Elena Pirrone è il presente e il futuro del ciclismo femminile italiano. La bolzanina viene da un paio di stagioni non al top. Due annate a rincorrere la condizione, ma se si vince un mondiale a crono e uno in linea non è una casualità (accadde nel 2017 quando era juniores). Significa che la stoffa c’è, che l’atleta deve solo adattarsi al passaggio di categoria. In più la stagione così particolare di certo non l’ha aiutata e lei ha sofferto più di altre la quarantena.
Il suo direttore sportivo alla Valcar, Davide Arzeni dice che Elena non si tira mai indietro, che è una combattente nata e al tempo stesso una ragazza generosa nel confronti del team.
Il ciclismo nel Dna
«In effetti – racconta Elena – sono stata abituata sin da piccola ad attaccare, a fare la corsa e non a subirla. Sono impulsiva. E questo non va bene, anche se a volte proprio d’impulso si ottengono bei risultati o magari si coglie la fuga giusta. Davide mi dice di ragionare un po’ di più ma non è facile farlo in quei pochi secondi in corsa, quando devi decidere se andare o meno».
Pirrone è una ciclista completa. Va certamente forte sul passo e anche sulle salite non troppo lunghe è tosta da staccare. E’ quella che si definirebbe una passista scalatrice.
La sua storia con il ciclismo nasce da piccolissima. Sorridiamo quando ci dice che il fatto che diventasse una ciclista fosse già scritto nel suo Dna.
«E’ genetica! Mia mamma Barbara ha corso. Idem i miei zii e lo stesso papà, Renato. Lui prima era un agonista e poi un amatore. Arzeni mi dice: vieni alla Roubaix che con il cognome di tua madre, Moser (anche se con l’accento diverso), la vinci!
«Mi sono innamorata di questo sport vedendo papà. Lo accompagnavo alle gare da quando avevo 10 mesi. Da piccola vedevo il gruppo sfrecciare e tutti quei colori delle maglie, delle bici erano… coinvolgenti. Solo che io volevo solo sfidare papà con il mio triciclo rosso, al quale sono ancora affezionata. E lui mi diceva: aspetta che cresci. Così a forza d’insistere mi hanno iscritto ad una squadra locale, l’Alto Adige».
Solo grandi obiettivi
Elena sta maturando, vuol lasciarsi alle spalle le difficoltà che si è trascinata dietro dalla quarantena. Era stata male, non era covid, ma si era dovuta fermare.
«Voglio iniziare a raccogliere dei veri risultati. Non mi sono fermata completamente in autunno, in quanto sono stata ferma cinque settimane a maggio. Per ora faccio ancora poca salita. Di solito preferisco quelle più brevi di 3-4 chilometri, ma dalle mie parti la scelta è ampia. Se devo farne di più lunghe vado sulla Mendola o verso l’Altopiano del Renon. Come detto, in autunno mi sono riposata ma senza mollare del tutto, anche perché nella mia testa ci sono le classiche delle Nord, le Ardenne soprattutto. E ho anche una piccola speranza per Tokyo. Senza contare che gli Europei poi si svolgeranno in casa e poi ci sono anche i mondiali».
Tokyo, Europei, mondiali, classiche: tutti grandi obiettivi. Segno di una mentalità vincente. Per perseguirli Pirrone sta lavorando molto anche sulla parte mentale: migliorare tatticamente, migliorare nelle gestione della sua vita di atleta e curando molto l’alimentazione.
«Ho capito – dice Elena – che il peso è la cosa che fa la differenza. E se negli ultimi due anni ho faticato a trovare la condizione dipendeva da quello. Messo a posto questo punto, sono certa che sarò tranquilla».
Longo Borghini nel cuore
«Elisa è il mio idolo. Un po’ ci assomigliamo. Lei attacca sempre, ci prova, non molla mai… io sono un po’ più veloce. Una cosa che mi “super gasa” è che correndo entrambe per la Polizia abbiamo lo stesso casco, gli stessi occhiali e a volte capita che mi dicano: ti ho scambiato per Elisa. E mi vengono gli occhi a stellina! Mi piacciono molto anche Elena Cecchini e Tatiana Guderzo. Lei al mondiale di Innsbruck (il primo da elite per Elena, ndr) mi ha aiutato davvero molto. Però, non me ne vogliano le altre, Elisa è la prima per me.
E tra le straniere?
«Van der Breggen – dice senza pensarci – ha uno stile unico, sempre composta agilissima. E la Van Vleuten: devi spararle per mandarla piano! Quando si alza sui pedali… ciao. A Livigno ci siamo allenate insieme. Abbiamo fatto il Gavia e poi lei ha proseguito per il Mortirolo. Ha una testa: se deve fare dieci, fa dieci. Non credo che rispetto a loro a noi italiane manchi qualcosa, semmai loro hanno altre strutture e più squadre femminili ed è questo nel complesso a fare la differenza».