui pedali per fare il vuoto. Può essere stato l’anno della sua vita, ma ci rendemmo conto poi che aveva problemi se la pressione si faceva forte. Quando lo aspettavano perché vincesse, lui soffriva. C’è gente che quando arriva al giorno X diventa una bestia, lui spariva. Forse non fu per caso che vinse il Giro con Simoni capitano e l’Amstel quando nessuno lo aspettava. Vinse da pronosticato un Lombardia, ma ad esempio ai mondiali di Mendrisio quasi sparì. Sono cose di cui si è parlato e discorso a lungo.
Quando vai in bici cerchi ancora di andare forte?
Cerco di gustarmi le sensazioni del semplice pedalare, ma a volte mi trovo che sono inspiegabilmente a tutta. Scatta la molla e allora non alzi il piede. Ma ho smesso da un pezzo di cronometrare le solite salite…